Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    06/01/2016    1 recensioni
!!!*ATTENZIONE!* STORIA RISCRITTA E RIPUBBLICATA SU QUESTO PROFILO. NON LEGGETE QUESTA!! LEGGETE LA NUOVA VERSIONE!! (QUESTA VERSIONE è DATATA ED è QUI SOLO PER RICORDO)
Anno 2016. Shizuka Higashikata, la bambina invisibile, è cresciuta e vive una vita tranquilla con i suoi genitori Josuke e Okuyasu nella cittadina di Morioh, e nulla sembra poter andare storto nella sua monotona e quasi noiosa esistenza. Ma quattro anni dopo la sconfitta di Padre Pucci un nuovo, antico pericolo torna a disturbare la quiete della stirpe dei Joestar e dell'intero mondo, portandoli all'altro capo della Terra, nella sperduta cittadina italiana di La Bassa. Tra vecchie conoscenze e nuovi alleati, toccherà proprio a Shizuka debellare la minaccia che incombe sull'umanità. O almeno così crede.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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-Ehi, ti vedo pensierosa. Ancora quei Joestar?-
Ludovico appoggiò la penna sul libro di storia e si piegò verso l’amica, con un sorrisone sulle labbra. Zarathustra non rispose.
-Sta’ zitto e concentrati sulla lezione.- sbraitò l’amica, col solito atteggiamento freddo. Con un profondo sospiro il ragazzo moro tornò dritto sulla sua sedia, con il mento appoggiato alla mano ad ascoltare la noiosa lezione di storia contemporanea.
Provò a rimanere concentrato e attento, ma qualcosa continuava a distrarlo. Forse era l’incessante ticchettio della penna di Zarathustra, che se ne stava impacciata e immobile contro al muro, guardando con un’espressione tirata davanti a sé. Qualcosa non andava, se il boss era così nervosa.
-Zara, davvero. Succede qualcosa?-
-Ho un brutto presentimento.-
Con un cenno del capo indicò le ragazze sedute ai tavoli dietro di loro, che bisbigliavano e ridacchiavano, tutte sedute attorno ad una di loro, col cellulare in mano e un sorrisone sul viso. Guardavano lo schermo luminoso dello smartphone e parlottavano tra loro, tra risatine e sussulti.
Zarathustra si girò appena verso di loro, attivando 42 nel suo occhio destro ed osservandole con attenzione, cercando di catturare i loro labiali.
-La foto me l’ha mandata la mia amica dell’Ala Sud! Sono entrati a scuola questi tipi!-
-Saranno professori nuovi?-
-Nah, la ragazza coi capelli verdi e neri è troppo giovane!-
-Che siano dei genitori venuti per i colloqui coi prof?-
-Non penso…-
-Oddio, che figo il tipo castano coi tatuaggi!-
-Quello moro alto col cappello e il cappotto è spettacolaaree!!-
-Sono altissimi quei due, mamma mia! Saranno due metri!-
-Ma che bicipiti ha il tipo coi capelli bianchi e neri?! Wow!-
A quelle parole, la ragazza tornò a voltarsi in avanti, ancora più tesa di prima. Strinse la manica dell’amico e lo strattonò a sé, parlandogli nelle orecchie con una voce più tesa e preoccupante del solito.
-Manda il tuo Black or White all’entrata sud.-
-Cosa?- esordì Ludovico, stranito. –Ma perché dovrei..-
-Tu fallo e basta. Ho paura siano qui.-
-Dopo una settimana?!-
Il loro parlottare fu notato dalla professoressa. Si avvicinò ai loro tavoli e picchiò le mani sui loro banchi, guardandoli con astio.
-Allevi. De Luna. Se la lezione non vi interessa e avete cose più importanti di cui parlare, potete benissimo andarvene!-
Zarathustra annuì e si alzò in piedi di scatto, afferrando l’amico per il polso e trascinandolo fuori dall’aula, senza battere ciglio, sotto gli sguardi atterriti dei compagni di classe e della professoressa, incredula.
-De Luna! Che cosa..?!-
-Ho affari più importanti al momento. Arrivederci.-
Detto questo, Zarathustra la guardò dai suoi spessi occhialoni gialli a specchio e, senza mostrare alcuna emozione, si chiuse la porta alle spalle, trascinando l’amico riluttante.
Ludovico e Zarathustra camminavano l’uno di fianco all’altra per i corridoi semideserti della grande scuola, mentre il ragazzo evocò il suo stand, Black or White. Al posto della solita ombra circolare, la sua stessa ombra si allungò sul muro al loro lato, in una figura umanoide pressoché identica a quella del portatore ma completamente nera, fatta eccezione per i due luminosi occhi sferici, che li scrutava.
-Controlla l’entrata Sud, tanto il tuo stand ha raggio 100 metri o anche più.-
Ludovico annuì e l’ombra se ne andò, passando per i muri e le fessure, staccandosi dai piedi del ragazzo in giacca e cravatta, che continuava a seguire il suo capo.
I due si fermarono davanti a un’aula e Zara senza esitazioni spalancò la porta, piombando all’interno con la sua classica freddezza.
-Regina Stradivari e Davide Rossini sono attesi in presidenza.- disse con tono freddo e calmo, osservando i due ragazzi seduti in prima fila. Nella classe ci fu un boato di stupore, mentre osservavano sbalorditi i due migliori studenti della classe, sempre attenti, sempre presenti e con sempre i voti più alti.
-Per un encomio, ovviamente!- disse Ludovico con un sorrisetto un po’ tirato, intrufolandosi dentro e appoggiandosi allo stipite della porta, piazzandosi davanti alla ragazza e coprendola, mentre osservava il professore, che non sembrava essere cascato nel tranello di Zarathustra. Ludovico era energico e carismatico, e sempre pronto a creare buone scuse alle azioni calcolate e disinteressate della migliore amica. Era spesso lui a salvare la situazione, e per questo era il vice della Banda.
A quelle parole i compagni di classe si lasciarono scappare dei sospiri di sollievo e degli sbuffi rassegnati, constatando che poteva benissimo essere vero. Erano talmente diligenti che la preside li premiava spesso, e lasciava loro svolgere diversi compiti importanti, soprattutto ora che si ritrovavano in quinta.
-Andate pure.- sospirò infine, facendo segno ai due ragazzi di andare. Regina e Davide si alzarono di scatto e, facendo qualche inchino e scusandosi a bassa voce con il professore, uscirono dalla classe.
Una volta chiusa la porta, Zarathustra riprese a camminare, senza dare nessuna spiegazione. La ragazza castana le corse dietro, incuriosita, mentre i quattro salivano le scale e si dirigevano ai piani superiori dell’istituto, alla ricerca di tutti gli altri componenti della Banda, sparsi in diverse classi.
-Che succede, Boss?- chiese Regina, con tono preoccupato, osservandola con un’espressione impaurita sul volto.
-Le spiegazioni a dopo.-
Regina abbandonò l’idea di poter far uscire qualche informazione al capo e rallentò il passo, affiancandosi al braccio destro di Zarathustra, Ludovico.
-Crede che i Joestar siano qui- sussurrò lui a Davide e Regina, che si guardarono negli occhi spaventati. –Ha sentito delle ragazze che ne parlavano. Dovrebbero essere all’entrata Sud.-
La ragazza dai lunghi capelli castani e il diadema sulla testa gli rivolse uno sguardo gelido e serrò i pugni, aggrottando le sopracciglia e stringendo i pugni, infuriata dalla notizia, mentre Davide le si parò davanti accarezzandole una spalla, nel vano tentativo di calmare la fidanzata, fuori di sé.
Zarathustra entrò in un’altra aula e ripeté la stessa solfa, uscendo assieme a tre ragazzi. Il più basso, Piero, che nemmeno arrivava al metro e cinquanta, dai folti e spettinati capelli violacei e un abbigliamento sportivo e quasi militare, saltellò da una parte all’altra, scoppiando a ridere e scrocchiandosi le nocche, divertitissimo al solo pensiero di combattere. Il ragazzo alto e biondo si tolse le cuffie dalle orecchie e si avvicinò alla bassa ragazza mora, che teneva la testa bassa e rimaneva immobile, con gli occhialoni gialli che le coprivano gli occhi.
-Sorellona, è successo qualcosa di grave?- disse lui, abbassandosi un po’ su di lei.
-…tranquillo, Ale.- furono le sue uniche parole di conforto verso il ragazzino. Lo fissò con aria fredda e alzò le spalle, ficcandosi le mani nelle tasche della giacca e incamminandosi, lasciando gli altri indietro. Noemi, anche lei uscita dalla classe assieme ad Alex e Piero, si avvicinò a Regina e la guardò negli occhi, notando la sua rabbia. -…sono i Joestar?- sussurrò, guardandola preoccupata mentre si rigirava tra le dita le lunghe ciocche rosse e la mèche violetta. Regina alzò lo sguardo su di lei e annuì con determinazione, i suoi occhi verde acqua infiammati di collera. Seguirono tutti e sei il loro capo, attraverso i corridoi del primo piano dell’istituto, ora quasi vuoti, dirigendosi nell’ala est. La scuola era grande e il silenzio era assoluto, in quell’aura quasi spettrale che li circondava.
Camminavano lentamente per non creare troppi sospetti, un gruppetto compatto che si dirigeva a passo spedito verso il baretto alla fine del corridoio, nella ampia sala centrale. Zarathustra si avvicinò col suo solito passo marziale, appoggiandosi al bancone coi gomiti e scrutando dentro.
-Eriol, presto.-
Una ragazza dagli spettinati capelli castani e una lunga e bassa coda di cavallo si presentò davanti a loro, sfoderando un grande sorriso mentre si puliva le mani con un canovaccio, osservandoli, felice ma confusa. –Ah, boss! E anche tutti voi! Avete sentito le novità?-
-Sì- sospirò Zarathustra, fingendo calma e rigirandosi un sottile ago nero tra le dita, nessuna espressione sul viso mezzo coperto dai grandi occhiali gialli a specchio. –ma dicci tutto quello che sai.-
-Le ragazzine di seconda parlavano di “tipi altissimi e fighi” e “asiatici”, e mi sono subito venuti in mente…sai. Loro.-
La ragazza guardò il suo capo in viso, con un sorriso un po’ teso, cercando certezze e sperando che quella notizia fosse falsa. Ma non trovò alcuna certezza, né nel capo né tantomeno nei visi degli altri componenti. Zarathustra spezzò l’ago, che si dissolse nel nulla, mentre sul suo viso si formava un’espressione più dura. Dietro di lei, tutti i componenti della Banda, Regina in primis, si innervosirono.
Eriol lasciò cadere lo straccio e li fissò sbalordita, negando lievemente con la testa, incredula.
-Ce ne andiamo.- proferì Zarathustra, irremovibile. Davide sobbalzò lievemente, molto contrariato dal dover abbandonare le sue amate materie scolastiche. Si voltò verso la sua fidanzata, sicuro di essere appoggiato da lei, ma sul suo viso lesse solo paura e rabbia.
Tutti i componenti della banda non poterono fare altro che annuire mestamente e incamminarsi lentamente da dove erano tornati, per mettere via libri e appunti e incamminarsi al loro covo segreto. Stavano già iniziando a sparpagliarsi quando, tutto ad un tratto, Ludovico sussultò. Tutti si fermarono e si girarono a guardarlo, spaventati. Lui aveva gli occhi sgranati e un’espressione di puro panico negli occhi, mentre balbettava qualche parola sconnessa.
-Non sono più nell’ala Sud…- sussurrò, indietreggiando un po’.
Zarathustra con un fischio richiamò gli altri cinque ragazzi, che scattarono indietro e si radunarono di nuovo in mezzo al salone, raggiunti pochi secondi dopo anche da Eriol.
-Cos’è successo, Ludovico.- disse il boss con tono fermo, piazzandosi di fronte a lui. Ludovico deglutì e la guardò negli occhialoni, con le mani che tremavano e il fiato corto. –Hanno visto Black or White. Stanno venendo qui…-
 
Un vociare sommesso proveniente da oltre le porte chiuse delle tanti classi dell’istituto e i loro passi erano gli unici rumori che si potevano udire al momento nei corridoi del grande istituto superiore di La Bassa.
Jotaro era capofila, seguito subito dopo da Koichi e Yukako, mentre infondo alla fila Josuke e Jolyne sparlottavano di moda, ed infine Okuyasu a chiudere la fila, che si guardava intorno, con uno strano nodo in gola. Tentò più volte di afferrare la mano del marito, che lo scacciò più di una volta, nemmeno girandosi verso di lui e degnandolo di uno sguardo, mentre discuteva animatamente con la pronipote riguardo alle ultime tendenze.
-Potete prestare un po’ di attenzione, voi due?- sbottò Jotaro tutto ad un tratto, fermandosi di colpo e voltandosi verso lo zio e la figlia, fulminandoli con lo sguardo. –Io e Koichi stiamo progettando il piano, e involve anche voi.-
Jolyne annuì e si avvicinò, rimanendo dietro di loro e guardandoli con serietà mentre Josuke si ficcò le mani nelle tasche e sbuffò sonoramente, indispettito dal comportamento superiore di Jotaro. Quando era giovane lo seguiva come un cagnolino, gli piaceva farsi dare degli ordini da lui, lo vedeva come una figura autoritaria e superiore a lui. Ma sono passati diciassette anni, è cresciuto e ormai erano entrambi uomini adulti e responsabili, e Josuke non vedeva nulla in Jotaro se non un parente. Rispettabile e saggio, certo, ma non di certo superiore a lui.
Rimase comunque ad ascoltarlo, tutto accigliato e contrariato, ma non poté fare altro di rimanere agli ordini di Jotaro.
Okuyasu camminava in ultima posizione, dietro tutti gli altri. Non gli piacevano le scuole, non gli sono mai piaciute, anche se quell’istituto era parecchio diverso da quelli che ha sempre frequentato lui.
Gli studenti indossavano vestiti sgargianti, anche se un po’ tutti uguali tra di loro. Avrebbe potuto giurare di aver visto lo stesso ragazzo, con cappellino e scarpe rosse e pantaloni a vita bassa e capelli rasati, almeno cinque o sei volte. Si guardava intorno guardingo, un po’ spaventato. Sapeva che il nemico era lì intorno, se lo sentiva dentro.
Osservando i ragazzi appoggiati ai muri dei corridoi, fuori dalla loro classe, notò che uno di loro aveva un’ombra più scura del solito. Quell’ombra l’aveva già vista prima, nei ragazzi precedenti, ma non ci fece caso: se i ragazzi erano tutti uguali, lo saranno anche le loro ombre.
Continuando a camminare, però, notò che quell’ombra si muoveva, quella figura umanoide non assomigliava per niente al sedicente possessore di tale, e i suoi occhi risplendevano nel buio della sua figura.
Non era un’ombra normale.
Facendo finta di nulla si avvicinò a Josuke, afferrandogli la maglietta e tirandogliela con vigore, nel tentativo di farsi ascoltare. Si alzò anche sulle punte, cercando di sussurrargli nell’orecchio che uno stand li stava seguendo. Josuke se lo scrollò di dosso e lo guardò con uno sguardo freddo e innervosito, spingendolo indietro senza molta delicatezza.
Jotaro si fermò di parlare e tutti si girarono nella sua direzione, osservandolo con sufficienza.
-Che c’è, quattrocchi?- sbuffò Jolyne, guardandolo nervosa e seria. Quella era una vera e propria missione, e non poteva permettersi rallentamenti, non dal marito con dei problemi del suo prozio.
Sentendosi così osservato e giudicato Okuyasu indietreggiò un po’, indicando nella direzione dell’ombra sospetta e parlando con voce spezzata e appena udibile, impaurito da quegli sguardi.
Jotaro roteò gli occhi e riprese a camminare, seguito da tutti, che ripresero ad ignorare Okuyasu. Lui non seppe se fosse meglio così o se sarebbe stato meglio che l’avessero continuato a guardare, con quegli sguardi accusatori, quegli occhi pieni di palese superiorità nei suoi confronti. La sua autostima era sotto ai piedi, come sempre del resto, forse ora più che al solito.
-Avanti, Okuyasu!- gridò Josuke, metri più avanti, nel tentativo di spronarlo a seguirli, dato che era rimasto fermo mentre loro se n’erano già andati.
Voleva essere utile, che la sua esistenza avesse un senso, era la cosa che desiderava più al mondo.
Si fece coraggio e rimase immobile, ignorando i richiami di suo marito e la sua voce tanto fredda e quasi cattiva alle sue orecchie.
Si girò verso quell’ombra sospetta, che solo lui sembrava avere visto, ma non la vide più. Continuò a guardarsi intorno finché non la vide di nuovo, dietro ad una ragazza questa volta. Si avvicinò a grandi passi allo stormo di ragazzi in un angolo, che lo guardarono terrorizzati.
L’ombra finalmente diede segni di vita propria, e schizzò via sul muro.
-Dove vai, ombra di merd..-
Okuyasu si mise ad urlare verso al muro, sul quale l’ombra schizzava di qua e di là, non badando ai ragazzi terrorizzati davanti a lui.
Prima che potesse sbattere un pugno contro il muro si sentì strattonare indietro, preso per le ascelle da Josuke. Lo tirò indietro con tutta la forza che aveva, mentre Okuyasu continuava a dimenarsi e gridare, cercando di scappare dalle sue grinfie. L’ombra seguì uno dei ragazzi schiacciati contro al muro, che lo guardava col panico negli occhi. Mentre piano piano tornava a rendersi conto di quello che stava succedendo, degli sguardi di paura e sufficienza che gli arrivavano, si fermò. Josuke lo spinse indietro e, col suo solito sorriso zelante e falso sorriso di cui ci si può fidare, e il suo tono caldo e rassicurante, si mise davanti ai ragazzi.
-Scusatelo, non è… normale.- disse, guardandoli con più tranquillità che poteva mentre stringeva con forza il polso del marito. -…sapete com’è, con chi ha dei problemi mentali…-
Okuyasu rimase a guardarlo, impietrito, mentre si sentiva gli sguardi gelidi e disgustati su di lui, e i mormorii di ragazzi e professori che lo vedevano solo come un animale da compagnia. “Non potevano lasciarlo a casa?” “Dovrebbe stare in uno di quei centri specializzati.
Rimase paralizzato in mezzo a quel circolo di persone che cercavano di evitare di fissarlo, di scoppiare a ridere o semplicemente spaventati da lui, mentre Josuke lo tirava in un angolo, furibondo. Lo prese per le spalle e lo sbattè con forza contro il muro, guardandolo dritto negli occhi con un’espressione così fredda e irritata che raramente aveva visto.
-Che cazzo fai.-
-Io non..!-
-Stai zitto!- gridò, mentre Okuyasu si stringeva nelle spalle, terrorizzato. –C’era uno stand nemico…- tentò di dire.
-Non c’è nessuno stand nemico! Sei solo pazzo!- gridò di nuovo suo marito, scuotendolo quasi con violenza, mentre Okuyasu si sentiva morire dentro dalla vergogna e dalla paura. –Stai rovinando tutti i nostri piani, solo perché sei un..-
Josuke non riusciva a trovare le parole adatte, non voleva trovarle, e continuava a tenergli con forza le spalle, mentre l’altro rimaneva inerme tra le sue mani.
-…le hai prese le medicine, stamattina?- chiese, cercando di mantenere la calma.
-Sì, quando eravamo in auto…-
-Non ne hai prese di meno o di più, vero?-
-No! Jojo, sono diciassette anni che le prendo, ormai so come…-
-E allora perché dici queste cazzate!?- gli sbraitò contro Josuke, scuotendolo un altro po’. Okuyasu non sapeva più cosa dire, non poteva ribattere, si sentiva inutile e indifeso, un peso per l’uomo che amava e la famiglia a cui lui non apparteneva, e probabilmente non sarebbe mai appartenuto.
Tenne la testa bassa e non osò replicare, lasciandosi sbattere contro al muro senza reagire, non ascoltando nemmeno le parole del marito, fuori di sé. Non avrebbe avuto senso ascoltarlo, tutto quello che diceva già lo sapeva, già glielo avevano detto suo padre, suo fratello, e tutti quegli sguardi che incontrava sulla via, a scuola, al supermercato, tutt’intorno a lui.
Okuyasu stava per scoppiare a piangere, quando la voce di Jotaro si levò dal corridoio adiacente, seguita dalle frasi scurrili di Jolyne.
Koichi corse verso di loro e Josuke mollò la presa sulle spalle del marito, che si appoggiò al muro per tenersi in piedi, confuso.
-L’ombra si è mossa!- urlò il biondo, guardando Josuke. –Okuyasu aveva ragione! È stato l’unico ad accorgersene!-
Calò il silenzio e i ruoli si ribaltarono, tutto ad un tratto. Okuyasu guardò Josuke con uno sguardo accusatorio e carico d’astio, mentre Josuke non osò voltarsi nella sua direzione. Questa volta l’ha combinata grossa.
Koichi notò la situazione un po’ tesa e girò i tacchi, tornando nel corridoio centrale, dove Jotaro, Jolyne e Yukako controllavano l’ombra. Se ne stava ferma immobile, una macchia nera circolare, immobile sul muro, che poteva benissimo sembrare un buco o della vernice nera.
Quando la campanella suonò e i ragazzi se ne tornarono in aula, l’ombra si ritrovò senza persone dietro cui rifugiarsi. Abbandonò la sua forma umana e si trasformò in un piccolo globo bidimensionale, poco più che una macchiolina grossa nemmeno come il palmo di una mano.
Jolyne era rimasta stranita dal comportamento dello zio Okuyasu. Sapeva dei suoi problemi, ma considerava la reazione di Josuke esagerata. E se una reazione era esagerata per lei, che nell’esagerazione si crogiolava, voleva dire che era davvero qualcosa di troppo. Non si sentiva sicura, lì tra quelle mura spesse e rosse in cui erano rinchiusi. Rimase ad osservare i ragazzi andarsene dentro le aule, con gli sguardi torvi e i visi imbronciati, a riprendere le lezioni, speranzosi che le vacanze di Pasqua inizino presto.
L’ombra di uno di loro scomparve e tornò più pallida ed eterea, come quella di tutti gli altri, illuminati dai neon. Non aveva notato che prima fosse più scura, era qualcosa che le era sfuggito. Quella era una missione, non poteva assolutamente permettersi di fallire. Benché non ci fosse solo lei questa volta, benché non gravasse sulle sue spalle tutto il peso di quella missione, era comunque coinvolta. Da cinque anni ha imparato il vero significato di famiglia, responsabilità, e impegno. E non intende più essere la bambina viziata e combinaguai che era fino al 2011.
Jolyne ha ormai 24 anni, anche se si sente un po’ indietro per la sua età.
“Io ti ho avuta a 22 anni” le ripeteva suo padre. “tuo zio Josuke si è sposato alla tua età, e anche mia madre.” e i soliti discorsi su come lei debba sprecare meglio il suo tempo. Jolyne allora faceva finta che non le importasse, che quelle fossero solo fandonie di un vecchio non al passo coi tempi, e che pretendesse troppo da lei.
In realtà lei ci soffriva parecchio. Non era stata capace di gestire la sua vita, non ne era in grado e probabilmente mai lo sarebbe stata. Sia lei che il suo fidanzato Narciso, che era rimasto a Miami, non erano pronti al matrimonio, anche se i parenti insistevano tanto.
Forse era vero, forse aveva vissuto tutta la sua vita con troppa leggerezza, pensando di rimanere una bambina per sempre. Ma non era così, e lo doveva accettare, anche se era difficile.
Voleva farsi vedere come degna di fiducia e, soprattutto, adulta. Purtroppo non riuscì a fare molto in quella battaglia contro Pucci di quattro anni prima, in cui poteva dimostrare di essere forte e responsabile. Se suo zio non avesse ricomposto i pezzi di corpo in cui il prete l’aveva tagliuzzata, probabilmente ora dormirebbe sul fondo del mare assieme al padre Jotaro, al fratellino adottivo Emporio, al fidanzato Narciso e all’amica del cuore Hermes.
Il destino però le diede un’altra occasione per splendere, e l’occasione era quella. Si mise davanti alla porta della classe e osservò i ragazzi entrare nell’aula. Uno di loro si fermò e, tirandosi i capelli all’indietro e sfoderando un sorrisone sicuro, le si avvicinò. Jolyne non lo degnò di uno sguardo, e con una manata in faccia lo buttò dentro la classe, sotto gli sguardi dei compagni di classe. Lei, con molta nonchalance, si alzò le maniche a ragnatela e mostrò i forti muscoli, mettendo bene in mostra i bicipiti e le cicatrici su esso, nonché il tatuaggio della banda di teppisti a cui apparteneva.
Fu un segnale più che sufficiente per i ragazzini, che, intimoriti, scapparono in classe e smisero di provarci.
Con una smorfia soddisfatta riprese a guardare il muro, quella macchiolina nera che era comparsa sulla parete. Si avvicinò e la osservò meglio, scostandosi le ciocche verdi che le cadevano sugli occhi. Appena riaprì gli occhi notò che la macchia si era spostata. Non era più nella posizione di prima, ne era certa.
-Papà… vieni qui.- mugugnò, facendo cenno a Jotaro di avvicinarsi. Lui camminò incontro a lei lentamente, piegandosi e osservando assieme a lei la chiazza scura sul muro rosso, con la solita espressione fredda e distaccata.
-Si è mossa. Quando ho chiuso gli occhi, si è mossa!- sussurrò lei, cercando di non farsi sentire, nel caso fosse davvero uno stand nemico come aveva detto prima lo zio Okuyasu, indicando la macchia.
Jotaro passò lo sguardo da lei al muro, e poi di nuovo a lei, incredulo.
-E l’hai vista muoversi?- disse a voce alta, mentre la figlia tentava di zittirlo e fargli abbassare la voce, gesticolando ampiamente.
-Smettila, allora.- disse, alzandosi e dandole le spalle. Jolyne ci rimase parecchio male per quel comportamento tanto strano da parte del padre. Si alzò di scatto e gli si accostò, guardandolo quasi sconvolta, prima di notare Star Platinum. Era davanti a lui, evocato a malapena, praticamente trasparente e invisibile. Guardava dietro di lui, il muro, e Jolyne capì il suo piano.
Evocò anche lei Stone Free e fece la stessa azione, rendendolo etereo e intangibile, a malapena visibile, e guardò il muro.
-Ma papà!- urlò lei, fingendosi offesa e reggendo la farsa del padre, facendogli l’occhiolino di nascosto. Sei fenomenale, gli disse con il pensiero. Lui la guardò con l’occhio buono e accennò un mezzo sorriso, senza risponderle.
Rimasero poco a far finta di bisticciare e nel frattempo a spiare il muro dietro di loro. Come nel piano di Jotaro, la macchia si mosse, e si spostò di una decina di centimetri sul muro, con uno scatto veloce. Prima che potesse scappare Jotaro e Jolyne si girarono, rimanendo a guardarla. L’ombra si fermò di nuovo, quasi tremando, mentre i due si avvicinavano.
Koichi, seguito da Josuke e Okuyasu tornarono nel corridoio principale, rispuntando da quell’antro in cui si erano chiusi a litigare. Non fecero in tempo a raggiungerli che l’ombra, con uno scatto velocissimo, si allontanò con rapidità, sfrecciando sui muri.
Jolyne lanciò un grido di sorpresa e prese a correre dietro alla piccola ombra, seguita da tutti gli altri. Tutti e sei inseguivano lo stand-ombra, schivando bidelli e professori per i corridoi. Ormai non si trovavano più nell’ala sud dell’istituto, ma avevano raggiunto quella est. Li aveva portati fino ad un grande salone che collegava diversi corridoi. L’ombra raggiunse un nugolo di ragazzini nel centro della piazzetta, tutti stretti gli uni agli altri, che sembravano discutere. Quella strana ombra riprese una forma umana e si attaccò alla suola delle scarpe di uno di loro, un ragazzino abbastanza basso dai capelli neri con un ciuffo sulla fronte tirato indietro e vestito in giacca e cravatta, con un bel completo blu a righe azzurre.
Quel ragazzino si voltò verso di loro, e i suoi occhi blu si riempirono di terrore nel vederli. Cacciò un gridolino e tutto il gruppetto di studenti si voltò verso i Joestar. Non ci volle molto perché Josuke riconoscesse la alta ragazza dai lunghi capelli castano chiaro e uno strano diadema in testa, la ragazza bruna con la coda bassa e, soprattutto, il boss.
Zarathustra fu l’unica a mantenere la calma, della Banda. Si voltò nella loro direzione e puntò il suo gelido sguardo coperto dagli occhialoni da lavoro a specchio su di loro, e particolarmente su Josuke.
-Ci avete scoperto, vedo.- disse, monotono, mettendosi le mani nella tasca della felpa rossa scura.
-Sono loro…- sussurrò Koichi a Jotaro, che era rimasto perplesso. Erano poco più che bambini, come sarebbe possibile che quei mocciosi avessero potuto sconfiggere con tanta facilità due dei più forti portatori di Stand non solo di Morioh, ma probabilmente di sempre?
La situazione era in stallo: i ragazzi della Banda erano fermi immobili, chiusi a riccio e pronti a difendersi, mentre i Joestar, a metri da loro, erano increduli e frastornati. Li avevano trovati, finalmente.
Il primo a smuovere la situazione fu Josuke, fuori di sé dalla rabbia, che si scaraventò addosso a loro, evocando Crazy Diamond. Jotaro fece per trattenerlo per un braccio, inutilmente però: quando Josuke si mette in testa qualcosa, particolarmente quando arrabbiato, non c’è modo per fargli cambiare idea. Arrivato a due metri da Zarathustra, ovvero nel raggio d’azione del suo stand, Crazy Diamond tirò indietro un braccio e chiuse il pugno, pronto a colpirla. La ragazza non fece niente, rimase a guardarlo senza un’espressione. Ciò fece imbestialire ancora di più l’uomo, che con un gridò caricò il pugno e fu pronto a sferrarlo.
Con uno scatto però il Boss della Banda si abbassò ed evocò il suo stand. Una coda lunga, nera e spinosa apparve, e con una frustata andò a colpire la caviglia di Josuke, che perse l’equilibrio in avanti. Guardò davanti a sé, dietro all’avversaria, e si ritrovò un ragazzino biondo e alto, coi capelli rasati ai lati e un’espressione preoccupata, il volto fin troppo simile a quello del boss.
-Alex, ora!- gridò Zarathustra, rotolando via con rapidità e mettendosi al sicuro, mentre il ragazzino biondo evocò il suo stand, davanti a lui. Sembrava un’enorme scatolone di metallo, dalla bocca aperta e sorridente e gli occhi rossi come quello del boss. La bocca spalancata aveva all’interno quello che sembrava un’enorme stereo.
Lo stand lanciò un forte grido, che crearono una spaventosa onda d’urto. Josuke rotolò indietro di qualche metro, capitolando rovinosamente a terra.
-Presto, formazione a tre! Io piano superiore, Regina piano inferiore, Eriol cortile! Via via veloci!-
Con movimenti rapidi la Banda si divise in tre gruppetti. Zarathustra, Ludovico e Piero si misero a correre verso l’ala nord, saltellando a grandi balzi su per le scale. Regina e Davide corsero nella direzione opposta, buttandosi a capofitto negli stretti corridoi che collegavano l’ala est a quella sud, mentre Eriol, seguita da Alex e Noemi, corsero dietro di loro, aprendo le porte di emergenza dell’ala est e scappando nel giardinetto retrostante.
Okuyasu nel frattempo era accorso in soccorso del marito, che era rimasto a terra frastornato. Si inginocchiò al suo fianco e prese la sua testa tra le mani, osservandolo con attenzione e grande preoccupazione. –Stai bene?- gli sussurrò, un po’ impaurito che potesse ancora arrabbiarsi con lui. Josuke lo guardò negli occhi, ancora scombussolato dall’attacco di prima, e scacciò le sue mani. Stava per dire qualcosa, ma fu interrotto bruscamente da Jolyne, che lo prese per la collottola. Josuke si rialzò in piedi dolorante e la osservò con uno sguardo offeso, mentre lei lo tirava per il polso.
-Zio, mio papà ha detto che dobbiamo inseguire il damerino, il piccolo selvaggio e il capo! Sbrigati!-
Il castano annuì e a suo malgrado seguì la nipote su per le scalinate che li avrebbe portati al primo piano. Josuke fece tutte le scale a tre o quattro gradini alla volta, grazie alla sua esagerata altezza, mentre Jolyne, anche se ben più rapida e agile di lui, riusciva a malapena a farne due alla volta, anche per il fatto che portava alti stivali col tacco a spillo.
Jotaro si affiancò ad Okuyasu e lo guardò negli occhi, indirizzandolo verso Yukako, che era già sulla strada per rincorrere i tre ragazzi.
-Coraggio Okuyasu, dimostra quanto vali.- gli sussurrò, prima di affrettarsi a grandi passi verso Koichi ed inseguire Regina e Davide, che sfrecciavano sui corridoi deserti dell’ala sud.
Okuyasu raggiunse con grande fatica Yukako, già fiondatasi nel cortile, affiancandosi a lei con già il fiatone e gli occhiali che gli scivolavano giù dal naso sudato, con uno sguardo spaventato e preoccupato.
Yukako allungò una mano verso di lui e afferrò la sua, guardandolo di striscio e tirandolo un po’, aiutandolo ad andare più veloce, e Okuyasu capì che non era da solo in quella sfida, e che ce l’avrebbe fatta.
 
 
 
 
 You better run!
        Run Like Hell, Pink Floyd (The Wall, 1979)
 
 
Note dell’autrice
Ciao a tutti! Sì, ho aggiornato a una settimana (o meno) dall’ultimo capitolo, perché da domani finiscono le feste di Natale! Che tristezza. Non so se avrò tempo per scrivere, per cui aggiorno adesso, con un capitolino non molto lungo ma sicuramente denso di avvenimenti.
I Joestar e la Banda si incontrano, lo scontro è imminente. Josuke e Jolyne saranno alle prese con Zarathustra, Ludovico e Piero, Jotaro e Koichi contro Regina e Davide e, infine, Okuyasu e Yukako all’inseguimento di Eriol, Alex e Noemi. La battaglia è vicina, Joestar VS Banda. Chi vincerà? Come si svolgerà? Sapremo tutto nel prossimo capitolo! Ciao a tutti!
   
 
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