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Autore: Sethmentecontorta    07/01/2016    2 recensioni
|Prima classificata al contest "Sky or Abyss?" indetto da SoulKilled sul forum di EFP|AU|Sovrannaturale|Shirou and Haruna|presenza di Kidou selvatici e forse altri personaggi|
Nelle viscere della Luna, da noi umani tanto lodata e cantata, si cela un mondo di cui non possiamo essere a conoscenza, oscuro e gelido, abitato da esseri in tutto simili a ciò che chiamiamo angeli. Una volta all'anno, ciascuno di loro discende sulla Terra, per esaudire il desiderio di un mortale la cui brillante luce lo abbia attirato. E' questo che attende Sehaliah, che si vede costretto a lasciare il pianeta su cui ha sempre vissuto per un mondo sconosciuto ed incredibilmente luminoso.
Genere: Angst, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Celia/Haruna, Shawn/Shirou
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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From the moon: an angel
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Le stelle rilucevano brillanti nell’oscuro cielo notturno. Tra due alberi ed il tetto di un edificio, poteva ammirare quell’immensa cupola luccicante di astri bianchi, dei quali amava seguire le forme, trovare le costellazioni più disparate era per lei un gioco. La luna, candida e piena, le era sempre rassomigliata fin da tenera età ad un volto che la osservava dall’alto di quell’oscura cortina della volta celeste. Per qualche motivo, le era sempre parso chiederle aiuto. Solo ciò attirava la sua attenzione, non la silente città illuminata da lampioni e da qualche rara lampadina domestica ancora accesa. Tutto taceva, il lieve fruscio delle fronde era reso impercettibile dalla barriera di vetro, perfino dentro all’abitazione nessun rumore spezzava il silenzio che riempiva le sue orecchie e la sua mente col suo vuoto. Amava il silenzio, amava rimanere sola a pensare un po’ a tutto ed un po’ a nulla. Ma non amava la solitudine, per niente.
Haruna strinse le sue sottili dita intorno alla stoffa delle tende, pronta a tirarle, escludendosi la visuale di quel panorama che amava osservare, sola nel buio della sua stanza. Prima che potesse farlo, però, il suo sguardo fu attirato nuovamente oltre la finestra da una luce, durata solo pochi istanti. Come una stella cadente, ma molto vicina, tanto da essere percepita perfino dalla vista periferica. Seguendo con gli occhi la direzione che tale oggetto di dubbia provenienza sembrava aver preso, le parve di notare, in quell’ambiente che tanto conosceva, qualcosa di estraneo. Percepiva appena, tra le chiome di un albero sufficientemente vicino, degli sprazzi di bagliori argentei, come di un oggetto di tale materiale che riflettesse la luce. Questi si acquietarono dopo pochi istanti, e tutto tornò alla normalità. Le solite strutture, le solite piante, tutto come l’aveva imparato a conoscere, senza più nulla di anomalo.  Scrutò ancora per qualche secondo il punto dove aveva visto quei misteriosi lumi, ma nulla accadde. Fuori dalla sua calda dimora, solo freddo, silenzio e buio.
Stabilì così che la sua vista e la sua mente dovevano averle tirato un brutto scherzo, che il tempo della caccia al paranormale era terminata e che avrebbe fatto meglio ad andare a letto, data la tarda ora. Deciso ciò, celò la finestra grazie ai due rettangoli di tela color pesca, così che al mattino il sole non l’avrebbe disturbata prima della sua sveglia, ed andò a coricarsi. Abbassò le palpebre, osservando l’oscurità. Quasi avrebbe voluto esserne inghiottita.
 
Un battito d’ali. Aveva udito chiaramente il suono di un paio di ali, un elegante e soave schiocco, unito al lieve fruscio delle piume. Dischiuse di poco gli occhi assonnati. La prima cosa che notò furono due pezzi di tessuto color arancio tenue svolazzanti nella fredda brezza notturna, sebbene lei ricordasse di aver chiuso la finestra e tirato le tende. Guardò in fondo alla stanza, e lì ecco una figura di spalle, dalle quali scaturivano grandi ali candide come la neve più incontaminata, bordate di fine venature color argento che costituivano un intricato disegno lungo tutta la loro superficie e che riflettevano la fioca luce proveniente dalla finestra. Anche la pelle nivea sembrava possedere una certa lucentezza, tirata su dei muscoli prestanti e magri, ma non possenti. Il corpo possedeva le forme di un ragazzo del tutto rassomigliante a quello di ogni altra persona intorno all’età della fanciulla. Certo, una persona ben allenata ed affascinante: ogni linea di quel corpo sembrava perfettamente delineata dal più abile dei pittori. Ciò era visibile attraverso le pieghe di un velo bianco mollemente appoggiato intorno alla sua vita e su una sua spalla, un po’ come un’antica toga, terminava appena sopra le sue ginocchia ed era stretta da una fascia argentea. Sulla testa, scarmigliati capelli grigi di discreta lunghezza, che tendevano a puntare un po’ in tutte le direzioni, pur rimanendo morbidi.
Il cuore le esplose in petto, prima sembrò fermarsi poi riprese ad una velocità tale da portarla quasi ad ansimare, il fiato le si mozzò in gola; ma continuò a fingere di star dormendo, lasciando uno spiraglio tra le palpebre per continuare a spiare la figura. Possedeva una bellezza ammaliante, che pure non poteva concedere alla mente di elaborare pensieri impuri, o certamente non a quella di Haruna. La creatura voltò la testa, ed ella poté vedere il profilo di un volto dai raffinati lineamenti. Dopo pochi istanti, essa si voltò, raccogliendo le ali sulla schiena. Osservò come il lavoro dei muscoli era evidente sulla pallida tela della sua pelle, faticando a trattenere il respiro reso pesante e difficoltoso dalla paura. Nonostante quell’essere fosse indubbiamente stupendo sotto ogni aspetto e punto di vista, rimaneva il fatto che si trovasse nella sua stanza a notte fonda, e non era certamente un essere umano.
Stava sognando? Era forse impazzita? O forse era morta, e quello era un angelo venuto a condurla a vita eterna? Si era davvero meritata di venir scortata da un angelo di tale bellezza? Sentiva il sangue che scorreva gelido nelle vene, paralizzandola sul posto, mentre da quella piccola fessura che si era concessa di visuale osservava quella figura avvicinarsi al suo letto, passare al suo lato ed appoggiarvi un ginocchio, protendendosi al di sopra di esso. Serrò gli occhi, sudando freddo. Udì le assi del letto scricchiolare sotto il suo peso, mentre si sporgeva fino a trovarsi col viso appena sopra il suo, la ragazza sentiva lievemente il suo respiro sulla guancia, ed un ginocchio premuto contro la sua vita. Egli allungò una mano, sfiorandogli la zona sopra allo sterno con la punta delle dita. Sarebbe potuto sembrare un gesto equivoco, ma lui riuscì a toccare punti non appartenenti al suo seno, ed inoltre la ragazza riuscì a malapena sentirlo, tanto breve ed appena accennato fu quel contatto.
̶ Ma che bel desiderio…  ̶  mormorò un’ammaliante voce, bassa ma dolce. – Hai un desiderio davvero grande, qui, Haruna.
La ragazza, non avendo ormai più motivo di fingersi dormiente, spalancò gli occhi, fissandolo con terrore, le parole appena pronunciate che le echeggiavano nelle orecchie come fossero state impresse a fuoco nella sua mente. Ora che riusciva ad osservarlo senza impedimenti, poté notare ogni perfezione del viso, perdersi qualche istante nel profondo blu tendente al grigio di quegli occhi che la scrutavano dritto nell’anima, leggendo ogni suo desiderio e sentimento. Le ali che aveva ben potuto notare poco prima erano state morbidamente lasciate a circondare i loro corpi, come volesse isolare loro due dal resto del mondo. Seguì con lo sguardo strabuzzato i minuziosi ricami d’argento che parevano intessuti sulle sue piume di un bianco incorrotto.
La stupenda creatura sorrise nell’ammirare la sua reazione, la curvatura delle sue labbra, carnose per appartenere ad un ragazzo, pareva dolce, ma qualcosa nei suoi occhi continuava a spaventarla.
– C-chi… Cosa sei…? – bisbigliò, come se parlarne a voce alta sarebbe valso come ammettere che tutto ciò era reale, lasciarsi intrappolare da quel sogno - incubo? - in cui era certamente caduta.
– Sono una creatura lunare, esseri perfetti, liberi da desiderio e tentazione, nascosti nelle viscere della Luna. Solo nelle notti di luna piena ci è concesso di uscirne, di discendere sul pianeta madre da cui siamo stati generati e che abbiamo in seguito dovuto abbandonare, per proteggerci dalla malignità dell’uomo, più giovane ed incosciente, che per ere tormentò la mia razza. Siamo esseri effimeri, amiamo esaudire i desideri di vuoi uomini, ma siamo fragili di fronte alla vostra crudeltà e corruzione. Si è tra noi stabilita un’usanza: a ciascuno di noi è concesso, una volta l’anno, di discendere sulla Terra, abbiamo a nostra disposizione quindici giorni e quindici notti, arriviamo col sorgere della luna piena e dobbiamo tornare alla nostra dimora prima che discenda la luna nuova. Il nostro scopo è quello di trovare un umano il cui cuore nutra la pura luce di un desiderio. Durante il periodo a noi concesso, non ci distaccheremo mai da lui, lo osserveremo. Se al termine della fase esso si sarà dimostrato degno di ricevere il nostro aiuto, noi esaudiremo un suo desiderio, in caso contrario faremo ritorno senza concludere nulla. Noi lo chiamiamo “il Gioco”.
Durante la spiegazione, la ragazza si era lasciata pendere da quelle labbra d’aspetto soffice ed incorrotto, lasciando lo sguardo correre su ogni punto della sua pelle candida e perfetta. Solo dopo alcuni istanti di vuoto silenzio si rese conto che egli aveva terminato di parlare, e che era rimasta a mirarlo con sguardo vacuo. Le sue gote si imporporarono appena, mentre tendeva la mano verso l’alto, sfiorando con le punte delle dita le nivee piume. Esse si rivelarono talmente morbide al tatto, che si perse nell’atto di accarezzarne con timidezza e premura le punte per alcuni secondi, con quelle penetranti iridi del colore della notte che le sembravano trapassargli il cranio con la loro neutralità.
- Qual è il tuo nome? – chiese alzando gli occhi sul suo pallido viso, lasciando ricadere il braccio sulle lenzuola.
- Puoi chiamarmi Sehaliah. – la mano che egli aveva lasciata sospesa sopra al suo torace si spostò sul cuscino, sfiorandole una guancia calda ed i setosi capelli.
Socchiuse lentamente gli occhi, abbandonandosi al fresco e piacevole brivido che le scatenava il tocco di quella creatura, che calmavano tutti i suoi nervi ed i suoi muscoli, facendola quasi convincere che fosse tutto perfettamente naturale, facendole quasi ignorare quel senso di estraneità che le rimaneva nel profondo dell’animo. Non avrebbe saputo spiegarlo, era semplicemente come se quell’angelo avesse il potere di renderla completamente mansueta come un piccolo ed indifeso cucciolo, senza libero arbitrio.
No, - riaprì all’istante gli occhi - lei era più intelligente di così.
– E se non mi dimostro adatta? – chiese, fissandolo direttamente in quei due oceani incastonati come da ghiaccio in quel volto di finissima porcellana.
– Nel caso un protetto si riveli essere divorato dalla cattiveria umana al punto da spingere il lunare a non offrirgli il suo aiuto, sarà lasciato a marcire nella sua malignità. Non puniamo voi umani, a quanto pare è nella vostra natura ferirvi a vicenda e ferire le altre creature, ma noi non siamo come voi. – disse, rigirandosi fra le dita di una mano un angolo di lenzuolo come fosse estremamente curioso ed interessante. – Queste sono le regole. Viviamo con voi, vi mettiamo alla prova, dovete dimostrarci di poter meritare che il vostro lucente desiderio venga esaudito.
Gli occhi dell’essere puntarono le loro pupille profonde e scure più di ogni pozzo conosciuto da occhi umani sul petto della fanciulla, che d’istinto portò le dita di una mano a toccare delicatamente il punto osservato dall’altro, poteva lì percepire chiaramente il suo battito lievemente accelerato.
– Puoi vedere il mio desiderio…? – chiese quasi in un sussurro.
– Sì, pulsa qui nel tuo petto, luminoso come una piccola stella. – con uno scatto rapido delle ali, eseguì un elegante movimento che gli permise di librarsi in volo sopra la sua nuova prediletta. – Dunque, vuoi giocare?



 
   
 
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