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Autore: _ A r i a    08/01/2016    4 recensioni
♟ Storia ad OC | Iscrizioni chiuse ♟
È piuttosto singolare trovare una piccola stradina secondaria, nella Londra moderna, peraltro dove l’invadente asfalto non sia arrivato e dei ciottoli irregolari premano sotto le suole delle scarpe.
Eppure, a quanto pare, è proprio così.
Amelia ricontrolla l’indirizzo, segnato su un pezzo di carta piccolo e vecchio, piuttosto sgualcito.
L’inchiostro nero è un po’ sbiadito, non si meraviglierebbe di essere nel posto sbagliato… in effetti ha paura che qualche strano individuo sbuchi fuori dal nulla da un momento all’altro.
Se non fosse per la piccola bottega di legno che si trova ora davanti agli occhi.
È un posto piuttosto particolare, con tutte le pareti di legno e una vetrata all’ingresso, piccoli quadrati trasparenti ricoperti da uno spesso strato di polvere divisi tra loro da piccole strisce di mogano non esattamente definibile “in ottimo stato”.
C’è anche un’insegna, solo che è parecchio in alto e Amelia decide di non tentare la fortuna e le sue – scarse – abilità di equilibrista nell’arrampicarsi su delle casse malridotte lì al lato per controllare il nome di quel posto.
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Jude/Yuuto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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«Il tempo è come un fiocco di neve,
scompare mentre decidiamo che cosa farne»

 Romano Battaglia –

» Londra, Regno Unito, 2059



L’acqua scivola lentamente sul corpo di Amelia, donandole quella sensazione di piacevole beneficio che la appaga infinitamente.
La ragazza chiude gli occhi e lascia che i vapori della doccia le portino via il sapone con cui ha ricoperto il suo corpo.
Sospira: aveva proprio ragione, una bella doccia era proprio quello che ci voleva per svuotare completamente la mente.
Chiude piano l’acqua e resta per un momento, forse fin troppo lungo, a fissare le piastrelle levigate e dal colore avana opaco, che rivestono le pareti del bagno e della doccia stessa.
Inspira, espira. Inspira, espira.
A volte Amelia deve ricordarsi come si respira, per non lasciarsi sprofondare del tutto nelle sue paure.
Alla fine espira per un’ultima volta e si convince ad aprire la doccia e ad uscire da questa, facendo scorrere di lato lo sportello e recuperando dal gancio metallico lì a lato un grosso telo, con cui avvolge il proprio corpo.
Arriva davanti al lavabo e scruta la sua immagine riflessa nel lungo specchio disposto orizzontalmente sulla parete davanti a lei.
Si passa una mano tra i corti e scarmigliati capelli corvini, cercando di donare loro una certa vitalità; con l’altro palmo invece continua a tenere ben fermo l’asciugamano all’altezza del seno, dove l’ha fermato.
Arresta la mano, smettendo di frizionarsi la cute ed osservandosi, forse per la prima volta da quando si è posta davanti a quello specchio.
Gli occhi blu oltremare paiono risplendere di una luce fredda ed incantevole, come due laghi di qualche regione nordica, immensi e profondissimi.
Amelia poggia la mano sulla pelle candida del volto, proprio sotto la palpebra inferiore dell’occhio, tastandola quasi come incuriosita e trovandola morbida, liscia, elastica.
Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, in quelli di Amelia si possono leggere un’infinità di informazioni, tutti quei piccoli spezzoni di vita che trascorre e che, spesso e volentieri, non le capita di rivelare a nessuno.
Chissà cosa leggerebbe qualcuno nei miei occhi, se solo mi osservasse davvero, si chiede Amelia quasi con aria di rammarico.
Poco dopo si sente sopraffare da un’ondata di malinconia del tutto improvvisa, mentre le torna in mente il volto dolce e rassicurante di sua madre, quando le sorrideva con quella sua infinita tenerezza.
Amelia era ancora una bambina in fasce, eppure le sembra di ricordare quei momenti con una nitidezza che ha dell’incredibile.
Fin da quando era piccola chiunque, parenti o amici che fossero, non aveva potuto far altro che mettere in evidenza la spiccata somiglianza tra lei e sua madre, dalla quale aveva ereditato la carnagione lattea, i capelli neri e quegli occhi scintillanti.
Sua madre … quanto le manca …
Amelia scuote la testa con decisione, come se quel gesto possa dissipare i suoi mille pensieri.
Percorre la morbida moquette beige con i piedi scalzi e l’asciugamano ancora ben stretto intorno alla sua esile figura fino alla propria camera da letto.
S’infila un vecchio maglione di lana verde pastello e dei jeans scuri ben attillati, mentre lascia i piedi vagare liberi nei calzini a fantasia.
Giusto in tempo:proprio in quel momento infatti sente il bollitore fischiare.
La ragazza si precipita in cucina e spegne repentinamente il fornello, facendo poi ben attenzione mentre versa l’acqua bollente in una tazza di lucida ceramica bianca.
Mischia con calma, sedendosi direttamente sulla penisola della cucina moderna, mentre lascia che l’infuso alla rosa canina faccia l’effetto desiderato.
Respira a fondo, constatando che l’odore delicato ed al tempo stesso pungente della tisana si sta già diffondendo soffusamente nel suo appartamento.
Amelia si passa una mano tra i capelli, sistemandosi una piccola ciocca dietro all’orecchio, mentre prende a bere l’infuso.
È delizioso.
Il cielo di Londra è bigio e fumoso, mentre piccole gocce di pioggia cristallina continuano ad infrangersi piano contro la finestra della cucina.
La solita Londra, la solita pioggia …
… o forse no.
Solo in quel momento infatti la giovane pare accorgersi di un bagliore azzurrino, proveniente dal soggiorno lì accanto.
Amelia balza giù dal tavolo, preoccupata, riponendo la tazza sulla superficie lignea ed avvicinandosi guardinga alla soglia della cucina.
Da lì sbircia con cautela oltre essa, restando non poco sorpresa quando si rende conto di quale sia la fonte di quello strano luccichio.
Prima di andare a fare la doccia infatti aveva riposto l’Orologio sul divano del soggiorno ed ora il medaglione ha preso a scintillare di quell’intensa luce bluastra.




» Chicago, Stati Uniti d’America, 2059



Ethan attraversa la città correndo a perdifiato, sebbene tra i marciapiedi affollatissimi sia praticamente costretto a prendere a spallate la gente pur di proseguire.
“Perché capitano tutte a me? ” brontola il ragazzo dentro di sé.
Quando finalmente arriva allo studio di registrazione, quasi non gli par vero di avercela fatta, così si lascia sfuggire un piccolo sospiro di sollievo.
Giusto il tempo di un paio di profonde boccate d’aria ed il ragazzo si è nuovamente lanciato verso le porte di vetro del palazzo, che spinge con decisione.
Quando attraversa in fretta e furia la reception della casa discografica parecchie paia di occhi si voltano nella sua direzione, ad osservare quell’uragano di vestiti dai colori accesi e grintosi e borchie che non è altro, tuttavia nessuno osa dire qualsiasi cosa per fermarlo.
Tutti conoscono Ethan là dentro e tutti lo rispettano … forse c’è addirittura qualcuno che lo teme.
“ Che immane mucchio di sciocchezze” sentenzia lapidario il giovane.
Si ferma davanti ad una fila di ascensori e ne prenota uno:sebbene l’idea di rimanere in attesa per del tempo decisamente considerevole non lo alletti più di tanto, di certo preferisce perdere quei due o tre minuti piuttosto che farsi cento e più piani di scale a piedi.
Anche la fretta ha i suoi limiti, dopotutto.
L’ascensore arriva con un monotono trillare ad annunciarlo ed Ethan ci salta letteralmente dentro, non appena le porte si sono sufficientemente schiuse da permettere il passaggio della sua figura.
Prenota il suo piano premendo l’apposito pulsante e l’ascensore si chiude senza che nessun altro salga con lui, come volevasi dimostrare.
L’ascesa verso i piani alti del palazzo della sua etichetta discografica è un lento incedere accompagnato da un motivetto sconosciuto ed anche piuttosto irritante, di cui Ethan farebbe volentieri a meno.
Tuttavia si trattiene dal procurare un danno piuttosto considerevole all’impianto audio di quel luogo, ricordandosi di quanti danni d’immagine si sia già procurato nel corso del tempo, a cominciare dalla sua vita alquanto mondana per arrivare a … quelle notizie.
È ovvio che è a causa di quello che nessuno è salito con lui sull’ascensore.
Per un momento l’espressione sfrontata scompare dal volto di Ethan, rimpiazzata da una tesa, contrita.
Quasi non si accorge che l’ascensore sta per arrivare al suo piano.
“Davvero è colpa mia?”
L’ascensore trilla nuovamente, segno che finalmente ha raggiunto il piano dello studio di registrazione. Ethan pare risvegliarsi da quella sorta di sonno catatonico in cui era finito e si risveglia, tornando in sé ed uscendo dalle porte dell’ascensore giusto il momento prima che si richiudano nuovamente.
Non ha alcuna intenzione di farsi riportare giù.
Si decide a riprendere la sua affannosa avanzata e si slancia lungo il corridoio, alla ricerca della stanza che sta cercando.
Evita parecchi impiegati, segretarie in eleganti tailleur in gonna e tacchi a spillo che piroettano su se stesse pur di non cadere a causa del frettoloso incedere del ragazzo, addirittura qualche uomo con un grosso faldone di documenti in mano gli lancia dietro qualche improperio … Eppure lui non se ne cura.
Già … Deve solo pensare alla musica.
È questo l’importante, lui e la sua musica, basta. Il resto non conta.
Il ragazzo non si ferma fino a quando non compare davanti a lui una porta, su cui campeggia una targhetta metallica con sopra l’incisione “Sala prove”.
Ethan torna a sorridere, soddisfatto e sfrontato, mentre abbassa la maniglia e lascia che la porta si apra con studiata e teatrale lentezza.



» Tokyo, Giappone, 2059




Shiba continua a camminare lungo le strade della città, affrettandosi verso casa sua, il cappuccio rosso della felpa tirato su a coprire la zazzera di capelli biondi.
Il ragazzo continua a tenere gli occhi bassi sul videogame che tiene tra le mani, concentratissimo nel suo intento di vincere anche quella partita.
Salta. Salta. Spara. Schiva.
Le persone lungo i marciapiedi devono compiere una sorta di slalom tutt’intorno al ragazzo per evitare di andare a sbattergli contro, tanto il giovane è concentrato sul videogame da non accorgersi del mondo vero che lo circonda.
Così, in un certo senso, il videogioco si ambienta anche nella vita reale.
Ancora una raffica di colpi di mitra … boom, vinta anche quella partita!
Shiba alza lo sguardo dalla console portatile, sentendosi estremamente vittorioso; dondola appena la testa, gli occhi che si illuminano di un luccichio frizzante mentre ripone le “armi” nella tracolla di scuola.
Si guarda intorno con aria leggermente confusa e stralunata: ci impiega qualche secondo a realizzare che quelli che lo circondano sono esseri umani in carne ed ossa, non altri personaggi di un nuovo gioco, da evitare o uccidere.
Avverte un lieve capogiro … E si dice che è strano, dopotutto ormai sono anni che trascorre il suo tempo passando da una console all’altra e non gli era mai capitato prima di avere dei simili malori …
… Poi però fa mente locale e si rende conto che deve trattarsi ancora di quello strano oggetto.
Già, probabilmente si trascina ancora dietro i postumi della botta in testa che ha preso giorni prima.
Stupido oggetto.
Riesce a sentirlo anche adesso, sotto strati e strati di vestiti che ricoprono il suo corpo: la felpa, l’uniforme scolastica … E poi c’è quel coso assurdo, che gli rimbalza sul petto pallido come un secondo cuore.
Un cuore … A Shiba il paragone pare ben poco credibile.
L’oggetto che penzola appeso al suo collo di un cuore non ha quasi niente, forse solo quella cadenza ritmica e ben precisa, che riprende, con una precisione che ha dell’incredibile, i suoi passi svelti sull’asfalto umido di Tokyo.
Per il resto è totalmente dissimile dal muscolo cardiaco: entrambi hanno un peso, tuttavia quello che ora Shiba avverte più distintamente contro la sua pelle ha una forma circolare estremamente regolare ed è di un metallo così freddo...
Non può fare a meno di pensare a quanto sia inquietante.
È comparso letteralmente dal nulla e gli ha procurato quel bernoccolo in testa, piovendogli sul capo dal cielo.
Già.
Ha cercato di liberarsene, tuttavia, nonostante i suoi innumerevoli tentativi, quel medaglione continua ad apparirgli accanto, come se volesse prendersi beffa di lui.
“Che cosa ridicola” valuta piuttosto in fretta Shiba.
Il ragazzo infila piano le dita sotto i suoi vestiti, frugando finché non individua con i polpastrelli, levigati dagli anni di pratica con i vari videogiochi, il medaglione che rimbalza quieto contro la sua pelle.
Shiba estrae l’Orologio, perdendosi per qualche attimo ad osservarlo, pieno d’interesse.
Continua a portare verso quell’oggetto una sorta di timore reverenziale, sebbene ormai una certa rassegnazione si sia impossessata di lui: ecco perché ha cominciato a tenerlo sempre con sé.
Non può di certo negare che quello strambo aggeggio possieda in sé un fascino affatto trascurabile, a cominciare dalla superficie dorata fino al simbolo scalfito sul suo dorso.
Degli ingranaggi.
Per un momento Shiba non può fare a meno di valutare quanto quella coincidenza sia quasi inverosimile: lui, tanto amante della tecnologia, che si ritrova d’improvviso in possesso di uno strumento che raffigura delle ruote dentate che, all’inizio dei recenti sviluppi delle scienze tecniche, erano proprio alla base di queste ultime.
Il ragazzo sorride con un certo compiacimento: non è poi così certo che si tratti solo di una coincidenza.



» New York, Stati Uniti d’America, 2120



“Stupido.
Sei davvero uno stupido, Jude Sharp.”
Probabilmente in questo momento prenderebbe volentieri a testate la parete davanti a sé.
O quella accanto a sé.
Oppure una di quelle intorno a sé.
Ah, gli svantaggi di essersi rinchiusi di propria volontà tra quelle quattro mura.
Per la verità sarebbero tre mura, l’ultima è completamente occupata dalla vetrata che offre un incantevole scorcio sulla città perennemente buia di New York.
Sì, insomma … quella New York.
Perché deve essere sempre tutto così complicato?
Non che rimanere rannicchiati in quella posizione, stringendo forte le ginocchia al petto con le braccia ed affondando il volto in quella sorta di strano involucro, sia una soluzione ai suoi problemi, ovviamente.
Però, in un certo qual senso, è perfino rassicurante.
Starsene lì, rintanati, lontano da tutto e da tutti …
Poi però si ricorda che non ci sono né un tuttodei tutti da cui scappare, in quella realtà distorta.
Ed è allora che nasce, nel silenzio di quella camera, una vaga sensazione di paura che non fa altro che salire, piano –e per questo è ancor più terrificante–, in un crescendo che aumenta sempre di più, fino a diventare assolutamente terrorizzante ed ad avvolgere ogni cosa, con il suo senso di opprimente mestizia.
Quel genere di paura che ti fa venir voglia di piangere gridando, mentre metti a soqquadro qualsiasi cosa ti capiti sottomano.
Peccato non poterlo fare, perché si è stati educati fin da piccoli a reprimere le proprie emozioni, a non lasciarle venire a galla.
È per questo che adesso Jude non può far altro che rimanere lì, rannicchiato su se stesso, mentre sente il cuore continuare a martellargli fortissimo ed impietoso nel petto.
“Stupido. Stupido. Stupido. Stupido. Stupido.”
Se lo ripete nella testa come una cantilena, quelle lacrime cristalline che non hanno desistito e sono ancora lì, a luccicare agli angoli delle sue cornee, come a ricordare quanto sono pericolose, che potrebbero scendere da un momento all’altro lungo il suo volto.
È così concentrato a valutare quanto sia pietoso lo stato in cui si trova ora, che nemmeno si accorge di un altro peso che comincia a gravare dall’altro lato della porta.
O forse lo sa fin troppo bene che adesso, in corrispondenza della sua schiena, c’è quella di Ray; a distanziarlo da lui solo lo strato ligneo della porta,
Riesce quasi a vederlo in maniera distinta nella sua mente: una gamba distesa, l’altra piegata, le braccia distese orizzontalmente e le mani che penzolano mollemente oltre il ginocchio.
Nella sua testa combatte, indeciso se urlargli di andarsene o chiedergli di rimanere con lui, sebbene sia perfettamente cosciente che la seconda sia ciò che lui desidera, la prima quello che entrambi sono tenuti a recitare da anni, secondo quel loro copione non scritto che si ostinano a portare avanti.
Così finisce prevedibilmente per rimanere in silenzio, in attesa forse di un qualche miracolo.
Sente l’uomo dall’altra parte della porta schiarirsi la voce e si rimprovera per tante cose.
Per essere così vile, per esempio, tanto da aver lasciato, con il suo silenzio, la parola a lui, che ora come ora colpe non ne ha.
Può essersi macchiato dei peggiori scempi in passato, questo è vero senza dubbio … Tuttavia ormai ha davvero così importanza?
Sono finiti in un mondo che non è possibile definire tale e lottano insieme per la sopravvivenza, non gli pare proprio il momento di interrogarsi su fatti che risalgono a quattro anni prima.
O forse questo sarebbe proprio il momento giusto per parlare, per chiarirsi una volta per tutte, finalmente.
Eppure ci sono ancora così tante questioni in sospeso che preoccuparsi del passato sembra qualcosa di così irreale… Oppure la base dei loro mille discorsi.
Ad ogni modo, chi può mai dirlo, ormai?
È questa una delle cose che Jude odia di più di quella dimensione: aver perso tutte le sue certezze ed essere così in balìa degli eventi in divenire.
Non che fosse così legato a quelle cose, solo che non avere delle basi da cui partire … E’ destabilizzante, sul serio.
Vorrebbe solo ritrovare un equilibrio …
“Ti prego, Ray, tu che puoi, aiutami a ritrovare il mio equilibrio …”
«Jude»
Quando l’uomo inizia a parlare il ragazzo è colto alla sprovvista e per poco non si prende un coccolone dallo spavento.
Il suo nome, pronunciato così semplicemente dalla voce profonda e secca dell’uomo, pare fluire dalle sue labbra in maniera melodiosa, senza tuttavia troppi fronzoli.
“Oh, Ray …”
«Perdonami per quello che è successo poco fa»
“Non hai nulla da farti perdonare.”
«So che sei spaventato»
“Lo siamo entrambi.”
«Il fatto è che vorrei aiutarti ad essere più tranquillo, invece non faccio che farti stare peggio …»
“Non dire così.
Non devi fingere di star bene con me, lo sai. Ti conosco meglio di qualsiasi altra persona al mondo, ho avuto molti anni per studiarti, ormai so che sei proprio come me, che soffri come me, che ci stai male come me …
È umano, Ray, e va bene così. Davvero.”
Jude vorrebbe riuscire a dire veramente quelle cose all’uomo oltre la porta, non solo pensarle dentro la sua testa, invece non riesce a far altro che rimanersene lì, in silenzio.
«È per questo che ho preso una decisione»
“Aspetta …”
«Ti aiuterò concretamente a tornare a casa»
“Come?”
Per poco il ragazzo non finisce per strozzarsi con il suo stesso respiro, muovendosi inquieto sul posto per la prima volta da quando si è rintanato in quella stanza.
«Jude?»domanda preoccupato Ray, ignaro della fonte di quel trambusto.
Se solo non ci fosse quella porta a dividerli …
Per questo non può che sorprendersi quando, poco dopo, vede proprio quella porta aprirsi davanti ai suoi occhi, a dir poco increduli.
Ne emerge la figura un po’ tremante del ragazzino, che pare riuscire a tenersi in piedi per miracolo, tenendosi stretto alla porta, gli occhi ancora un po’ umidi di lacrime.
«Cosa … cosa intendi?»




* Angolo autrice *

D’accordo, sono in ritardo.
Ora ne parliamo.
Anzitutto … buon anno a tutti!
Spero che questo nuovo anno possa essere per tutti voi simbolo di nuove fantastiche esperienze ed auguro a tutti voi che state leggendo un sacco di cose meravigliose~
Io in teoria non potrei lamentarmi, quest’anno diventerò maggiorenne (sempre che io arrivi viva a giugno, intendiamoci) e poi mi attendono dei viaggi fantastici –ed io adoro viaggiare, tuttavia credo che questo lo si possa capire comunque molto bene anche da questa ff.
A parte questo … il ritardo. Lo so, lo so.
È stato un brutto periodo, la voglia di scrivere se n’è andata di nuovo ed ho cominciato a dubitare delle mie capacità.
Non è stata affatto una cosa gradevole, diciamo così.
Alla fine però mi sono convinta ad andare avanti:anzitutto perché lo devo a voi, e poi perché un po’ è anche per me stessa.
Haters gonna hate. È così che gira il mondo.
Per carità, senza rancore per nessuno, eh~
Comunque, ringrazio Sissy per aver preso in betaggio questa storia –mentre sto scrivendo quest’angolino non le ho ancora inviato niente, in compenso però le ho comunicato di aver concluso il capitolo, quindi in un certo senso va bene lo stesso, non?~ -, sebbene di recente sia piena di cose da fare. Non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che stai facendo per me.
In questo capitolo abbiamo conosciuto il penultimo oc, Shiba Orubo di _AliHeichou_.
Penultimo? WTF?
Eh già, signori, nel prossimo capitolo apparirà l’ultimo oc che ho scelto;approfittando di tale fatto ho deciso di pubblicare qui di seguito la lista dei personaggi selezionati ed i loro rispettivi simboli.


Amelia Greene ~ corvo
Ethan Bailey ~ chiave di basso
Ziva Shapira ~ pergamena
Margarita Rimšaitė ~ maschere del teatro classico
Atemu McKinley ~ mondo
Shiba Orubo ~ ingranaggi
Andrea Cervini ~ scheggia di vetro


Aww, ma che belli che siamo!~
Avete un personaggio preferito? Devo dire che a me piacciono tutti davvero troppo –altrimenti non li avrei scelti, ah ah– però sono curiosa di sentire i vostri pareri in merito.
Mi dispiace per chi non è stato scelto:purtroppo non tutti i personaggi erano congeniali alla trama ma … ehi, sarà per un’altra volta~
Parlando di questo capitolo, ammetto di essermi accorta solo dopo aver finito di scriverlo che, escluso il pezzo ambientato nella dimensione del futuro, tutte e tre le altre narrazioni sono ambientate nell’epoca alla quale i ragazzi appartengono, vale a dire il 2059.
Vorrei dirvi che nel prossimo capitolo ci sarà qualche salto temporale … ma dubito che potrà essere così. È già un capitolo in cui succederanno un sacco di cose (per esempio devo presentare l’ultima oc e … gnn … io non so come dirvelo ma … succederanno delle cose e … okay, non vi dico niente. Lo sapete che sono una brutta persona, per cui … no. No, non vi dico niente) perciò … temo che vi toccherà aspettare ancora per un po’~
Tornando a questo capitolo beh, che dire … Amelia si fa sommergere dai suoi complessi mentali (a proposito, senza che vi scervelliate più di tanto vi dico già da subito che il bagliore del suo Orologio è legato all’ultimo personaggio che presenterò nel prossimo capitolo, vale a dire quello di Andrea), Ethan corre come un forsennato, Shiba rischia di andare a sbattere contro un palo e Jude si deprime … insomma, tutto nella norma, no?
Ah, già, avete notato che, seppur lievemente, ho modificato il banner? Vi piace? Mi ero dimenticata di chiedervelo, lo so.
Ringrazio chiunque sia arrivato fino a questo punto e … beh … io me ne andrei.

A presto, spero
Aria~
   
 
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