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Autore: Pandora_2_Vertigo    10/01/2016    0 recensioni
La storia di Kristina non è terminata. Seguito di Sangue Misto. Caldamente consigliato leggere la prima parte per poter capire Chiaro di Luna e i suoi personaggi.
Dal capitolo III
"...
Quel profumo ha risvegliato in me una catasta di emozioni.
Gioia, so a chi appartiene, lo riconosco ancora nonostante sia passato un secolo dall’ultima volta che l’ho sentito;
Rabbia, per come quella persona è svanita dalla mia vita, all’improvviso;
Preoccupazione, non so come si sia salvato, se stava bene, se era ferito…se è ancora come lo ricordo;
Curiosità, è davvero lui? O mi sto sognando tutto?
Paura, se mi sto sbagliando? Se non è lui, ma un volgare vampiro affamato? E se anche è lui, se è cambiato?
..."
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kristina'
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2.

Ci accasciamo esausti sul materasso, l’uno di fianco all’altra.
- Basta, è sbagliato– comincia a dire trafelato, ha ancora il fiatone – non deve succedere più.
Si alza dal letto, si riinfila i boxer, prende le sue cose e se ne và.
Rimango sdraiata a pancia in giù, in parte coperta dal lenzuolo. Fisso la parete di fronte a me.
Non mi preoccupo delle parole di William: non è la prima volta che gliele sento pronunciare e nonostante tutto, ogni volta che qualcosa con Monica non va, viene a bussare alla mia porta. Comunque è libero di fare ciò che vuole: se vuole essere felice con sua moglie, meglio per loro.
Monica non è mai stata mia amica, ma non ho nulla contro di lei.
Che poi lei mi odi è un altro discorso. Semplicemente non le sono mai andata a genio.

La sveglia suona alle 8 come ogni mattina. Mi allungo sul letto, verso il comodino e la spengo. Svogliata mi convinco ad alzarmi.
Infilo una vestaglia di seta corta, color glicine con disegnate delle orchidee bianche, i miei fiori preferiti. Un brivido mi percorre la schiena, la seta a contatto con la pelle nuda mi provoca sempre quest’effetto. Apro la grande vetrata per cambiare l’aria.

Esco di casa a piedi e mi reco al bar.
Ho lasciato il mio lavoro all’ospedale, anche se ogni tanto faccio la volontaria. Sono cameriera al Moon Bean, locale gestito da Fred ed Erika. I due piccioncini hanno investito i loro soldi e le loro capacità in questa nuova attività…e non solo.
Entro.
- Buongiorno ragazzi – saluto cordiale.
- Buongiorno a te Kris – mi saluta Erika.
Le sorrido e mi avvicino posandole una mano sulla pancia gonfia, ormai al sesto mese di gravidanza.
- E il mio nipotino come sta?
- Meglio di me, te l’assicuro!
Ridiamo assieme.
Ecco il loro più grande progetto, un figlio.
Vado dietro il bancone, mi lego i capelli in una coda, metto il grembiule e mi preparo cappuccio e brioche.
Mentre mangio continuo a chiacchierare, l’afflusso di clienti non è ancora consistente.
- Dov’è Fred?
- Arriva subito, sta parlando coi fornitori.
Entra dal retro del locale, dall’espressione è infuriato. Sbatte il giornale sul bancone, di fianco alla mia tazza. Lo sbircio con la coda dell’occhio.
“Gara di velocità in centro. Le autorità seminate. Una macchina e una moto sfrecciano per le vie principali.”
Accidenti.
Si siede di fianco a me, continua fissarmi. Anche se non mi giro so che la vena sulla tempia destra gli sta pulsando. È arrabbiato. Mando giù l’ultimo boccone dolce e bevo il cappuccino. Mi volto per affrontarlo. Indossa una polo nera, ma nonostante il colletto alzato, si scorge benissimo la cicatrice rossastra dietro l’orecchio. Parte da lì, scende lungo il collo e arriva all’altezza del fianco. Se l’è procurata in pattuglia circa tre anni fa, ha rischiato grosso.

Pensavamo che ci fosse un solo vampiro in quel vicolo, non era molto forte, me n’ero occupata personalmente, mentre mio fratello mi guardava le spalle.
Il vigliacco lo colpì da dietro, dall’ombra in cui era nascosto, con un coltello. Affondò in mezzo alle scapole atterrandolo, lo bloccò a terra e gli inflisse una lunga e profonda incisione laterale per metà del corpo.
Mi liberai in fretta del compare e mi buttai sul farabutto colpendolo direttamente al cuore.
Chiamai immediatamente il 911. Il sangue scorreva lento dalla ferita sull’asfalto, scuro quasi nero.
Ricordo ancora il frastuono delle sirene di ambulanza e polizia nelle orecchie, che riempiva la testa.
Di pattuglia c’era Will. Mi accompagnò all’ospedale e poi a casa. Fu quella la prima notte che passammo assieme.
Da allora Fred non è più uscito di pattuglia, la guarigione si è protratta a lungo e pure la riabilitazione. La caccia me la gestisco da sola ormai. Lui deve pensare alla sua famiglia.
Lui ed Erika vivono nel il mio vecchio appartamento. Gliel’ho lasciato un mese dopo la sua partenza.


- Si può sapere cosa pensavi di fare!?!? – il suo bisbigliare irritato mi riporta al presente.
Sbuffo.
- Non ti basta la vita che fai?
- Ha cominciato lui. Io ero in giro tranquilla a farmi i fatti miei.
- Parli come una ragazzina.
- Si, va bene ho capito la ramanzina. Stai attenta, non fare sciocchezze…
Mi afferra il braccio, sto alzando la voce. Prima osservo la sua mano, poi mi volto ad incrociare i suoi occhi.
- Perché fai così sorellina? Dov’è finita la mia Kris?
Sospiro.
- La tua Kris è davanti a te. Ha la scorza dura ora, ma sotto sotto è lì, nascosta da qualche parte.
Lo rassicuro.
Sorride e mi lascia cominciare a lavorare.
Si porta dietro il bancone, bacia Erika, si sorridono complici.
Sono tanto innamorati.
 
Ha occupato la stanza più costosa dell’albergo. Ora i soldi non sono un problema per lui e può permettersi questo e altro.
Come l’auto parcheggiata fuori, o i vestiti costosi.
Questo certo non gli riempie la vita, ma è un bel modo per occupare il tempo.
Non gli hanno ancora detto esattamente per cosa è stato ingaggiato.
Sa solo che deve eliminare qualcuno, attende istruzioni.
Nel frattempo si rilassa.
La sua scorta di sangue sta finendo, pensa. Presto dovrà uscire a caccia, la sete sta aumentando.
È ancora mattina, troppo presto per uscire a sfamarsi, troppe persone in giro.
Ma il tempo passa lento, odia annoiarsi.
Prende le chiavi della macchina e richiude la porta della stanza alle spalle.
Mette in moto, il motore ruggisce dolce.
I vetri oscurati lo proteggono da sguardi indiscreti.
Si ripara gli occhi dal riverbero con dei grossi occhiali da sole all’ultima moda.
Guida tranquillo per le vie della città.
La osserva, la studia.
Pensa a quanto è cambiata, nuovi locali, nuovi negozi; sono spuntati nuovi palazzi, altri sono stati abbattuti. Lì dove prima c’era una lavanderia a gettoni ora c’è un bar. Moon bean.
Pensa che il nome sia carino, anche se non molto originale.
Svolta alla prima traversa.
Continua il suo giro osservano i passanti.
Si deve distrarre per non pensare alla sete.


È appena entrato un ragazzo carino nel bar.
Erika mi lancia un sorriso me lo indica con un movimento della testa, capisco al volo.
Arrivo al suo tavolo con un sorriso stampato in faccia e il blocco per le ordinazioni già in mano.
- Ciao! Che posso portarti?
- Ciao…mmm cappuccio e cornetto al cioccolato. – dice senza distogliere gli occhi dal giornale che sta leggendo.
Manco mi ha filata di striscio.
Sospiro e mi avvicino alla macchina del caffè per preparagli la sua bevanda.
Metto tutto su un vassoio e gliela porto.
Lo servo mentre do un occhiata fuori per strada, tanto il ragazzo nemmeno mi vede.
Passa una macchina nera, sportiva.
Si muove lenta come a curiosare.
La riconosco, è quella della sera prima, della gara.
Esco di corsa, gli voglio prendere la targa, così lo denuncio quello stronzo.
Il tempo di ritrovarmi all’aria aperta che non c’è più.
Ha svoltato. Dannazione.
 
Arriva la sera e come ad ogni imbrunire l’altra parte di me prende il sopravvento. Quella dura e coraggiosa, quella spietata e famelica.
Il lato di me più oscuro, più selvaggio e avventuroso, meno umano e più mostruoso.
Lascio a casa la dolcezza a fare compagnia a sorrisi e ricordi.
Tiro su la zip del giubbotto, che mi lascia scoperta la pelle della pancia. Infilo il casco, sistemo i capelli che ne fuoriescono legandoli a treccia, tiro giù la visiera. Accendo la moto.
Romba.
Accelero per scaldare il motore.
Salgo, ritiro il cavalletto e parto.
 
È in agguato.
È uscito a piedi. Passando silenzioso nella hall dell’albergo attira lo sguardo di tutti.
Gli uomini lo invidiano.
Le donne lo desiderano.
Non consegna le chiavi. Chissà a che ora ritornerà e in che stato. Non è detto passi dall’entrata principale. Ha lasciato la finestra socchiusa per ogni evenienza.
Lo guida la sete.
Cerca una vittima, qualcuno a cui togliere la vita che gli scorre nelle vene.
Un giovane, una fanciulla, un vecchio ubriaco, non ha importanza.
Si aggira per le strade, una coltre di nubi oscura la luna.
È la mia notte, pensa.
Un ghigno gli compare sul volto.
Cammina leggiadro per cercare una preda, le mani infilate nelle tasche del giubbotto di pelle, portato aperto. Le scarpe da ginnastica rendono i suoi movimenti silenziosi, i jeans non tropo stretti rendono i movimenti fluidi, la polo blu col colletto alzato gli conferisce quell’aspetto giovane che attira donne come api al miele.
Ormai è abituato al meglio, belle donne, sangue buono, soldi, macchine veloci.
Si fa presto a prendere vizi.
Con l’occhio scorge un movimento dall’altra parte della strada.
Una ragazza cammina veloce sul marciapiede. Ne percepisce la paura e la fretta, non le piace andare in giro da sola la sera.
Ha ragione, pensa. Non dovrebbe, non è sicuro.
Solleva un lato delle labbra, in un sorriso storto.
In un baleno è sulla sponda opposta della strada, appoggiato con la schiena al muro.
La ragazza se lo ritrova a pochi passi, è spaventata, poco prima lì non c’era nessuno. Si fa coraggio e continua a camminare, gli passa davanti.
Lui sorride e gli prende una mano bloccandola.
Lei fa per urlare, un grido le scappa, ma non riesce a continuare, una mano le copre la bocca.
Rapido la zittisce, la solleva e la porta nel vicolo affianco.
La appoggia al muro e gli è sopra.
La fanciulla trema, ha gli occhi sbarrati dalla paura, il respiro è veloce.
Lui è preda della sua sete, si passa la lingua sulle labbra e si insinua nell’incavo del collo.


Giro piano tra i palazzi, guardandomi attorno, sembra una situazione calma, ma scruto lo stesso con attenzione i vicoli.
Sento un urlo. Capisco da dove proviene, ormai i miei sensi si sono sviluppati molto grazie a anni di allenamento.
Accelero, la moto impenna. La domo e arrivo alla mia meta.
Metto in cavalletto veloce parcheggiando di fronte ad un vicolo buio. Nemmeno mi tolgo il casco, non c’è tempo.
Accendo la torcia che porto sempre con me.
Sono arrivata tardi.
Una ragazza sui 30 anni è accasciata a terra. Non respira, le metto una mano sulla gola per sentire i battiti, ma niente. Sposto le dita lungo il collo e sento due forellini.
Vampiro.
Maledizione.
Mi guardo in giro, magari quel maledetto è ancora nelle vicinanze. Niente. Guardo in alto verso i tetti dei palazzi circostanti, nulla.
Tiro fuori il cellulare, faccio una chiamata anonima al 911.
Risalgo in sella, accendo e rombando mi allontano, cerco una preda.
 
Sta ancora succhiando quel nettare delizioso, quando sente il rumore di una moto avvicinarsi.
Non vuole staccarsi, ma sente il rombo sempre più vicino e sta rallentando.
Abbandona la sua vittima a terra, ormai svuotata, il cuore ha smesso di battere da poco. Rapido sale sul tetto del palazzo dietro a se.
Il motore della moto si spegne. Vede il guidatore scendere e accendere una torcia senza togliersi il casco. Si accascia sulla vittima e impreca.
Capisce che si tratta di un cacciatore, ha fatto bene a nascondersi, pensa.
Si ricorda di un cacciatore con la moto. Le viene in mente lei, come se già non assillasse abbastanza i suoi pensieri.
Fa una smorfia, cancella quei ricordi e si allontana.
Corre, per sfogarsi corre rapido, più del suono.
Ora è pieno di vita ed energia.
Sente un rombo, questa volta è un tuono, si sta avvicinando un temporale. Nemmeno il tempo di pensarci e comincia a gocciolare.
Sorride, gli piace correre sotto la pioggia, è come un atto di purificazione, come se gli venisse lavato via il male che sente in lui. Ma sa che non basterà un po’ d’acqua per eliminarlo.
I suoi sensi sono attivi più che mai, allertati dalla caccia. Odori, profumi, sente tutto.
Vede tutto, dai lampi nel cielo a qualsiasi cosa si muova nella strada.
Riconosce la moto, e ricorda la sfida della sera prima.
Sa che potrebbe essere la stessa.
Perché non continuare a giocare, pensa.
Sa che può permetterselo, al massimo sarà un umano in meno e un pò più di sangue per lui.
La moto corre, scarta le automobili troppo lente, cambia rapida e accelera, brucia i semafori.
Lui le sta dietro, attento.
Dove lo condurrà? Si chiede.
Si infila in un vicolo, quasi la perde, ma salta rapido da un palazzo all’altro e la ritrova che serpeggia ancora tra auto e passanti.
Ora rallenta, forse per la pioggia. La moto sta accostando.
Si guarda in giro, riconosce la zona. Guarda il palazzo dove si è fermato il mezzo, vede l’ampia vetrata.
Casa sua.
Non capisce, ma è comunque molto curioso.
Decide di non avvicinarsi oltre, riesce a vedere tutto ciò che vuole, nonostante il tempo avverso.
Parcheggia, scende.
Osserva il guidatore mentre con un gesto fluido smonta dalla sua cavalcatura. Le curve sono affusolate, le cosce ben tornite e sode.
Sa giudicare anche dalla distanza una bella donna.
Si complimenta da solo per gli ottimi gusti.
È voltata di schiena, dal casco fuoriesce una lunga treccia castana fino a metà schiena. I jeans stretti e bagnati sottolineano ancor di più le linee ben definite del corpo. Si toglie la protezione rimanendo voltata, ma nel farlo un lampo azzurrognolo si sprigiona dal suo polso.
Probabilmente qualcosa ha riflesso la luce di un lampione.
Stringe gli occhi per mettere a fuoco meglio.
La ragazza abbandona il braccio sinistro lungo il fianco, mentre tiene il casco sotto all’altro. Dal giubbotto fuoriesce una croce d’argento con al centro una pietra azzurra.
Rapida apre la porta del palazzo e sparisce all’interno.


Sono completamente fradicia, maledizione, proprio ora doveva cominciare a piovere?
Sono costretta a tornare a casa, girare in moto col diluvio è un suicidio.
Però potrei cambiarmi e uscire di nuovo, ho tanta di quella rabbia da sfogare.
Ho ancora la mia vendetta da compiere.
Corro rapida per le scale di casa, accendo la luce, metto il casco sul tavolo. In men che non si dica mi sono già tolta i vestiti e sono davanti all’armadio a sceglierne degli altri.
Qualcosa di comodo e pratico, ma anche femminile.
Ma che sciocchezze vado pensare? Il vampiro mica mi deve apprezzare!
Mi tiro un buffetto sulla testa e rabbrividendo leggermente mi sbrigo a scegliere jeans e felpa da indossare.
Chiudo tutto, prendo un ombrellino e sono di nuovo a caccia.
 
È rimasto lì a guardarla per tutto il tempo, dalla finestra illuminata non si è perso nemmeno un particolare.
Lei che entra in casa.
Lei che si spoglia.
Lei che si tira un pugno sulla testa, davanti all’armadio.
Lei che chiude tutto e dopo poco è di nuovo in strada, a piedi sotto un ombrellino rosso.
Lei.
Per tutto quel tempo non ha respirato.
Corruga la fronte. Che gli prende? Dove è finito tutto il suo auto controllo? Il suo sangue freddo?
Silenzioso e attento scende con un balzo dal tetto del palazzo.
A debita distanza comincia a seguirla.
  
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