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Autore: DirceMichelaRivetti    12/01/2016    1 recensioni
Storia che vuole esplorare il passato di Jenkins, dalla sua gioventù fino al momento in cui la magia venne tolta dal mondo; i suoi rapporti con la Biblioteca e la sua relazione col padre.
Mi sono ispirata in parte al ciclo bretone, in parte a tutte le frasi (spesso lasciate in sospeso) pronunciate da Jenkins circa il proprio passato.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dulaque, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Galahad lasciò l’edificio in cui aveva incontrato Yahuda e sua madre. Alla fine non aveva domandato conferma di ciò che gli aveva raccontato Estor, ossia che l’uomo fosse il padre di Elaine, ma in fondo sentiva che non gli importava più saperlo o forse aveva timore a chiedere. Non capiva bene perché, ma l’iniziale sensazione di stupore ed entusiasmo era stata un poco offuscata da una sorta di fastidio, benché non gli fosse chiaro il motivo.

Tornò nell’edificio dove era rimasta Melissa e la trovò assorta in meditazione, per cui decise di non disturbarla; si sedette a terra, con la schiena appoggiata al muro, e rifletté su quanto aveva appena scoperto. Non passò molto e la giovane si scosse dal proprio esercizio, vedendo l’amico si avvicinò a lui e gli chiese come fosse andato l’incontro con il signore del maniero.

Galahad aveva uno sguardo mesto e rispose: “Bene, direi. Ho scoperto che era questa la meta del mio viaggio.”

“Non sembri soddisfatto.”

“Non so, c’è qualcosa che non mi convince, ma non capisco cosa sia, pazienza.”

“Forse avevi diverse aspettative e aver trovato la realtà diversa ti ha un poco deluso?”

“Potrebbe essere.”

“Ti andrebbe di parlarne?”

“Sì, ma non so se posso. Gli altri cavalieri fanno gran mistero di tutto questo … D’altra parte, però, nessuno mi ha detto di tacere su quanto mi è stato detto e di tenere il segreto … quindi, teoricamente, non dovrei contravvenire alcuna regola, se ti raccontassi, giusto?”

“Questi sono i rari casi in cui approvo il sofismo. Dimmi pure.”

“Ho parlato col misterioso signore che è all’origine della fondazione della Tavola Rotonda e mi ha ammesso tra i suoi cavalieri. Sostiene di avere cinquecento anni, circa, e di combattere il male, raccogliendo oggetti che sarebbe imprudente lasciare alla portata di chiunque e fronteggiando le manifestazioni malvagie o pericolose della magia e del soprannaturale. Raccoglie anche molti scritti antichi …”

“La Biblioteca!” esclamò Melissa, interrompendolo.

“Come? La conosci? Non era iper segreta?”

“Sì, ma la nominata una volta Merlino, per poi subito dire che non avrebbe dovuto parlarne. Secondo me è stato uno di quei casi in cui uno vuole far sapere qualcosa, ma ufficialmente non potrebbe. Se davvero non avesse voluto ch’io me ne ricordassi, Merlino avrebbe senza dubbio manomesso la mia memoria, se non l’ha fatto vuol dire che in realtà voleva ch’io sapessi qualcosa.”

“Strano. Teoricamente Pelleas e Merlino sono alleati, anche se effettivamente è un po’ strano: Pelleas sembra molto diffidente nei confronti della magia ed ha sempre parlato sottolineando come vedesse soprattutto la pericolosità della magia, anziché i suoi benefici. Per meglio dire, ha sempre ritenuto l’umanità troppo meschina e d’animo basso per poter utilizzare la magia saggiamente, oppure che troppo facilmente si lasci corrompere dal potere magico. Inoltre, anche circa le creature sovrannaturali è sempre stato piuttosto ambiguo: ne parla come se li frequentasse abitualmente ma, allo stesso tempo, non si fida mai.”

“Sembra che tu conosca piuttosto bene quest’uomo, per avergli parlato sì e no una mezzora.”

“In realtà l’ho conosciuto anche in passato e abbiamo avuto lunghe conversazioni, ma all’epoca non sapevo chi fosse. Merlino cosa ti ha detto esattamente?”

“Non molto, visto che ha subito affermato che non avrei dovuto saperlo. Comunque ne ha parlato come un’opera buona negli intenti, ma con qualche pregiudizio e preconcetto da cui si lascia troppo condizionare. Merlino spera di poterli aiutare a vedere le cose in maniera un poco diversa.”

“Ecco che cosa non mi convince. Mi hanno dato l’impressione di una sorta di chiusura mentale, un atteggiamento di chi si barrica e annichilisce, anziché di apertura, ascolto e incontro come invece potrebbe essere, dato il grande sapere che hanno a disposizione.”

“Non credi di avere affrettato un po’ troppo il giudizio?”

“Forse, ma il fatto che si avvalgono dell’aiuto dei cavalieri della Tavola Rotonda, ma solo ad alcuni di loro hanno rivelato come stiano effettivamente le cose e abbiano loro permesso di entrare là dentro ... mah, non mi piace.”

“Quindi, che cosa vorresti fare?”

“Semplicemente capire. Anche se adesso non credo di condividere pienamente il loro atteggiamento, penso che comunque stiano facendo qualcosa di buono e quindi voglio aiutarli. Vedrò in futuro se le cose cambieranno e come.” rimasero in silenzio un poco, poi lui aggiunse: “Mi ha infastidito che ti abbiano esclusa in maniera così … così … poco educata.”

“Se sono così riservati come hai detto, non c’è da stupirsene.”

“Un briciolo di tatto avrebbero potuto usarlo.”

“E come?”

“Non lo so. È da un anno che io e te viaggiamo assieme e, se Pelleas ha osservato me, avrà sicuramente visto anche te. Le qualità non ti mancano! Poi col fatto che sei figlia comunque di Galvano, che è nella Tavola Rotonda, e discepola di Merlino, secondo me le credenziali per entrare là dentro le avevi.”

“Suvvia, vuoi veramente offenderti al posto mio?” chiese Melissa, ridendo.

Galahad fu contagiato dalla risata e si rilassò. Parlarono ancora un poco e poi si addormentarono.

Il mattino seguente, dopo una rapida colazione, andarono nella stalla per sellare i cavalli e ripartire. Mentre erano intenti in questi preparativi, Elaine li raggiunse, portando con sé uno scudo e una spada e li porse al figlio.

Galahad guardò prima lo scudo: era bianco, segnato con una croce rossa; osservandolo bene, esclamò: “Ma questo è sangue fresco, non pittura!”

“Sì.” confermò la madre “È sangue di Pelleas, di quello che sgorga dalla sua ferita insanabile. Ti proteggerà e ti aiuterà in vari modi.”

Il giovane legò lo scudo al cavallo, poi prese la spada e l’esaminò: “Sembra piuttosto antica e orientale, per la fattura, tuttavia non sembra consumata dal tempo e dall’usura.”

“È la spada di re Salomone” spiegò Elaine “Non so che virtù abbia, ma sono certa ti servirà bene.”

“Io con la spada di re Salomone? Non so se ne sono degno.”

“Tu, come tuo padre, discendi da re David, dunque questa spada ti appartiene come eredità dei tuoi antenati. Pelleas avrebbe voluto consegnarti queste armi ieri sera, ma sei andato via di fretta e non ce n’è stato modo.”

Il giovane ringraziò, piuttosto sorpreso, ma felice. Abbracciò la madre per prendere congedo da lei che gli sussurrò un’ultima cosa all’orecchio: “C’è una missione che solo tu puoi compiere, al momento. Solo un uomo puro può portarla a termine e tu, attualmente, lo sei. La tua purezza e verginità, però, possono essere corrotte e potresti perderle, dunque sta ben attento a mantenerti puro e a impedire a qualsiasi cosa o persona di corromperti.”

In tutto ciò, Elaine non aveva affatto considerato la presenza di Melissa nella stalla; uscendo le passò accanto e si soffermò qualche istante a scrutarla in maniera ambigua, poi uscì.

I due giovani finirono i preparativi, montarono a cavallo e lasciarono il castello. Dopo qualche metro, Glahad si volse indietro per guardare un’ultima volta quel luogo misterioso, ma dietro di sé non c’era che bosco e da nessuna parte vi era traccia del castello.

Avendo il giovane raggiunto lo scopo del proprio viaggio ed essendo ormai passato l’anno che Melissa doveva trascorrere facendo esperienza del mondo, i due si trovarono d’accordo sull’idea di tornare a Camelot.

Il viaggio di ritorno fu costellato da qualche altra avventura, ma nulla che potesse turbare o inquietare i due giovani, ormai avvezzi ai pericoli di quelle terre.

Giunsero a Camelot appena in tempo per prendere parte ai festeggiamenti di Natale e Capodanno.

Sia Lancillotto che Galvano furono felici del ritorno dei loro figli, benché si stupirono di vederli arrivare assieme, poiché non avevano avuto notizia che i due avessero viaggiato in compagnia.

Artù fu molto contento di rivedere il giovane amico,  dopo così lungo tempo, e lo esortò a sedersi accanto a lui e a raccontargli di tutto ciò in cui si era imbattuto da quando aveva lasciato la corte, in particolare interessandosi a se avesse trovato Pelleas alla fine. Fu molto contento di sapere che il ragazzo fosse stato ammesso alla Tavola Rotonda: era certo che si sarebbe meritato tale onore.

Trascorsero le giornate di festa con gran gioia di tutti quanti. Giunto il primo gennaio, come da tradizione, venne aperta la stanza della Tavola Rotonda attorno alla quale il Re e i suoi cavalieri migliori si sarebbero riuniti per un pranzo che avrebbe rinsaldato la loro alleanza e i loro propositi; quell’anno sarebbe stata anche l’occasione per accogliere il nuovo compagno.

Galahad si ricordò quel che Pelleas gli aveva detto, dunque rimase in piedi finché tutti gli altri non ebbero preso posto, poi si sedette nell’unico posto libero: quello alla destra del Re.

“NO!” gridò Lancillotto, vedendo il figlio far ciò.

“Fermo!” esclamò Artù, spaventato.

Tutti i cavalieri fecero eco a quelle intimazioni, ma ormai era tardi: Galahad si era seduto.

Qualche istante di terrore generale: tutti gli occhi erano puntati sul giovane. Non accadeva nulla. I cavalieri mutarono la paura in sorpresa e si guardarono tra di loro perplessi. Dicevano:

“Com’è possibile?”

“Non lo so!”

“Non è morto?”

“Nessuna voragine questa volta?”

“Sarebbe lui il predestinato?”

“Dal momento che non è morto …”

Il giovane ancora faticava a capire che cosa turbasse tutti quanti.

Merlino, che era presente, in piedi e in disparte, avanzò e disse: “Galahad, ti sei appena seduto sul Seggio Periglioso.”

Il giovane si ricordò improvvisamente di quella leggenda.

Il mago continuò: “Tale posto è riservato al cavaliere perfetto, puro e incorruttibile, l’unico degno di trovare il Santo Graal. Chiunque osasse sedersi in quello scranno senza esserne degno, era destinato a morire all’istante. Tu ti sei seduto e ancora vivi, questo significa che tu troverai la sacra coppa di Cristo e con essa la Lancia di Longino.”

Re e cavalieri cominciarono ad applaudire e a congratularsi con lui, a rivolgergli segni di stima e omaggio.

Galahad era piuttosto stordito da tutto ciò e quasi non si accorgeva di quel che gli accadeva attorno, poiché era assorto nei propri pensieri: lui il cavaliere perfetto? Incorruttibile? Puro? Sua madre gli aveva detto qualcosa del genere, ma credeva fosse dovuto al fatto che le madri idealizzano sempre i figli. Anche Pelleas gli aveva parlato della ricerca del cavaliere perfetto a cui affidare la missione del Graal e quella di ritrovare la Lancia che lo avrebbe curato; non aveva però sospettato si stesse riferendo a lui? Pelleas lo sapeva? Lo sperava? Per questo lo aveva osservato, per assicurarsi che fosse davvero adatto a tutto ciò? E anche Merlino lo sapeva, visto che lo aveva seguito nell’infanzia?

Un dubbio gli attraversò la mente: se Elaine era davvero figlia di Pelleas o, per lo meno, fosse una sua stretta collaboratrice da tempo, era possibile che non trovando un cavaliere perfetto avessero cercato di ‘crearne’ uno, facendo nascere un bambino e crescerlo in modo tale che diventasse il cavaliere di cui avevano bisogno?

Quel pensiero lo impressionava, era sia orribile che sublime: da una parte si sentiva strumentalizzato, ma dall’altra era grato che tutta quella gente si fosse impegnata per renderlo la persona migliore che potesse esistere.

Presto scacciò la parte negativa del pensiero e accolse solamente quella gradevole che gli trasmetteva anche un gran senso di responsabilità e del dovere: ora più che mai sentiva la necessità di servire il paese e di dare sempre il massimo per non deludere mai.

Artù invitò Galahad a non ripartire subito per la nuova avventura, ma di aspettare il ritorno del caldo e dunque di rimanere a Camelot con gli altri cavalieri per qualche mese. Il giovane accettò, a patto che non si raccontasse in giro che si era seduto sul Seggio Periglioso.

Trascorse così l’inverno e giunse la primavera e con essa la Pasqua. Camelot era di nuovo in festa e Galahad aveva intenzione di ripartire dopo la conclusione di quelle cerimonie.

Una grave notizia, tuttavia, sconvolse quelle gaie feste, la corte e il popolo intero: un cavaliere gigante aveva rapito Ginevra e le sue dame, mentre erano in un giardino, fuori dalle mura, per raccogliere fiori con cui intrecciare ghirlande da dare in premio alla giostra che si sarebbe tenuta il giorno seguente.

Dei contadini avevano assistito da lontano al rapimento ed erano corsi in città a dare notizia. Subito il re e i cavalieri si erano armati ed erano partiti all’inseguimento del gigante, ma ormai era già lontano e le tracce del suo passaggio si profilavano lungo l’orizzonte distante, distante.

Sconfortati, ma decisi a salvare la Regina le altre donne, i cavalieri stavano pensando di organizzare una spedizione in piena regola: prima sarebbero andati dei perlustratori per trovare la casa del gigante e poi sarebbero andati assieme a reclamare coi mezzi necessari.

Prima di tornare in città, però, incrociarono un nano vestito da giullare che rideva di loro e li ingiuriava. Molti cavalieri, offesi, lo avrebbero attaccato, se non fossero stati trattenuti da Artù che domandò: “Chi sei tu che osi insultare gli uomini più valorosi di Logres?”

Ahahaha, il paese è in pessime mani, allora. Siete voi, vero, i cavalieri che si sono lasciati rapire la regina sotto il naso? Come potete difendere il paese, se non siete neppure capaci di proteggere chi lo governa? I buffoni siete voi, non io! Con quelle spade fareste meglio ad arare i campi e dovreste attaccare i vostri cavalli ai carretti. Cavalieri della Tavola Rotonda, vi fate chiamare, no? Tavola Rotonda delle osterie, è questo che intendete! Le uniche cose che siete in grado di assaltare sono gli arrosti.”

“Smettila o pagherai a caro prezzo la tua insolenza.” lo ammonì Lancillotto.

Galvano gli intimò: “Se avete delle informazioni sul rapimento, parlate!”

Il nano continuò, irriverente: “Ah, sono queste le buone maniere i cui vi fate vanto? Allora la vostra magnanimità è solo millantata. Vi dirò: il gigante che ha rapito Ginevra è Carados e sta portando le prigioniere alla Torre Dolorosa dal Burgravio Mardoc.”

“Chi?!” domandarono alcuni cavalieri.

Galahad, che nel corso dei suoi studi aveva avuto modo di sentirlo nominare, spiegò: “Mardoc è un necromante molto potente, non si conosce esattamente cosa sia in grado da fare, ma si è certi che non vi è alcuno che conosca meglio di lui la morte e il suo dominio.”

“E perché ha fatto rapire Ginevra?” domandò Lancillotto.

Il nano rispose: “Mardoc ha tanto sentito parlare di Re Artù e dei suoi cavalieri e ha voluto sfidarlo. Lui non può lasciare la Torre Dolorosa e quindi ha ordinato a Cardoc di portare là la Regina, certo che Artù sarebbe andato a combatterlo. Andate pure, sire, raccogliete i vostri uomini e seguite la strada spianata. Affrontate il vostro nemico, se ne avete il coraggio.”

Artù e, raccolte delle provviste, accompagnato da una ventina di cavalieri, partì alla volta della Torre Dolorosa. Vi giunsero dopo un mese di galoppo e fecero un piccolo accampamento. Presto affrontarono l’esercito di Mardoc; i comandanti erano due giganti, Cardoc e Burmalt, mentre i soldati avevano molto poco di umano: in parte erano ombre ad alta densità, che però potevano diventare più leggere e mutevoli e se con una delle loro mani toccavano un cavaliere, quello rimaneva paralizzato dal terrore, in preda ad allucinazioni, oppure era investito da un tremendo freddo che gli congelava dalle punta delle dita pian, piano fino al cuore. Un’altra parte dei soldati apparivano invece come umani immortali o, per essere più precisi, come morti che combattevano, ignorando le ferite e, quando perdevano un arto, semplicemente se lo riattaccavano.

Artù e i suoi impararono presto che anche di notte non potevano restare tranquilli: infatti, le prime mattine trovarono alcuni di loro in preda al delirio, oppure privati di ogni goccia di sangue o, peggio ancora, vivi ma incapaci di svegliarsi, come se fossero stati prosciugati delle loro energie e forze. La sera successiva potenziarono i turni di guardia e scoprirono che spettri e vampiri uscivano dalla Torre Dolorosa e cercavano di intrufolarsi nel loro accampamento.

Ben presto ad Artù fu chiaro che l’assedio non sarebbe stato né breve né semplice. Decise di chiamare rinforzi e ordinò che anche Merlino lo raggiungesse, mentre rimandò a Camelot Mordred, affidandogli il compito di governare in sua vece.

Il mago conosceva bene la potenza del necromante, dunque aveva portato con sé alcuni dei propri allievi, tra cui anche Melissa, affinché lo aiutassero a svolgere i numerosissimi compiti: sanare i feriti e le vittime degli spettri e delle ombre, rendere ammazzabili i soldati nemici, difendere l’accampamento con barriere magiche, impedire che le provviste finissero e altro ancora.

L’assedio durò oltre cinque anni e la situazione pareva essere sempre di stallo: nessun esercito riusciva a prevalere sull’altro. L’unica cosa che pareva evidente agli assalitori era che i veri ostacoli erano i due giganti, ma ancora non erano riusciti ad ucciderli: solo Excalibur pareva riuscire a ferirli, ma tuttavia essi guarivano rapidissimamente.

Una sera di settembre, Galahad per cena si unì al falò attorno al quale erano riuniti Re Artù e gli altri cavalieri della Tavola Rotonda. Si accostò a Galvano e gli chiese: “Sai per caso dov’è tua figlia Melissa? Sono diversi giorni che non la vedo.”

“Non saprei, anch’io è da un po’ che non la incrocio, ma va beh, l’accampamento è grande quanto una piccola città, ormai, quindi è anche normale non vedersi sempre.”

“Di solito, però, ogni giorno viene ad assicurarsi della nostra salute. Non sei preoccupato?”

“Merlino l’avrà mandata a cercare qualche erba, è già capitato.”

“Sì, ma le altre volte ci ha avvisato della sua assenza.”

“Vero, vero … ma non credi che Merlino ci avrebbe avvisato, se le fosse accaduto qualcosa?”

“Sì, in effetti è plausibile … però, non capisco …”

“Perché ti preoccupi così tanto per mia figlia?” Galvano lo aveva domandato quasi ridendo, con un pizzico di malizia.

“Beh, siamo buoni amici, penso sia naturale preoccuparsi, soprattutto dal momento che ci troviamo in guerra.”

“Sei sicuro di non averla fatta arrabbiare in un qualche modo e quindi ha deciso di non farsi vedere per un po’? Le donne reagiscono in maniera strana.”

“Sono certo di non averla offesa. Inoltre, se fosse arrabbiata con me, perché eviterebbe anche te?”

“Ovvio: per non correre il rischio di incontrarti.”

“Bah! Penso che andrò da Merlino a chiedere informazioni.”

“Vengo con te ragazzo.”

I due cavalieri lasciarono il falò e andarono nella zona dell’accampamento dove risiedevano il Mago e i suoi collaboratori. Entrarono nella tenda di Merlino e lo trovarono intento a pronunciare un incantesimo protettivo, per cui attesero sulla soglia che egli avesse finito e dicesse loro di accomodarsi. Sedutisi su di un mucchio di pellicce, poi, gli domandarono dove fosse Melissa e come mai non l’avessero vista nell’ultima settimana.

Il Mago sospirò e rispose: “Ho sperato tanto che lei tornasse, prima che voi veniste ad interrogarmi.”

“Dov’è andata? Perché non ci ha detto nulla?” domandò, rapido, Galahad.

“Calma, adesso vi dirò tutto. Da un po’ di tempo io e Melissa stiamo cercando di escogitare la maniera per vincere questa guerra. Ci siamo resi conto che voi cavalieri avete ragione nel dire che Cardoc e Burmalt sono i due ostacoli maggiori: Mardoc li ha trasformati in una sorta di talismani viventi, ha rinchiuso dentro di loro il proprio potere e per questo li protegge più di ogni altra cosa. Se si riuscisse ad ucciderli, Mardoc sarebbe finito.”

“Che assurdità!” esclamò Galvano “Perché confinare il proprio potere dentro ad altri esseri? È più rischioso!”

“Sì, ma il potere di cui Mardoc è impossesso è troppo vasto per essere gestito tutto in una volta e ospitato nel suo solo corpo.”

“Ah, ecco perché neppure tu sei riuscito a sconfiggerlo, ma solo a contrastarlo, non che non te ne siamo grati. Comunque, dov’è mia figlia?”

“Abbiamo scoperto che vi è solamente una spada che può uccidere quei due giganti.”

“E non è Excalibur, suppongo.”

“No. È Claìomh Solais.”

“La spada di luce?!” esclamò Galahad, sbigottito.

Sentendo la traduzione, anche Galvano capì e chiese conferma: “Quella di Nuada Mano d’Argento?”

“Esattamente.” annuì Merlino “Melissa ha voluto recarsi dai Tuatha De Danann per ottenere tale spada, almeno in prestito.”

“È uno dei loro quattro tesori: non la cederanno mai!” fece notare Galahad, alquanto alterato.

Pelleas ci ha chiesto più volte di recuperarli, ma abbiamo rinunciato, dopo la morte del terzo cavaliere.” aggiunse Galvano, cupamente.

Galahad guardò severamente il Mago e gli chiese: “Perché hai permesso che andasse via sola?”

“Ha insistito e alla fine ho voluto darle fiducia.”

“Perché non ci ha detto nulla? Perché non ha voluto farsi accompagnare?”

“Ha intenzione di dare la spada a te, Galvano, dunque voleva farti una sorpresa. Non ha voluto coinvolgere te, Galahad, per paura di offenderti, nel chiederti aiuto in un’impresa che sarebbe servita per dare onore ad un altro.”

“Che scrupolo inutile!” inveì il giovane, poi domandò con apprensione: “Da quanto tempo è via, esattamente? È normale che ancora non sia di ritorno?”

“È partita da una settimana e, considerando le distanze e la difficoltà della missione, direi che per altri quattro o cinque giorni non c’è da preoccuparsi, se ancora non torna.”

“Eppure non sono tranquillo.” dichiarò Galahad, scuotendo il capo “Preferisco andarla a cercare subito e, magari, scoprire che è stato inutile, piuttosto che lasciarla giorni in più nelle mani di chissà chi. I Tuatha De Danann sono piuttosto civili, ma sono anche implacabili verso chi si mostra loro nemico. Galvano, per favore, aiutami ad ottenere da Artù il permesso di andare a cercare Melissa: voglio partire entro un’ora.”

“Amico mio, ti ringrazio per l’impegno e la buona volontà  che dimostri nel voler salvare mia figlia, ma aspetta almeno domattina per metterti in viaggio. Non è saggio uscire dall’accampamento di notte, ricordi?”

“Il mio scudo mi proteggerà da qualsiasi attacco.”

Era vero: il sangue di Pelleas sullo scudo proteggeva chi lo indossasse da gran parte degli attacchi sovrannaturali.

I due cavalieri tornarono presso il loro Re, riferirono ciò che Merlino aveva loro raccontato e Galahad manifestò la propria volontà di partire. Artù gli accordò il permesso: in fondo era negli interessi di tutti recuperare quella spada e al più presto. Il giovane raccolse il minimo indispensabile tra equipaggiamento e provviste, sellò Brannon e partì.

Aveva messo poco più di un chilometro di distanza fra sé e l’accampamento, quando si innalzò all’improvviso un banco di nebbia piuttosto fitta. Il giovane non riusciva a vedere a più di un paio di metri davanti a sé, quindi smontò da cavallo e, tenendolo per le redini, lo precedette per assicurarsi che il sentiero fosse sicuro e che non vi fossero ostacoli improvvisi.

L’aria attorno iniziò a farsi sempre più gelida, la nebbia si condensava in brina che rimaneva sospesa in aria, mentre il terreno sotto i suoi piedi ghiacciava, diventando scivoloso.

Galahad comprese che tutto ciò era opera degli spiriti evocati da Mardoc, dunque non vi era altra soluzione che fermarsi ed affrontarli. In che modo, però? Non poteva certo trafiggerli con la spada.

In passato, quando si era ritrovato di fronte a creature di quel genere, il giovane aveva sempre avuto al proprio fianco Melissa con qualche soluzione magica; in quel momento, però, poteva fare affidamento solo su di sé. Decise di rimanere in attesa per scoprire di quali entità si trattasse.

Cercò di prendere il proprio scudo, per proteggersi da influssi magici, si voltò verso il proprio cavallo e non lo trovò: Brannon era sparito!

Si guardò nella mano in cui era convinto di tenere le redini e si accorse di non stringere nulla.

Fiocchi di neve iniziarono a volteggiare, il loro turbinio era ordinato e pareva seguire un ritmo preciso. Sentì, poi, una melodia suonata da bicchieri di cristallo o tintinnata dai metalli più leggeri e puri. D’improvviso l’inquietudine di Galahad stava scivolando via e una sensazione di serenità lo pervadeva lentamente.

I fitti fiocchi di neve si raggrupparono in cinque cumoli differenti che assunsero una forma umana e, quando furono completi, furono attraversati da un fremito e la neve cadde a terra, lasciando posto a cinque giovani donne: pelle candida, liscia e luminosa, biondi capelli lisci e sottili lunghi tutta la schiena, occhi di cristallo, i loro corpi erano esili e flessuosi, quasi non avessero ossa, ma estremamente ben proporzionati tanto che si potevano notare la vita sottile e i fianchi morbidi, nonostante l’abito di pelliccia che indossavano.

Cominciarono a danzare in cerchio attorno al cavaliere, ridevano armoniosamente, mentre i lunghi capelli volteggiavano nell’aria. Di tanto in tanto si avvicinavano all’uomo e lo sfioravano con le dita sottili.

Galahad era come ipnotizzato dalla loro bellezza e dal loro candore, rimaneva immobile, quasi inconsapevole: vedeva ciò che accadeva ma non pensava a nulla, non reagiva; più guardava quella danza, più la sua mente si assopiva.

Le donne si strinsero attorno a lui, lo accarezzarono sul capo, il viso e l’armatura. I loro tocchi erano come piccole scosse che provocavano un turbamento, subito acquietato dalla malia dei volti delle fanciulle e il loro ancheggiare.

Una delle scosse, più forte delle altre, risvegliò la coscienza di Galahad quel tanto che fu sufficiente per decidere di chiudere gli occhi e restare in apnea. Senza vedere e respirare, riuscì finalmente a riflettere: si era imbattuto in spiriti che tramite suoni, movimenti e impercettibili profumi ipnotici colpivano la mente degli uomini, inibivano la loro volontà e le loro capacità, rendendoli impossibilitati a reagire: non paralizzavano il corpo, ma il cervello. Una volta intrappolata la vittima, ne risucchiavano l’energia vitale, fino a lasciare un corpo vivo ma vuoto. Il corpo, aggredito, cercava di risvegliare il cervello con quelle che sembravano scosse, ma raramente la vittima riusciva a ridestarsi e a reagire: quasi la totalità degli uomini che si imbatteva in quelle creature, moriva.

Galahad, dunque, non poteva conoscere alcuna procedura consolidata per sfuggire alle grinfie di quegli spettri: doveva trovare da solo una soluzione. Dopo un rapido pensare, afferrò la propria spada, la sguainò e si inflisse un fortissimo fendente all’avambraccio sinistro, rompendo le protezioni in cuoio. Il dolore lancinante risvegliò totalmente il cervello assopito. Il giovane riaprì gli occhi e vide che l’ambiente attorno a lui era tornato alla realtà: niente nebbia o neve e Brannon era dietro di lui.

Il cavaliere montò in sella e infilò lo scudo che, oltre a preservarlo da ulteriori illusioni, guarì la sua ferita. Lanciò il cavallo al galoppo.

 

 

Nota dell’Autrice:

Salve a tutti! ^____^

Vi ringrazio per leggere la mia storia, spero vi piaccia anche se non include i personaggi centrali della serie. Se continuerete a seguirmi, probabilmente prolungherò la storia rispetto ai miei piani originari e dedicherò dei capitoli ad un periodo post seconda stagione.

Per quanto riguarda l’episodio arturiano di Mardoc, ci tengo a condividere con voi la fonte che mi ha ispirato che non è delle più famose.

 

http://www.angolohermes.com/Luoghi/Emilia/Modena/Porta_Artu.html

   
 
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