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Autore: DirceMichelaRivetti    14/01/2016    1 recensioni
Storia che vuole esplorare il passato di Jenkins, dalla sua gioventù fino al momento in cui la magia venne tolta dal mondo; i suoi rapporti con la Biblioteca e la sua relazione col padre.
Mi sono ispirata in parte al ciclo bretone, in parte a tutte le frasi (spesso lasciate in sospeso) pronunciate da Jenkins circa il proprio passato.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dulaque, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Galahad galoppò per due giorni, sostando solo poche ore, il minimo indispensabile: Brannon era un ottimo cavallo e, come il suo padrone, non necessitava di molto riposo  per poter dare il meglio di sé. Procedevano all’interno di una foresta e non incontrarono nessuno, benché il giovane avesse notato le tracce della presenza di qualcun altro. Durante la mattina del terzo giorno, Galahad udì l’avvicinarsi, dalla parte opposto la sua, del rumore di zoccoli di un cavallo al trotto, non potendo avere una visuale di chi si stesse avvicinando, a causa delle curve e della fitta vegetazione, si tenne pronto ad ogni evenienza. Avanzò cautamente e alla fine si ritrovò faccia a faccia con Melissa.

La maga era su un baio rosso e si teneva ben stretta quella che evidentemente era una spada avvolta in stracci. La giovane fu sorpresa, ma felice di vedere l’amico; arrestò il cavallo e scese per essergli più vicino e, sorridendo, domandò: “Galahad! Che cosa ci fai qua?”

Il cavaliere scese di sella a propria volta per abbracciarla e rispose: “Quando mi han detto che eri andata a cimentarti in un’impresa da cui nessun eroe è tornato indietro, beh ho pensato di venire a sostenerti, darti una mano … ma vedo che te la sei cavata egregiamente da sola. È quel che penso io?” domandò, indicando gli stracci.

“Sì, è Claìomh Solais. I Tuatha De Danann me l’hanno prestata volentieri.”

“Evidentemente i cavalieri hanno completamente sbagliato approccio.”

“Ai Tuatha non piace essere derubati dei loro, ma sono persone estremamente ragionevoli, stanno progettando di trasferirsi in Irlanda.”

“L’isola di fronte? Temo troveranno difficoltà: è abitata da una specie umanoide anfibia assai bellicosa, sanguinaria e ostile.”

“Non credo avranno troppe difficoltà, con questa spada, la lancia di Lug e il loro calderone sempre pieno di cibo, un po’ come una cornucopia. Sai, sembrano molto raffinati e la loro magia è elegante e sofisticata, non avevo mai visto nulla del genere. Mi è parso di capire che questa non sia la loro terra d’origine,  ma che siano giunti qui in nave, da isole del nord. Abbiamo veramente poche informazioni su di loro e, spesso, sono sbagliate.”

“Per come ne hai parlato, mi sono venuti in mente gli Iperborei. Sono leggendari, chissà se c’è qualche collegamento.”

I due amici rimontarono a cavallo e assieme si avviarono verso la Torre Dolorosa, continuando a discorrere. Il giorno seguente, mentre tutto pareva continuare tranquillamente, Brannon cominciò a mostrare inquietudine: era restio ad avanzare, si impennava senza motivo o nitriva, sputando fiamme tutt’attorno, rischiando di incendiare la foresta.

“Non capisco che cosa gli sia preso.” commentò Galahad, cercando di tranquillizzare il destriero “Non si è mai comportato così, non senza motivo, almeno … lo sai anche tu. Sembra che ci voglia avvertire di un pericolo, ma qui non c’è nessuno. Sono ore che continua, non vorrei stesse male.”

“Se non ti ha mai tradito e non si è mai sbagliato, forse dovremmo dargli fiducia anche questa volta.”

“Credi che abbiamo a che fare con nemici invisibili, spettrali o demoniaci? Non siamo molto distanti dalla Torre Dolorosa, ma speravo di non imbattermi negli scherani di Mardoc, prima del nostro arrivo. Abbiamo un modo per farli uscire allo scoperto?”

“Dobbiamo prima scoprire di cosa si tratta.”

“Giusto. Facciamo un rituale di individuazione ed identificazione?”

Facciamo? Ti ricordi ancora?”

“Certo, tu me l’hai spiegato e io l’ho memorizzato.”

“Sono passati più di cinque anni e da allora hai sempre combattuto nell’assedio della Torre Dolorosa, senza avere la possibilità di mettere in pratica altro che non fosse l’arte della guerra.”

“Il fatto che non ne abbia avuto bisogno, non significa che abbia dimenticato. Allora, proviamo?”

“D’accordo. Prepara la scodella con l’acqua ed energizza una barra di ferro; io penserò a trovare la zona più adatta e poi purificherò l’acqua e l’aria.”

Poco dopo, entrambi erano seduti sul prato, messi uno di fronte all’altro con in mezzo una ciotola d’acqua; Galahad stava imponendo le mani sopra la scodella, mentre Melissa agitava la bacchetta di ferro vicino all’acqua, ripetendo una brevissima formula più e più volte, tuttavia non accadeva nulla.

“Che cosa succede?” domandò il cavaliere, dopo alcuni minuti “Ci sono delle interferenze?”

“Sì e molto potenti. Il fulcro è distante, eppure riesce a impedirmi di proiettare la mia volontà nell’etere e usare la magia, neppure questa che è mezza ritualistica e, quindi, molto semplice. Riesco a connettermi con le energie sottili, ma non ad interagire attivamente con loro.”

“Niente magia, quindi.”

“Non per me.”

Brannon se ne era accorto.”

In quel momento la Maga venne afferrata da una forza invisibile, trascinata ad alcuni metri d’altezza e poi fu trainata in una precisa direzione che non era la Torre Dolorosa.

“Melissa!” gridò Galahad, scattando in piedi e pronto a balzare a cavallo.

“Aiuto!” gridò la donna.

Il cavaliere era già in sella a Brannon e non aveva bisogno di speronarlo furiosamente: il destriero era già partito al galoppo sfrenato, inseguendo la giovane rapita. Andò talmente rapido che, nonostante rimase un poco indietro, non la perse mai di vista, finché la Maga non venne riportata a terra.

Galahad recuperò facilmente il chilometro che lo separava dal punto in cui aveva visto atterrare l’amica. Giunse in fretta e furia in quella radura e vide Melissa legata ad una specie di altare, mentre in piedi si trovava un essere umanoide, non troppo deforme. La creatura con un artiglio solcò un taglio sulla guancia della ragazza, poi con la lingua biforcuta leccò il sangue, bevendolo.

Galahad, pur da lontano, notò che sull’altare in pietra era incisa una canaletta di scolo e sotto di essa un’ampolla grossa quanto un secchio era pronta per essere riempita: evidentemente l’umanoide aveva intenzione di uccidere la donna e raccoglierne tutto il sangue in un recipiente.

Sull’altare, oltre a un coltello forse rituale, era appoggiato anche uno strumento adatto per estrarre il midollo dalle ossa.

Il cavaliere non perse tempo e in un attimo fu addosso alla bestia che reagì prontamente. La creatura si alzò in volò e sputò una fiammata contro il giovane che si riparò dietro lo scudo, per poi agilmente salire in piedi sul dorso del cavallo e, con la spada, colpire i piedi del mostro. Costui allora provocò un grosso vento, ma il cavaliere non cadde, anzi, spiccò un balzo e, afferrate le caviglie dell’umanoide lo trascinò a terra. Combatterono dunque a piedi: l’uomo con la spada e lo scudo, la bestia con artigli grossi come accette e una pelle dura come il diamante e, ogni tanto, sputava fiamme o scaricava piccoli fulmini. Galahad, allora, si accorse che ogni volta che la creatura stava per usare la magia, le brillava d’azzurro una pietra incastonata nel mezzo della fronte; dunque si impegnò per gettare al suolo l’avversario, tenerlo fermo a terra il tempo necessario per colpire con l’elsa e tutta la propria forza la gemma. Vi riuscì. La pietra si crepò e andò in frantumi e la bestia morì all’istante.

Galahad, assicuratosi che non ci fossero altre sorprese, rinfoderò la spada e corse a sciogliere le corde che tenevano legata Melissa che, una volta libera, si gettò tra le sue braccia e lo strinse più forte di qualsiasi altra volta.

“Tranquilla, dovrebbe essere tutto passato. Era quel coso che ti inibiva la magia.”

“Sì.”

“Che cos’era?”

“Non ne sono certa: stacchiamogli la testa e portiamola a Merlino, ne sarà interessato. Grazie mille.”

“Dovere.”

Galahad mozzò la testa della creatura: ora il corpo non era più inscalfibile. I due giovani passarono un paio d’ore per ritornare sulla giusta strada e recuperare il cavallo della donna e, per fortuna, anche la spada magica. Proseguirono il cammino e a sera si accamparono e mangiarono qualcosa.

Galahad aveva deciso di montare la guardia per tutta la notte, non avendo paura di perdere qualche ora di sonno. Sedeva e si guardava attorno.-

Ad un tratto Melissa gli si avvicinò, era completamente svestita se non per una leggerissima veste senza maniche e poco accollata, che le scendeva a mala pena fino a metà delle cosce. Si mise in ginocchio davanti all’amico e lo guardò senza dire nulla.

Galahad fu sconcertato e perplesso, poi voltò il capo da un’altra parte e con rimprovero la esortò: “Vestiti e dormi.”

“Una parola solamente.” lo supplicò lei.

“Cosa?!” replicò lui, seccato e sempre guardando altrove.

Melissa si mise di nuovo davanti a lui e gli disse: “Sono sette anni, ormai, che ci conosciamo e praticamente non abbiamo quasi passato un giorno senza che ci vedessimo, senza che vivessimo una qualche avventura fianco a fianco o che ci trovassimo a riversare l’uno, nell’altro le emozioni, i pensieri e l’esperienze del giorno trascorso. Tutto ciò che è di mio, io l’ho trasmesso e affidato a te. Non è stato un colpo improvviso, come quello che cantano i poeti, nessuna freccia mi ha colpita accendendomi d’un tratto un fuoco di paglia. No. Vivendo e condividendo con te gioie, difficoltà, grandi e piccole vittorie o delusioni … la sorte tal volta ci ha sorriso, altre ci ha sottoposti a prove, ogni volta diverse, ma sempre con una costante: eravamo assieme. Giorno dopo giorno si è formato un braciere di quelli che possono essere sepolti dalla cenere, ma che continuano ad ardere per mesi e mesi. Il mio cuore, la mia mente e la mia anima ti appartengono da lungo tempo. Dimmi, li ho forse affidati a un non adatto custode che non ha ricambiato il pegno?”

Galahad sorrise per quelle parole: lo scaldavano pienamente. Eppure non sapeva cosa rispondere, non sapeva come accogliere quella dichiarazione, né che cosa dovesse fare. Riuscì solo a sussurrare: “No.”

“No, cosa?”

Il giovane fece uno sforzo e ammise: “Ciò che tu hai donato a me, io l’ho donato a te. Perché mi parli così, ora?”

“Perché da troppo tempo me lo tenevo dentro. Con una guerra in corso, non mi pareva mai il momento adatto per rivelarti il mio cuore … ma oggi … ho temuto di morire e allora mi sono detta che non avrei voluto più vivere un giorno di più nascondendo i miei sentimenti. Fa male amare e doversi limitare, avere paura a manifestarlo. Questo era l’unico segreto che c’era tra di noi ed è stato giusto abbatterlo.”

“Melissa, sei sicura di quel che hai detto, oppure è stata appunto l’emozione e il terrore di oggi che ti hanno fatta parlare.”

“Dubiti?!” si offese lei.

“Voglio essere certo che il tuo parlare sia libero da condizionamenti. Non è onesto approfittare della gratitudine di qualcuno.”

Melissa corrucciò la fronte e replicò: “Ogni parola che ti ho detto stasera, l’ho studiata nella mia mente per mesi, assieme a mille altre che in forma diversa avrebbero espresso lo stesso desiderio. Tu, piuttosto, sei freddo e distaccato come mai lo sei stato prima d’ora. Perché? Hai mentito per non recarmi dolore, oppure ammettere questo sentimento ti terrorizza?”

Galahad appoggiò le proprie mani sulle spalle della ragazza, la strinse e le disse: “Non so perché tutto questo mi blocca e mi confonde, ma sono certo che non voglio separarmi da te e che con te voglio affrontare la vita. Per ora, però, ci basti questa certezza. Scambiamoci una promessa di ciò che sarà in futuro, ma non macchiamo questo momento con ciò che non è onorevole. Io ti prometto che, quando i tempi lo consentiranno, io ti sposerò.”

“E io ti prometto che ti aspetterò … sperando che tale tempo giunga presto: ho ventitre anni, ormai sono vecchia per il matrimonio.”

“Nella fretta spesso vi è l’errore; l’attesa è consacrazione.” Galahad diede un bacio sulla fronte all’amica e le disse “Ora vestiti e riposa.”

Melissa obbedì, non certa di doversi sentire delusa. Il cavaliere continuò a fare la guardia, domandandosi come mai si sentisse così scombussolato: forse perché fino a quel momento aveva sempre dato per scontato che lui e l’amica non si sarebbero mai lasciati, senza rendersi conto che ciò significava amore? Forse perché prima d’ora non aveva mai pensato al matrimonio? Eppure una famiglia felice e normale era ciò che desiderava da sempre. Temeva che il non aver avuto una famiglia vera e propria da bambino gli impedisse di saperne gestire una da adulto? Forse aveva paura che la realtà stridesse coi suoi sogni e le sue illusioni e, peggio ancora, di essere lui stesso la causa del fallimento?

Era certo che non avrebbe trovato facilmente una risposta, così come era certo che non indulgere ai piaceri della carne quella notte fosse stata una saggia decisione.

Ripreso il viaggio il giorno dopo, giunsero alla Torre Dolorosa quando la notte era già calata e molti cavalieri si erano già ritirati nelle proprie tende per dormire. I due amici decisero di andare immediatamente da Merlino e gli riferirono dell’aggressione, mostrando la testa del mostro.

Il Mago la scrutò e disse: “Dunque aveva una gemma incastonata nella fronte? Pessimo.”

“Di cosa si tratta?” domandò Galahad, con apprensione “Che bestie sono?”

“Nulla che la natura, neppure quella magica, abbia deciso che debba esistere. Credo che ci troviamo davanti ad un costrutto: un essere creato dall’assemblaggio di parti di corpi di viventi e parti artificiali, a cui si infonde vita e potere, tramite la magia. La pietra che hai distrutto era il potere che lo animava. Un mago o una maga deve aver concentrato molta magia dentro alla gemma e l’ha inserita nel costrutto in modo tale da renderlo vivo. Il fatto che volesse raccogliere sangue e midollo significa che gli era stato ordinato di prendere le parti del corpo maggiormente permeate di energia, che possono essere usate per pozioni, rituali o per distillare magia da sfruttare in altri modi.”

“Chi può essere così tanto crudele e incurante della vita altrui?!” domandò Galahad, sconvolto: di tutto ciò che aveva visto e udito nella sua vita, quella gli sembrava la cosa più abominevole.

Merlino sospirò e con amarezza rispose: “Temo che tu la conosca piuttosto bene: Viviana, La Dama del Lago.”

“Che cosa?!” esclamò ed inorridì il cavaliere “Mia nonna a volte esagera nel sentirsi potente e ha scarsa considerazione per chi le sta attorno, ma non è così malvagia o folle.”

“Spero tu abbia ragione, mi rincrescerebbe scoprire un tale cattivo uso dei miei insegnamenti. Sarò sincero, con voi. Non arrivano splendide notizie dal resto di Logres e Artù preferisce non farne parola con nessuno. Ci sono state alcune razzie da parte di regni vicini e qualche leggera sommossa, ma queste sono situazione che Mordred riesce a gestire tranquillamente. Ciò che mi preoccupa è la notizia che si verificano spesso attacchi a miei discepoli o loro allievi, in questi ultimi mesi. A volte da parte di altri praticanti di magia, altre volte aggrediti da bestie come il costrutto che avete affrontato voi, altri semplicemente scomparsi. Sono quasi venti i morti di cui ho avuto notizia. Morgana sta cercando di contattare tutti quanti e riunirli, sperando che lo stare uniti li possa proteggere. Qualcuno sta approfittando del fatto ch’io sia costretto a rimanere qui; almeno qua ci sono i miei discepoli migliori.”

“Chi può avercela tanto con noi?” domandò Melissa, incupita.

“Morgana è persuasa sia Viviana, ma io non ho ancora visto prove.”

“Ecco” replicò Galahad “Quindi non accusiamo frettolosamente le persone. Che motivo avrebbe, poi, Viviana di aggredire i maghi di Logres? Non vi sono conflitti in atto tra i nostri paesi.”

“Non sono i maghi di Logres in generale che vengono presi di mira, bensì quelli appartenenti alla mia scuola … e non si può negare che Viviana e il suo Lago abbiano sempre manifestato ostilità e competizione nei nostri confronti … D’altra parte non vedo perché una guerra tra maghi, se politicamente i nostri regni sono in pace, anzi alleati.”

Melissa domandò: “Che provvedimenti prenderai?”

“Dovrò indagare e approfondire la faccenda, è ovvio, ma non posso neppure abbandonare Artù in questo momento. Per fortuna avete recuperato Claìomh Solais, se abbiamo ragione sarà sufficiente per concludere questa guerra in pochi giorni e dunque potremo poi tornare a Camelot e io dedicarmi a questa nuova faccenda.”

Merlino aveva avuto ragione: non appena Glavano ebbe tra le mani la nuova spada, poté facilmente abbattere i due giganti, non perché la sua bravura fosse aumentata, ma poiché solo la magia di cui era permeata quell’arma era in grado di impedire la rigenerazione di quegli esseri.

Sconfitti i due giganti e dunque disperso e dissipato il potere di Mardoc, fu facile per Artù e i suoi cavalieri sbaragliare il resto delle truppe, penetrare nel castello e conquistarlo.

Un mese dopo, il Re, il suo esercito e le prigioniere liberate erano rientrati a Camelot e avevano ricominciato a vivere la loro vita normale, dopo un breve festeggiamento.

Artù si ritrovò alquanto oberato di lavoro; Mordred aveva fatto del proprio meglio per mantenere l’ordine e gestire le difficoltà, tuttavia molti nobili, dentro e fuori da Logres, avevano iniziato a creare problemi, cercando indipendenze o nuovi territori, ritenendo Artù indebolito dalla guerra. Se negli anni precedenti questi signorotti avevano combattuto separatamente, ora che il Re era tornato al proprio posto, avevano capito che sarebbe stato meglio allearsi tra di loro, se avessero voluto realmente ottenere qualcosa. Seguì dunque un periodo di guerriglia all’interno del regno, simile a quello che aveva caratterizzato i primi anni di governo di Artù, ma i cavalieri riuscirono a sistemare la situazione in poco più di un anno.

Durante quel periodo era capitato che Galahad finisse prigioniero di Hueil, uno dei quattro nobili a capo di tale cospirazione. Fu torturato per oltre un mese, ma non gli fu carpita nessuna informazione. Alla fine fu Lancillotto, a capo di un manipolo di altri cavalieri, che prese d’assalto il castello e lo liberò.

Galahad aveva resistito alle torture con grande forza di volontà e lealtà, sempre confidando che non sarebbe morto lì, ma che in un modo o nell’altro, prima o poi, sarebbe tornato libero. Quando vide che in suo soccorso era giunto il padre, la  gioia che lo riempì aveva dell’incredibile. Suo padre lo aveva salvato, che cosa c’era di strano? Non era forse un atteggiamento più che naturale? Sarebbe stato più strano se non lo avesse fatto.

Lancillotto si era preoccupato per il non ricevere notizie sul figlio, lo aveva cercato, aveva raccolto informazioni e poi era andato a liberarlo. Nessun buon genitore avrebbe fatto meno di così.

Eppure tutto ciò aveva meravigliato Galahad e lo aveva riempito di felicità e rassicurato. Era come se per tutti quegli anni avesse vissuto col dubbio di non essere amato dal padre e ora, quel gesto spontaneo da genitore, glielo aveva dimostrato.

Dunque Lancillotto non era deluso da lui, non lo considerava un incidente di cui, tuttavia, sentiva la responsabilità? Evidentemente no. L’affetto paterno era sincero e totale e Galahad ne era confortato. Si accorse che, per la prima volta, sentiva che la sua vita non era né un errore, né un’usurpazione. In fondo, nonostante fosse sempre stato ben accolto da tutti, dal Re e dai cavalieri, il giovane aveva sempre il timore di essere di troppo o di essere in un mondo che non aveva calcolato che anche lui esistesse. Galahad non ragionava su ciò quasi mai neppure con sé stesso, era un pensiero molto doloroso che lo assaliva nei momenti di solitudine o tranquillità, per questo cercava sempre di essere impegnato o con le armi o con lo studio. Si riempiva ogni momento della giornata per impedire a quel  senso di estraneità di coglierlo.

Artù non era forse suo amico? Lancillotto non lo aveva forse riconosciuto come proprio figlio, presentandolo al mondo? Certo, eppure ciò non gli dava la certezza di meritare tutto ciò.

Si sentiva perennemente in debito col mondo, di dover giustificare la propria esistenza.

Forse era per tutto questo che dava sempre il massimo di sé e aveva raggiunto le vette più alte in virtù, valore, arte di combattimento, studi, saggezza e tutto ciò che faceva. Forse era per questo che era diventato il cavaliere perfetto. Temendo di non avere diritto ad esistere, si era prodigato per essere sempre utile.

Questa consapevolezza, però, era latente nell’animo di Galahad che, appunto, non ne faceva mai parola né lo ammetteva con sé stesso o voleva rifletterci sopra. Soltanto una volta si era confidato con Melissa su questa faccenda, ma si era talmente incupito e innervosito che aveva deciso di non pensarci più.

Per questo Galahad si era stupito nel vedere Lancillotto correre in suo aiuto e gliene fu infinitamente grato: gli aveva dimostrato che aveva diritto a vivere.

Nemmeno Melissa gli aveva mai trasmesso una simile sensazione; generalmente, quando pensava all’amica, la vedeva come una gioia che accidentalmente il fato gli aveva regalato, ma che sentiva di non meritare.

Lancillotto e il figlio avevano poi assestato l’ultimo colpo che annientò le forze degli insubordinati o che, per lo meno, li persuase a chiedere perdono ad Artù e tornare obbedienti vassalli o tranquilli confinanti.

Durante quel relativamente breve periodo di piccola rivolta, Merlino non era stato accanto al Re. Il Mago, assai preoccupato per ciò che accadeva ai suoi discepoli, si era ritirato dalla Corte per indagare sulla faccenda. Non volendo però lasciare sguarnito Artù dal punto di vista magico, aveva affidato tutti i propri compiti a Melissa che, oltre ad essere diventata un’abile Maga, aveva la fiducia del Re e della Corte, essendo figlia di Galvano. Per svolgere tale incarico, dunque, la ragazza non aveva accompagnato Galahad in quelle imprese di ristabilimento dell’ordine.

Ritornata finalmente la pace in Logres e trascorsi altri mesi senza alcuna notizia di Merlino, Artù cominciò a preoccuparsi per la sua assenza e così un giorno Galahad e Melissa si offrirono per andare a cercare il Mago e, se non convincerlo a tornare indietro, almeno poter rassicurare tutti circa il fatto che stesse bene.

Non avevano indizi circa dove Merlino si trovasse, per cui decisero di recarsi innanzitutto nella foresta di Brocelandia: un bosco considerato sacro dai pagani e abitato da creature fatate di varie razze che, straordinariamente, vivevano in un’unica società. Normalmente, infatti, le creature, pur mescolandosi spesso tra di loro e con gli umani, politicamente e amministrativamente erano divise per specie. Poteva dunque capitare che centauri e ninfe abitassero in villaggi vicinissimi, ma entrambi avevano un proprio governo, proprie regole, tradizioni e così via. Questo valeva per ogni altra razza, ovviamente. L’unica eccezione di cui si aveva notizia era appunto la foresta di Brocelandia in cui Merlino era diventato la massima autorità. Il Mago aveva vissuto lì, dopo il  suo incontro con Vortighen e prima dell’arrivo di Uther a Logres, poi vi era spesso tornato nei momenti di pace, oppure quando aveva bisogno di meditare oppure voleva impartire lezioni speciali ai suoi allievi. Benché avesse trascorso a Camelot molta parte della propria vita, Merlino considerava Brocelandia come propria casa.

Per i due giovani era dunque evidente che quello fosse il primo posto in cui cercare. Arrivati nella foresta, Melissa fece strada verso la capanna in cui viveva il Mago, poiché vi era già stata in passato; inoltre molte delle creature l’avevano già conosciuta, per cui non furono diffidenti o aggressive come invece avrebbero fatto se ad avventurarsi da quelle parti fosse stato un semplice umano.

Merlino si trovava effettivamente lì. La capanna in cui abitava era piccola e misera solo esternamente, poiché una volta varcata la soglia ci si trovava in una specie di piccolo castello, fornito di vari comfort e con la biblioteca del Mago, la sua collezione di oggetti magici e il suo laboratorio per i rituali, con un fornitissimo scaffale di ingredienti.

Merlino accolse volentieri i due giovani, ma era evidente che l’amarezza lo pervadeva. Offrì loro un bagno caldo per ristorarsi dal viaggio, poi li invitò a tavola dove mangiarono abbondantemente e bevvero tisane.

“Sono contento di vedervi.” disse il Mago “Ho procrastinato a lungo la mia partenza, poiché desideravo incontrarvi, prima di andarmene.”

“Dove?” chiese Melissa.

“Non potevi farci chiamare?” domandò il cavaliere “Oppure passare da Camelot? Sono sicuro che Artù si dispiacerà nel sapere che sei partito per chissà dove e quanto, senza salutarlo.”

“Lo so, ma passare a Camelot potrebbe trattenermi più del dovuto, oppure mutare la mia decisione e così non deve essere. Inoltre ho voluto mettere alla prova il volere del Destino per verificare se un’altra mia decisione è appropriata come penso e, evidentemente, lo è.”

“Di cosa si tratta?”

“Amici miei, sono felice di avervi conosciuto e sono fiero di ciò che siete diventati. Ho seguito entrambi fin dall’infanzia e tra tutti coloro che ho osservato nella mia lunga vita, voi siete quelli che mi infondono maggior speranza per il futuro.”

“Perché parli in questo modo, maestro? Sembra che ti stia congedando.”

“Lo sto facendo, infatti, Melissa. Partirò per la mia ultima missione e non tornerò più indietro. Mio padre mi ha dato la capacità di conoscere il passato, mentre il buon Dio quella di vedere il futuro. So che sto andando incontro ad una prigionia eterna, ma se mi tirassi indietro peggiori sarebbero le sorti che ci abbatterebbero sul mondo, dunque lo accetto. Tempi tristi incombono comunque sulla Terra, ma se restassi sarebbe peggio. Me ne vado, sì, ma consapevole che in questo mondo c’è qualcosa e qualcuno che ancora può salvare l’umanità e la magia. È sciocco separare le due cose, in fondo non sono due mondi diversi, ma due aspetti di questo universo in cui tutti noi viviamo. La divisione tra naturale e sovrannaturale è soltanto nelle nostre menti ed è sbagliatissimo esaltare uno dei due aspetti e disprezzare o condannare l’altro. La separazione e contrapposizione è male e caos. Io ho sempre cercato di mostrare che naturale e sovrannaturale non si combattono, bensì si completano; la missione che mi ero dato era quella di abbattere questa divisione illusoria e restituire finalmente l’armonia e cooperazione tra la magia e l’umanità. Devo però ritirarmi prima che ciò si compia. Miliardi sono i futuri che io posso vedere e coesistono tutti quanti finché i fatti del presente non avvengono rendendone impossibile qualcuno. Vedo il telaio del fato: vedo ciò che è stato tessuto finora e tutto ciò che potrebbe essere tessuto. Vedo mondi senza magia e vedo mondi in cui essa tiranneggia, la sofferenza e l’errore sono in entrambi, poiché manca l’equilibrio. Vedo anche la possibilità di convivenza e armonia. Adesso ci sono i  semi e i germogli che renderanno, un giorno, possibile questo tipo di futuro, se non verranno estirpati prima. Non ho la certezza che le cose andranno per il meglio, ma ne ho la speranza e tanto mi basta per accettare il mio destino.”

Galahad era rimasto molto colpito da quelle parole e da quella visione del mondo: non aveva mai visto le cose in quella maniera, eppure l’idea che ci fosse continuità tra l’umano e il sovrannaturale gli pareva perfetta.

Il cavaliere disse: “Sono sicuro che Artù e i compagni della Tavola Rotonda continueranno la tua missione. Riferiremo loro le tue volontà.”

“Non lo farete. Purtroppo è giunto al termine anche il regno di Artù e della Tavola  Rotonda e voi non li rivedrete più.”

“Cosa?!” esclamò Melissa, afflitta, rattristata non tanto per la caduta del regno, ma per il non poter rivedere e riabbracciare il padre.

“Quando lascerete Brocelandia, inizierete l’avventura forse più importante della vostra vita, finora. Quando tornerete, Camelot non esisterà più.”

“L’avventura può aspettare!” esclamò Galahad “Io difenderò il re.”

“Se rifiuterai la missione, essa non si offrirà più a te, perderai la tua grandezza e la tua virtù, non riuscirai a salvare il regno e forse nemmeno la vita. Credetemi, il fato di Camelot ormai è segnato: non esiste più alcun futuro in cui essa sopravviva. Quando scoprirete le sue sorti, ne soffrirete, ma sicuramente meno rispetto a quanto patireste vivendo la sua caduta. Perderete molto comunque, ma se tornerete a corte e non vivrete la missione che vi aspetta fuori dalla foresta, perderete le cose più preziose che avete.”

“Che cosa sarebbero?” chiese Galahad, perplesso.

“La vostra identità. Vivere la caduta di Camelot vi scuoterebbe completamente, vi rivolterebbe e, se sopravviverete, non sarete più quelli di adesso, ma una versione sconfitta dal dolore e dall’ira. La seconda cosa che perderete sarà l’appartenenza l’uno all’altra. Ciò che si prepara sarà in grado di distruggere l’affetto che vi unisce.”

Galahad, tra il sofferente e l’indignato, domandò: “È cosi debole il nostro affetto? E sono così facili da manipolare le nostre personalità?”

Merlino ribadì: “Non è una guerra comune quella che sta per avvenire. Eris scenderà sulla Terra e possiederà gli uomini. Sta per accadere qualcosa che segnerà una frattura insanabile nella storia … insanabile no, ma vi vorranno molti secoli, molto più di un migliaio d’anni, per rimarginarla. Logres sarà considerato leggenda e i suoi eroi non verranno più considerati uomini, ma personaggi del mito. Quasi tutti i futuri che vedo restano con questa ferita aperta, ma ne vedo qualcuno in cui si vede la cicatrice, ma il male è stato sanato. In questi sporadici futuri in cui l’armonia si raggiungerà, c’è un fattore comune, come fosse un elemento necessario per la loro esistenza e venuta in atto.”

“Quale?”

“Voi due. Voi due come siete adesso o quasi: uniti. Le vostre anime, le vostre menti e i vostri cuori sono come fossero uno solo, diviso in due corpi. È come se l’Uno avesse avuto bisogno di scindersi in Due per poter agire. Separati, ma connessi. La caduta di Camelot, ribadisco, sarà una frattura nella storia e vi allontanerà irreparabilmente l’uno dall’altro se la vivrete in prima persona. Non respingete la prossima missione che si offrirà a voi, essa è la più nobile e se la rifiuterete, rimarrà incompiuta in eterno, temo.”

Galahad aveva ascoltato attentamente e, pur trovando incredibili molti dei fatti che aveva udito, non si sentiva in grado di poter giudicare errato l’operato di Merlino: si fidava del Mago e avrebbe seguito il suo consiglio circa ciò  che fosse meglio per il mondo.

Vi era qualcosa, però, che non gli tornava e chiese: “Hai detto che occorreranno molti più di mille anni per riparare il danno che sta per essere causato, ma hai detto anche che quei futuri saranno possibili solo se io e Melissa non ci lasceremo separare. Dunque le nostre azioni adesso, avranno una ripercussione così importante attraverso il tempo?”

“Lascia un poco i mistero, amico mio. La missione che ti aspetta, ti chiarirà come sarà possibile per voi influenzare il futuro. Ad ogni modo, quando avrete concluso la missione, cercate Pelleas e la sua Biblioteca.”

“Sopravvivrà alla caduta di Camelot?”

“Certamente. Esiste da più di cinque secoli e durerà in eterno … almeno in molti futuri.”

“La Biblioteca, dunque, è giusta? Possiamo fidarci di Pelleas?”

“Perché dubiti, Galahad?”

“Non lo so … quell’uomo mi pare nascondere molte cose, non è sempre sincero, tende a manipolare le persone e i fatti … almeno nella mia impressione.”

“Penso sia un atteggiamento naturale per chi ha vissuto così a lungo. Avere un’esperienza di cinquecento anni ti porta a soppesare molto le informazioni da confidare a chi la storia non l’ha vissuta. Pelleas è un buon uomo, conosce l’importanza dell’equilibrio e ha la buona intenzione di mantenerlo … l’unico problema è che potrebbe essere tal volta confuso circa quale sia il giusto equilibrio da rispettare. Rischierà di diventare, in futuro, come una madre iperprotettiva che tiene i figli in una campana di vetro, recando loro del danno, pensando di fare il loro bene. Cerca di ricordartene e di agire di conseguenza.”

Galahad annuì, restando assorto nelle proprie riflessioni su tutta quella vicenda.

Merlino, allora, si rivolse alla discepola: “Melissa, per quanto riguarda te, vorrei affidarti questo luogo e il mio sapere. Vorrei che Brocelandia fosse la tua casa e che ti prendessi cura di lei come ho fatto io. Non costantemente qui, ma essere qua quando è necessario, soprattutto per il tuo spirito. Vorrei che tu fossi la mia erede. Pochi futuri si profilano per me, data la decisione che ho preso, cercherò di realizzare quello che mi permetterà, pur imprigionato, di farti udire la mia voce, almeno quando sarai vicino alla mia prigione, così da poter ancora guidarti, quando ne sentirai il bisogno. Sei d’accordo di accettare questa eredità?”

“Come si potrebbe rifiutarla? Dimmi, però, perché riponi questa fiducia in me? Non sono la migliore dei tuoi allievi. Morgana è senza dubbio la più potente e qualificata.”

“Sì, è più potente, ma sai bene che la magia non è semplicemente potere. Morgana è già lontana dall’equilibrio, la sua mente è avvelenata da alcune delle passioni più comuni nei viventi. Non c’è nulla di male in ciò, ma non la rende adatta a ricevere la mia eredità. Inoltre, le sorti di Camelot la trasformeranno ulteriormente.”

I due giovani rimasero presso Merlino un paio di giorni che cercò di trasmettere loro tutte le conoscenze, soprattutto filosofiche, che riteneva necessarie affinché portassero a termine il suo progetto; oltre a ciò consegnò ufficialmente le chiavi metaforiche di Brocelandia e la sua eredità a Melissa.

I due amici lasciarono il mago con amarezza: sapendo ciò  che stava per accadere e sapendolo inevitabile, non potevano certo essere allegri, ma solamente sopportare il peso di ciò che avevano appreso, in attesa di scoprire come sarebbero andate esattamente le cose.

   
 
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