Galahad galoppò per due
giorni, sostando solo poche ore, il minimo indispensabile: Brannon
era un ottimo cavallo e, come il suo padrone, non necessitava di molto
riposo per poter dare il meglio di sé.
Procedevano all’interno di una foresta e non incontrarono nessuno, benché il
giovane avesse notato le tracce della presenza di qualcun altro. Durante la
mattina del terzo giorno, Galahad udì l’avvicinarsi,
dalla parte opposto la sua, del rumore di zoccoli di un cavallo al trotto, non
potendo avere una visuale di chi si stesse avvicinando, a causa delle curve e
della fitta vegetazione, si tenne pronto ad ogni evenienza. Avanzò cautamente e
alla fine si ritrovò faccia a faccia con Melissa.
La
maga era su un baio rosso e si teneva ben stretta quella che evidentemente era
una spada avvolta in stracci. La giovane fu sorpresa, ma felice di vedere
l’amico; arrestò il cavallo e scese per essergli più vicino e, sorridendo,
domandò: “Galahad! Che cosa ci fai qua?”
Il
cavaliere scese di sella a propria volta per abbracciarla e rispose: “Quando mi
han detto che eri andata a cimentarti in un’impresa da cui nessun eroe è
tornato indietro, beh ho pensato di venire a sostenerti, darti una mano … ma
vedo che te la sei cavata egregiamente da sola. È quel che penso io?” domandò,
indicando gli stracci.
“Sì,
è Claìomh Solais. I Tuatha De Danann me l’hanno
prestata volentieri.”
“Evidentemente
i cavalieri hanno completamente sbagliato approccio.”
“Ai
Tuatha non piace essere derubati dei loro, ma sono
persone estremamente ragionevoli, stanno progettando di trasferirsi in
Irlanda.”
“L’isola
di fronte? Temo troveranno difficoltà: è abitata da una specie umanoide anfibia
assai bellicosa, sanguinaria e ostile.”
“Non
credo avranno troppe difficoltà, con questa spada, la lancia di Lug e il loro calderone sempre pieno di cibo, un po’ come
una cornucopia. Sai, sembrano molto raffinati e la loro magia è elegante e
sofisticata, non avevo mai visto nulla del genere. Mi è parso di capire che
questa non sia la loro terra d’origine,
ma che siano giunti qui in nave, da isole del nord. Abbiamo veramente
poche informazioni su di loro e, spesso, sono sbagliate.”
“Per
come ne hai parlato, mi sono venuti in mente gli Iperborei. Sono leggendari,
chissà se c’è qualche collegamento.”
I
due amici rimontarono a cavallo e assieme si avviarono verso la Torre Dolorosa,
continuando a discorrere. Il giorno seguente, mentre tutto pareva continuare
tranquillamente, Brannon cominciò a mostrare
inquietudine: era restio ad avanzare, si impennava senza motivo o nitriva,
sputando fiamme tutt’attorno, rischiando di incendiare la foresta.
“Non
capisco che cosa gli sia preso.” commentò Galahad,
cercando di tranquillizzare il destriero “Non si è mai comportato così, non
senza motivo, almeno … lo sai anche tu. Sembra che ci voglia avvertire di un
pericolo, ma qui non c’è nessuno. Sono ore che continua, non vorrei stesse
male.”
“Se
non ti ha mai tradito e non si è mai sbagliato, forse dovremmo dargli fiducia
anche questa volta.”
“Credi
che abbiamo a che fare con nemici invisibili, spettrali o demoniaci? Non siamo
molto distanti dalla Torre Dolorosa, ma speravo di non imbattermi negli
scherani di Mardoc, prima del nostro arrivo. Abbiamo
un modo per farli uscire allo scoperto?”
“Dobbiamo
prima scoprire di cosa si tratta.”
“Giusto.
Facciamo un rituale di individuazione ed identificazione?”
“Facciamo? Ti ricordi ancora?”
“Certo,
tu me l’hai spiegato e io l’ho memorizzato.”
“Sono
passati più di cinque anni e da allora hai sempre combattuto nell’assedio della
Torre Dolorosa, senza avere la possibilità di mettere in pratica altro che non
fosse l’arte della guerra.”
“Il
fatto che non ne abbia avuto bisogno, non significa che abbia dimenticato.
Allora, proviamo?”
“D’accordo.
Prepara la scodella con l’acqua ed energizza una barra di ferro; io penserò a
trovare la zona più adatta e poi purificherò l’acqua e l’aria.”
Poco
dopo, entrambi erano seduti sul prato, messi uno di fronte all’altro con in
mezzo una ciotola d’acqua; Galahad stava imponendo le
mani sopra la scodella, mentre Melissa agitava la bacchetta di ferro vicino
all’acqua, ripetendo una brevissima formula più e più volte, tuttavia non
accadeva nulla.
“Che
cosa succede?” domandò il cavaliere, dopo alcuni minuti “Ci sono delle
interferenze?”
“Sì
e molto potenti. Il fulcro è distante, eppure riesce a impedirmi di proiettare
la mia volontà nell’etere e usare la magia, neppure questa che è mezza
ritualistica e, quindi, molto semplice. Riesco a connettermi con le energie
sottili, ma non ad interagire attivamente con loro.”
“Niente
magia, quindi.”
“Non
per me.”
“Brannon se ne era accorto.”
In
quel momento la Maga venne afferrata da una forza invisibile, trascinata ad
alcuni metri d’altezza e poi fu trainata in una precisa direzione che non era
la Torre Dolorosa.
“Melissa!”
gridò Galahad, scattando in piedi e pronto a balzare
a cavallo.
“Aiuto!”
gridò la donna.
Il
cavaliere era già in sella a Brannon e non aveva bisogno
di speronarlo furiosamente: il destriero era già partito al galoppo sfrenato,
inseguendo la giovane rapita. Andò talmente rapido che, nonostante rimase un
poco indietro, non la perse mai di vista, finché la Maga non venne riportata a
terra.
Galahad recuperò
facilmente il chilometro che lo separava dal punto in cui aveva visto atterrare
l’amica. Giunse in fretta e furia in quella radura e vide Melissa legata ad una
specie di altare, mentre in piedi si trovava un essere umanoide, non troppo
deforme. La creatura con un artiglio solcò un taglio sulla guancia della
ragazza, poi con la lingua biforcuta leccò il sangue, bevendolo.
Galahad, pur da
lontano, notò che sull’altare in pietra era incisa una canaletta di scolo e
sotto di essa un’ampolla grossa quanto un secchio era pronta per essere
riempita: evidentemente l’umanoide aveva intenzione di uccidere la donna e
raccoglierne tutto il sangue in un recipiente.
Sull’altare,
oltre a un coltello forse rituale, era appoggiato anche uno strumento adatto
per estrarre il midollo dalle ossa.
Il
cavaliere non perse tempo e in un attimo fu addosso alla bestia che reagì
prontamente. La creatura si alzò in volò e sputò una fiammata contro il giovane
che si riparò dietro lo scudo, per poi agilmente salire in piedi sul dorso del
cavallo e, con la spada, colpire i piedi del mostro. Costui allora provocò un
grosso vento, ma il cavaliere non cadde, anzi, spiccò un balzo e, afferrate le
caviglie dell’umanoide lo trascinò a terra. Combatterono dunque a piedi: l’uomo
con la spada e lo scudo, la bestia con artigli grossi come accette e una pelle
dura come il diamante e, ogni tanto, sputava fiamme o scaricava piccoli
fulmini. Galahad, allora, si accorse che ogni volta
che la creatura stava per usare la magia, le brillava d’azzurro una pietra
incastonata nel mezzo della fronte; dunque si impegnò per gettare al suolo
l’avversario, tenerlo fermo a terra il tempo necessario per colpire con l’elsa
e tutta la propria forza la gemma. Vi riuscì. La pietra si crepò e andò in
frantumi e la bestia morì all’istante.
Galahad, assicuratosi
che non ci fossero altre sorprese, rinfoderò la spada e corse a sciogliere le
corde che tenevano legata Melissa che, una volta libera, si gettò tra le sue
braccia e lo strinse più forte di qualsiasi altra volta.
“Tranquilla,
dovrebbe essere tutto passato. Era quel coso che ti inibiva la magia.”
“Sì.”
“Che
cos’era?”
“Non
ne sono certa: stacchiamogli la testa e portiamola a Merlino, ne sarà
interessato. Grazie mille.”
“Dovere.”
Galahad mozzò la testa
della creatura: ora il corpo non era più inscalfibile.
I due giovani passarono un paio d’ore per ritornare sulla giusta strada e
recuperare il cavallo della donna e, per fortuna, anche la spada magica.
Proseguirono il cammino e a sera si accamparono e mangiarono qualcosa.
Galahad aveva deciso di
montare la guardia per tutta la notte, non avendo paura di perdere qualche ora
di sonno. Sedeva e si guardava attorno.-
Ad
un tratto Melissa gli si avvicinò, era completamente svestita se non per una
leggerissima veste senza maniche e poco accollata, che le scendeva a mala pena
fino a metà delle cosce. Si mise in ginocchio davanti all’amico e lo guardò
senza dire nulla.
Galahad fu sconcertato
e perplesso, poi voltò il capo da un’altra parte e con rimprovero la esortò:
“Vestiti e dormi.”
“Una
parola solamente.” lo supplicò lei.
“Cosa?!”
replicò lui, seccato e sempre guardando altrove.
Melissa
si mise di nuovo davanti a lui e gli disse: “Sono sette anni, ormai, che ci
conosciamo e praticamente non abbiamo quasi passato un giorno senza che ci
vedessimo, senza che vivessimo una qualche avventura fianco a fianco o che ci
trovassimo a riversare l’uno, nell’altro le emozioni, i pensieri e l’esperienze
del giorno trascorso. Tutto ciò che è di mio, io l’ho trasmesso e affidato a
te. Non è stato un colpo improvviso, come quello che cantano i poeti, nessuna
freccia mi ha colpita accendendomi d’un tratto un fuoco di paglia. No. Vivendo
e condividendo con te gioie, difficoltà, grandi e piccole vittorie o delusioni
… la sorte tal volta ci ha sorriso, altre ci ha sottoposti a prove, ogni volta
diverse, ma sempre con una costante: eravamo assieme. Giorno dopo giorno si è
formato un braciere di quelli che possono essere sepolti dalla cenere, ma che
continuano ad ardere per mesi e mesi. Il mio cuore, la mia mente e la mia anima
ti appartengono da lungo tempo. Dimmi, li ho forse affidati a un non adatto
custode che non ha ricambiato il pegno?”
Galahad sorrise per
quelle parole: lo scaldavano pienamente. Eppure non sapeva cosa rispondere, non
sapeva come accogliere quella dichiarazione, né che cosa dovesse fare. Riuscì
solo a sussurrare: “No.”
“No,
cosa?”
Il
giovane fece uno sforzo e ammise: “Ciò che tu hai donato a me, io l’ho donato a
te. Perché mi parli così, ora?”
“Perché
da troppo tempo me lo tenevo dentro. Con una guerra in corso, non mi pareva mai
il momento adatto per rivelarti il mio cuore … ma oggi … ho temuto di morire e
allora mi sono detta che non avrei voluto più vivere un giorno di più
nascondendo i miei sentimenti. Fa male amare e doversi limitare, avere paura a
manifestarlo. Questo era l’unico segreto che c’era tra di noi ed è stato giusto
abbatterlo.”
“Melissa,
sei sicura di quel che hai detto, oppure è stata appunto l’emozione e il
terrore di oggi che ti hanno fatta parlare.”
“Dubiti?!”
si offese lei.
“Voglio
essere certo che il tuo parlare sia libero da condizionamenti. Non è onesto
approfittare della gratitudine di qualcuno.”
Melissa
corrucciò la fronte e replicò: “Ogni parola che ti ho detto stasera, l’ho
studiata nella mia mente per mesi, assieme a mille altre che in forma diversa
avrebbero espresso lo stesso desiderio. Tu, piuttosto, sei freddo e distaccato
come mai lo sei stato prima d’ora. Perché? Hai mentito per non recarmi dolore,
oppure ammettere questo sentimento ti terrorizza?”
Galahad appoggiò le
proprie mani sulle spalle della ragazza, la strinse e le disse: “Non so perché
tutto questo mi blocca e mi confonde, ma sono certo che non voglio separarmi da
te e che con te voglio affrontare la vita. Per ora, però, ci basti questa certezza.
Scambiamoci una promessa di ciò che sarà in futuro, ma non macchiamo questo
momento con ciò che non è onorevole. Io ti prometto che, quando i tempi lo
consentiranno, io ti sposerò.”
“E
io ti prometto che ti aspetterò … sperando che tale tempo giunga presto: ho
ventitre anni, ormai sono vecchia per il matrimonio.”
“Nella
fretta spesso vi è l’errore; l’attesa è consacrazione.” Galahad
diede un bacio sulla fronte all’amica e le disse “Ora vestiti e riposa.”
Melissa
obbedì, non certa di doversi sentire delusa. Il cavaliere continuò a fare la
guardia, domandandosi come mai si sentisse così scombussolato: forse perché
fino a quel momento aveva sempre dato per scontato che lui e l’amica non si
sarebbero mai lasciati, senza rendersi conto che ciò significava amore? Forse
perché prima d’ora non aveva mai pensato al matrimonio? Eppure una famiglia
felice e normale era ciò che desiderava da sempre. Temeva che il non aver avuto
una famiglia vera e propria da bambino gli impedisse di saperne gestire una da
adulto? Forse aveva paura che la realtà stridesse coi suoi sogni e le sue
illusioni e, peggio ancora, di essere lui stesso la causa del fallimento?
Era
certo che non avrebbe trovato facilmente una risposta, così come era certo che
non indulgere ai piaceri della carne quella notte fosse stata una saggia
decisione.
Ripreso
il viaggio il giorno dopo, giunsero alla Torre Dolorosa quando la notte era già
calata e molti cavalieri si erano già ritirati nelle proprie tende per dormire.
I due amici decisero di andare immediatamente da Merlino e gli riferirono
dell’aggressione, mostrando la testa del mostro.
Il
Mago la scrutò e disse: “Dunque aveva una gemma incastonata nella fronte?
Pessimo.”
“Di
cosa si tratta?” domandò Galahad, con apprensione
“Che bestie sono?”
“Nulla
che la natura, neppure quella magica, abbia deciso che debba esistere. Credo
che ci troviamo davanti ad un costrutto: un essere creato dall’assemblaggio di
parti di corpi di viventi e parti artificiali, a cui si infonde vita e potere,
tramite la magia. La pietra che hai distrutto era il potere che lo animava. Un
mago o una maga deve aver concentrato molta magia dentro alla gemma e l’ha
inserita nel costrutto in modo tale da renderlo vivo. Il fatto che volesse
raccogliere sangue e midollo significa che gli era stato ordinato di prendere
le parti del corpo maggiormente permeate di energia, che possono essere usate
per pozioni, rituali o per distillare magia da sfruttare in altri modi.”
“Chi
può essere così tanto crudele e incurante della vita altrui?!” domandò Galahad, sconvolto: di tutto ciò che aveva visto e udito
nella sua vita, quella gli sembrava la cosa più abominevole.
Merlino
sospirò e con amarezza rispose: “Temo che tu la conosca piuttosto bene:
Viviana, La Dama del Lago.”
“Che
cosa?!” esclamò ed inorridì il cavaliere “Mia nonna a volte esagera nel
sentirsi potente e ha scarsa considerazione per chi le sta attorno, ma non è
così malvagia o folle.”
“Spero
tu abbia ragione, mi rincrescerebbe scoprire un tale cattivo uso dei miei
insegnamenti. Sarò sincero, con voi. Non arrivano splendide notizie dal resto
di Logres e Artù preferisce non farne parola con
nessuno. Ci sono state alcune razzie da parte di regni vicini e qualche leggera
sommossa, ma queste sono situazione che Mordred
riesce a gestire tranquillamente. Ciò che mi preoccupa è la notizia che si
verificano spesso attacchi a miei discepoli o loro allievi, in questi ultimi
mesi. A volte da parte di altri praticanti di magia, altre volte aggrediti da
bestie come il costrutto che avete affrontato voi, altri semplicemente
scomparsi. Sono quasi venti i morti di cui ho avuto notizia. Morgana sta
cercando di contattare tutti quanti e riunirli, sperando che lo stare uniti li
possa proteggere. Qualcuno sta approfittando del fatto ch’io sia costretto a
rimanere qui; almeno qua ci sono i miei discepoli migliori.”
“Chi
può avercela tanto con noi?” domandò Melissa, incupita.
“Morgana
è persuasa sia Viviana, ma io non ho ancora visto prove.”
“Ecco”
replicò Galahad “Quindi non accusiamo frettolosamente
le persone. Che motivo avrebbe, poi, Viviana di aggredire i maghi di Logres? Non vi sono conflitti in atto tra i nostri paesi.”
“Non
sono i maghi di Logres in generale che vengono presi
di mira, bensì quelli appartenenti alla mia scuola … e non si può negare che
Viviana e il suo Lago abbiano sempre manifestato ostilità e competizione nei
nostri confronti … D’altra parte non vedo perché una guerra tra maghi, se
politicamente i nostri regni sono in pace, anzi alleati.”
Melissa
domandò: “Che provvedimenti prenderai?”
“Dovrò
indagare e approfondire la faccenda, è ovvio, ma non posso neppure abbandonare Artù
in questo momento. Per fortuna avete recuperato Claìomh
Solais, se abbiamo ragione sarà sufficiente per
concludere questa guerra in pochi giorni e dunque potremo poi tornare a Camelot e io dedicarmi a questa nuova faccenda.”
Merlino
aveva avuto ragione: non appena Glavano ebbe tra le
mani la nuova spada, poté facilmente abbattere i due giganti, non perché la sua
bravura fosse aumentata, ma poiché solo la magia di cui era permeata quell’arma
era in grado di impedire la rigenerazione di quegli esseri.
Sconfitti
i due giganti e dunque disperso e dissipato il potere di Mardoc,
fu facile per Artù e i suoi cavalieri sbaragliare il resto delle truppe,
penetrare nel castello e conquistarlo.
Un
mese dopo, il Re, il suo esercito e le prigioniere liberate erano rientrati a Camelot e avevano ricominciato a vivere la loro vita
normale, dopo un breve festeggiamento.
Artù
si ritrovò alquanto oberato di lavoro; Mordred aveva
fatto del proprio meglio per mantenere l’ordine e gestire le difficoltà,
tuttavia molti nobili, dentro e fuori da Logres,
avevano iniziato a creare problemi, cercando indipendenze o nuovi territori,
ritenendo Artù indebolito dalla guerra. Se negli anni precedenti questi
signorotti avevano combattuto separatamente, ora che il Re era tornato al
proprio posto, avevano capito che sarebbe stato meglio allearsi tra di loro, se
avessero voluto realmente ottenere qualcosa. Seguì dunque un periodo di
guerriglia all’interno del regno, simile a quello che aveva caratterizzato i
primi anni di governo di Artù, ma i cavalieri riuscirono a sistemare la
situazione in poco più di un anno.
Durante
quel periodo era capitato che Galahad finisse
prigioniero di Hueil, uno dei quattro nobili a capo di
tale cospirazione. Fu torturato per oltre un mese, ma non gli fu carpita
nessuna informazione. Alla fine fu Lancillotto, a capo di un manipolo di altri
cavalieri, che prese d’assalto il castello e lo liberò.
Galahad aveva resistito
alle torture con grande forza di volontà e lealtà, sempre confidando che non
sarebbe morto lì, ma che in un modo o nell’altro, prima o poi, sarebbe tornato
libero. Quando vide che in suo soccorso era giunto il padre, la gioia che lo riempì aveva dell’incredibile. Suo
padre lo aveva salvato, che cosa c’era di strano? Non era forse un atteggiamento
più che naturale? Sarebbe stato più strano se non lo avesse fatto.
Lancillotto
si era preoccupato per il non ricevere notizie sul figlio, lo aveva cercato,
aveva raccolto informazioni e poi era andato a liberarlo. Nessun buon genitore
avrebbe fatto meno di così.
Eppure
tutto ciò aveva meravigliato Galahad e lo aveva
riempito di felicità e rassicurato. Era come se per tutti quegli anni avesse
vissuto col dubbio di non essere amato dal padre e ora, quel gesto spontaneo da
genitore, glielo aveva dimostrato.
Dunque
Lancillotto non era deluso da lui, non lo considerava un incidente di cui,
tuttavia, sentiva la responsabilità? Evidentemente no. L’affetto paterno era
sincero e totale e Galahad ne era confortato. Si accorse
che, per la prima volta, sentiva che la sua vita non era né un errore, né un’usurpazione.
In fondo, nonostante fosse sempre stato ben accolto da tutti, dal Re e dai
cavalieri, il giovane aveva sempre il timore di essere di troppo o di essere in
un mondo che non aveva calcolato che anche lui esistesse. Galahad
non ragionava su ciò quasi mai neppure con sé stesso, era un pensiero molto
doloroso che lo assaliva nei momenti di solitudine o tranquillità, per questo
cercava sempre di essere impegnato o con le armi o con lo studio. Si riempiva ogni
momento della giornata per impedire a quel
senso di estraneità di coglierlo.
Artù
non era forse suo amico? Lancillotto non lo aveva forse riconosciuto come
proprio figlio, presentandolo al mondo? Certo, eppure ciò non gli dava la
certezza di meritare tutto ciò.
Si
sentiva perennemente in debito col mondo, di dover giustificare la propria
esistenza.
Forse
era per tutto questo che dava sempre il massimo di sé e aveva raggiunto le
vette più alte in virtù, valore, arte di combattimento, studi, saggezza e tutto
ciò che faceva. Forse era per questo che era diventato il cavaliere perfetto. Temendo
di non avere diritto ad esistere, si era prodigato per essere sempre utile.
Questa
consapevolezza, però, era latente nell’animo di Galahad
che, appunto, non ne faceva mai parola né lo ammetteva con sé stesso o voleva
rifletterci sopra. Soltanto una volta si era confidato con Melissa su questa faccenda,
ma si era talmente incupito e innervosito che aveva deciso di non pensarci più.
Per
questo Galahad si era stupito nel vedere Lancillotto
correre in suo aiuto e gliene fu infinitamente grato: gli aveva dimostrato che
aveva diritto a vivere.
Nemmeno
Melissa gli aveva mai trasmesso una simile sensazione; generalmente, quando pensava
all’amica, la vedeva come una gioia che accidentalmente il fato gli aveva
regalato, ma che sentiva di non meritare.
Lancillotto
e il figlio avevano poi assestato l’ultimo colpo che annientò le forze degli
insubordinati o che, per lo meno, li persuase a chiedere perdono ad Artù e
tornare obbedienti vassalli o tranquilli confinanti.
Durante
quel relativamente breve periodo di piccola rivolta, Merlino non era stato
accanto al Re. Il Mago, assai preoccupato per ciò che accadeva ai suoi
discepoli, si era ritirato dalla Corte per indagare sulla faccenda. Non volendo
però lasciare sguarnito Artù dal punto di vista magico, aveva affidato tutti i
propri compiti a Melissa che, oltre ad essere diventata un’abile Maga, aveva la
fiducia del Re e della Corte, essendo figlia di Galvano. Per svolgere tale
incarico, dunque, la ragazza non aveva accompagnato Galahad
in quelle imprese di ristabilimento dell’ordine.
Ritornata
finalmente la pace in Logres e trascorsi altri mesi
senza alcuna notizia di Merlino, Artù cominciò a preoccuparsi per la sua
assenza e così un giorno Galahad e Melissa si
offrirono per andare a cercare il Mago e, se non convincerlo a tornare
indietro, almeno poter rassicurare tutti circa il fatto che stesse bene.
Non
avevano indizi circa dove Merlino si trovasse, per cui decisero di recarsi
innanzitutto nella foresta di Brocelandia: un bosco
considerato sacro dai pagani e abitato da creature fatate di varie razze che,
straordinariamente, vivevano in un’unica società. Normalmente, infatti, le
creature, pur mescolandosi spesso tra di loro e con gli umani, politicamente e
amministrativamente erano divise per specie. Poteva dunque capitare che
centauri e ninfe abitassero in villaggi vicinissimi, ma entrambi avevano un
proprio governo, proprie regole, tradizioni e così via. Questo valeva per ogni
altra razza, ovviamente. L’unica eccezione di cui si aveva notizia era appunto
la foresta di Brocelandia in cui Merlino era
diventato la massima autorità. Il Mago aveva vissuto lì, dopo il suo incontro con Vortighen
e prima dell’arrivo di Uther a Logres,
poi vi era spesso tornato nei momenti di pace, oppure quando aveva bisogno di
meditare oppure voleva impartire lezioni speciali ai suoi allievi. Benché avesse
trascorso a Camelot molta parte della propria vita,
Merlino considerava Brocelandia come propria casa.
Per
i due giovani era dunque evidente che quello fosse il primo posto in cui
cercare. Arrivati nella foresta, Melissa fece strada verso la capanna in cui
viveva il Mago, poiché vi era già stata in passato; inoltre molte delle
creature l’avevano già conosciuta, per cui non furono diffidenti o aggressive
come invece avrebbero fatto se ad avventurarsi da quelle parti fosse stato un
semplice umano.
Merlino
si trovava effettivamente lì. La capanna in cui abitava era piccola e misera
solo esternamente, poiché una volta varcata la soglia ci si trovava in una
specie di piccolo castello, fornito di vari comfort e con la biblioteca del
Mago, la sua collezione di oggetti magici e il suo laboratorio per i rituali,
con un fornitissimo scaffale di ingredienti.
Merlino
accolse volentieri i due giovani, ma era evidente che l’amarezza lo pervadeva. Offrì
loro un bagno caldo per ristorarsi dal viaggio, poi li invitò a tavola dove mangiarono
abbondantemente e bevvero tisane.
“Sono
contento di vedervi.” disse il Mago “Ho procrastinato a lungo la mia partenza,
poiché desideravo incontrarvi, prima di andarmene.”
“Dove?”
chiese Melissa.
“Non
potevi farci chiamare?” domandò il cavaliere “Oppure passare da Camelot? Sono sicuro che Artù si dispiacerà nel sapere che
sei partito per chissà dove e quanto, senza salutarlo.”
“Lo
so, ma passare a Camelot potrebbe trattenermi più del
dovuto, oppure mutare la mia decisione e così non deve essere. Inoltre ho
voluto mettere alla prova il volere del Destino per verificare se un’altra mia
decisione è appropriata come penso e, evidentemente, lo è.”
“Di
cosa si tratta?”
“Amici
miei, sono felice di avervi conosciuto e sono fiero di ciò che siete diventati.
Ho seguito entrambi fin dall’infanzia e tra tutti coloro che ho osservato nella
mia lunga vita, voi siete quelli che mi infondono maggior speranza per il
futuro.”
“Perché
parli in questo modo, maestro? Sembra che ti stia congedando.”
“Lo
sto facendo, infatti, Melissa. Partirò per la mia ultima missione e non tornerò
più indietro. Mio padre mi ha dato la capacità di conoscere il passato, mentre
il buon Dio quella di vedere il futuro. So che sto andando incontro ad una
prigionia eterna, ma se mi tirassi indietro peggiori sarebbero le sorti che ci
abbatterebbero sul mondo, dunque lo accetto. Tempi tristi incombono comunque
sulla Terra, ma se restassi sarebbe peggio. Me ne vado, sì, ma consapevole che
in questo mondo c’è qualcosa e qualcuno che ancora può salvare l’umanità e la
magia. È sciocco separare le due cose, in fondo non sono due mondi diversi, ma
due aspetti di questo universo in cui tutti noi viviamo. La divisione tra
naturale e sovrannaturale è soltanto nelle nostre menti ed è sbagliatissimo esaltare uno dei due aspetti e disprezzare o
condannare l’altro. La separazione e contrapposizione è male e caos. Io ho
sempre cercato di mostrare che naturale e sovrannaturale non si combattono,
bensì si completano; la missione che mi ero dato era quella di abbattere questa
divisione illusoria e restituire finalmente l’armonia e cooperazione tra la
magia e l’umanità. Devo però ritirarmi prima che ciò si compia. Miliardi sono i
futuri che io posso vedere e coesistono tutti quanti finché i fatti del
presente non avvengono rendendone impossibile qualcuno. Vedo il telaio del
fato: vedo ciò che è stato tessuto finora e tutto ciò che potrebbe essere
tessuto. Vedo mondi senza magia e vedo mondi in cui essa tiranneggia, la
sofferenza e l’errore sono in entrambi, poiché manca l’equilibrio. Vedo anche
la possibilità di convivenza e armonia. Adesso ci sono i semi e i germogli che renderanno, un giorno,
possibile questo tipo di futuro, se non verranno estirpati prima. Non ho la
certezza che le cose andranno per il meglio, ma ne ho la speranza e tanto mi
basta per accettare il mio destino.”
Galahad era rimasto
molto colpito da quelle parole e da quella visione del mondo: non aveva mai
visto le cose in quella maniera, eppure l’idea che ci fosse continuità tra l’umano
e il sovrannaturale gli pareva perfetta.
Il
cavaliere disse: “Sono sicuro che Artù e i compagni della Tavola Rotonda
continueranno la tua missione. Riferiremo loro le tue volontà.”
“Non
lo farete. Purtroppo è giunto al termine anche il regno di Artù e della
Tavola Rotonda e voi non li rivedrete
più.”
“Cosa?!”
esclamò Melissa, afflitta, rattristata non tanto per la caduta del regno, ma
per il non poter rivedere e riabbracciare il padre.
“Quando
lascerete Brocelandia, inizierete l’avventura forse
più importante della vostra vita, finora. Quando tornerete, Camelot
non esisterà più.”
“L’avventura
può aspettare!” esclamò Galahad “Io difenderò il re.”
“Se
rifiuterai la missione, essa non si offrirà più a te, perderai la tua grandezza
e la tua virtù, non riuscirai a salvare il regno e forse nemmeno la vita. Credetemi,
il fato di Camelot ormai è segnato: non esiste più
alcun futuro in cui essa sopravviva. Quando scoprirete le sue sorti, ne
soffrirete, ma sicuramente meno rispetto a quanto patireste vivendo la sua
caduta. Perderete molto comunque, ma se tornerete a corte e non vivrete la
missione che vi aspetta fuori dalla foresta, perderete le cose più preziose che
avete.”
“Che
cosa sarebbero?” chiese Galahad, perplesso.
“La
vostra identità. Vivere la caduta di Camelot vi
scuoterebbe completamente, vi rivolterebbe e, se sopravviverete,
non sarete più quelli di adesso, ma una versione sconfitta dal dolore e dall’ira.
La seconda cosa che perderete sarà l’appartenenza l’uno all’altra. Ciò che si
prepara sarà in grado di distruggere l’affetto che vi unisce.”
Galahad, tra il
sofferente e l’indignato, domandò: “È cosi debole il nostro affetto? E sono
così facili da manipolare le nostre personalità?”
Merlino
ribadì: “Non è una guerra comune quella che sta per avvenire. Eris scenderà sulla Terra e possiederà gli uomini. Sta per
accadere qualcosa che segnerà una frattura insanabile nella storia … insanabile
no, ma vi vorranno molti secoli, molto più di un migliaio d’anni, per
rimarginarla. Logres sarà considerato leggenda e i
suoi eroi non verranno più considerati uomini, ma personaggi del mito. Quasi tutti
i futuri che vedo restano con questa ferita aperta, ma ne vedo qualcuno in cui
si vede la cicatrice, ma il male è stato sanato. In questi sporadici futuri in
cui l’armonia si raggiungerà, c’è un fattore comune, come fosse un elemento
necessario per la loro esistenza e venuta in atto.”
“Quale?”
“Voi
due. Voi due come siete adesso o quasi: uniti. Le vostre anime, le vostre menti
e i vostri cuori sono come fossero uno solo, diviso in due corpi. È come se l’Uno
avesse avuto bisogno di scindersi in Due per poter agire. Separati, ma
connessi. La caduta di Camelot, ribadisco, sarà una
frattura nella storia e vi allontanerà irreparabilmente l’uno dall’altro se la
vivrete in prima persona. Non respingete la prossima missione che si offrirà a
voi, essa è la più nobile e se la rifiuterete, rimarrà incompiuta in eterno,
temo.”
Galahad aveva ascoltato
attentamente e, pur trovando incredibili molti dei fatti che aveva udito, non
si sentiva in grado di poter giudicare errato l’operato di Merlino: si fidava
del Mago e avrebbe seguito il suo consiglio circa ciò che fosse meglio per il mondo.
Vi
era qualcosa, però, che non gli tornava e chiese: “Hai detto che occorreranno
molti più di mille anni per riparare il danno che sta per essere causato, ma
hai detto anche che quei futuri saranno possibili solo se io e Melissa non ci
lasceremo separare. Dunque le nostre azioni adesso, avranno una ripercussione
così importante attraverso il tempo?”
“Lascia
un poco i mistero, amico mio. La missione che ti aspetta, ti chiarirà come sarà
possibile per voi influenzare il futuro. Ad ogni modo, quando avrete concluso
la missione, cercate Pelleas e la sua Biblioteca.”
“Sopravvivrà
alla caduta di Camelot?”
“Certamente.
Esiste da più di cinque secoli e durerà in eterno … almeno in molti futuri.”
“La
Biblioteca, dunque, è giusta? Possiamo fidarci di Pelleas?”
“Perché
dubiti, Galahad?”
“Non
lo so … quell’uomo mi pare nascondere molte cose, non è sempre sincero, tende a
manipolare le persone e i fatti … almeno nella mia impressione.”
“Penso
sia un atteggiamento naturale per chi ha vissuto così a lungo. Avere un’esperienza
di cinquecento anni ti porta a soppesare molto le informazioni da confidare a
chi la storia non l’ha vissuta. Pelleas è un buon
uomo, conosce l’importanza dell’equilibrio e ha la buona intenzione di
mantenerlo … l’unico problema è che potrebbe essere tal volta confuso circa
quale sia il giusto equilibrio da rispettare. Rischierà di diventare, in
futuro, come una madre iperprotettiva che tiene i figli in una campana di
vetro, recando loro del danno, pensando di fare il loro bene. Cerca di ricordartene
e di agire di conseguenza.”
Galahad annuì, restando
assorto nelle proprie riflessioni su tutta quella vicenda.
Merlino,
allora, si rivolse alla discepola: “Melissa, per quanto riguarda te, vorrei
affidarti questo luogo e il mio sapere. Vorrei che Brocelandia
fosse la tua casa e che ti prendessi cura di lei come ho fatto io. Non costantemente
qui, ma essere qua quando è necessario, soprattutto per il tuo spirito. Vorrei che
tu fossi la mia erede. Pochi futuri si profilano per me, data la decisione che
ho preso, cercherò di realizzare quello che mi permetterà, pur imprigionato, di
farti udire la mia voce, almeno quando sarai vicino alla mia prigione, così da
poter ancora guidarti, quando ne sentirai il bisogno. Sei d’accordo di
accettare questa eredità?”
“Come
si potrebbe rifiutarla? Dimmi, però, perché riponi questa fiducia in me? Non sono
la migliore dei tuoi allievi. Morgana è senza dubbio la più potente e
qualificata.”
“Sì,
è più potente, ma sai bene che la magia non è semplicemente potere. Morgana è
già lontana dall’equilibrio, la sua mente è avvelenata da alcune delle passioni
più comuni nei viventi. Non c’è nulla di male in ciò, ma non la rende adatta a
ricevere la mia eredità. Inoltre, le sorti di Camelot
la trasformeranno ulteriormente.”
I
due giovani rimasero presso Merlino un paio di giorni che cercò di trasmettere
loro tutte le conoscenze, soprattutto filosofiche, che riteneva necessarie
affinché portassero a termine il suo progetto; oltre a ciò consegnò
ufficialmente le chiavi metaforiche di Brocelandia e
la sua eredità a Melissa.
I
due amici lasciarono il mago con amarezza: sapendo ciò che stava per accadere e sapendolo
inevitabile, non potevano certo essere allegri, ma solamente sopportare il peso
di ciò che avevano appreso, in attesa di scoprire come sarebbero andate
esattamente le cose.