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Autore: Emerlith    15/01/2016    2 recensioni
Sei un bambino così silenzioso, Severus.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton | Coppie: Lily/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Hymn for the missing
 

 

  




 
Agli occhi tristi e persi di Francesca,
ai silenzi stretti a pugno di Camilla.
Where are you now
Are you lost
Will I find you again
Are you alone
Are you afraid
Are you searching for me?

Red, Hymn for the missing.
 
 
Le falde gelide turbinavano convulsamente attorno ai suoi occhi, in un vuoto bianco.
Brancolando in un buio accecante, balbettando parole confuse, incoerenti, i suoi passi incerti cercavano di avvinghiarsi prepotentemente attorno ai candidi, soffusi ricordi che restavan di Lei.
 
Era la prima neve, la prima neve d’inverno. Un bambino melanconico, un bambino timido, impacciato. Questo rammentava delle frasi di sua madre, accanto alla finestra, mentre scrutava attraverso le falde –che nel suo sguardo apparivano pesantissime.
 
Va’ a giocare, Severus. Sei un bambino così silenzioso, Severus.
 
Così usciva al freddo, i guanti di lana bucati. Tremando convulsamente correva verso il parco, verso quelle altalene sgangherate, tenute su a malapena da corde sottili, ma meno vicine dallo spezzarsi di quanto già non fossero quelle che reggevano lui; figlio di un burattinaio distratto, mai avrebbe trovato ritmo ai suoi passi.
 
Al dondolio triste delle altalene le falde gelide turbinavano convulsamente attorno ai suoi occhi, neri in un vuoto bianco.
 
Il pettirosso era ogni giorno puntuale, arrivava al seggiolino per primo e così, in un muto e tacito accordo lui restava a guardarlo, i respiri mozzati dal gelo e dalla paura di vederlo volar via troppo presto. Accarezzato dai fiocchi di neve, era come lei: una creatura fragile, eterea, estranea alle meschinità dei burattinai che giocavano intrecciando i fili del mondo.
 
Lui l’aspettava, aspettava il guizzo dei suoi meravigliosi occhi verdi, aspettava la comparsa della folta chioma rossa sullo sfondo accecante di tutto quel bianco.
Seduto ai bordi della strada –non conosceva che quella, seduto ai margini di una vita già troppo ingiusta, sapeva già quale sarebbe stato il suo compito: aspettare. La sua intera vita in cambio dello scalpiccio dei suoi passi, del richiamo accorato della sua voce.
 
Perché, come per il bordo della strada, di vita non conosceva che quella, dove vi era caduto il riflesso smeraldo degli occhi di Lily, e nel riverbero di quel riflesso lui vi aveva posto l’unica cosa che ancora non sapeva di possedere: l’Anima. Così sarebbe stato per sempre; lo sarebbe stato anche allo sciogliersi dell’ultima neve di primavera, e all’ultimo batter d’ali del pettirosso.
 
La sua anima avrebbe vissuto nello spaccato di mondo che erano gli occhi di Lily, in quello spaccato di mondo lui avrebbe conosciuto ogni battito, ogni sussulto, ogni dolore e ogni scia di rimpianto che avrebbe poi seguito il suo passo stancamente trascinato sul ciglio di altre strade, verso altri luoghi e altri volti, volti privi di colore, stupore, privi di una qualsiasi bellezza.
 
Sei un bambino così silenzioso, Severus.
 
Non avrebbe mai saputo trovare ristoro al fiume di parole che invece gli scorreva dentro. Avrebbe patito serrando i pugni e le labbra, ad ogni sorriso di lei, rivolto ad altri spaccati di mondo, ad altri volti misconosciuti, inutili presenze a far da ritocco ad un esistenza che a lui, senza lei, sarebbe sempre apparsa vana, sconfinata e miseramente vuota.
 
E nei ritagli dei suoi ricordi si sarebbe accoccolato, raggomitolato proprio come un bambino accanto alle braci di un focolare, un bambino così silenzioso –un bambino che aspetta, aspetta posato sul pavimento, leggero come le falde che ama tanto, piuma strappata alle ali di angeli poco accorti, che permettono ad un pettirosso su un’altalena di cadere nel fango, e agli occhi di Lily di chiudersi, e non essere nulla più.
 
Note dimenticate, note stonate da un pianoforte cacciato nell’angolo buio di una soffitta.
 
Sei così silenzioso, Severus. Va’ a suonare, suona quel piano.
 
Trasformare in musica quello che frasi non avrebbero mai saputo comporre. Nascondere in ogni nota un singulto, in ogni singulto un barlume, un ricordo, un gesto, la delicatezza e la morbidezza delle sue mani. Le sue mani che accoglievano tutto, le sue mani che, quel giorno lontano, avevano accolto il povero pettirosso e lo avevano sistemato in un giaciglio di rami secchi e di erica sempreverde –così, aveva detto, avrà finalmente anche lui un posto dove rifugiarsi.
Un posto nel mondo. Un posto, per sempre.
 
Sei così silenzioso, Severus.
 
Lui non lo avrebbe avuto mai un posto nel mondo, un posto per sempre, un posto per Lei. Lo avrebbe sfiorato soltanto per un attimo, il suo per sempre, e sarebbe rimasto inchiodato lì, in quel barlume sfuocato di nulla, nel confine sottile di un sogno a occhi aperti.
 
Sei così silenzioso, Severus.
 
Le labbra a pochi centimetri dalle sue. Labbra di cui non avrebbe potuto mai scordare il sapore, labbra assaggiate per sbaglio, eccola, ecco la ragione per la quale aveva sempre aspettato –morire lì, sul ciglio del precipizio delle sue labbra. Agonizzante, tremante, anima spersa e mai reclamata.
Le rade efelidi sul suo viso, avrebbe potuto contarle. La linea flessuosa della sua schiena, il cadenzare ritmico dei suoi passi: la melodia dimenticata lassù, posata sulle corde di quel pianoforte.
 
Far l’amore con lei, l’ultima neve di primavera.
Sei così silenzioso, Severus.
 
Perché non parlava mai; non avrebbe mai parlato. Era lei ogni suo pensiero, lei la sua stessa essenza, il suo stesso respiro: il ripiego delle ciglia sulle guance l’unica ombra che avesse mai accarezzato, il rivolo delle sue lacrime l’unico che gli avesse mai procurato ristoro, le sue parole le uniche cui avesse mai trovato un significato, nascosto fra gli spazi bianchi della sua calligrafia imbrattata d’inchiostro scuro fra le righe di un foglio accartocciato, poi fatto a pezzi, poi gettato tra le fiamme che mai avrebbero smesso di consumarlo e cui avrebbe sempre anelato, bambino gettato sul pavimento dalle assi spaccate, bambino tremante con le braccia tese verso le braci del focolare.
 
Sei un bambino così silenzioso, Severus.
 
Il pettirosso riposa e l’erica silenziosamente ne custodisce il sonno perpetuo.
Le falde gelide turbinano convulsamente dentro ai suoi occhi, neri e perduti, ora per sempre, in un vuoto bianco.
Le dita sottili stringono la rosa con forza, sangue stilla silenziosamente a macchiare quell’inconfessabile segreto, malcelato, bistrattato, foglio accartocciato e gettato nelle braci, nel fango sporco –fiori nel fango, fiori cui manca il respiro.
 
Non respira il mio amore per te; mai ha respirato, mai potrà farlo. È perduto, in questo vuoto bianco, turbina convulsamente tra le falde gelide che non sanno, mai sapranno parlare al mio posto, parlare a te, per te. Mai avrà voce, la mia voce. Mai parole le mie parole.
Mai cuore, il mio cuore.
 
Sei così silenzioso, Severus.
 
Chiodi infilzati in staccionate delimitanti la tua incommensurabile mancanza, alberi ricurvi, divelti dal peso della mia crudele condanna.
Bugie, bugie spezzate all’ultimo battito d’ali –lo sfiorarti ancora una volta e per sempre, qui, una lapide nella terra fredda, nella terra sterile, avvinghiato prepotentemente ai confusi, immortali e dannati ricordi che restan di Te.
 
Sei così silenzioso, Severus. 
     
  
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