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Autore: Princess of Dark    17/01/2016    2 recensioni
Per Sara la vita in casa Wilson non è facile perché ogni giorno deve scontrarsi con i suoi fratellastri:
Alexander, di cui un tempo è stata segretamente innamorata e che sembra provare disgusto nei suoi confronti, il sadico Darren che si diverte a stuzzicarla di continuo, il piccolo Jeremy completamente pazzo di lei.
Ma tutto cambia alla morte del padrino, quando per ricevere l'eredità i fratelli sono costretti a rispettare un'impossibile clausola...
Dalla storia: "Alexander era completamente diverso da me e insieme eravamo del tutto sbagliati.
Eravamo come due colori bellissimi che insieme stonano.
Alexander ed io avevamo in comune solo una cosa: il cognome."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Mi rigirai nel letto, fissando la sveglia che segnava ormai le otto. Due ore fa Alexander si era alzato per andare a lavoro ed io non ero più riuscita a prendere sonno. Non potevo fare altro che pensare a quello che era successo questa notte…

Alexander Wilson aveva ammesso di aver bisogno di me. Non riuscivo a togliermi dalla testa tutto quello che mi aveva detto. Mi faceva strano starmene lì a dormire con lui, consapevole del fatto che qualcosa era cambiato definitivamente.
«Dai, vieni da me», sussurrò Alexander all’improvviso, come se avesse sentito il rumore che facevano i miei pensieri nella testa. Rimasi immobile dov’ero, senza il coraggio di fare ciò che volevo davvero: stringermi immediatamente a lui e abbracciarlo forte. «Sara?»
«Mmh?», farfugliai. Lui non mi lasciò altra scelta e prese iniziativa: mi circondò con un braccio e mi attirò bruscamente a sé fino a spingermi poi col capo sul suo petto.
«Alex…», sussurrai imbarazzata, sentendo il battito del suo cuore sotto l’orecchio mentre lui continuava a tenermi immobile con una mano tra i capelli
«Restiamo così, per favore».
Anche per tutta la vita, Alex.


Quando la sveglia aveva suonato, avevo avuto come l’impressione che mi fossi svegliata da uno dei miei bellissimi sogni. Alexander accanto a me stava iniziando a muoversi nel letto, farfugliando qualcosa di incomprensibile mente si stiracchiava.
Si era alzato pigramente, aprendo il cassetto per prendere una cravatta e frugando nell’armadio per una camicia pulita, poi l’avevo osservato uscire dalla stanza.
Chissà se qualcosa sarebbe cambiato e se tutto sarebbe tornato come prima. Se così fosse stato, avrei preferito continuare a dormire credendo che fosse un sogno.
E invece no… non si trattava soltanto di un sogno.

«Cerchi questa?», mormorai, porgendogli la cravatta che prima aveva preso e posato distrattamente sul letto. Emise un “ah”, ancora assonnato, e la prese velocemente, annodandola con fare disinvolto da sopra la camicia bianca. Poi si voltò verso di me e mi beccò che lo stavo fissando. Sentii le guance ribollire: stavo… arrossendo?!
«Grazie», disse avvicinandosi a me fino ad appoggiarsi con un ginocchio sul materasso che si piegò sotto il suo peso.
«Per cosa?», mormorai presa dall’agitazione per l’improvvisa vicinanza.
«Per essere restata così tutta la notte», rispose, stampandomi un bacio sulla fronte prima di andarsene.


Un bip mi fece sobbalzare: allungai la mano per prendere il telefono appoggiato sul comodino. Era Jeremy che mi informava che sarebbe passato tra un paio d’ore. Mi alzai, feci colazione, mi diedi una sistemata e tolsi un po’ di disordine in casa.
«Jer!». Appena mise piede in casa gli avvolsi le braccia intorno al collo e lo abbracciai forte. Lui rise e ricambiò l’abbraccio.
«Dio se mi sei mancata», sussurrò tirando un sospiro. «Come stai? Ti vedo di buon umore». Mi osservò per qualche istante e io gli feci un sorriso radioso.
«Non crederai a quello che sto per raccontarti…», sghignazzai impaziente. Osservai che era rimasto un grosso scatolone fuori la porta. «Questo cos’è?»
«Oh, lascia stare è pesante». Mi raggiunse e lo prese prima che potessi provare a sollevarlo da sola. «Agatha ha trovato il coraggio di ripulire lo studio di papà e ci ha trovato un po’ di roba di Alex», mi spiegò, posando lo scatolo sul tavolo. «Ma ora dimmi cosa è successo!». La curiosità di vedere cosa ci fosse dentro fece posto alla fretta di raccontagli ciò che era accaduto tra me e Alexander.
Rivedere Jeremy mi aveva messo di buon umore, era sempre stato così parlare con lui, anche quando eravamo lontani ci sentivamo in continuazione. Lo invitai a restare per pranzo ma lui rifiutò dicendo che doveva pranzare fuori con Camille, che a quanto pare era diventata la sua nuova ragazza, così lo salutai e approfittai del tempo libero per cimentarmi in una nuova ricetta.
Mi arrampicai letteralmente sulla cucina per prendere delle scodelle e una vibrazione per poco non mi faceva cadere. Scovai il cellulare di Alexander accanto alla tazzina sporca di caffè, che si illuminava e vibrava sul tavolo muovendosi di qualche millimetro e tintinnando contro il barattolo di caffè in vetro.
Smise di squillare ed io mi avvicinai per prenderlo: sul display c’era l’icona di due chiamate perse ma per sapere chi fosse bisognava sbloccare il telefono con l’impronta digitale. Alexander doveva averlo dimenticato un secondo prima di scendere.
Un altro squillo mi fece sobbalzare. Il display si illuminò nuovamente e apparve un nome: Angelica.
Avvertii immediatamente un fastidio, come un prurito. Perché lo stava chiamando? Allungai il dito verso l’icona del telefonino rosso, forse era la cosa più giusta da fare. Ma all’ultimo secondo la curiosità prevalse e risposi.
«Finalmente!», squittì lei dall’altra parte del telefono con voce fastidiosa. Solo a sentirla mi veniva voglia di farla a pezzettini e gettarla in un lago. «Alex ci sei?!». Odiavo quando lo chiamava “Alex”, non ne aveva il diritto. Mi schiarii la voce.
«Alex ha lasciato il telefono a casa», risposi freddamente, calcando sul diminutivo che lei così tanto adorava.
«Oh, Sara!», esordì lei con fin troppo entusiasmo. «Che sfortuna, dovevo parlargli urgentemente», aggiunse con tono stavolta esageratamente dispiaciuto. Io la ammazzo.
«Vuoi lasciargli un messaggio? Glielo riferirò», sbottai.
«No, no, chiamerò al suo ufficio. Faresti bene a riportarglielo, per un direttore d’azienda il telefono è di vitale importanza. Ma tu non puoi capirlo», scoppiò a ridere e staccò dopo un “buona giornata”.
«Questa stronza», ringhiai e mi trattenni dallo scaraventare il telefono contro al muro: Alexander non sarebbe stato contento. In effetti c’erano parecchi messaggi ed email in attesa di essere lette: se fosse stato qualcosa di importante?
Guardai affrante gli ingredienti che avevo preparato e alla fine decisi di andare a portargli il telefono:sicuramente avrebbe apprezzato il mio gesto. Quando mi misi in macchina e iniziai a camminare notai con sollievo che non c’era nessuno alle mie spalle: Robert non mi seguiva più da qualche giorno, forse le indagini stavano andando meglio… con tutto il casino che stava succedendo con Darren e Alexander mi ero completamente scordata dei guai in cui la società era immersa e Alexander poteva anche affogare nei suoi guai senza proferire parola, come se tutto ciò non mi riguardasse.
Parcheggiai davanti all’imponente edificio e chiesi informazioni ad una donna su dove potesse essere Alexander. Lei mi indicò il corridoio che portava al suo ufficio ma, poco prima della porta di ingresso, ci trovai un uomo alto e forzuto in divisa che si irrigidì non appena mi vide.
«Mi scusi ma non può passare, il signor Wilson è occupato al momento», mi fermò l’uomo con quelle parole fredde, mettendomi un braccio davanti per non farmi passare. Lo guardai storto.
«Devo solo consegnargli una cosa»
«Mi dispiace è in riunione e non vuole essere disturbato. Mi dia il suo nome, gliela darò da parte sua», insistette.
«Sara Wilson», ringhiai. Lui sgranò gli occhi e tolse subito il braccio.
«Mi scusi signora», mugolò imbarazzato. «Facevo solo il mio lavoro»
«Non si preoccupi», sorrisi disorientata. Non pensavo che la moglie del direttore godesse di qualche privilegio. Arrivai davanti alla porta del suo studio e mi fermai ad ascoltare chi ci fosse dall’altro lato: sentivo Alexander parlare senza riuscire a capire cosa stesse dicendo. Poi la voce di una donna che parlava sopra, con tono duro e così deciso da ammutolirlo. Chi c’era lì dentro?
Mi chinai leggermente e sbirciai dalla serratura: Alexander si stava infilando la giacca, sorridendo alla donna che stava facendo dondolare i suoi tacchi neri dal bracciolo del divano. Lui si strinse il nodo alla cravatta, continuando a dire qualcosa e la donna si alzò tanto da permettermi di vederla in volto: Angelica rideva, scostandosi i capelli dalla spalla prima di alzarsi mettendosi le mani ovunque per aggiustarsi.  Ovviamente era una scusa per avere gli occhi di Alexander piantati addosso. Sentii il sangue ribollirmi nelle vene: non ne potevo più di quella vipera sempre con gli artigli da fuori per strapparmi Alexander.
Ora gli stava persino accarezzando il petto, accorciando troppo la distanza per i miei gusti. E questa era la riunione importante per il quale Alexander aveva chiesto di non essere disturbato?!
Tra tre secondi butto la porta giù, entro dentro e le strappo i capelli da testa.
«Cosa sta facendo?!». Una voce mi fece sobbalzare e il cuore mi salì in gola: urtai con la testa sotto la maniglia ed emisi un grugnito, massaggiandomela mentre mi alzavo. Incrociai un paio di occhi conosciuti.
«Sara, sei tu?». Vincent rise di buon gusto, abbracciandomi come se fossi una vecchia amica. Abbozzai un sorriso imbarazzato, sentendo le guance andarmi a fuoco. Che figuraccia…
«Che ci fai qui?», sdrammatizzai nervosamente, indicando l’ambiente con un gesto.
«Oh, ho delle cose urgenti da dire ad Alexander, non mi ha risposto ai messaggi e ho pensato di fare un salto», fece lui con nonchalance, infilandosi le mani nei pantaloni grigio fumo.
«Ha lasciato il telefono a casa», lo informai, mostrandogli il cellulare.
«Che mogliettina servizievole», sorrise malizioso, accarezzandomi la guancia per lasciarmi un piccolo pizzicotto. Cosa sta facendo?!
In quell’istante si aprì la porta e Alexander incrociò subito i miei occhi, fissando poi Vincent con uno sguardo gelido: tolse rapidamente la mano dal mio viso e se la mise in tasca, schiarendosi la gola per il disagio. Misi il cellulare di Alexander in borsa.
«Oh, Sara», sorrise Angelica sorniona, squadrandomi dalla testa ai piedi. «Vincent», aggiunse sbattendo le palpebre. Vincent ricambiò con un cenno del capo mentre lei faceva la sua sfilata per lasciare il luogo.
«Alex, allora fammi sapere», aggiunse sorridente prima di sparire dietro l’angolo con il ticchettio dei tacchi che rimbombava. Alzai un sopracciglio ma quando mi girai gli occhi di Alexander lanciavano ancora fulmini e saette.
«Posso esservi utile?», borbottò, incrociando le braccia al petto.
«Devo parlarti», dissi con tono abbastanza arrabbiato.
«Già… anch’io… magari passo più tardi», sorrise Vincent capendo la situazione e lasciandoci soli. Alexander attese una mia mossa ed io feci qualche passo in avanti per entrare nella stanza. Lui si fece da parte e richiuse la porta alle mie spalle.
«Che ci fai qui? Sto lavorando», borbottò, avanzando verso la sua scrivania per sedersi sulla sedia di pelle girevole.
«Il tuo lavoro comprende Angelica che si stiracchia sul divano?», feci ironica, scavando nella borsa per cercare il telefono.
«Ci stavi spiando?», sbottò sorpreso e infastidito allo stesso tempo. «Atteggiamento molto maturo!». Ricambiai con un’occhiata gelida. Se c’era una persona infastidita quella ero io.
«Attendevo la tua “riunione importante” per darti questo», virgolettai  con le dita, prima di posargli il telefono sulla scrivania. Lui parve sorpreso e afferrò il telefono.
«Ah, l’avevo dimenticato?»
«Buona giornata», borbottai, girando i tacchi per uscire. Sentii le ruote della sedia strisciare a terra e Alexander prendermi per la vita.
«Ehi», sussurrò, circondandomi con le braccia fino a far aderire il petto contro la mia schiena. Trattenni il fiato, sforzandomi di restare immobile e non sciogliermi in quell’abbraccio. Ero troppo arrabbiata per dargliela vinta, ero stufa di sentirmi così umiliata. Mi sentivo presa in giro e temevo che stesse facendo qualcosa con Angelica alle mie spalle.
«Non dovevi lavorare?», lo ripresi, accennando a camminare. Alexander mi strinse ancora di più.
«Il lavoro può aspettare»
«Non mi sembravi così indulgente prima. Hai fatto mettere una guardia fuori la porta. Avevi paura che ti sorprendessero a fare qualcosa?», ringhiai, strattonandolo per liberarmi dalla sua presa.
«Ma che stai dicendo», rise con espressione sbigottita.
«Il signor Wilson non vuole essere disturbato», borbottai imitando la voce doppia della guardia fuori allo studio. «Per poi vedere Angelica sculettare fuori da qui… che umiliazione!»
«Sara, stai delirando», disse Alexander serio. Conoscendolo, stava iniziando ad infastidirsi, probabilmente perché stavo alzando la voce. «Dovevamo parlare del problema che abbiamo con l’azienda… e lo sai che sono poche le persone che ne sono a conoscenza. Non potevo permettere che qualche orecchio indiscreto sentisse qualcosa»
«E di Angelica invece di fidi», aggiunsi. Sentivo caldo, la pressione mi era salita a tremila: stavo per mollargli uno schiaffo. «Ma vaffanculo», ringhiai, avanzando a grandi passi prima che potesse bloccarmi di nuovo. Alexander corse verso di me e mi prese in braccio, caricandomi sulla spalla come un sacco di patate. Urlai.
«Alexander! Lasciami andare!»
«Stà zitta»
«Giuro che ti spacco tutto!», continuai a sbraitare agitandomi mentre mi portava dietro la sua grossa scrivania. Mi mise giù ed io tornai a respirare.
«Sei una testa di cazzo!». Gli colpii il petto con un pugno, lui mi prese la mano e me la portò bruscamente in basso, stringendola. Poi si avvicinò a me improvvisamente e mi ritrovai immobilizzata tra la scrivania e il suo corpo.
«La smetti di urlare o ti devo imbavagliare?», sussurrò minaccioso, investendomi col suo calore. Potevo a stento guardarlo negli occhi tanto che era vicino al mio viso. Trattenni il respiro sentendo il cuore martellarmi in petto e abbassai gli occhi per fissare le sue labbra serrate. Il suo sguardo divenne improvvisamente più serio e il suo respiro irregolare.
«Alex…», mugolai. Ti prego, lasciami andare o mi farai venire un infarto.
«La tua gelosia…», sussurrò lui sfiorandomi le braccia, «mi fa impazzire». Scostò rapidamente ciò che c’era alle mie spalle sulla scrivania ed emisi un gemito quando mi prese per farmi sedere sul legno freddo. Incollò le labbra sulle mie, portando le mie mani attorno al suo collo ed io misi le mani tra i capelli, tirandoli leggermente mentre assaporavo il suo bacio. Le sue mani si poggiarono prepotentemente sulle mie gambe e salirono sotto la mia gonna. Arrivò all’elastico delle mutandine e mi strizzò avidamente il sedere, afferrandolo per attirarmi a sé e farmi sentire la sua erezione che premeva nei pantaloni.
«Cosa stiamo facendo?», dissi con voce tremolante, ansimando quando le sue labbra si poggiarono sul mio collo, iniziando ad accarezzarlo con la lingua. «Non possiamo qui». Si staccò da me e mi sorrise malizioso.
«Possiamo», replicò con un tono come se fosse un ordine, iniziando a sbottonarsi la camicia. Lo circondagli con le gambe per attirarlo a me e lo aiutai a slacciare i bottoni. Misi le mani sul suo petto liscio e lo accarezzai, poi feci scivolare la stoffa lungo le braccia e lui se ne liberò presto. Mi abbassò le spalline del vestito e con abilità mi slacciò subito il reggiseno, prendendo un seno tra le mani mentre cercava le labbra e giocava con la lingua. Con le mani tremanti gli slacciai la cintura e gli abbassai la zip e lui si chinò su di me per baciarmi il seno. Mi sfilò le mutande e si abbassò le tue. Fremevamo dall’eccitazione, eravamo ancora dei ragazzini l’ultima volta che l’avevamo fatto ed io avevo un po’ paura perché per me era stata l’ultima volta.
«Dimmi che sei mia, che nessun altro ti ha toccato», sussurrò al mio orecchio, attirandomi a sé mentre mi accarezzava la schiena.
«Lo sai», risposi con il viso rosso per l’imbarazzo prima che potesse penetrarmi. Gli morsi le labbra e lui emise un grugnito di dolore misto al piacere mentre si muoveva dentro me. Mi stringeva forte, continuando a baciarmi il collo mentre le mie dita scivolavano sulla schiena, graffiandolo di tanto in tanto. Urlai e lui mi mise un dito sulle labbra.
«Ssh», sussurrò divertito, aumentando il ritmo fino a quando entrambi non raggiungemmo l’apice. Avere Alexander di nuovo tra le mie braccia era la sensazione più bella del mondo. Sentirlo col fiatone, nudo, dentro me, era una sensazione troppo forte.
«Cosa me ne faccio delle altre, non lo vedi come mi fai perdere la testa?», mugolò, accarezzandomi il viso prima di baciarmi. Sorrisi, ricambiando con un altro bacio. «Vorrei restare così tutto il giorno ma dobbiamo rivestirci, ho una riunione», sospirò. Aggrottai la fronte. «Con degli uomini», aggiunse alzando gli occhi al cielo ed io scoppiai a ridere. Si staccò da me e io mi sentii improvvisamente vuota e incompleta senza il suo corpo, quasi imbarazzata della mia nudità. Lui se ne accorse e mi aiutò a rivestirmi.
«Non vergognarti della tua bellezza», mi disse all’orecchio, arruffandomi poi i capelli come se fossi una bambina. Saltai giù dalla scrivania sistemandomi il vestito mentre Alexander si stava infilando di nuovo la camicia.
«Ci vediamo stasera allora», feci io, prendendo la mia borsa.
«Queste non le metti?», mi prese in giro, sventolando le mie mutandine. Sgranai gli occhi accorgendomi solo adesso di essere nuda sotto.
«Vuoi tenerle tu?», lo punzecchiai con un sorriso malizioso. Lui si avvicinò a me.
«Mi piacerebbe molto… ma c’è quel porco di Vincent la fuori che non la smette di mangiarti con gli occhi quindi è meglio che tu le metta… non voglio rompergli i denti», sorrise, porgendomi le mutandine. Le infilai velocemente e lo salutai con un rapido bacio a stampo sulle labbra.
«Alex, allora fammi sapere», dissi con enfasi imitando Angelica. Gli mandai un bacio con la mano e lui scoppiò a ridere, scuotendo il capo.



Ciao a tutte! ^^
Capitolo un po' di passaggio, anche se personalmente lo adoro! Un po' di dolcezza per Alexander e Sara ci stava tutta *-*
Nei prossimi capitoli avremo qualche indizio in più su cosa sta succedendo alla società, spero di non deludervi!
Buona domenica ;)
  
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