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Autore: Ormhaxan    20/01/2016    5 recensioni
Scandinavia, IX secolo. Nella società norrena, molti sono quelli che desiderano il potere, ma pochi sono quelli che lo detengono: Ragnar Loðbrók è il sovrano più rispettato e temuto di tutti e i suoi figli, vichinghi forgiati da numerose battaglie, sono pronti a prendere il suo posto, disposti a tutto pur di salvaguardare il loro onore e il proprio nome.
In una storia che narra di vendetta, di morte, ma anche di amore, si intrecceranno le vite di Sigurd Ragnarsson, Occhio di Serpente, e di Heluna, principessa di Northumbria, figlia dell'uomo che, più di ogni altro, ha osato sfidare l'ira dei giovani vichinghi.
Dal Prologo: "Vedo il serpente strisciare nella tana del cinghiale e la sua prole dilaniarlo, vendicando il proprio nome; vedo un’aquila ricoperta di sangue sorvolare i cieli oltre il mare, un giovane serpente venire addomesticato da una principessa dagli occhi tristi e i Figli del Nord prosperare per mille anni."
Genere: Avventura, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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Riaprì gli occhi e fissò le ombre della foresta sopra di lui.
Aveva sognato di essere un serpente, di strisciare in una stanza semi buia, intrufolarsi tra coperte e pellicce e stringere possessivamente il corpo candido e virgineo di una fanciulla, mentre il suo riprendeva le fattezze di uomo; aveva baciato le sue labbra, gustato il loro sapore, sussurrato parole che non ricordava mentre lei lo guadava con i grandi occhi sgranati in un misto di paura e attrazione.
Avrebbe voluto farle mille domande, una parte di lui avrebbe voluto chiudere le mani attorno al suo collo e soffocarla, mentre l'altra avrebbe solo voluto amarla; avrebbe voluto questo e molto altro, ma il sogno era svanito e lui si era svegliato più bramoso e confuso che mai.
“Chi sei? – si chiese in un sussurro rivolto al cielo – Chi sei tu che ti celi dietro occhi del colore del fondale marino più scuro?”

Un rumore di foglie raggiunse immediatamente le sue orecchie, annunciò il ritorno di uno degli esploratori che il giorno prima lui e Gorm avevano mandato in avanscoperta per avere preziose informazioni sulla città fortificata.
Alle loro spalle stava albeggiando, il bosco da cui si potevano intravedere le mura della città di York stava riprendendo i suoi colori originali, dei colori meno spettrali di quelli che aveva assunto con i freddi raggi della luna piena.
Lasciò il suo posto accanto al piccolo fuoco ormai spento, scattando in piedi, osservando con curiosità la figura dal volto coperto di fango e terra approcciarsi a lui e parlare:
Minn Herra1! – esclamò rivolgendosi al suo signore con rispetto – Le notizie che ci hanno dato sono giuste, la città è quasi del tutto priva di uomini, all’interno delle mura ce ne saranno al massimo cinquecento.”
“Pensi che potremmo farne uscire qualcuno con l’inganno?” chiese Sigurd con voce appena rauca per il sonno ancora presente nella sua mente e sui suoi occhi.
“Se provocassimo un incendio fuori le mura… - azzardò il vichingo – Potremmo provare!”
“Potremmo provare stasera, quando calerà nuovamente la notte, così da poter incombere su di loro senza essere visti e passarli facilmente a fil di spada con l'aiuto delle tenebre.”
Successivamente si rivolse a Gorm, il quale aveva ascoltato in silenzio il piano dell’amico, e chiese: “Cosa ne pensi?”
“E’ rischioso ma potrebbe funzionare. – rispose – Attaccandoli in quel modo, però, perderemo l’effetto sorpresa e dubito che saranno così sciocchi da lasciare i cancelli aperti: sospetteranno immediatamente di una trappola, e forse sarebbe meglio se infiltrassimo qualcuno nel castello, una delle nostre donne.”
“Guthrun e Halla hanno dei lineamenti tipici di questa zona, conoscono abbastanza la lingua degli angli per poter farsi comprendere, e  se trovassimo delle vesti adatte potrebbero facilmente entrare dentro le mura e farci entrare di soppiatto quando la città sarà addormentata.”
“Asbjorn e suo fratello minore hanno preso delle schiave dall’ultima razzia: potremmo prendere i loro vestiti e sotto di questi nascondere delle armi. – propose l’esploratore – Non metteranno mani sotto le pellicce, non se i loro vestiti saranno imbrattati di sangue, se una delle due si fingerà addirittura gravida.”
I tre uomini si scambiarono un sorriso sornione e un’occhiata complice: avevano trovato finalmente il modo per entrare a York: il racconto delle donne circa la ferocia dei vichinghi avrebbe convinto le guardie, la loro disperazione sarebbe stata la loro forza e con astuzia e ingegno dalla loro avrebbero presto banchettato nelle grandi sale di Ælle.



 
**



“Principessa, queste due giovani sono giunte alle nostre mura chiedendo ospitalità, dicono di essere scappate all’attacco dei pagani!”
Uno dei soldati aveva condotto di tutta fretta le due guerriere al cospetto di Heluna, la quale aveva preso posto sullo scranno ligneo di suo padre, di cui avrebbe fatto le veci fino al suo ritorno.
Era la prima volta dalla partenza dell’esercito che si trovava ad adempiere al compito di reggente; era una situazione nuova e la vista di quelle due giovani poco più grandi di lei, vestite di stracci insanguinati e con il volto dipinto dalla paura, le riempì il cuore di pietà e orrore.
“Avvicinatevi, fanciulle, e ditemi i vostri nomi.”
“Il mio nome è Agatha, Principessa, e lei è la moglie del mio defunto fratello, Agnes.”
A parlare fu Guthrun, la quale aveva scelto per lei e la sua amica due nomi cristiani, molto diffusi in quelle terre; fu lei a parlare per entrambe, lei che era figlia di un nobile vichingo e della donna che prima era stata sua schiava e poi la sua amante, una donna che aveva le proprie radici in quelle stesse terre e che le aveva insegnato la sua lingua madre sin da quando era piccola.
“I pagani sono giunti di notte, mentre il villaggio dormiva, hanno ucciso quasi tutti e rubato il bestiame. – continuò con flebile voce – Io e la mia dolce sorella ci siamo nascoste, e quando i vichinghi hanno abbandonato il villaggio siamo sgattaiolate in silenzio dal nostro nascondiglio, trovando la nostra famiglia massacrata.”
Halla si circondò il ventre con entrambe le mani e improvvisò un singhiozzo mal celato: non era la prima volta che vestiva i panni di una contadina indifesa, con il tempo era diventata brava in quella parte, tanto che nessuno più sospettava di lei.
“Agnes è incinta, presto darà alla luce il figlio di mio fratello, e per questo chiediamo umilmente alla nostra gentile e buona principessa di accoglierci tra le vostre mura.”
“La vita non è stata misericordiosa con voi, vi ha tolto i vostri affetti e la vostra casa, ma io non vi negherò la protezione del vostro sovrano: siate benvenute, dunque, e siate libere di mangiare una zuppa calda nelle cucine del castello prima di andar via.”
“Vostra Grazia è troppo buona. – Guthrun, seguita da Halla, fece una riverenza impacciata – Le vostre azioni non saranno dimenticate, verranno udite da molti, di questo potete esserne certa.”


 
**



Due giorni e due notti passarono prima che il segnale di fuoco fosse acceso.
Guthrun e Halla dovettero conquistare la fiducia dei soldati, i quali le guardavano con diffidenza, e solo la notte del terzo giorno osarono sfidare la sorte e agire: con le ombre della notte ad abbracciarle come un morbido mantello, le due norrene prima sgozzarono le guardie, poi alcune sentinelle sulle torri di guardia; infine accesero un fuoco e aprirono una porta laterale delle mura, ingresso questo che permise a un centinaio di uomini esperti e ben armati di intrufolarsi di soppiatto nelle mura della città profondamente addormentata.
Sigurd comandava il manipolo di uomini, i quali si fecero strada, grazie all'oscurità che gli copriva, tra le vie della città e passarono a fil di spada le guardie che incrociarono il loro cammino di morte. Al contrario, Gorm e i suoi uomini rimanevano vigili al confine del bosco, in attesa di un segno da parte dei loro compagni; fu uno dei popolani a dare l’allarme, un uomo dalla schiena ricurva che ferrava i cavalli, svegliando i cittadini e mettendo in allerta le guardie, suonando la campana prima di essere a sua volta ucciso da uno dei guerrieri vichinghi.
Le prime luci dell’alba iniziavano ad illuminare la vallata quando il cancello principale fu aperto, permettendo agli uomini di Gorm di entrare a York, partecipare a quello che fu una carneficina fatta con il sangue di uomini d'arme, e quando il sole fu alto nel cielo quasi tutti i soldati e alcuni nobili erano stati uccisi o presi prigionieri.

Heluna osservò, chiusa nelle sue stanze insieme alle sue dame di compagnia, l’orrore che si stava compiendo e nonostante le forti immagini che si susseguivano davanti ai suoi occhi puri non diede mai segno di debolezza o cedimento: non avrebbe pregato per la sua vita, implorato di essere risparmiata, piuttosto si sarebbe immolata per risparmiare quella della sua gente.
I vichinghi si muovevano feroci, sembravano privi di paura, benché i loro corpi fossero coperti da semplice cuoio bollito e in piccola parte da metallo andavano incontro alla possibile morte con serenità; molti di loro erano persino a torso nudo, sfoggiavano tatuaggi che si estendevano su tutto il corpo, rune antiche di cui la principessa ignorava il significato.
Nulla in loro ricordava la disciplina dei soldati della Northumbria, la disciplina del suo popolo, e finalmente riuscì a capire le parole che spesso suo padre utilizzava per descrivere quel popolo abitante delle lontane terre ghiacciate: dentro di loro sembrava bruciare un fuoco invisibile, una forza degna degli orsi e dei lupi della foresta; le loro urla non erano di paura, ma di rabbia mista a una strana forma di coraggio che rasentava la follia.

“Principessa, dovete nascondervi! – esclamò Judith, la sua fidata ancella – Non devono catturarvi, capire chi voi siate, altrimenti tutto sarà perduto. Permettete a una di noi di prendere il vostro posto, indossare i vostri vestiti, e nascondetevi in una delle rientranze del muro, dietro agli arazzi secolari.”
“Come potrei nascondermi quando il mio popolo viene massacrato?”
“Se vi troveranno uccideranno anche voi: se qualcosa dovesse succedervi l’alleanza sugellata da vostro padre con Osberth svanirà e con essa la possibilità di sconfiggere il nemico e portare pace.”
Le parole di Judith erano vere: lei, Heluna, era la chiave della pace e se fosse caduta nelle mani del nemico tutti i sacrifici sarebbero stati vani.
Per quanto quella decisione fosse difficile, per quanto si sentisse codarda e traditrice nei confronti della sua gente, Heluna accettò e di tutta fretta si scambiò d’abiti con Judith, la quale avrebbe preso il suo posto.
Venne nascosta dietro un arazzo, in una rientranza nascosta della sua stanza, appena in tempo per evitare di essere vista dai vichinghi, i quali entrarono, giusto pochi minuti dopo, prepotentemente nelle sue stanze da letto.

Judith e le altre ancelle sussultarono quando la porta si spalancò, cercarono di mantenere la calma e il decoro degno delle donne quando i vichinghi – due uomini, uno biondo e uno rossiccio, accompagnati da due donne – entrarono e perlustrarono con i loro sguardi freddi come le terre da cui provenivano la stanza.
“Chi di voi è la principessa?”
Fu Sigurd a parlare, Sigurd che sin da piccolo aveva studiato la lingua degli angli e dei sassoni, che aveva avuto come precettori i monaci che suo padre Ragnar aveva riportato come schiavi nel suo regno dopo aver saccheggiato i monasteri, affinché istruissero lui e la sua progenie in cambio della vita e del permesso di adorare il loro falso dio.
Ragnar Loðbrók era sempre stato un uomo diffidente, non aveva mai tollerato che qualcuno mediasse al posto suo con i nemici, e per questo motivo aveva imparato con non poca fatica le lingue dei suoi nemici, costringendo anche i propri figli a fare lo stesso.
“Sono io! – esclamò la ragazza al centro – Sono Heluna, figlia del sovrano di queste terre, Ælle.”
“Lo sarà ancora per poco. – sussurrò con un ghigno Sigurd, che con non poca difficoltà stava riprendendo confidenza con quella lingua allo stesso tempo simile e diversa dalla sua; si avvicinò alla ragazza, la quale stava tremando leggermente, provocandole un urletto strozzato quando afferrò il suo mento con la sua mano incrostata di sangue – Avete un viso regale, Principessa, ma mi perdonerete se non mi fido delle vostre parole.”
Con la coda dell’occhio guardò la donna che era stata Agatha, il cui vero nome era Guthrun, e con quello stesso sguardo le porse una muta domanda a cui lei rispose con un leggero cenno di dissenso.
“Bugiarda! – esclamò colpendola in pieno viso e facendola cadere a terra – Voi non siete la principessa, probabilmente non siete neanche nobile, ma poiché oggi sono generoso proverò a chiedervelo nuovamente: dov’è la vostra principessa?”
Sigurd la prese per i capelli, costringendola ad alzarsi sotto lo sguardo pietrificato delle altre ancelle, ed estratto il coltello lo puntò alla bianca gola di Judith: “E’ in questa stanza, è una di queste sciocche terrorizzate, oppure è scappata? – chiese senza ottenere risposta – Parlate o sarò costretto a disegnare un sorriso rosso sulla vostra calda gola o, meglio ancora, a darvi ai miei soldati affinché si divertano: oggi è stata una lunga giornata e hanno bisogno di un premio per il loro coraggio e la loro vittoria.”
“Lasciatela andare! – Heluna uscì dal suo nascondiglio ed esclamò con disperazione quelle due parole – Non fatele del male, Mio Signore, vi supplico.”

Sigurd lasciò andare bruscamente Judith: non appena incontrò gli occhi velati di lacrime di Heluna si sentì come stregato, percepì il suo cuore chiudersi in una morsa che gli fece mancare il respiro.
«Vedo un giovane serpente venire addomesticato da una principessa dagli occhi tristi.»
Le parole della profezia del Veggente tornarono prepotenti a riempire la sua mente, così come i sogni che lo avevano tormentato, lasciandogli un senso di vuoto nel petto.
Lasciò cadere il pugnale che aveva in mano e con poche falcate azzerò la distanza tra di loro, afferrando la bianca gola della fanciulla come aveva fatto con quella di Judith poco prima e incatenando il suo sguardo con quello più scuro di lei.
Heluna.
Udì la sua stessa voce pronunciare il nome della principessa, non in quel momento ma nel suo sogno, quello stesso sogno che lo aveva turbato profondamente cinque notti prima.
Era lei, era lei la fanciulla dagli occhi tristi, lei che era la figlia del suo nemico e che avrebbe dovuto disprezzare e odiare.

— Dei, perché mi fate questo? Perchè ridete di me? — pensò maledicendo il suo stesso destino.

Heluna rimaneva immobile, gli occhi fissi su quelli di lui, sull’occhio allo stesso tempo terribile e affascinante in cui era racchiuso un uroboro, il serpente che si morde la coda in un eterno cerchio senza fine.
La mano che la stringeva era calda seppur ruvida, la sua stretta era decisa ma non soffocante, così simile alle mani che aveva sognato e che l’avevano fatta fremere, che le avevano vaticinato quel momento, il momento in cui la profezia si sarebbe compiuta. Quelle mani adesso tinte con il sangue del suo popolo.
Orm-ì-auga.”
Una delle due donne ferme sullo stipite della porta spalancata lo chiamò utilizzando il suo soprannome, pronunciando la stessa parola che lei aveva udito nel sogno e per Heluna tutto fu chiaro: era lui, era lui il serpente che stringeva ogni notte le spire attorno al suo esile corpo e lei sarebbe stata la sua vittima.

— Dio misericordioso, aiutami e assistimi in questa ora buia! —

Sigurd si staccò da lei come scottato, ricordando le parole del sogno, il della profezia nel momento in cui le sue mani si sarebbero chiuse attorno al collo di Heluna.
Furioso e spaventato allo stesso momeento, fece un passo indietro e la guardò con occhi più freddi: doveva mantenere il controllo, si disse, non doveva far trapelare alcuna emozione.
“Ponete due guardie all’ingresso della porta. – ordinò parlando nella sua lingua, in modo che nessuno potesse capirlo, neanche Heluna – Scortate fuori le sue ancelle, non fate entrare nessuno che non sia un nostro fidato, e solo se questo porta del cibo.”
“Venite, – proseguì concludendo – abbiamo molto a cui pensare, nobili di cui dobbiamo decidere la sorte, un esercito da avvisare e una vittoria da festeggiare.”
 

*




1: Nella lingua norrena significa letteralmente "Mio Signore."






Angolo Autrice: Salve, gente! Per quanto riguarda la presa di York, non avendo fonti esautive sull'accaduto, ho lavorato di fantasia: nell'esercito vichingo le donne erano numerose, anche se in numero minore rispetto agli uomini, e ho pensato che utilizzarle in questo modo fosse originale.
Infine, come sempre, ringrazio tutti voi che leggete in silenzio, seguite e soprattutto recensite! Grazie, davvero.

Alla prossima,
V.
  
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