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Autore: Momo Entertainment    21/01/2016    2 recensioni
[And... we are back on air.]
Unima, un anno prima degli eventi di Pokémon Nero 2 e Bianco 2.
Cinque bellissime ragazze sono state scelte, ma solo una di loro diventerà la nuova Campionessa della regione.
Insieme combatteranno e soffriranno, rideranno, piangeranno vivendo insieme l'estate della loro vita: la loro giovinezza.
Essere il Campione non significa solo lottare.
Significa anche vivere. Amare. Credere. Sognare. Proteggere.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Anemone, Camelia, Camilla, Catlina, Iris
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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ESGOTH 5



A story by: Momo Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
Beta reading and de-stubbing: 
🍦
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Early Summer Girls

Capitolo 11

La felicità è in una ragazza

 

«Ah, capisco.»

La voce della ragazza dallo yukata azzurro e i capelli rossi venne trasportata dal vento leggero che rinfrescava anche quell'ennesima giornata di allenamenti.

Mentre lei e Camilla osservavano le loro tre restanti compagne allenarsi (la leader aveva riproposto loro il precedente esercizio del "combattere contemporaneamente, non insieme" contro Catlina, con l'unica differenza che ora al posto di Anemone c'era Iris a doversi scervellare per capire le mosse della bionda) loro due avevano avuto l'occasione di conversare.

«Ma dimmi, - aveva ripreso Camilla - come mai ti interessava saperne di più sul passato di Camelia? Siete già così amiche?»

In effetti, più che una conversazione, la giovane aveva chiesto direttamente a Camilla di parlarle della sua sarcastica, orgogliosa e allo stesso tempo fragile compagna.

Se avesse voluto informazioni su di lei le sarebbe bastato cercare il suo nome su internet e leggere i commenti nei blog idolatranti la modella; ma non era quello che Anemone desiderava sapere.
Voleva conoscere quella ragazza vedendola senza trucco o tinte, senza il bisogno di fingere o recitare.

Quelle lacrime che Camelia aveva mostrato solo ed esclusivamente a lei manifestavano il ricomparire di fantasmi del passato che la traumatizzavano ogni volta, come se rivedesse quell'attimo in cui quella bambina più o meno dieci anni veniva illusa, derisa e scandalizzata a vita dall'unica persona di cui si fidava.

Era una cosa triste, ma probabilmente tutti i fan che dicevano di amare la modella non ne erano mai giunti a conoscenza.

«N-No... Però ultimamente è un po' depressa, capiscila: il suo ragazzo l'ha lasciata, ha certi sbalzi d'umore ed è diventata anche più gentile... Per i suoi standard di gentilezza.»

«E pensi che tutto questo sia legato al fatto che quando era piccola suo padre si desse all'alcool e andasse a prostitute?»
Le domandò infine la giovane donna.

Seguì un certo silenzio, in cui Anemone guardò con un certo sconforto la sua compagna mora.
Stava lottando a fianco di Iris e probabilmente, se avesse prestato più attenzione alle loro parole, stava sgridando e deridendo la ragazzina per qualche errore di lotta.

Per essere bella, Camelia lo era fin troppo.

Non lo aveva stabilito certamente Anemone, ma se una ragazza, nell'era dei mass media e dei conflitti estetici, riusciva a mantenere un espressione naturale e seducente perfino quando piangeva con il mascara colato di sicuro era degna di essere definita bella.

E intelligente, se riusciva a capire quando le persone dicevano il falso o non avevano i soldi per vestirsi decentemente.

Inoltre era forte e sagace: la rossa si immaginò cosa Camelia avrebbe risposto al suo posto agli insulti che Alice, la riccona incontrata sotto la pioggia la sera prima, aveva gettato contro la sua sfortunata condizione sociale, mentre lei era rimasta muta e passiva come un Pokémon bastonato.

«Ah... Iris, lasciatelo dire, non hai proprio il senso dell'orientamento...»
Aveva esordito la mora, con tono di estrema commiserazione, come faceva da sempre.

«I-Io?! È colpa dell'abilità Statico che paralizza tutti i Pokémon in campo, dovresti ragionare sulle cariche prima di scaricare la colpa sugli altri!»
Tentò di difendersi la ragazzina, che si sentiva davvero vulnerabile a quelle prese in giro. Tentò anche lei una battuta.

La mora però la fulminò con una sguardo di gelida disapprovazione.

«...E nemmeno senso dell'umorismo... Sei davvero inutile, insomma. Pensa se ci trovassimo nel bel mezzo di una battaglia violenta... Non potrei utilizzarti neppure come scudo umano, dato che gli attacchi ti trapasserebbero il petto con estrema facilità...»
La voce della modella aveva quel tono tagliente e sarcastico che poteva abbattere persino una montagna, unito al suo solito sorrisetto maligno.

«A-Aspetta, cosa c'entra il fatto che io sia piatta in questo momento?!»

«Nulla, ma sappi che non è buona cosa farsi prendere dall'invidia nel mezzo di una battaglia violenta. Rischi di essere distratta e venire uccisa dall'invidia e non dagli attacchi.»

«Camelia, tu e le tue lezioni di vita...» Concluse Iris, stizzita ed umiliata.

«Ho vinto ancora. Dovreste prestare più attenzione.»
Catlina aveva appena ritirato il suo Musharna dal campo di lotta, fissando i corpi esausti degli altri due Pokémon con indifferenza.

«Bene ragazze, continuate così: se ci trovassimo nel mezzo di una battaglia violenta verremo ancora tutte morte trucidate, ma è un buon inizio.»
Camilla sorrideva mentre lo diceva e non si capiva se stesse scherzando, rimproverandole o incitandole ambiguamente.

Anemone scoppiò a ridere sonoramente, rivelando un sorriso naturalissimo e il suono della sua risata mentre il resto delle ragazze la fissavano stranite.

«Scusatemi, ma non rinuncerei a voi per un miliardo di Pokédollari!»

E mentre la sua mente razionalizzava per quanti anni un miliardo di Pokédollari avrebbero risolto i suoi ingenti problemi finanziari, il suo cuore le ricordò che quelle erano le sue uniche amiche.     

Disfarsene era impossibile.

Anche se si ricordò che ancora doveva ricomprarsi sia un cellulare sia la tinta che aveva promesso a Camelia.
 


«Ragazze, - era la voce di Nardo, con un'insolita profondità e serietà - degli uomini chiedono di...»
Ma l'uomo fu interrotto prima di completare la frase, dall'entrata di alcuni individui.

Per incutere un certo timore avevano abiti scuri, eleganti, tipici di quegli uomini di malafede che si vedono nei film. Sembravano piuttosto ricchi inoltre.

Scostarono dal loro cammino il Campione, ignorandone totalmente l'autorità e si scambiarono uno sguardo: le ragazze ormai tacevano tutte, davvero inquietate.

Iris sentiva le gambe dolerle dalla tensione, mentre cercava uno spiraglio di sicurezza negli occhi delle sue compagne.
Ma le loro espressioni erano tutte uguali, sottomesse e silenti. Fece anche lei lo stesso, temendo comunque il peggio.

«Tranquille, giovani aspiranti Campionesse - parlò uno di loro (dovevano essere cinque o sei) - non siamo qui per voi quattro.»

Quattro non è cinque.
Quindi qualcuna di loro c'entrava in quel losco affare perché quattro non è cinque.

E le ragazze caddero ancora di più nel panico.

Chi potevano cercare costoro, se nessuna di loro si sentiva personalmente presa in causa?
La paura era tangibile nell'atmosfera.
La sfortunata tra loro ne avrebbe sicuramente saputo qualcosa, ma taceva per rallentare inutilmente lo svolgersi del fato.

«Siamo dei Servizi Sociali della regione. - uno parlò, rivolgendosi a Nardo - sono fatti estremamente riservati.»
Con quelle parole il Campione fu costretto ad andarsene, mentre le cinque erano ancora lì, ancora più confuse dalla rivelazione.

Cosa c'entravano i servizi sociali? Iris si escluse a priori, con un leggero sollievo.

Ma essere sole con quegli uomini in nero rimaneva comunque inquietante.
Uno di quei tizi tutti uguali di apparenza si mosse e camminò pacatamente verso una di loro.

Non servì seguire la traiettoria completa della camminata, a tutte le "quattro innocenti" bastò vedere il viso di Anemone abbassarsi e nascondere l'espressione più addolorata che la rossa avesse mai mostrato loro.

Nessuna ebbe nulla da dire.

Invece di parlare con la diretta interessata, uno cominciò a parlare ad alta voce quasi a schernirla, rivolgendosi a tutte loro che erano rimaste incredule.

«Questa ragazza non ha i genitori.
È stata sotto tutela della famiglia Ayamoto per quasi dieci anni, all'insaputa della nostra organizzazione.
Un'adozione non accettabile dalla legge, dato che il cosiddetto "padre adottivo" o come lo chiama lei, "nonno" non ha assolutamente le risorse fisiche e sopratutto economiche per crescere una ragazzina.

Inoltre, come se non bastasse, l'uomo in questione non ha nemmeno una consorte, il che comporta un deviamento psicologico nei rapporti di relazione del soggetto interessato.
Hanno cercato di depistare la legge e i codici di adozione per un bel po', ma ora che la questione è venuta a galla, la signorina, in quanto minorenne, deve essere ricondotta in un istituto dove ci si prenda adeguatamente cura di lei.»

Finito di parlare, mentre Iris ad ogni frase si era morsa un pezzo di labbro, e tutte quante esibivano un'espressione scioccata e incredula, Anemone rimase in piedi, come paralizzata.

Per un secondo si pentì di essere nata.
I suoi occhi azzurro cielo si colorarono di scintillanti sfumature lucide, mentre le guance ormai erano già rigate di lacrime, che le cadevano copiose sui piedi.

Nessuna parlò, in preda allo sconforto: il cinque che diventava quattro.

L'uomo che aveva parlato si posizionò alle spalle della sfortunata, tenendole ferme le mani: riuscì a snodare la cintura del suo yukata, facendola cadere a terra.

I lembi di stoffa scivolarono verso il basso e rivelarono l'insenatura del seno di Anemone: coperto da un reggiseno piuttosto semplice, mostrava due abbondanti rigonfiature dove la pelle abbronzata della giovane si schiariva leggermente, diventando color dell'ambra.

Quel losco individuo prese sul palmo della mano uno dei due tesori della ragazza, schiacciandole la carne con le dita, mentre la ragazza si dimenava inerme nell'umiliazione, senza fare un vero e proprio tentativo di liberarsi.

La passività e l'impossibilità di reclamare una dignità non di donna, ma di essere umano, fece rabbrividire la pelle della rossa che si sentì sussurrare all'orecchio.
«Guarda come sei diventata bella e sexy... Fa' la brava ragazza e ti tratteremo bene, questa volta.»
E con la mano scese ad accarezzare anche i suoi perfetti fianchi arrotondati.

«La smetta! Questa è molestia sessuale, razza di maniaco pedofilo!»
Iris si fece avanti: non poteva sopportare oltre quello spettacolo orrido, la sua più cara amica umiliata e delle autorità abusare del loro potere.

Si stupì che dovesse essere lei ad interrompere quella tortura, ma non pensò assolutamente di accusare le altre, provò bensì fierezza del suo stesso coraggio e del suo senso di giustizia.
Tutti quanti si meravigliarono di come quelle parole violente pronunciate anche dalla più piccola del gruppo potessero suonare accusatorie e salvatrici.

Ma comunque Camilla trattenne la ragazzina dai capelli viola per il braccio dal fare qualche sciocchezza: si trattava comunque di autorità.

Con uno spintone l'uomo liberò la ragazza, che finì per scivolare a terra con il kimono ancora slegato ed occhi e viso bagnati. Non fece in tempo a rialzarsi che il suo molestatore in abiti eleganti la fulminò con lo sguardo, facendola sentire un'ameba.

«Lascerai la competizione per il titolo di Campione oggi stesso, capito ragazza?»
Anemone annuì, in preda alla paura.

Miserabile.
Non riuscì a definirsi altro agli occhi delle sue compagne.
Era pienamente cosciente del fatto che suo nonno non avesse mai avuto alcun diritto di occuparsi di lei, ma era lei a lavorare, a occuparsi di se stessa e della sua famiglia senza diritti o dignità.

Le cose continuavano ad andare sempre peggio... Ma almeno potevano continuare, prima che tutti i suoi sogni venissero distrutti dai servizi sociali della regione.

La storia l'avrebbe ricordata come uno di quegli aspiranti Campioni che nonostante i loro sogni e il loro talento sono costretti a rinunciare e a vivere di rimorso.
Ecco come Camilla, Iris, Camelia e Catlina l'avrebbero ricordata.
Un'avversaria in meno, una minaccia al loro successo eliminata.

Appena quei demoni in vesti umane se ne furono andati, Camilla non esitò a porre una mano alla rossa per aiutarla a rialzarsi; questa la scacciò con uno schiaffo, e si rialzò da sola, tenendo stretto il tessuto dello yukata come se rappresentasse la sua morale violentata, poi si allontanò il più velocemente possibile.

«Anemone...»
Iris riuscì a pronunciare il suo nome solo a bassa voce, chiamarla indietro non sarebbe servito a nulla.

«Ha bisogno di stare sola per qualche minuto.»
Cercò di tranquillizzarla la leader, mettendole una mano sulla spalla.

Intanto il vento soffiava più forte, più violento.


«La zona ad ovest di Unima è rinomata per le sue miniere: la Cava Pietraelettrica, il Monte Vite, la Cava Ponentopoli... Luoghi che impiegano lavoratori da tutta la regione. 

Purtroppo molti di essi perdono lì la vita per i più tristi motivi e in moltissimi casi queste sfortunate anime possiedono perfino dei figli: per questo proprio a Ponentopoli è stato istituito un centro di accoglienza ed educazione per i molti bambini che rimangono orfani.

Deve essere stata questa la sorte dei miei genitori naturali, perché ho scoperto di mia personale esperienza che più che "centro di accoglienza ed educazione" basterebbe il nome "orfanotrofio" per descrivere la solitudine opprimente che più volte ho provato.

L'unico modo per uscirne, per varcare i cancelli che separavano noi bimbi esclusi dal diritto naturale di avere una famiglia era, come ci ripetevano fino alla nausea gli istitutori, "essere buoni, così qualche mamma o papà vi vorrà adottare".

Ora, nessuno potrebbe dire che esistono i bambini buoni e i bambini cattivi.
Ma io ho imparato a mie spese che la vita sa essere assai crudele ed invece di assicurare a tutte le sue creature il calore di una famiglia, preferisce etichettarci già dalla nascita e identificarci fino alla morte con i nostri peggiori difetti e con le nostre paure.

Ricordo che la prima volta che venni punita corporalmente fu quando picchiai furiosamente uno degli altri bambini perché mi aveva offesa. 

Mi aveva presa in giro per via dei miei capelli e non ne aveva motivo.
I miei capelli rossi, di cui non vado assolutamente fiera, che mi fanno sembrare uno scherzo della natura, sono comunque un prezioso dono delle sante anime dei miei genitori defunti. 

«Cos'hanno i miei capelli di sbagliato? Cos'ho io di sbagliato?» 

Mi chiedevo, mentre uno dei maestri mi trascinava per i capelli (li portavo lunghi, una volta) ed io, in lacrime, cercavo di giustificare il mio operato manesco; questo riuscì a spogliarmi dei vestiti con la forza e percepivo il suo vigliacco senso di potenza nel riuscire a denudare una bambina indifesa.

E poi il colpo di grazia. Sempre reggendomi per i capelli come una bestia nuda ed inumana permise che tutti i bambini potessero ridere spudoratamente di me, perché ero stata cattiva. 
Sopratutto i maschi ridevano di me, si prendevano gioco del mio piccolo corpo ambrato di bambina, ed ora mi chiedo se una volta cresciuti ancora ridono quando vedono delle belle ragazze prosperose, questi bastardi.

Nonostante l'incancellabile umiliazione, il mio animo trovò il modo di reprimere la voglia di gridare e di piangere. Feci ciò che faccio anche adesso, ciò che mi aiuta ad essere forte.

Da quel giorno, ero molto, molto piccola quando successe, smisi di parlare per difendermi e per ogni altra ragione. Non mi avrebbero mai ascoltata.

Smisi di piangere, visto che non mi avrebbero nemmeno mai consolata.
Evitavo anche di guardarli negli occhi, tutti quegli individui che desideravano schiavizzarmi ai loro interessi perversi, le cause nobili sono sempre così poche che si contano sulle dita di una mano.

Preferivo guardare il cielo, cercavo di volare via da tutto ciò.
  
Per questo nessuno ha mai avuto la vaga idea di adottarmi; ho accettato di essere destinata a marcire in quell'orfanotrofio, di aspettare la maggiore età per farmi cacciare via da lì definitivamente, continuando a fissare il cielo come un'idiota, sperando di raggiungere quella libertà che non avevo mai ricevuto. 
Poi non avrei trovato lavoro e sarei morta per la strada o di fame o di freddo, come le maestre e anche i bambini mi ripetevano da sempre.

Sarei mai cresciuta, diventata una ragazza normale, una di quelle che pensa ai ragazzi, al suo futuro, a divertirsi e ad innamorarsi?
Certo. Se non mi fossi chiamata Ayamoto Anemone.

Era sicuramente scritto nel mio destino che la mia specializzazione sarebbe avvenuta con i Pokémon Tipo Volante; nel momento in cui sono stata strappata al futuro che gli istitutori mi avevano imposto fissavo un cielo azzurrissimo, che mi donava una certa pace interiore.

«Sei felice qui?»
Una voce anziana aveva rotto la mia "profonda meditazione". 

Felicità? 
Davvero a qualcuno poteva importare se un rifiuto della società era felice, con tutti i problemi che ci sono nel mondo? 

Io sono rimasta zitta, non avevo la risposta. 

Non avrei parlato comunque, il mio mutismo era solo peggiorato col tempo, portando via con sé la capacità di relazionarmi e di intraprendere rapporti con il sesso opposto. 
Inoltre gli adulti mi facevano paura. Un po' come succede ora.

«Certo. Perché dovresti rispondermi? - D'un tratto l'uomo mi accarezzò il viso e strofinò i capelli affettuosamente - Il Campione della Lega di Unima ha chiesto personalmente di te per allenarti nelle lotte e farti diventare una Capopalestra, ma tu stavi osservando un meraviglioso cielo infinito, la tua piccola mente spiegava le ali verso orizzonti illimitati... E io ti ho distratta. 
Ti chiedo assoluto perdono.»

Esisteva gente così pazza da nutrire speranze per me, effettivamente.
Ciò mi lusingava e allo stesso tempo spaventava mortalmente.

Avevo davvero paura di immaginare qualcuno subire i miei stessi dolori ed accettare passivamente ogni insulto e ingiustizia mi stava trasformando nell'incarnazione della pietà. 

Il corpo ha sete di amore, ed assecondare una misericordia invisibile la quale speravo atrocemente venisse prima o poi a salvarmi dalla sofferenza, rendeva il mio cuore ancora più arido; volevo che quell'uomo mi mostrasse i sentimenti che non avevo mai provato ma che desideravo inconsciamente.

«Portami via con te... Qui... Mi sgridano, mi picchiano e io non posso nemmeno dire cosa penso... 
Ti prego... Portami via...»

Mio nonno (nome che preferisco di gran lunga a "padre" che mi rifiuto di dimenticare) invece di compilare le carte di adozione e di pagare l'affidamento, mi ha proposto di gridare forte cosa ne pensassi di quell'orfanotrofio, degli istitutori, dei bambini che ridevano del mio piccolo gracile corpo dal color dell'ambra. 

Tanto non sarei mai più ritornata lì... In teoria.

«Stupidi, morite tutti, brutti stupidi, vi odio, non vi perdonerò mai!»
Quelle parole gridate da una bambina di sette anni con il cervello di una di tre sono state la mia più grande ribellione.

Poi ho dimenticato. 
Cosa il Campione mi aveva insegnato, a ribellarmi ad ogni abuso della mia pazienza e dignità, ho eliminato, e poi ho ripreso con la mia dipendenza. 

Ripreso a farmi mettere i piedi in testa dalla società, dal mondo, dalla mia "famiglia".

Ho pensato di ripagare la pietà che mio nonno ha avuto di me prendendomi sulle spalle tutte le responsabilità, come se la mia esistenza fosse stata una colpa da espiare.

Anche se ho sempre sognato di poter solcare il cielo infinito che tanto adoravo da piccola, io continuo a sperare che mi venisse alzato lo stipendio, magari di avere più tempo libero per compensare la mia mancanza di vita sociale, qualche volta vorrei perfino liberarmi una volta per tutte di mio nonno, la persona che mi ha strappato dall'inferno, pur di non doverlo più mantenere. 

Io per ora sopporto per contrappasso la pena di dovermi mascherare con un sorriso per nulla naturale, di cercare l'ottimismo che non esiste in nessun aspetto della mia inutile vita. 

Il mio futuro è stato disegnato dalla mia nascita: povertà, solitudine, depressione, responsabilità e colpe che mi perseguiteranno a vita, nessuno che mi capisca.

Potrei gridare all'infinito e non sfogarmi, piangere e nulla cambierebbe, e adesso che anche il mio sogno precipita dal paradiso in una fossa oscura ed infinita mi piacerebbe davvero che qualcuno me lo richiedesse...

Se mi sento libera... Se mi sento importante...
Ma sopratutto, se mi sento felice, ma ho paura di rimanere di nuovo zitta.»


Mentre Anemone ripensò piano piano al percorso che il suo inesorabile destino aveva compiuto per condurla lì dov'era, si rese conto di aver avuto sotto gli occhi i suoi ciuffi rossi spettinati tutto il tempo, si intromettevano nel suo campo visivo, ondeggiando trasportati dalla brezza estiva.

La facevano sembrare una ribelle, rappresentavano l'ossimoro con la sua personalità.

Davvero era tutto finito?
Avrebbe almeno voluto chiamare suo nonno, mentirgli per l'ultima volta dicendogli che lei sarebbe stata bene, che non doveva preoccuparsi, che si dispiaceva di essere stata una nipote (o una figlia, o una Capopalestra o qualsiasi cosa fosse stata per quell'uomo che non aveva nemmeno il suo sangue) sempre e comunque pessima.

Rimpianse di non avere più un telefono.
Ricordare come da brava adolescente nel pieno di una crisi di nervi lo aveva scagliato a terra la fece sorridere, quasi illudere di essere un po' normale nel profondo.

Trovò ingiusto inoltre non poter rivelare a Camelia che le aveva detto una bugia: non si sarebbe mai trovata un fidanzato, perché non voleva e basta. Glielo aveva promesso solo per farle piacere, e rimpianse ancora di essere così perdutamente buona e gentile solo per non ferire gli altri.

E ora avrebbe dovuto subire, ironicamente, i desideri carnali di quegli uomini schifosi e perversi, come tutte le ragazze della sua età che, suo nonno le raccontava, negli orfanotrofi più degradati venivano veramente usate come oggetti da sesso, non avendo altre doti o capacità nella vita se non il loro corpo.

Prima di andarsene definitivamente, la rossa si vide costretta a togliersi con dispiacere quello yukata azzurro intenso, che rappresentava ormai tutto l'orgoglio che aveva, come se la sua pelle fosse diventata aria, come se avesse indossato fino al fatidico momento del suo ritiro dalla competizione l'intera volta celeste sul suo corpo giovane e formoso.

Per la prima volta, il suo destino le sembrò troppo lontano e nefasto per potersene preoccupare al momento.
 


Quando la competizione al titolo di Campione era cominciata, Iris non aveva mai immaginato di vedersi dispiaciuta della perdita di un'avversaria: ma come poteva gioire del fatto che la sua prima amica la stesse abbandonando perfino contro la sua volontà?

Quell'estate la stava struggendo, troppe cose brutte capitavano una dopo l'altra.

Da quando si era mostrato il suo innato senso di giustizia nel difendere la rossa da quelle molestie vere e proprie, Iris aveva pensato ad oltre mille frasi da dire nel loro ultimo secondo insieme.
Ed aveva finito per scegliere quella che fra le mille suonava come la più egoista.

«Per favore, non dimenticarmi...»
Le aveva detto mentre la abbracciava in lacrime, per la prima e ultima volta.
Eppure non era lei ad avere il diritto di piangere, lo sapeva.

«Ma certo che non ti dimenticherò. - Anemone aveva un tono di voce dolce mentre sorrideva amareggiata - Se ti capita di sentirti di nuovo sola parla con le altre, sono sicura che ti ascolteranno.»

Con la coscienza che quella frase non l'avrebbe tirata su di morale, la ragazzina annuì e poco dopo, troppo poco dopo, si trovò costretta a rompere l'abbraccio e, strofinandosi gli occhi bagnati, si allontanò pensando come se fosse stato un funerale "era una brava ragazza".

Dopo di lei la rossa fece un leggero inchino di riconoscenza verso le compagne più grandi, per poi abbracciare prima Catlina e poi anche Camilla.

Iris notò come le parole di Camilla fossero cento volte più rassicuranti delle sue.

Camelia invece non pareva particolarmente scossa; era perfino truccata, quasi a dire che non avrebbe pianto neanche per farle un piacere.
Sembrava soltanto assorta, in un certo senso.

Iris se lo aspettava in fondo, ma le parve comunque scortese da parte della modella comportarsi così. Le idol non piangono sempre, al ritiro delle loro colleghe? O fingono di piangere e basta?

I loschi uomini nei loro eleganti vestiti fecero voltare la ragazza rossa, che rivolse, al limite del suo devasto emotivo, l'ultimo amaro sorriso alle sue più fortunate avversarie.

«Vi auguro tutto il meglio per il vostro futuro. Mi mancherete.»

E con quelle parole la giovane dai capelli ribelli, gli occhi profondi come il mare e il cuore violentato dall'indifferenza altrui lasciò quella che poteva essere la sua salvezza, la sua unica realizzazione nella vita, senza potersi voltare indietro.

«Che scemenza... Hey, voi, sottospecie di stupratori pagati, aspettate!»

Quel tono aggressivo, fermo e provocatorio, di una donna indipendente e spudorata, riuscì non solo a scuotere per la seconda volta il cuore di Iris, ma anche di Catlina, Camilla e perfino degli "assistenti sociali".

Gli occhi della ragazza di quell'azzurro freddo e cristallino erano veramente spaventosi al solo contatto visivo: erano determinati.

«Ma quella non è una di quelle stupide modelle onnipresenti nelle riviste?»
Uno di quei malviventi tutti uguali si fece identificare solo per quell'insulto.

«No, questa è anche una Capopalestra... - poi si rivolse alla mora, o al suo prominente petto, quasi lo avesse personificato - E dimmi, la medaglia la dai a chi ha le Pokéball grandi? E poi che cosa gli fai, un'Idropompa?»
Un'altro si distinse, facendo ridere fragorosamente il gruppo.

Le tre ragazze si guardarono schifate, Anemone si sentì inconsciamente in colpa, anche se non ne aveva motivo.

Eppure, dal punto di vista della modella la situazione era esilarante.

Talmente esilarante che individui grandi e grossi, che si sentivano potenti traumatizzando e poi abusando di un'innocente fanciulla, non le dicevano di tacere o di spostarsi, ma rimanevano in attesa di una sua risposta: tipico degli uomini abbastanza perversi da sottomettersi ad una ragazza...
Forse non era davvero esilarante, pensò infine.

Sollevando un lembo del tessuto dello yukata giallo come il sole a mezzodì, Camelia scoprì seducentemente la scollatura, rivelando un'accenno del suo orgoglio più grande, dando a quegli idioti una preview del suo ampio seno.

Qualche secondo dopo l'atmosfera di paradiso terrestre si tramutò in quella dalla schiera dell'inferno in cui i rei dei sette peccati capitali messi insieme scontavano la loro pena.

Un bagliore talmente forte ed improvviso costrinse tutti, anche le quattro ragazze, a coprirsi gli occhi: un Tuono scagliato a chissà quale voltaggio, dal boato devastante, sembrava troppo potente e fiero per essere visto da occhi umani.
Camelia invece osservò tutto il processo, senza problemi.

Un esemplare di Emolga si appoggiò con delicatezza sulla spalla della giovane dal paralizzante sarcasmo.

Era incredibile come quell'esserino così piccolo e delicato potesse usare una mossa potente come Tuono solo per mero divertimento.
Avrebbe voluto incitare la sua Allenatrice a ripetere la mossa fulminando a morte quei rifiuti umani, ma si limitò a fissare incuriosita le altre ragazze: sorridevano quindi dovevano avere fiducia in quella sua allenatrice un po' superba.

«La medaglia la do agli allenatori abbastanza intelligenti da sapere che una di tipo Acqua come Idropompa non verrà mai eseguita da un tipo Elettro.»
Ribatté Camelia con chiarezza quasi spaventosa.

«Camilla, questa idea delle Pokéball nascoste nel reggiseno mi comincia a infastidire.»
Iris sussurrò all'orecchio della leader in totale sincerità.

«Come mai? È una tecnica utile e semplice, e anche pratica per tenere le proprie Pokéball sempre a portata di mano...» Le rispose l'inventrice di quel trucco in persona.

«È immorale. - la riprese Catlina, davvero seria - E smettiamola di parlare di queste cose nel mezzo di una questione di tale importanza...»

Iris la interruppe.
«Tu almeno hai lo spazio per mettercele le Pokéball!» La ragazzina era ancora stizzita dal commento precedente (e da tutte le dozzine che aveva ricevuto nei giorni precedenti) riguardanti il proprio seno.

Gli uomini neri intanto erano zitti.
Erano stati sconfitti dal logos, l'arte di volgere un intera questione a proprio favore, come degli ignoranti; e da tali, uno sollevò una Pokéball, ma fu fermato nell'atto di mandare in campo il Pokémon.

«Non me ne importa niente se sapete gridare quattro mosse a caso. - facendosi spazio fra quei colossi, Camelia si trovò faccia a faccia con la rossa, che la fissava intimorita. Si perse un secondo in quegli occhi azzurri, ma fu solo un secondo - voglio scontrarmi con lei.»

La modella indicò Anemone con il dito indice, con l'unghia coperta di fine smalto.

Seguì un silenzio dietro quell'azzardata sfida.

«Se vinco io ve la portate via e potete anche sverginarla per quanto mi riguarda.
Se vince lei invece, ce la trascineremo dietro fino al TRUF.
Se i giornali dicessero che la Campionessa di Unima ha vinto il suo titolo a tavolino sarebbe penoso. Dico bene?»

Iris si chiese se Camelia fosse seria: non volle crederci, ma dal come aveva contrapposto quell'"io" ad uno sdegnoso "lei" sembrava di sì.

«Quindi voi cinque non siete così amiche come dice il Campione?» Si stupì uno di loro.
Camelia scoppiò forzatamente a ridere, con un pesante sarcasmo, gelando la situazione.

Poi si rifece seria, fulminando quegli idioti con gli occhi.

«Ve lo deve spiegare una stupida modella che questa è una competizione?
Il titolo di Campione è uno solo, stiamo combattendo tutte per quello. Levarci un'avversaria di torno fa sempre comodo, anche se vi dovete portare via questa sfigata perché non ha i soldi per mantenere lei e la sua stupida famiglia o qualsiasi cosa ci vada di mezzo... Non me ne frega.

Qui ognuna combatte per sé, non siamo "amiche" o altro.»

Catlina, Camilla e Iris la fissarono sconcertate.

Bugiarda.
Bugiarda, approfittatrice.
Bugiarda, approfittatrice, egocentrica, falsa.

«Bugiarda, approfittatrice, egocentrica, falsa, dal seno di morbidissimi novantadue centimetri.»
Pensò Iris in bilico fra ira e invidia.

Camelia aveva davvero finto di essere ferita nell'animo, di essere qualcosa di più di un'acida divinità della discordia, aveva finto perfino di voler bene a lei e alle altre?
Si poteva essere così bravi e simulare l'amore e la fiducia?
Rimase ancora devastata. Ora il suo tifo era tutto per la rossa.

«Accetto.»
Anemone si posizionò davanti alla modella.

Solo fissandola, con tutto il dispiacere che aveva nell'aver perso la ragazza dolce e simpatica che credeva di aver spremuto fuori da quell'ammasso di tinte per capelli e make-up, dichiarò a Camelia guerra.
Non sarebbe rimasta a guardare quella volta.

«Ma se vinco io, Camelia, lasciati tirare due begli schiaffi, te li meriti.»
Aggiunse la rossa alla sua posta in palio.


«La odio, quanto la odio, non mi è mai stata simpatica, lo sapevo che di lei non dovevamo fidarci; e che meschina, sfidare un'Allenatrice di Pokémon volanti solo per avere il vantaggio del tipo!
Fossi in Camelia mi farei fare una plastica facciale... A suon di calci in faccia.»

Iris era perfettamente conscia che quella battaglia non stabiliva solo se la rossa sarebbe rimasta: era una prova per testare l'autorità che le due diciassettenni contendevano, per capire chi delle due avrebbe continuato la sua strada di gloria e successo mettendo i piedi in testa all'altra.

Ovviamente, qualsiasi risvolto avesse avuto la lotta, il legame di amicizia che avevano cercato di stabilire da almeno un mese si sarebbe rotto definitivamente, trasformandosi in assoluta diffidenza e sospetti reciproci in tutto il gruppo.

Per quanto le dispiacesse, la ragazzina era ancora sconvolta, e non si sarebbe trattenuta alcun insulto.

Camilla intanto discuteva con Catlina sul fatto che ad Unima le lotte sembrassero sempre accese, cariche di pathos e adrenalina, un vero test di ideali e verità contrapposte: l'altra annuiva, cercando di seguire l'ingiustificata eccitazione dell'amica.

Calato un brevissimo silenzio, su quel campo che da loro era usato per allenarsi le due ragazze presero posizione, guardandosi dirette negli occhi.

Allo sfidato la scelta del genere di sfida.

«Hai presente come funziona una lotta aerea? È un tipo di lotta abbastanza popolare nella regione di Kalos: si usano solo Pokémon di Tipo Volante e l'intera battaglia si svolge in aria.
Vince il primo che fa toccare terra al Pokémon avversario.
Semplice, ma vediamo se riesci a starci dietro.»

Anemone liberò dalla Pokéball Swanna, il cigno dalle candide ali.

Sia la giovane sia il suo Pokémon non avevano mai considerato il filo a cui era appeso il loro destino tanto fragile e sottile: non era assolutamente il momento di indietreggiare, ma di dimostrare a se stessa come dovrebbe sempre essere, sia nelle lotte, sia nella vita.

«Non perderò, non darò la soddisfazione a quella stupida di vedermi sconfitta...
Non darò il dispiacere al nonno di vedermi sconfitta... Non tradirò i miei ideali.»
Mentre pensò queste parole, Anemone sentì lo spirito di un'innata ribelle dai capelli rosso naturale che si risvegliava: una sensazione fantastica.

«Va bene. Vado per questa lotta aerea.
Emolga, per favore, vai avanti tu: sei l'unico Pokémon Volante che possiedo, del resto.»
La modella sembrava piuttosto calma, scostando il piccolo Pokémon dal suo braccio.

Prima però Camelia sussurrò al suo compagno.
Fu parecchio concisa.
«Ricorda: dobbiamo perdere con dignità. Okay?» E fece l'occhiolino.

Quando Swanna ed Emolga si schierarono a più o meno sei metri da terra, l'ultima voce a gridare prima che si scatenasse la lotta decisiva fu un ovvio incito.

«Anemone, fai del tuo meglio!»
Iris incrociò le dita, mentre nella sua testa macchinava tutti i meccanismi di lotta possibili.

«Che la lotta cominci!»
Catlina si trovò costretta a fare da arbitro, dando il segno d'inizio della lotta decisiva. 

«Swanna, Eterelama!»

La rossa dilatò le pupille azzurre verso il cielo, focalizzando la vista fra le nuvole e quel blu immenso: era lì che da piccola cercava la pace da quel mondo spietato e crudele in cui si ritrovava a vivere; in quel momento però la sua attenzione era rivolta agli spostamenti aerei più che al Pokémon in sé: svolazzare e fuggire a caso era inutile.

«Mancato, maledizione!»

Era il momento di attaccare, di farsi valere, di dimostrare a Camelia che anche lei era una Capopalestra degna di quel nome, quel nome che che avrebbe mantenuto ad ogni costo.

Sapeva che la sua avversaria aveva il vantaggio del Tipo, ma non quello del luogo, almeno erano pari in questo campo.
Ma non solo.

«Segui Emolga, cerca di superarla in velocità!»

Le due diciassettenni si stavano sfidando a una corsa ai limiti delle leggi fisiche, raggiungendo velocità talmente assurde che non permettevano un attimo di respiro o di deconcentrazione né al Pokémon, né allo stesso Allenatore.

Uno sbaglio minimo e il secondo dopo si sarebbe ritrovata a terra, a mangiare la polvere.

«Che illusa, davvero credevo che Camelia volesse essere mia amica? 
Di potermi fidare di lei? Sono troppo buona. 
Perché non riesco ad essere anch'io egoista, opportunista e menefreghista?! 
Basta. Lo hanno voluto loro.»
Anemone strinse i pugni.

Era consapevole che quei tizi in nero la osservavano ancora, scambiandosi qualche commento, qualche battuta infame su di lei.
Ma al momento non erano importanti quanto la rabbia crescente in lei.
Doveva farci qualcosa con quel furore, non poteva affievolirsi, dimenticato nelle viscere del suo corpo.

«Swanna, usa Pioggiadanza!»
Il cielo, da azzurro limpido che era, si ingrigì tanto da ricordare vagamente quella sera di temporale estivo in cui Anemone ed Iris erano diventate amiche.
E grosse gocce d'acqua cominciarono a rovesciarsi a ritmo sempre più intenso.

Anemone era lì per vincere, ma nessun perdente può vincere senza una strategia.
 
«Attacco Rapido. Guadagnamo un po' di vantaggio così.»

«Wow, Anemone vuole davvero vincere. 
Immagino che questi colossi foderati di soldi vogliano davvero sverginarla... 
Davvero gli orfanotrofi in questa regione fanno così schifo? 
Pensavo che in materia di prostituzione minorile la periferia di Sciroccopoli toccasse davvero il fondo...»
Camelia non si sarebbe mai imposta di evitare i commenti durante le lotte.

Le infondevano fiducia, finché non perdeva il suo orgoglio personale andava tutto bene, secondo lei.

Probabilmente la rossa non aveva mai avuto questo genere di problemi, perché forse non conosceva alcun concetto di "orgoglio".
Secondo una certa etica morale se non si conosce qualcosa lo si tende a disprezzare e a scegliere la strada opposta a ciò pur di evitarlo.

«Emolga non lasciarti prendere alle spalle!»
La giovane pensò e ripensò alla situazione di Anemone, ma finì per rimuginare su sé stessa.

Di certo, da quando aveva incontrato la rossa, qualcosa in lei era cambiato.

Si chiese solo se una top model incapace di esprimere le sue volontà, isterica e problematica come lei riuscisse davvero a far diventare migliore una persona a sua volta.
Almeno che diventasse migliore di lei.

Si ricordò che ora Camilla, Catlina e sopratutto Iris la odiavano per il suo precedente doppiogioco.
Ma non ne avevano motivo.

«Eh?! Piove ora?! No... Le mosse di stato si usavano nelle lotte qualcosa come sei anni fa!»
La mora si sentì scossa.
Non andava bene. Non andava affatto bene per il suo piano.

Se avesse voluto farla finita subito alla modella sarebbe bastato, come visto in precedenza, usare la mossa Tuono, dalla potenza talmente elevata da trasformare qualsiasi Pokémon Volante in arrosto con un solo colpo.

Ma alla potenza non corrisponde certo la precisione: Tuono aveva addirittura la probabilità del settanta percento di fallire e i tentativi a disposizione erano pochi.
Una buona scusa per non usarla.

Però l'acqua è un ottimo conduttore di elettricità, questo è risaputo da tutti.
E con la pioggia la mossa Tuono, di Tipo Elettro, diventa infallibile.

«Camilla, come mai la traditrice non usa Tuono ora che può? Abbiamo visto prima che Emolga riesce ad usarla perfettamente... Perché non ne approfitta?!
È stupida per caso? Le tette le otturano il cervello?!»
Iris domandò all'amica, mentre da bordo campo osservavano lo spettacolo.

«Credevo che tu tifassi per Anemone...» Le rispose la donna.

La ragazzina ammutolì. Tutte e tre però avevano quel dubbio esistenziale.

Intanto la ragazza dai capelli neri e gli occhi azzurro chiaro cercò di ignorare meglio che poté tutte quelle critiche.

Le ricordavano i commenti negativi e le prese in giro che i suoi fan avrebbero potuto scambiarsi nel caso non avesse mostrato loro la se stessa creata apposta per apparire nelle sfilate, nei servizi fotografici o nelle interviste.

Non le restò che fregarsene e seguire le sue vere intenzioni.
«Anemone, ti prego, capisci dove voglio arrivare... So che non sei così stupida...
E che le tette non ti otturano il cervello.»

Camelia baciò la Pokéball di Emolga.

«Emolga, segui Swanna e vai più in alto che puoi. - E abbassando la voce aggiunse - fai in modo che non cambi traiettoria. Mi dispiace piccola mia, ma devi sacrificarti per la tua Allenatrice ora.»

Senza dubitare neanche per un secondo della fiducia che aveva nella modella, Emolga volò spedita, scagliata in linea retta come un proiettile, puntando verso un punto indefinito del cielo piovoso, bagnandosi il pelo e il muso di pioggia battente.

Anemone percepì le sue mani tremare, non ricordò di essersi mai agitata tanto per una lotta. Si sforzava di tenere gli occhi fissi in alto, richiudendoli ogni volta che una goccia d'acqua le finiva nell'occhio, facendoglielo bruciare.

«Swanna cerca di schivare tutto quello che puoi e continua a salire fin dove trovi bassa pressione dell'aria! Veloce!»

Dopo l'esperienza avuta qualche settimana prima, in aggiunta a questa, qualsiasi finale avesse concluso la lotta, si ripromise di cancellare Pioggiadanza dalla sua lista di mosse.
Ne aveva davvero abbastanza di pioggia.

La rossa aveva momentaneamente dimenticato che non solo Emolga le aveva palesemente mostrato di conoscere Tuono pochi minuti prima, ma anche che, qualora fosse anche riuscita ad approfittare della pioggia per potenziare le mosse Tipo Acqua di Swanna, sarebbe stato comunque tutto inutile: il vantaggio del Tipo era di Camelia e lo erano anche le resistenze che ne conseguivano.

«Che faccio? È ovvio che stia cercando di portarci il più in alto possibile per scagliare un Tuono micidiale... Ci schianteremo a terra... Sono spacciata. 
Cosa posso fare? 
Niente, è finita.»

Anemone chiuse un secondo gli occhi, sentendo la pioggia flagellarle le spalle.
Riusciva già a immaginarsi giacere nuda, dopo essere stata stuprata e psicologicamente rovinata da quegli aguzzini maledetti.

Le venne in mente un'ultima cosa.

«Essere il Campione non significa solo combattere. Significa anche...»

E la frase si completò per lei.
«Credere.»

«Se non credo io in me stessa nessuno lo farà mai al posto mio.»
La rossa alzò lo sguardo, come se avesse intravisto una luce salvatrice in quel cielo di nuvole tetre.

«Continua a salire, non fare in modo che Emolga ti raggiunga!»
Mentre il cigno dalle ali bianchissime si sforzava di raggiungere il paradiso sfrecciando attraverso l'aere come una freccia, Anemone si ricompose.

«Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei...»

«Cosa sta contando Anemone?» Iris domandò sconcertata, quasi gridando.
Ora sapeva che la rossa aveva in mente qualcosa.

«Siamo partite da 6 metri da terra, in stato di quiete. Swanna sale verso l'alto di 4 metri e mezzo ogni 2 secondi circa. Sono circa 2 metri al secondo per ogni tratto.»

«Nove. Dieci. Undici. Dodici...»

«Swanna è già a velocità 27 metri al secondo, ci vuole più potenza...»

«Sedici. Diciassette, sali sempre più in alto, più veloce, Venti...»

«Se ogni tratto vale 2 virgola 25, dovremmo essere a 100 metri da terra ormai.
100 è uguale 6 più un mezzo dell'accelerazione moltiplicata per il tempo, 25 alla seconda... Facendo i calcoli, 94 sta a 625 mezzi con... Caspita, siamo quasi a 200 chilometri orari!»

Prima di attuare la mossa decisiva, la ragazza osservò Camelia negli occhi, come per farle notare di non essersi arresa neanche un secondo.

Infine benedì la legge oraria del moto rettilineo uniformemente accelerato e la bassa pressione della pioggia che annichiliva l'attrito presente nell'aria.

«Ora! Sbatti Emolga al suolo con tutta la potenza che hai!»
Gridò a pieni polmoni.

Swanna calò in picchiata verso terra e, da un puntino bianco che viaggiava a chissà che velocità dalle cifre esorbitanti, diventava un corpo sempre più distinto.
Emolga, come previsto, fu costretta a fuggire da quel proiettile vagante, che presto o tardi si sarebbe abbattuto su di lei.

Seguì un attimo di stupore da parte di tutti, gli uomini in nero e la stessa Camelia compresi.

Solo un enorme boato segnalò una caduta assai violenta.

Seguì un breve silenzio.

Pochi secondi dopo il braccio di Catlina, che faceva da arbitro, si alzò finalmente verso il cielo, puntando definitivamente da una sola parte.

«Emolga non è più in grado di lottare. Il vincitore è...» Ma fu interrotta.

«Anemone, Anemone ha vinto! E quindi significa che resta, sì!»
Iris aveva addirittura fatto un salto di gioia, dopo aver abbracciato Camilla e aver gridato un paio di volte, dimenticandosi di essere ancora in dovere di dimostrare un minimo di maturità.

Ma era troppo felice.
La sua amica più cara non avrebbe dovuto rinunciare al suo sogno, non avrebbe dovuto vivere il resto della sua vita in modo vergognoso e disdicevole.

Il fatto più importante restava comunque che la rossa sarebbe rimasta ancora con lei.

«Come pensavo: Anemone stava contando i secondi che il suo Pokémon impiegava per salire verso l'altro ed applicarli alla formula...
Ah, voi ragazze di Unima siete belle ed intelligenti allo stesso tempo, che invidia!»
Ammise Camilla, sorridendo e rivolgendosi effettivamente solo a se stessa.

Lei, Catlina e Iris si erano radunate intorno alla ragazza, e nonostante fosse completamente fradicia di pioggia non esitarono ad abbracciarla.

Anemone si sentì la ragazza più felice del mondo.

Ora le nuvole nere cariche di pioggia che oscuravano il suo futuro si stavano dissipando e lasciavano spazio ad un nuovo ed abbagliante sole, esattamente come stava avvenendo nel cielo in quel momento, un cielo che diventava di nuovo azzurro dopo che l'effetto sul campo di Pioggiadanza si era esaurito.

«Voi altri; - Anemone si avvicinò al gruppetto degli "assistenti sociali" con un'aria di superbia mai vista prima - questa formula per l'accelerazione in aria non l'ho imparata a scuola: me l'ha insegnata mio nonno, serve a non far precipitare gli aerei.

Se proprio volete una ragazza con cui fare sesso, almeno pretendete che sia abbastanza stupida da farlo con voi.»

Tutte le ragazze la applaudirono, Iris le diede il cinque in segno di rispetto.

La rossa sentì rinata, con gli stessi occhi azzurri, gli stessi capelli rossi ma con un animo nuovo di zecca, senza più rimpianti per il passato o pessimismi per il futuro.
 

Ora che la sera stava calando, l'atmosfera si fece più calma.

«Hey ribelle, hai dimenticato la seconda parte della tua ricompensa?»

La rossa era rimasta ancora sul campo di lotta, a rilassarsi osservando delle nuvolette chiare striare il cielo blu terso.

Non si era aspettata che Camelia sarebbe giunta da lei di sua spontanea volontà a reclamarle ciò che avevano pattuito in caso di vittoria per la giovane di Ponentopoli.
Aveva sperato che se ne fosse dimenticata, ora che le cose si erano più o meno sistemate.

«Lo hai detto tu: potevi tirarmi due schiaffi se vincevi.
Ed è andata così... Sono qui, e se non lo hai ancora capito mantengo tutte le promesse che faccio.»

Gli occhi di Camelia non sembravano per nulla turbati, ma non apparivano neppure dispiaciuti o scocciati; la rossa capì in un secondo come mai la ragazza di fronte a lei non sentisse la pesantezza del rimorso o la rabbia della sconfitta: non ne aveva motivo.

Però Anemone si sentì solo più in dubbio, tentò di sollevare una mano rigida, ma non riuscì a compiere il movimento fluido e veloce che precede l'urto violento della mano contro il volto, quasi come se lo schiaffo lo avesse subito lei stessa.

«Camelia... Perché hai fatto finta di... H-Hai messo in scena tutta la storia della lotta, del fatto che ci odiassimo, e mi hai lasciato vincere...
Insomma, perché hai fatto tutto questo, voglio sapere.»
La giovane aveva cercato di formulare la frase il più decisa possibile, ma aveva finito per rispecchiare con le parole il caos che aveva dentro.

Non si era aspettata nulla di tutto ciò, e aveva capito che si trattava di una finzione solo alla fine della lotta, quando la rabbia che aveva dentro si era calmata ed aveva visto le cose con lucidità: un'allenatrice del rango della compagna che non colpisce al momento dell'attacco... Come aveva potuto non notarlo prima?

«Ah... Quindi hai capito perché non ho usato Tuono e approfittato della tua stupidità... - Camelia sembrava aver riflettuto su ogni singola parola - ma non è ovvio, scusa?»

«No, certo che non è ovvio! Non hai ripetuto almeno un miliardo di volte che tu non menti mai, che sei sempre piena di orgoglio, che non sei una doppiogiochista?!»

Dopo aver respirato affannosamente la ragazza rossa si sentì tremendamente in colpa, dato che provò a mettersi nei panni della sua avversaria, come da sempre faceva e non poteva fare più a meno.

Dopo tutto quello che Camelia aveva fatto per lei, fra cui rinunciare al suo orgoglio personale e attirare su di sé l'odio delle altre ragazze passando per una adulatrice della peggior specie, ciò con cui Anemone voleva ricompensarla erano due schiaffi, che pensò di meritarsi più di lei.

Ed invece all'improvviso la rossa si ritrovò a contatto con la pelle liscia e bianca delle braccia della top model, che rideva dolcemente, come se si fosse trattato solo di un equivoco poco importante.

Rimpianse ogni cattivo pensiero, anche se le era stato dettato dalla disperazione: si sentì un'ipocrita, che parla del perdonare e compatire le persone quando lei stessa aveva meditato i peggiori insulti nei confronti della compagna.

«Anemone cara... Ti hanno mai spiegato come funziona l'amicizia?
Non l'ho inventata io, dai... Se qualcuno ti fa un favore, o si risparmia di odiarti quando te lo meriti, sarebbe una cosa, diciamo, "umana" se si potesse ricambiare quella gentilezza, anche se va contro la propria morale o contro la propria personalità.
Tu non hai riso di me tutte le volte in cui ho fatto le mie scenate da bambina isterica.
Anzi. Sei quasi riuscita a consolarmi, e di questo ti sono grata.

Se io non ti avessi aiutata ora, che ne avevi bisogno... ah, i monologhi filosofici preferisco lasciarli a Camilla.
L'importante è che tu sei qui, e lo sarai per... altri tre mesi.»

Le due diciassettenni si strinsero abbracciate per un paio di secondi che diventarono minuti, respirando all'unisono, come se si sentissero sollevate dalle loro colpe.

In effetti, Camelia si era domandata spesso quando si sarebbe decisa a ringraziare degnamente la compagna di sopportarla durante i suoi periodi bui, di ascoltare ogni cosa dicesse, fra le sue inutili battute e le sue crisi isteriche, e di essere semplicemente diversa da quella massa di fantocci di trucco e bugie che costituivano la restante parte dei suoi amici.

Non fu mai così contenta di aver perso una lotta: poter vedere il viso di Anemone da quella distanza era un vero privilegio.

«Camelia, ti prego, voglio diventare tua amica.
Davvero. Sei semplicemente perfetta, sei anche bella e intelligente...

N-Nel senso, sei fortunata perché lo sei, n-non l'ho deciso io, da sola... - la stretta delle braccia di Anemone si fece più forte, schiacciando il suo seno contro quello dell'altra - Prometto che non ti minaccerò mai più con gli schiaffi, giuro.»

Sorridendole dolcemente, la mora spinse la ragazza via da sé, godendosi l'espressione delusa della pilota.
«Mi pare il minimo che tu non mi prenda a schiaffi dopo che ti ho evitato uno stupro! - ma dato che non avrebbe sopportato per molto il pensiero di essere detestata da lei, le abbracciò le spalle - Ora però torniamo dalle altre, così spieghi anche a loro quanto io sia perfetta, bella e intelligente, okay?»

Finita quella giornata estenuante, Anemone ringraziò il cielo di averle dato una vita così, non bella, ma particolare: ringraziò di avere così tante persone fantastiche intorno a lei, una famiglia che l'aveva valorizzata per i suoi difetti, di avere perfino una libertà nel cuore che nessuno mai le avrebbe potuto togliere.

 

 

«Wow Anemone, sei stata grande con quella... cosa di matematica durante la lotta.»

«Iris, quella non è una "cosa di matematica", ma una legge fisica vera e propria.»

«Oh, allora bisogna portare assoluto rispetto, mi inchino al cospetto alle leggi fisiche vere e proprie!»

«Non credevo mi toccasse fare la figura della secchiona qui, ma lascia che ti illumini:

Uno Swanna, nel salire verso l'alto in volo, parte da 6 metri da terra in stato di quiete. Percorre in volo 100 metri in 20 secondi.
Calcola l'accelerazione raggiunta al momento e il tempo necessario a raggiungere una velocità superiore ai 200 chilometri orari.

Iris, mi hai ascoltata?»

«Scusa, ma ho appena saputo che il prossimo capitolo sarà pieno di contenuti sexy... Sono così contenta!

E comunque credo che neppure i lettori abbiano capito ciò che hai detto: rimane il fatto che hai usato una mossa di Tipo Volante su un Tipo Elettro e ti consideri un genio...»

«Avevi per caso un'idea migliore? Non credo.
Comunque il fatto che il prossimo capitolo sia davvero ammiccante mi rende curiosa...
H-Ho detto curiosa, n-non eccitata!»

 

 

Behind the Summery Scenery #11

1. Il flashback di Anemone? Un parto. Inizialmente volevo farle fare l'acab ribelle trasgressiva e sarebbe dovuta scappare dall'orfanotrofio ed incontrare suo nonno per caso... so che non ha senso, per fortuna me ne sono resa conto prima di pubblicare.

2. In effetti, Anemone non somiglia neanche lontanamente a suo nonno (quello che appare nell'anime). Ora, so che ci sono diverse versioni, fra cui quella in cui Anemone è bianca come un lenzuolo (che io amo definire la "versione razzista"), io mi sono basata su questa per scrivere il suo personaggio come un'orfanella bisognosa d'amore. Viva l'abbronzatura sexy.

3. Io amo la fisica e, quando non è spiegata con i piedi, anche la matematica. I calcoli che la rossa fa durante la lotta sono tutti reali, mentre scrivevo li ho fatti su un foglio a parte, comprendono solo le formule delle leggi orarie del moto rettilineo uniforme ed uniformemente accelerato. 

4. La battuta sull'Idropompa fatta contro Camelia l'ho trovata in un sito di frasi da rimorchio a tema esclusivamente Pokémon. Ah internet, non sai più come stuprimi!

5. Qui una bella canzone che mi ha aiutata nelle scene finali. Qui una che si chiama come il titolo del capitolo.

7. L'idea del casinò è una specie di desiderio represso personale, sapete, ho sempre sognato di andare a Las Vegas e fare su un bel malloppo fra roulette, slot machines e blackjack, anche se la fortuna non è quasi mai dalla mia parte.

8. Ho dovuto anche eliminare un trafiletto finale in favore di un qualcosa di più sbrigativo, una parte in cui Mirton e Sabrina dialogavano con la telepatia ed una scena sul Team Plasma. Fra tagli netti e riscrivere tali parti questo si è rivelato uno dei capitoli più difficili da scrivere.

9. Effettivamente Unima non ha un casinò, quello che ho immaginato si trova nella zone di Libecciopoli in cui nel primo gioco sorgeva il Deposito Frigo, nei sequel il Pokémon World Tournament.

 10. Chiedo venia a tutte le persone che sono venute qui per leggere di yuri e si ritrovano questo capitolo con forti accenni Mirton X Catlina. Non fatevi ingannare dall'apparenza.

  
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