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Autore: phantophobia    21/01/2016    2 recensioni
Due vite e una nuova città: ecco cosa attende due giovani ragazze italiane, Alice e Francesca, alle prese con la vita in Korea. Tra incidenti, ironia e amicizia forse c'e spazio anche per l'amore.
Due destini si incrociano, ma mai com'è consuetudine.
안녕히 계세요
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo la bellezza di 17 ore di volo e uno scalo a Istanbul, finalmente, io e Francesca arrivammo a Seul.
“Sarà che sto già percependo il fuso orario, ma mi sento mezza morta”. Con una frase Francesca aveva descritto il nostro stato attuale.
“No, io mi sento fresca come una rosa, 17 ore di volo per me sono una..”
“sei sfinita”
“Si…andiamo in albergo che sennò mi addormento qui”.
Il nostro hotel aveva tutto: economico, vicino ad un mini market, pulito, a pochi passi da una fermata del bus e con un personale giovane ed attraente... ehm, volevo dire cordiale e poliglotta.
“Senti, io mi rilasso 5 minuti, se tu nel frattempo vuoi disfare le valigie.. max 10 minuti e poi mi sveglio e iniziamo il tour!”
Conoscevo Frà da abbastanza tempo da sapere che i suoi 5 minuti equivalevano a 4 ore (quando non era stanca). Considerando lo stress del volo, il fuso orario e il viaggio in aereo in super economica (la classe appena dopo il viaggio con galline in cabina), Francesca avrebbe dormito tutto il giorno, e siccome non mi sentivo così stanca, svuotai le valigie e mi riposai un’oretta.
Quando mi svegliai, la mia migliore amica stava russando beatamente. Morfeo l’aveva rapita, e sarebbe stato del tutto inutile tentare di svegliarla. L’unica cosa che potevo fare era passeggiare per conto mio, con le cuffie alle orecchie.
Salutai il cordiale addetto alla reception (un ragazzo asiatico sui 26 anni che poteva benissimo essere un idol, bello da far spavento e del tutto non interessato ad una scialba ragazza italiana).
Misi le cuffie alle orecchie, accesi l’ mp3 sulla cartella k-pop e partì alla volta dell’avventura.
“Non credevo che la Korea fosse così, mi sembra di camminare negli stessi luoghi dei miei drama preferiti… quella potrebbe essere la fermata della metro dove Healer scappa ad inizio drama! E quello sembra il cancello dove Ki Young-gyu attende Saet-byul nel mio drama preferito God’s gift…ok, basta. Rischio di non uscire nemmeno dall’albergo!”
Era come se guardassi me stessa camminare dall’alto. Non ero lì, ero altrove, non ero conscia di quello che facevo o vedevo. Avevo la mia Nikon al collo, ma non avevo la forza di scattare, temevo che nel momento in cui avessi staccato gli occhi dal paesaggio, qualche dettaglio fondamentale mi sarebbe sfuggito. Sembravo allucinata, i passanti mi guardavano con timore, alcuni ridevano. Ma io ero troppo distante per rendermene conto. Non mi ero nemmeno accorta di aver iniziato a cantare. Non canticchiare sommessamente. No. Stavo sbraitando parole a caso, il mio coreano non era esattamente “pronunciabile o capibile”. Mi svegliai dal mio torpore solo quando una signora molto cortese mi fece cadere vicino al piede una moneta da 50 won. Era sicuramente una supplica per zittire il mio sfogo artistico.
In un primo momento mi sentii incredibilmente mortificata, poi umiliata, poi autoironica e infine furiosa.
Mi incamminai per tornare in albergo, ero fuori di me, come avevo potuto umiliarmi in quel modo?
“perché devo sempre fare delle figure di merda galattiche? Non bastava che mi succedesse in Italia, devo sputtanarmi pure in Corea”.
Affrettai il passo, decisa a nascondermi in albergo e non uscirci più per tutta la durata del viaggio quando mi scontrai con qualcuno. “Uno scontro tra due furie”, io mi ritrovai schiacciata al muro e lui/lei era scivolato per terra, portandosi appresso una innocente anziana che si trovava tra noi nel momento sbagliato.
“oh cazzo, ecco che continuo a mostrare quanto imbranata sono!”
“Mi scusi! Sono dispiaciutissima! Ero di fretta e non l’ho vista! Certo, anche Lei poteva andare con più calma, evitando di investire prima me e poi la signora che, a proposito, si è fatta male? Devo chiamare un’ambulanza?”
La signora, che non capiva assolutamente una parola del mio inglese masticato, fuggì via subito dopo avermi sorriso e fatto un inchino.
Mi inchinai anch’io e me ne uscì con un “senpai”… un termine giapponese. Me ne esco con un termine giapponese che solo Dio sa cosa significa, in Corea. Parlo il giapponese a cazzo in Corea. Mi sembra corretto.
La signora fuggì più imbarazzata di me. Invece, la persona con cui mi ero scontrata stava tremando. Sono sicura che ridesse. “Oddio! Ride di me! Ancora con questa storia! Il mio pagliaccio interiore esce sempre nei momenti più inopportuni e mi mette in imbarazzo”.
Sono sconvolta, sento di avere un accenno di lacrime agli occhi, per la timidezza abbasso la faccia, intenta a guardare l’asfalto.
Ma poi sento un fremito. La persona con cui ho avuto l’incidente si gira, indossa un cappuccio, mi è difficile vederla in faccia. Ma so che ride. Lo sento.
Porta un vistosissimo paio di occhiali da sole stile anni ’60, “perché diavolo li porta?!? Non c’è poi così tanto sole oggi!”, e una mascherina che gli copre la bocca, contro lo smog credo, “o magari nasconde il risultato fallimentare di una chirurgia plastica probabilmente non necessaria”. Il mio pensiero mi fa partire una risatina, nemmeno troppo soffocata, e per questo attiro la sua attenzione.
Mi fissa, si abbassa il cappuccio della felpa sempre senza mai togliere lo sguardo dal mio. Mi sento un po’ intimidita, è come se ci conoscessimo ma al contempo fossimo degli estranei collegati da un oscuro segreto. Rido nuovamente del mio pensare e questo lo incuriosisce ulteriormente.
Ora so per certo di avere di fronte un uomo, o meglio, un giovane ragazzo sulla trentina, non molto alto (standard asiatici permettendo) ma estremamente ben fatto (intravedo l’addominale sotto la sua felpa, anzi, lo immagino e il pensiero mi fa prima arrossire e poi vergognare, provocandomi la perdita di sangue dal naso). Porta dei vestiti troppo larghi per la sua taglia e indossa molti gioielli vistosi che mi fanno pensare ad un 50 cent coreano. “ahahahaha oh mio Dio, ho incontrato un gangster asiatico! Oddio, trattieniti, non posso ridergli in faccia, non di nuovo”.
“Cos’è che ti fa tanto ridere?” la sua voce interrompe il mio flusso di pensieri.
Parla un inglese perfetto, molto più del mio. “ma è coreano o inglese sto tizio? Parla come un impeccabile cittadino londinese!”
“No, scusa, stavo pensando a niente. Lascia perdere, rido sempre per nulla” mi affrettai a controbattere balbettando.
“Quindi non ridi di me, vero?”
“Affatto” mento. “Rido della mia incapacità di parlare coreano”
“..O giapponese”, mi interrompe lui, “devo ammettere che non mi era mai capitato di sentir chiamare Senpai una signora anziana”, lo sconosciuto trattiene appena una risata.
“A quanto pare sei tu a ridere di me. Ok, non parlo coreano e nemmeno giapponese, ma cavolo, almeno ci provo!”
“Certo, e ti faccio i complimenti per questo. Hai coraggio, non molti ne avrebbero per cantare una canzone degli B1A4 a squarciagola camminando per strada”.
Divento paonazza. “Oh cavolo, mi ha sentita cantare”. Riabbasso lo sguardo e mi sotterro mentalmente 10 km sottoterra.
 “Ehm…mi hai sentito cantare? Oddio, mi dispiace! Non me ne ero nemmeno resa conto! Mi sono persa a guardare in giro e… ho cantato! Senza accorgermene”, mentre parlo mi accorgo di essere diventata rossa ovunque, a brave prevedo che anche i miei vestiti cambieranno colore.
Lo sento ridere, ma di gusto questa volta, il che mi fa abbattere.
“Non scusarti, so cosa si prova. Ogni tanto hai solo bisogno di cantare. Sta tutto lì. E ti sfoghi, elimini tutto. Butti via ogni turbamento e ogni stress. Ti capisco davvero e non te ne devi vergognare. La tua voce non è male”.
Ok, ora so che mi prende anche in giro. Alzo gli occhi e lo guardo, quasi lo fulmino e gli dico: “ci sta che tu non voglia offendermi, ma davvero, so di cantare come un’anatra sgozzata. Una signora mi ha offerto 50 won per smettere. È abbastanza indicativo, non trovi?”
Una risata gustosa, allegra gli esce dal petto, e mi fa sussultare. È una risata bellissima e molto dolce. Di quelle risate che ricordano i bambini mentre giocano, e finalmente mi rilasso. Non sono più tesa, sono curiosa. Curiosa di scoprire chi si nasconde dietro quel travestimento. E così mi faccio forza e gli chiedo: “è una moda personale o tutti andate in giro vestiti come se foste dei fuggitivi della legge? Perché se è così devo andare a fare shopping, i miei vestiti colorati potrebbero attirare l’attenzione”.
Stavolta ridiamo tutti e due, ma non mi risponde, e poi, con un gesto appena accennato, quasi tremante, lo vedo togliersi la mascherina dalla bocca “wow, niente chirurgia”, toglie gli occhialoni che lo hanno fino a prima schermato, ma continua a tenere un cappellino sportivo spalmato sulla fronte.
Sembra improvvisamente timido perché lo vedo abbassare lo sguardo, quasi si richiudendo a riccio, arrossato leggermente sulle guance.
Lo guardo un po’ stranita ma gli dico con tranquillità, per calmarlo: “ehi, facciamo così, ci togliamo qualcosa a vicenda, così non dobbiamo sentirci imbarazzati!” e appena lo dico mi rendo conto della puttanata, e cerco di salvarmi balbettando qualche scusa senza senso.
Lui ride, e sembro averlo convinto. “ok, allora magari ci mettiamo d’accordo su cosa ti devi togliere tu” mi dice sorridendo.
Sono multicolor, sto toccando tonalità di rosso mai percepite sulla terra. Sono l’unica persona a fare delle gaffe così clamorose senza rendersene conto? “sono proprio un’idiota, un’imbecille!” penso tra me e me, ma poi mi blocco.
Il più bel paio di occhi chiari che abbia mai visto mi stanno fissando. Sono profondi e temo di annegarci dentro, quindi abbasso lo sguardo, sulla sua bocca, perfetta, delineata e rosea, ricorda qualcosa di divino, troppo bello per essere umano. Sento di essere impallidita, allucinata, e continuo a fissarlo ammaliata da tanta bellezza. Sono estasiata da quello che sto vedendo. Un Giasone coreano, bellissimo e simpatico mi sta fissando, e io come una ebete sembro in trance. “Chiudi quella bocca imbecille, prima di cominciare a sbavare come una lumaca. Non fargli vedere quanto sei disperata, quanto lo vorresti…sii misteriosa”, me lo dico ma nemmeno io ci credo e allora, considerato che saranno passati tre minuti di imbarazzantissimo silenzio in cui io ho fatto la mia figura da pervertita, lui prende l’iniziativa e timidamente mi dice: “Ciao, io mi chiamo Dong Young-bae, ma puoi chiamarmi Taeyang”.
Io continuo a fissarlo e l’unica cosa che esce dalla mia bocca è: “oh cielo, mi sono innamorata!”.
 
 
Ecco il secondo capitolo di questa serie! Spero possa piacervi e mi scuso anticipatamente per la lunghezza esagerata. È solo che sono partita a scrivere e non sono più riuscita a fermarmi. È stato svelato anche il paladino della storia, e chissà che la relazione AliceXTaeyang non possa diventare Amore… continuate a stare sintonizzati se volete conoscere il resto! A bientôt (pure il francese adesso?!?)
 
Phanto
   
 
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