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Autore: PathosPie    22/01/2016    0 recensioni
Un uomo con una passione smisurata a dir poco per le opere teatrali trova un libro di un'opera sconosciuta, mai sentita prima d'ora. Questo copione, tuttavia, è del tutto avvolto nel mistero più fitto, un mistero che forse era meglio non rivelare...
Genere: Generale, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Desideravo prolungare la mia mano per afferrare la mia colazione, ma, nonostante la mia volontà di ferro, non ce l'avevo fatta.

Perché? Cosa stava accadendo al mio corpo, che non reagiva più ai miei comandi?

"CHE GIORNATACCIA. UN'ALTRA...DA PORTARE A TERMINE" riesco ad udire una leggiadra voce da soprano , proveniente nientedimeno che dalla mia bocca. Prima, il mio corpo è fuori controllo, ora mi metto a fare anche il cantante lirico da quattro soldi. E' ufficiale, non sono più in me. O almeno, è ciò che quel poco che è rimasto della mia sanità afferma. Difatti, potrei essere del tutto impazzito, dopo aver condotto quest'orribile vita. Provo ad urlare, adirato per la situazione.

"MA PERCHÉ TUTTO A ME?" Le mie parole non escono fuori dalla mia mente, perché non sono più nemmeno in grado di generare voce. Incredibile, semplicemente incredibile. Ma allora come mai sono riuscito a intonare quella meravigliosa melodia. Come mai il mio timbro di voce, che non si direbbe proprio di un soprano, è cambiato all'improvviso.

Mentre tutte queste domande balenavano nella mia testa, il tomo mi compare sottobraccio; furioso, nella mia mente ripercorre il ricordo di come ho trovato quel tomo a terra e, com'esso, abbia iniziato questi tragici eventi.

Faccio per aprire il tomo e a mutilare le pagine, ma sfioro a malapena il tomo e ascolto un osso del braccio rompersi come un ramoscello. Voglio urlare il mio dolore, ma non riesco. Il dolore, che non ha via di uscita, si trattiene nel mio corpo, bruciandolo e consumandolo nella sua morsa velenosa.

Mi accascio a terra, stremato e in procinto di lacrimare, sia per il dolore che per la condizione in cui mi sono cacciato.

"ORA DI FAR VEDEEEEEER...AL CAPO MIO...CHE VADO IN FERIE...A NON LUI RIVEDEEER" ricomincio a cantare. La voce è stupenda, ancora più di prima, la vorrei risentire, veramente, ma sapere che essa è anche la causa della mia rovina mi incita a dimenticare tale particolare di questa maledizione, l'unico gradevole. Di colpo, le mie gambe riprendono la loro volontà e mi portano fuori casa, senza nemmeno lasciare il tempo di vestirmi per andare al lavoro, con in braccio il tomo maledetto.

Le gambe si dirigono verso il mio solito posto di lavoro. Almeno i miei occhi e la mia mente sono ancora libere dal sortilegio: guardo lo stupore e la perplessità di tutti coloro che mi passano davanti, osservandomi in pigiama, causa il sortilegio. Riprovo, invano, ad avvicinarmi ad un bar per poter comprare qualcosa, ma le mie gambe sono troppo forti; provo addirittura ad aggrapparmi ad un palo della luce, rischiando di rompere le ossa del bacino. Ancora stremato dal dolore, mollo nuovamente la presa.

Il Palazzo di Cristallo: così lo chiamano nella mia città il grattacielo in cui lavoro io, per la purezza e la finezza del suo vetro. Le porte scorrevoli si aprono al mio arrivo, con la conseguente centralizzazione dell'attenzione di tutti i colleghi verso di me, vestito per andare a dormire.

"ADDIO COLLEGHI. A MAI PIÙ" la mia voce recita, mentre salgo per le scale. Da quello che ho capito, ora mi dovrei recare nell'ufficio del mio superiore, con poche buone intenzioni. Eccola, alla fine, la porta del suo ufficio, adornata da delle colonnette d'oro, con dei teneri angioletti.

Spalanco la porta a calci, beccando il mio capo intento a fumare una sigaretta; costui non ha gradito il mio arrivo improvviso, lanciandomi uno sguardo raggelante.

"Che vuoi da me? Torna al tuo posto"

"PALLONE GONFIATO. SBRUFFONE" Il mio capo mi fissa con occhi allibiti. "IDIOTA. PELAAAAAAANDRON. TORNA ALL'ASIL, ALL'ASIL, ALL'ASIIIIIIL"

"Come ti permetti? Tratti così il tuo superiore?"

"SCEEEEEEEEEEMO" continuo con il canto, scocciando il mio superiore che chiama la sicurezza per sbattermi fuori.

Almeno ho detto quello che volevo dire a quello sbruffone tanto tempo fa. In fondo, sono riconoscente a questa maledizione. Ma solo per avermi dato il coraggio di sputargli tutto quello che penso di lui. Il resto è davvero tremendo

   
 
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