Libri > Divergent
Segui la storia  |       
Autore: Margo_Holden    23/01/2016    1 recensioni
Sheena è una pacifista, che nel giorno della scelta, deciderà di stare con gli intrepidi.
Quello che non sa, è che non ci sarà solo la lotta per rimanere nel suo nuovo mondo, ma la lotta più grande dovrà vincerla contro se stessa e i suoi sentimenti.
Dal Capitolo 17.
"Quando giunsi lì, mi sedetti sul muretto con i piedi a penzoloni. Chiusi gli occhi e allargai le braccia. E sognai di essere una bellissima aquila, che volava e spiegava le sue ali senza paura o timore, che padroneggiava alta su nel cielo, limpido e senza nubi. Andava dritta per la propria strada e non si guardava mai indietro, sapeva cacciare e badare a se stessa, mentre muoveva le ali su e giù senza badare agli altri uccelli che la guardavano intimoriti. Aprii gli occhi di scatto quando capii che avevo disegnato il profilo di Eric."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Tris
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Capitolo 16.







Sentivo una strana forza avvolgermi dentro. Finalmente, dopo aver dormito serenamente, mi sentivo veramente rilassata e in pace con me stessa. Le occhiai non erano però sparite ma il rossore si, quello se ne era andato. Avevo anche ripreso un po’ il colorito. Ero decisamente pronta per affrontare quell’ultima sfida.
A svegliarci però fu Quattro che passando tra i vari letti, cominciò a lanciare a destra e a sinistra le divise che avremmo dovuto indossare quel giorno.
La divisa consisteva in: una maglia bordeaux, dei pantaloni neri con tasche dissiminate un po' ovunque per i ragazzi, e con inserti in pelle per le donne ed infine una pesante giacca nera.
Tutti insonnoliti però, cominciammo a vestirci.
Vedevo le facce di tutti e mi sembrò di rivivere una sorta di déjà-vu. Mi sembrò per un attimo di rivedere anche Jude, che stava lì, fermo nella sua postazione a mangiucchiarsi le unghie già corte, con una smorfia di ansia disegnata sulla faccia.
Poi mi riprendevo e guardavo gli altri compagni, ma di lui nessuna traccia. Così con un moto di nostalgia, riprendevo a vestirmi.
Quando fummo tutti pronti ci avviammo insieme alla mensa e per alcuni di noi, anche per l’ultima volta.
Vidi James che era seduto nel tavolo insieme agli altri della sua camerata e così decisi di fare lo stesso anche io.
Mi sedetti vicino Brian che sembrava il più sereno di tutti. Tanto lo sapevamo tutti e lo sapeva anche lui che sarebbe stato il primo in classifica.
-Cosa prendi signorina?- mi chiese scherzosamente.
-Un caffè e un muffin, grazie.- risposi rivolgendogli un sorriso a trentadue denti.
Così si avviò verso e il buffet e ne tronò dopo poco con quello che avevo richiesto, più due fette di torta al cioccolato e un breakfast tea.
-Stavo pensando, cosa farai finita l’iniziazione?- gli chiesi tra un morso e l’altro.
-Credo che proverò con il centro di controllo. Sai il posto in cui lavora Quattro e per il resto vorrei anche io far parte degli allenatori. Te invece?- mi chiese.
-Non lo so, forse diventerò una tatuatrice oppure cercherò di entrare tra il gruppo di sorveglianza alla recensione. Ma penso che per quello ci voglia un brevetto o una sorta di specializzazione.- risposi.
-Scherzi la tatuatrice?!? E sai disegnare?- mi chiese scioccato ignorando il resto.
-Si!- risposi fiera di me.
-Allora verrò presto, voglio un tatuaggio tutto tuo.- rispose dandomi un buffetto sulla guancia.
-Chi è che secondo voi diventerà un capofazione?- chiesi anche per comunicare con gli altri.
-Secondo me James. Andiamo sarà proprio il padre che glielo lascerà come eredità.- rispose Ian con una nota di gelosia nella sua voce. Era naturale che tutti aspirassimo alla massima occupazione, ma non tutti potevano raggiungerla.
In effetti era più che vero. Almeno sarebbe stato un buon capofazione.
-Io vorrei lavorare alla recensione. E mi dispiace Sheena ma forse ci riuscirò.- disse Helena.
-Lo so, sei sempre stata più brava di me. va beh, vorrà dire che ti riempirò di tatuaggi.- aggiunsi scherzosamente.
Mentre finivamo la nostra colazione si avvicinò al nostro tavolo Quattro con un espressione dura sul viso.
-Se avete finito, andate nelle vostre stanze. Quando sarà ora verrò a chiamarvi.- e se ne andò. Non ebbi nemmeno il tempo di dirgli okay. Era sempre stato uno di poche parole, ma oggi sembrava proprio averle perse tutte.
Come comandati da un sensore, ci alzammo tutti nello stesso istante e ci dirigemmo nella nostra stanza.
Mentre percorrevamo il corridoi che portava alla nostra camerata, ci trovammo di fronte Janinne Mattiews parlare allegramente con Max, il capofazione capo della residenza, senza però perdere il suo cipiglio altezzoso dipinto in faccia, seguita da Eric ed altri eruditi, suoi collaboratori.
Tutti cominciarono a parlottare tra di loro sul perché si trovasse li allora chiesi a Brian se lui ne sapeva qualcosa.
-Credo per assistere alla nostra iniziazione.-
Non c’erano altre spiegazioni. Le parole di mio fratello mi ritornarono in mente come un eco urlato in lontananza e tutto mi fu più chiaro. Lei era venuta nella nostra fazione per continuare con il suo piano di cacciatrice di divergeti. Ce l’aveva avuta sempre con loro e giustificava il suo odio dicendo che erano pericolosi per la nostra società. Aveva poi reso tutti i sieri a prova di divergenti e scritto papiri di articoli di giornali per indurci a denunciare loro e chiunque li avesse protetti. Io però non l’ho mai fatto, anche se conoscevo ragazzi divergenti. Semplicemente perché nella mia fazione non era poi così importante perché l’elemento che caratterizzava ognuno di noi, era proprio l’essere pacifici. Il resto non contava.
L’unica cosa che mi importava adesso era superare l’iniziazione al meglio e rimanere qui, tra gli intrepidi e non essere esclusa.
Dopo un ora, fece la sua comparsa Quattro che ci comunicò che era ora di andare. Presi la giacca, me la misi e la chiusi con la zip. Se potevo nascondere il tremolio nelle mani, non potevo però farlo con l’ansia. Era qualcosa di soffocante, qualcosa che ti mozzava il respiro. Il vuoto nello stomaco era anche peggio del tremolio alle gambe. Per non parlare della patina di sudore che si era venuto a formare sulle mani. Ma quando alzai lo sguardo su Brian, scorsi anche nei suoi occhi l’ansia e gli sorrisi. Lui se ne accorse e mi si avvicinò circondandomi le spalle con un suo braccio.
-Nervosa Sheena?- mi domandò mentre ci muovevamo in branco per uscire dalla porta e raggiungere il centro del palazzo di vetro,  dove si sarebbe svolta la prova.
Attraversammo tutto il corridoio, poi lo strapiombo e giungemmo infine al pozzo. Per l’occasione ovviamente, tutti gli intrepidi si erano recati nel palazzo di vetro lasciando deserto il pozzo.
Salimmo poi delle scale che dal pozzo conducevano al palazzo. Ad ogni gradino che salivo, l’ansia dentro di me si faceva più pesante. Fu però quando arrivammo al centro del palazzo che l’ansia divenne un mattone. C’era tutta la fazione degli intrepidi li, pronti a fare baldoria. Inoltre per l’occasione avevano costruito delle panche così che tutti potessero assistere all’iniziazione seduti. Come al cinema.
-Allora ragazzi dovete posizionarvi nella parte di destra ed aspettare che Max dia il via al tutto. -
E così facemmo, ci recammo nella parte di destra e ci sedemmo sulla panca.
Mentre mi guardavo attorno, scorsi al centro la poltrona delle simulazioni con un maxi schermo alle sue spalle. Il tavolo con il computer a destra e le fialette con il siero a sinistra. Ma la cosa che più mi lasciò sorpresa era l’erudito biondo che si affrettava a mettere apposto quelle fialette in orizzontale con un ordine scrupoloso. Mentre lo guardavo con gli occhi fuori dalle orbite però, mi accorsi che qualcun altro stava già guardando me. girai lo sguardo e mi ritrovai incastrata tra due occhi grigi impassibili e duri. Eric era li a qualche metro di distanza che mi fissava con il suo cipiglio stampato in faccia, i suoi capelli biondi portati in dietro con il gel e la barba sfatta. Era più bello che mai, con quel gilet di pelle che li andava a fasciare perfettamente le spalle e la maglia nera che non lasciva niente all’immaginazione. Al suo fianco c’era Janinne che scrupolosa ci stava studiando tutti.  Poi Max prese a parlare e noi ci alzammo in piedi per ascoltare le parole del capofazione.

-Noi crediamo che la vigliaccheria sia responsabile delle ingiustizie del mondo. Crediamo che la pace si conquisti a fatica, che a volte sia necessario lottare per essa.
Ma più di questo:
Noi crediamo che la giustizia sia più importante della pace.
Noi crediamo nella libertà dalla paura, nel negare alla paura il potere di influenzare le nostre decisioni.
Noi crediamo in atti di ordinari di coraggio, nel coraggio che spinge una persona a ergersi in difesa di un'altra.
Noi crediamo nel riconoscere la paura e la misura in cui essa ci governa.
Noi crediamo nell'affrontare quella paura, non importa quale sia il costo per il nostro benessere, la nostra felicità, o persino la nostra salute mentale.
Noi crediamo nell'alzare la voce per coloro che possono solo sussurrare, nel difendere chi non può difendersi.
Noi crediamo, non solo a parole coraggiose, ma ai fatti coraggiosi da abbinare loro.
Noi crediamo che il dolore e la morte siano meglio di codardia e pigrizia, perché crediamo nelle azioni.
Noi non crediamo nel vivere una vita confortevole.
Noi non crediamo che il silenzio sia utile.
Noi non crediamo nelle buone maniere.
Noi non crediamo a teste vuote, bocche vuote, o mani vuote.
Noi non crediamo che imparare a dominare la violenza incoraggi la violenza non necessaria.
Noi non crediamo che ci debba essere consentito di rimanere a guardare senza far niente.
Noi non crediamo che qualsiasi altra virtù sia più importante di coraggio
.-

Mentre pronunciava queste parole, che erano scritte sul manifesto degli intrepidi, tutti cominciarono ad urlare e a battere le mani. Assurdo che credevano in tutto quello che gli venisse detto.
-Per questo oggi vi invito ad essere coraggiosi e ad affrontare le vostre paure per poter rinascere più combattivi e indisciplinati che mai. Che l’iniziazione abbia inizio-
Fu però quando pronunciò quell’ultime parole che tutti, me compresa, cominciammo a gridare in coro Intrepidi. Qualcosa dentro di me cominciò a sciogliersi. Finalmente, dopo quell’urlo mi sentivo più carica, più agguerrita che mai. Anche se l’ansia si faceva sentire lo stesso, forse era un po’ diminuita.
Il primo a fare la simulazione fu James perché era risultato il più bravo tra il suo gruppo.
Nel suo modo di camminare non c’era insicurezza ma spavalderia, dote diffusissima tra gli intrepidi.
Si sedette sulla poltrona  e aspettò paziente che gli iniettassero il siero.
James impiegò 10 minuti per la sua simulazione che tutti noi potemmo vedere sullo schermo. La cosa più divertente era vederlo dimenarsi su quella poltrona e schiaffeggiare l’aria con pugni invisibili.
Il secondo fu Brian, che a differenza di James, non ostentava tanta sicurezza ma questo non voleva dire che lui non credesse in lui, anzi, in se stesso lui ci credeva molto, tutte quelle prove che avevamo affrontato erano state meno faticose per lui proprio per la sicurezza che ostentava. Credo invece che oggi fosse un po’ in ansia per via di Janinne. Essendo stato lui un ex erudito, essersi ritrovato la bionda lì, sarà stata una brutta sorpresa. Brian impiegò 11 minuti e 12 secondi, questo voleva dire che si era giocato il primo posto, infatti quando tronò da noi, la sua faccia era coperta da una sfumatura di arrabbiatura, lo si poteva vedere benissimo dagli occhi ridotti a fessura e dalla mascella contratta. Su quella di James invece, lampeggiava un luminoso sorrisetto cosa che si poteva ritrovare in Matt, il capofazione suo padre e, ovviamente, anche in Eric.
Mentre gli altri si susseguivano su quella sedia, io dal mio canto non riuscivo a smettere di far tremare la gamba, tant’è che dovetti respirare ed inspirare più volte, quasi come che l’aria fosse diventata più pesante, un mattone troppo spesso da poter sopportare. Ed era così tutto ovattato che quando Helena si era alzata io non riuscii a dire una sola parola. Mi ero praticamente creata una grossa bolla trasparente di vetro. Non sentivo e non vedevo nessuno. Speravo solo che quando fosse arrivato il mio momento qualcuno mi avesse risvegliato da quel torpore.
Ero talmente chiusa nella mia bolla di vetro che non mi accorsi che ad un tratto Tris si era avvicinata e  seduta di fianco a me. mi alzai di scatto con una faccia da cogliona sulla faccia. Ma poi Tris mi prese il braccio e mi intimò di risedermi, che non era ancora arrivato il mio momento. Tirai un sospiro di sollievo e mi risedetti.
-Senti, volevo parlarti di una cosa.- mi disse guardandomi dritta negli occhi. Io acconsentii con la testa. Non so come, ma Tris ti metteva addosso una tale fiducia, che non avresti mai dubitato di lei.
-Lo sai perché Jeanine è qui oggi?- certo che lo sapevo ma non potevo certo dirgli di si.
-No… ma tu si, vero?- lei a quelle parole si guadò in torno e io la imitai. Jeanine  era ancora vicina a Max, con il suo cipiglio duro fu però quando sia io che Tris la guardammo, lei fece lo stesso. Seguirono alcuni minuti in cui ci osservammo silenziosamente, ma lei non faceva attenzione a me, ma guardava con aria da prepotente Tris e lei faceva lo stesso. Tra quelle due non scorreva buon sangue. L’aria si fece pesante, talmente tanto che si poteva tagliare con il coltello, così diedi un colpetto a Tris per continuare il discorso iniziato precedentemente.
-Lei vuole scovare i divergenti.- mi disse quando si riprese.
-Quindi fammi capire…lei è qui, perché vuole capire se tra noi iniziati ci siano divergenti, è così?- gli chiesi cercando di fare il punto della situazione, faci finta di fare il punto della situazione, io sapevo già tutto.
-Già…- mi disse.
Non capivo però dove volesse andare  a parare. Quindi decisi di chiederglielo.
-Tris non ho capito dove vuoi arrivare però.-
Lei ebbe un attimo di esitazione ma poi cominciò a parlare.
-Ho visto dei filmati della tua simulazione e mi sono resa conto che sei la più veloce. Per questo volevo dirti che Jeanine potrebbe pensare che sia dovuto alla tue doti che solo i divergenti hanno di uscire dalle simulazione in un attimo. Ti consiglio di metterci tempo, impiegane tanto anche se potresti farlo in un attimo.- rimasi scioccata da quello che mi aveva appena detto. Come sapeva lei tutte quelle cose sui divergenti? Nemmeno mio fratello, che lo era davvero, me ne aveva mai parlato. Ma quando si alzò e se ne tronò vicino a Quattro, in quel momento, in quel preciso istante, mentre mi perdevo nei suoi occhi verdi, beh capii che lo era anche lei. E la mia espressione si fece ancora più sbigottita e sorpresa. Lei mi sorrise, forse aveva intuito che avevo capito tutto.
Non mi ero però accorta che avevano chiamato il mio nome, così sentii Brian che mi diceva che dovevo alzarmi perché Eric si stava già innervosendo. Deglutii e mi avvicinai alla poltrona. Mentre percorrevo quei pochi passi dalla panca alla poltrona, mi sentii di nuovo catapultata in una sorta di déjà-vu, questa volta però era riconducibile al giorno della scelta. Quando titubante mi avvicinavo al futuro. Ne avevo fatta di strada da allora e ne erano successe di cose da allora.
Quando arrivai alla poltrona Eric mi intimò di sedermi con poca grazia.
-La prossima volta che provi a non darmi ascolto…- ma non lo lasciai finire.
-Non ci sarà una prossima volta.- risposi tremando dalla rabbia.
-Già. Non ci sarà.- mi rispose alludendo forse al fatto che non sarei mei riuscita a superare l’iniziazione.
Lui si allontanò e prese la siringa. Si avvicinò pii di nuovo a me e alzò la siringa portandola vicino al mio collo. Prima che potesse premere lo stantuffo, gli bloccai con i polpastrelli il polso. –Non contarci, sarò il mostro che dorme sotto il tuo letto.-  lui fece una risata e non parve per niente intimorito d quello che avevo appena detto. –Perché stare sotto quando potresti stare sopra.- e detto questo premette lo stantuffo. Non potei rispondere perché tutto le palpebre si fecero pesanti e fui costretta a chiuderle.
 
***
Quando riaprii gli occhi ad attendermi non c’era la mia cameretta da pacifica calda e accogliente, ma ben si una luna splendente e un freddo che ti penetrava le ossa. Attesi qualche secondo prima di alzarmi dal pavimento su cui ero sdraiata. La curiosità di capire che tipo di paura avrei dovuto affrontare mi spinse a cercare con gli occhi qualche indizio introno al paesaggio in cui la mia mente e il siero mi avevano catapultata.
Ero immersa nel buio, solo la luna lasciava intravedere qualcosa. il pavimento che stavo calpestando altro non era che l’asfalto della strada e tutto intorno c’erano gli alberi. Cominciai così a camminare ma mi fermai quando capii dove mi trovavo.
Era come quando il giorno peggiore della tua vita, che avevi creduto dimenticato o per lo meno ci speravi, bussava alla porta ed entrava prepotentemente senza che tu lo avessi invitato.
Questo era quello che stava accadendo a me in quell’istante.
Cercai di fermare il panico che stava salendo ripetendomi che tutto quello era solo una simulazione, che nessuno mi avrebbe fatto del male e che prima affrontavo quella paura e prima ne uscivo.
-Ehi ragazzina, non lo sai che non si va in giro di notte a quest’ora? Ci sono persone cattive in giro. Potrebbero anche approfittarsene.- e rise.
Quella voce, quella voce così agghiacciante ritornava nella mia mente sotto forma di mostri. I miei incubi avevano la sua voce. Questa però , rappresentava il momento in cui io, Sheena, avrei combattuto quella voce e l’arei sotterrata per sempre sotto l’etichetta “BRUTTI RICORDI: NON APRIRE!” nella mia mente.
-Già, ascolta il mio amico.- ed ecco l’altra voce puntuale come sempre accompagnata da suo amico.
Io di tutta risposta mi avvicinai al secondo uomo che aveva parlato e con un sorriso glaciale, che fino a qual momento ne avevo consapevolezza che esistesse e gli sussurrai “già” prima di dargli un pugno nello stomaco in modo tale da piegarlo in due e dargli infine, un calcio nelle palle. Seguirono delle sonore bestemmie ma il suo amico al suo fianco, mi butto per terra prima che potessi occuparmi di lui. Si mise sopra di me e cercò di darmi un pugno in bocca ma io fui più veloce di lui e spostai la desta di lato, mentre il pugno carico di odio andò a sbattere contro la mascella. Cercai di non farmi immobilizzare dal dolore e decisi di non pensarci.
“Se ti immobilizzano il corpo, tu mira agli occhi, vedrai che ce l’hai farai. Sei più veloce perché sei magra e piccola.”
Ripensai alle parole di Quattro durante l’addestramento e così feci. Girai di nuovo il viso dalla parte del molestatore e mentre lui, abbassava la guardia dal viso, io portai i pollici agli occhi e cominciai a schiacciarli.
La verità era che non mi stava facendo schifo sentire quanto molle fosse il bulbo oculare e non provavo la minima pena quando quello stronzo urlava dal dolore. La verità era che lo avevo ucciso, che i suoi occhi ormai non c’erano più, che il suo sangue era depositato sulle mie mani, sulla maglietta e sulla strada. era schizzato ovunque. Ma il fatto era che non  me ne fregava niente, che la mia sete di vendetta si era fatta più forte, che non mi bastava più vederli stesi per terra doloranti, io volevo vederli morti.
Me lo tolsi di dosso e mi incamminai di nuovo verso il secondo che aveva parlato e che era steso per terra ancora in preda all’atroce dolore che il mio calcio gli aveva causato. Quando si accorse di me, mi guardò ma non con aria spavalda e fiera usata prima, no con uno sguardo da cane bastonato che chiedeva pietà. La stessa pietà che non era stata usata per mia madre? Gli sorrisi in faccia spudoratamente e gli sputai. Poi con un calcio lo stesi a terra e cominciai a dargli botte in testa fino.
I suoi lamenti si potevano ascoltare anche oltre la barriera e quando essi cessarono, io mi girai verso di lui. Il sangue fluiva a fiotto li dalla sua nuca e così capii che era andato, morto e che quindi mi restava l’ultimo. Mi restava la voce.
Mi girai a guardarlo, ma questa volta non usai più il sorriso no, questa volta lo congelai con lo sguardo. Mi aspettavo la paura nei suoi occhi, l’esitazione ma niente. era come se quello spettacolo che avevo messo in scena gli fosse rimasto indifferente. Mi avvicinai a lui con molta lentezza, pensando a che modo avrei potuto ucciderlo.
-era ora che cacciassi le palle tesoro.- a quelle parole il fiato si mozzo, le labbra si incresparono in un cupo cipiglio e la mascella si contrasse.
Fu quando mi feci più vicina che allungai le mani verso di lui e cominciai a stringergli il collo. Lui cercava di fermarmi graffiandomi la pelle ma io ero talmente tanto incazzata che il dolore mi spingeva a continuare. Ma la cosa che mi appagava era vederlo boccheggiare in cerca di aria, mentre il suo viso cambiava continuamente colore. E mentre lui mutava io stringevo sempre di più. Sempre più fino a quando non sentii un crack provenire dal suo collo e lasciando le mani dal suo collo, cadde a terra come una foglia morta.
Nell’attimo in cui mi guardai in torno tutto cominciò a mutare fino a quando dinanzi ai miei occhi non apparve la scrivania disordinata  e piena di penne e fogli, della mia cameretta.
Chi mi sarebbe morto davanti? Pensai ripensando alle vecchie simulazioni.
Scesi le scale silenziosamente senza fare rumore e a quel punto sussurrai prima il nome di mia madre, ma nessuno rispose e niente si mosse, stessa cosa quando chiamai mio padre. Fu proprio quando urlai il nome di mio fratello Trav che qualcosa successe.
Un rumore sordo proveniente dal salone mi fece irrigidire. Quando arrivai però, non trovai nessuno. Eppure però io avevo sentito qualcosa.
Stavo per andarmene quando sentii una voce dietro di me richiamarmi.
La voce senza emozioni era di Travis.
-Travis!- urlai con le lacrime agli occhi.
Ma Travis parve non sentirmi e continuò a guardare dritto davanti a se. Come se c’era qualcosa di più importante che parlare con me.
Spinta dalla curiosità di sapere di cosa si trattasse, che cos’era che attirava l’attenzione di mio fratello che lo portava ad ignorarmi completamente, mi girai seguendo la traiettoria dei suoi occhi.
Beh, una lama affilata che mi trapassava lo stomaco lacerandolo in due, era meno dolorosa della figura rigida di Eric che imbracciava la sua pistola puntata dritta, dritta al viso pallido di Travis.
Proprio guardando il mio riflesso nella pistola lucida, capii tutto.
Capii perché Eric puntava una pistola a Travis.
Capii perché nessuno dei due si degnava di darmi retta.
Dio aveva voluto che Travis nascesse divergente, e se per tutta la nostra famiglia questo non comportava alcun cambiamento sentimentale e/o umano, per la legge delle fazioni, Travis era l’erbaccia cattiva che doveva essere tagliata nel parato verde fiorito.
E quindi uno scontro tra i due sarebbe stato inevitabile, e questo, la mia mente lo sapeva bene.
Nessuno dei due parlava, si guardavano solo negli occhi con sguardo gelido e mascella contratta. Anche se mio fratello era quello più sudato tra i due.
Io, dal canto mio, non sapevo cosa fare, sentivo solo il disperato bisogno di salvare mio fratello. Che un altro morto nella nostra famiglia non lo volevo.
-Perché diamine lo stai facendo?!- urlai rivolta ad Eric a pieno polmoni.
Ma ancora una volta la mie parole si dispersero nell’aria carica di tensione.
Mi promisi allora, che se loro non mi avrebbero ascoltata, sarei stata io a farmi ascoltare.
Mi diressi così verso Eric che era rimasto immobile nella sua posizione di attacco, e mi posizionai di fronte a lui. Era lì di fronte all’uomo che amavo, con la pistola puntata in mezzo agli occhi, terrorizzata ma allo stesso tempo, sentivo che stavo facendo la cosa giusta. Perché io lo sapevo che lo avrebbe ucciso comunque, ma se lui moriva, io morivo con lui. Eravamo nati insieme, ed insieme saremmo morti.
Chiusi per un attimo gli occhi e quando li riaprii lo sguardo di Eric che non era mutato nemmeno di una virgola. Meglio così, se avrei visto del rammarico nel suo sguardo mi sarei fatta abbindolare. Portai le dite al grilletto e le sovrapposi alle sue, diedi un ultimo sguardo a Travis e gli sorrisi dolcemente. Il suo sguardo però era cambiato, era come se si fosse improvvisamente svegliato da un sonno e capendo cosa stava per fare la sua sorellina, si era ritrovato a urlare il mio nome e a chiedere ad Eric di fermarmi, ma io, convinta di osa stessi facendo, continuai nel mio intanto.
Le mani tremavano come prima della simulazione ed erano sudate. Presi un respiro come se da quella boccata d’aria fosse entrata nelle mie vene il coraggio che mi stava abbandonando, e sparai. Tutto intorno a me si fece buoi ed era freddo, la schiena faceva male, le braccia non riuscivo a muoverle e tanto meno le gambe.
Poi improvvisamente aprii gli occhi e fui subito inghiottita dall’oscurità e dalla puzza di polvere.
Ero di nuovo sotto terra, con gli occhi che bruciavano per la polvere che era riuscita a penetrare tra quelle piccole aperture dove il legno non era stato lavorato bene. Cercai di tirare le braccia verso il viso e quando ci riuscii, toccai il coperchio di quella che doveva essere una cassa. E cominciai a battere dei pugni su di essa. Uno, due, tre ma niente. nessuno mi sentiva, nessuno mi avrebbe salvato se non fossi stata io ad aprire quella scatola di legno.
Mi girai un po’ sul fianco e prese a batterlo contro il coperchio. Quando divenne dolorante smisi di usare il fianco sinistro e cominciai con quello destro. Ma la forza che usavo con i fianco era sempre minore, rispetto a quella che avrei potuto usare con le mani. Perché con quest’ultime ero più libera con i movimenti.
Così mi rimisi supina e cominciai a battere i pugni sul coperchio.
Le nocchie cominciarono a farmi male, ma io continuavo lo stesso. Quando mi fermai per fare una pausa gli occhi caddero su un buco più grande sulla facciata di sinistra e li mi si accese la lampadina. Avrei dovuto usare tutta quella forza che mi era rimasta per aprire ancora di più il buco. Mentre tiravo i pugni su quel buco, dovetti fermarmi più volte per tossire. Dovevo sbrigarmi ad uscire da lì, perché la terra era penetrata già nei polmoni. Così ricominciai a battere i pugni, e mentre battevo gridavo perché quel gesto riusciva a darmi una forza incredibile. E così innescai un meccanismo involontario: battevo i pugni e gridavo, poi mi riposavo per alcuni secondi e poi ricominciavo.
Fino a quando il buco non divenne abbastanza grande da poterlo scalfire con le dita. Con le nocchie insanguinate e tramanti di dolore, trovai un  ultimo spiraglio di forza di volontà e mi insanguinai pure le dita.
Le mani potevo anche buttarle via, ormai erano una maschera di sangue e polvere ma riuscii comunque a venirne fuori. Con un ultimo grido, riuscii a far uscire la testa da li, non prima di avere tolto dalla faccia la terra che era penetrata.
Quando sporsi finalmente il viso da lì, trovai la tanta pregata e venerata luce bianca che mi avrebbe tirato fuori da lì.






Spazio Autrice
Lo so sono imperdonablie ma ho avuto problemi con il PC.
Volevo però ringraziarvi di cuore perchè seguite la storia, la recensite e la seguite.
Il vostro supporto è davvero importante per me perchè se sto continuando è anche grazie a voi :)
Volevo dirvi che se volete potete seguirmi anche su Wattpad, io sono Margo_Holden.
Grazie di cuore a le 31 che hanno recensito e inserito la storia tra la seguite, le 23 che l'hanno aggiunta tra le preferite e le 7 tra le ricordate. Per non parlare di tutte le lettrici silenziose.
Un bacio alla prossima settimana <3

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Divergent / Vai alla pagina dell'autore: Margo_Holden