*Hai un Nome?*
Quello
era uno dei suoi luoghi preferiti. La struttura si stagliava imponente contro
il cielo notturno, le numerose finestre erano tutte buie, segno che la luce era
stata spenta da tempo. Pitch Black ormai conosceva bene lo stile di vita di quella
grande abitazione, sapeva esattamente quando sarebbe scattato il coprifuoco per
i piccoli abitanti; di conseguenza sapeva quando aveva il via libera per poter
entrare in azione.
Scivolò
sull’asfalto gelido della strada, su per il prato incolto e il vialetto sterrato
che conduceva all’entrata principale del palazzo, per poi allungarsi sulla
parete e scrutare in ogni singola finestra. In ognuna delle stanze c’erano sei
lettini, e ognuno era occupato da un delizioso bimbetto o una dolce ragazzina. Sarebbe
stato sempre più difficile riuscire a ricordare quali avesse già spaventato e
quali invece no. Ma in fondo, un incubo in più o uno in meno che differenza
avrebbe potuto fare?
L’unica
cosa certa era che i piccoli ospiti dell’orfanotrofio non avrebbero ricevuto
alcun conforto una volta svegliati da un brutto sogno nel bel mezzo della
notte. Chi si occupava di gestire la struttura non perdeva certo tempo ad
ascoltare le lamentele dei bambini, e nessuna consolazione arrivava al
ragazzino se non le rare parole di conforto di qualche amico; amico che, più
per dispetto che per altro, Pitch si curava di andare a trovare la notte dopo.
Il gioco era capire fin quando si sarebbero fatti forza l’uno con l’altro, e
quando invece la disperazione per quei continui brutti sogni avrebbe finalmente
regnato in ciascuna di quelle camere.
Ma non
era forse troppo crudele approfittare di poveri orfanelli che non avrebbero mai
e poi mai potuto correre dalla mamma o infilarsi nel lettone dei genitori?
“Ooh, Pitch” pensava mentre avanzava su e giù per le
finestre “sei proprio un farabutto”.
In
effetti no, non si vergognava di quel suo atto di meschinità. Uno cercava di
sopravvivere come meglio poteva, e se quello era l’unico modo per potersi
sentire anche solo per un istante temuto e rispettato… perché avrebbe dovuto
avere rimorsi?
Il suo
divertimento maggiore era scovare i novellini. Non gli era poi tanto difficile:
ormai conosceva la maggior parte di quei visetti tanto tristi, quindi gli
veniva facile capire se ci fossero nuovi ospiti o meno. Pitch si divertiva un
mondo, con i nuovi arrivati, che ancora non sospettavano nulla della pessima
accoglienza riservata dall’Uomo Nero. Adorava scivolare nella loro stanza fin
sopra il lettino, e adorava starsene nascosto nel buio ad ascoltare i loro
singhiozzi una volta svegli.
Quella
notte, dunque, il suo istinto lo portò fino in fondo alla parete laterale del
palazzo, a guardare nell’ultima stanza che solo fino al giorno prima era vuota.
Il suo intuito non aveva mai fallito: ecco che nel letto vicino alla finestra
era accoccolata una figura, una potenziale nuova preda. Gli occhi d’oro
dell’Uomo Nero scintillarono nel buio. Si introdusse nella stanza e rimase ad
osservare per un po’ l’occupante della camera. A giudicare dai lunghi capelli
rosso scuro sparsi sul cuscino doveva essere una bambina. Le spalle le
sussultavano con violenza, e singhiozzi soffocati provenivano da sotto le
lenzuola.
Pitch
si accigliò: che gusto c’era a far piangere un bambino che piangeva già?
Il suo
piano di benvenuto non avrebbe funzionato per la prima volta. Di solito ogni
nuovo ospite dell’orfanotrofio dormiva già ad ogni sua visita, stanco di essere
sempre sballottato da un istituto all’altro o di essere stato rifiutato
dall’ennesima coppia che avrebbe potuto essere una nuova famiglia.
La
bambina si mosse, passandosi una manica della camicia da notte sul viso. Poi si
irrigidì come se si fosse accorta di una presenza estranea nella camera, e
tutto d’un colpo sollevò lo sguardo su di lui. I suoi occhi incontrarono quelli
dell’Uomo Nero.
Aveva
occhi azzurri, limpidi, e anche se erano arrossati dal pianto Pitch li trovò…
affascinanti. Forse perché era stato per così tanto tempo nell’oscurità e non
aveva visto altro che nero e altro nero adesso quel colore gli sembrava tanto
nuovo, strano e al contempo meraviglioso. Era il colore del cielo. Pitch non
poteva vedere il cielo, il cielo diurno, illuminato dal sole che lo bruciava
come fuoco sulla pelle. Il cielo che lui conosceva era scuro, quasi nero, e la
luce della luna rischiarava appena le tenebre. In realtà non sapeva neanche
perché avesse paragonato gli occhi della bambina al cielo diurno: in fondo lui
ne sapeva poco. Eppure, quel paragone gli era sorto spontaneo.
Entrambi
rimasero in attesa che l’altro facesse qualcosa. Pitch iniziava a indispettirsi:
perché quella noiosa bambinetta non urlava? Perché lo guardava curiosa, cercando
di capire cosa mai ci facesse lui nella sua camera?
-Sei
uno dei grandi?-
La
bimba ruppe infine il silenzio. La sua voce risuonò tra le pareti della stanza
più forte di quanto avesse voluto. Nonostante quello nessuno entrò per vedere
con chi mai la bambina stesse parlando.
L’Uomo
Nero la guardò indignato –Io non sono dell’orfanotrofio-
Lei
sporse un braccio e sfiorò la sua veste scura. Il tessuto scivolò tra le sue
dita e la bambina sembrò tirare un sospiro di sollievo. Si mise a sedere e
strinse le ginocchia al petto.
-Meno
male. Nell’altro istituto i grandi mi davano sempre fastidio. Se la prendevano
con me perché ero la più piccola. A volte si nascondevano nella mia stanza e
facevano dei versi da sotto il letto. Io li ho scoperti, ma non sono comunque
stati puniti. Mi rinfacciavano il fatto di non avere paura di loro. Lì tutti li
temevano, e per questo loro facevano i prepotenti-
Poi
tacque e guardò l’uomo davanti a lei. Era chiaro che si aspettava qualcosa,
anche solo un commento banale alle sue parole. Pitch invece la guardava
stupito. Chiaramente non aveva paura di lui, ma non era quello a turbare lo
spirito; ciò che lo aveva sorpreso era più che altro il come la bambina aveva
iniziato a parlare con lui in maniera del tutto naturale.
Era sola,
questo Pitch lo percepiva: non aveva più nessuno al mondo, nessuno che potesse
ascoltarla o prendersi cura di lei. Da quel punto di vista erano simili, più di
quanto ci si sarebbe aspettato.
Per la
prima volta Black si sentì vicino a capire davvero l’animo di un bambino: lui
conosceva la solitudine, sapeva cosa voleva dire battersi contro l’essere
ignorati, sapeva come ci si sentiva a essere circondato da centinaia di visi
del tutto indifferenti alla tua presenza. Quella bambina doveva sentirsi in
quel modo. Doveva sentirsi come lui.
-Quindi-
azzardò lei –non sei qui per spaventarmi?-
Diamine,
com’era che non ne aveva più voglia?
-Tu sai
chi sono io?-
Poteva sempre
averlo scambiato per qualcuno in costume. Ovvio, doveva essere così. Se avesse
saputo chi aveva di fronte, quella bimba non si sarebbe certo comportata in
modo tanto amichevole. A conferma della sua tesi, lei scosse la testa.
Un ghigno
appena accennato incurvò le labbra sottili dello spirito –Hai mai sentito
parlare dell’Uomo Nero?-
-L’Uomo
Nero? Tu saresti l’Uomo Nero?-
La bambina
lo scrutò attentamente in quegli strani occhi d’oro per poi esaminare tutta la
sua figura. Adesso avrebbe certamente urlato, gli avrebbe dato ciò per cui era
arrivato lì.
-Non
somigli a quello che ho visto nel libro-
Black
si accigliò –Libro…?-
-Sì- il
visetto della bimba si fece scuro –una volta la mia mamma mi ha portato un libro
dove c’era scritta una favola sull’Uomo Nero. C’erano anche le figure. Ma quello
del libro non ti somigliava affatto. Era solo una macchia scura con gli occhi
rossi. Invece tu sei… sembri quasi umano. E mi piace il colore dei tuoi occhi. Sembrano
gioielli-
Lui l’ascoltava
sempre più stupefatto. Mai un bambino gli aveva rivolto la parola prima di
allora, men che mai per rivolgergli… un complimento? Con un gesto brusco Pitch
si scostò dal letto. Si sentiva confuso, e quello non gli piaceva affatto. Decise
di troncare quella discussione: c’erano molti altri bambini nell’orfanotrofio. Avrebbe
scelto qualcuno di loro come nuova vittima. Per il resto, sarebbe stato alla
larga da quella stanza.
-Hai un
nome?- la voce della bambina lo trattenne ancora –Intendo, oltre a Uomo Nero…-
Quello era
un brutto segno. I bambini chiedevano il tuo nome quando volevano fare amicizia
con te. E lui non aveva alcuna intenzione di… un attimo: quella bambina aveva
chiesto il suo nome? A quel punto avrebbe potuto semplicemente confondersi con
le ombre della stanza e svanire nel buio. Invece, sempre più interdetto, il
Signore degli incubi si trovò di nuovo a incontrare quegli occhi azzurri.
-Mi
chiamo Pitch. Pitch Black- non c’era
nulla di strano in una presentazione. Era ciò che disse dopo che iniziò a
preoccuparlo –e tu come ti chiami?-
La bimba
sorrise e, con un gesto del tutto naturale, gli porse la mano.
-Sono
Cassandra. Cassandra Evans-
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Buonasera bella gente :D
Non ho resistito alla tentazione e sono tornata a far venire i
complessi a Pitch *^* xD ma insomma Black! Non ti
vergogni, prendere di mira i poveri orfanel-… hei, mi stai ascoltando? *Pitch fischietta limandosi le unghie* <_< quello è il mio
set da manicure? … oh, comunque!
Prevedo che potrebbe – e dico potrebbe, forse, in un futuro molto prossimo (questo vuol dire che
i vostri nipoti leggeranno quello che io avrò tramandato ai miei nipoti xD) – esserci in seguito una nuova storia legata a questa
OS. In caso questo non dovesse mai verificarsi… spero che questo mio nuovo
lavoro vi piaccia comunque ;)
Come sempre grazie in anticipo a chi vorrà leggere o condividere
la propria opinione :)
E anche per stavolta è tutto!
Alla prossima,
Rory_Chan