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Autore: Jenny Ramone    27/01/2016    3 recensioni
Parigi, maggio 1789.
Irène Fournier è una giovane venditrice di giornali dal passato misterioso e oscuro che vive in miseria a Montmartre con il suo fidanzato, Jean e il loro bambino.
Quando si diffonde la notizia che Louis XVI ha deciso di convocare gli Stati Generali, Irène si rende conto che è giunto il momento di combattere per i diritti del popolo e in particolare delle donne: fa in modo di aiutarle con tutti i mezzi possibili e partecipa attivamente a tutti gli avvenimenti fondamentali della Rivoluzione Francese.
Ma nel frattempo il suo passato è dietro l'angolo, pronto a tornare a perseguitarla...
Londra, 1799.
Dieci anni dopo Irène, fuggita in Inghilterra dopo il 9 Termidoro e la caduta di Robespierre, racconta la propria storia di amore, coraggio, passione, sacrifici, dolore e amicizia a William, un giornalista inglese che sta scrivendo un saggio sulla condizione femminile per un circolo di intellettuali progressisti.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
Capitoli:
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Passarono alcuni giorni e capii che era ora di farmi coraggio, tornare da William e confessare il mio più grande segreto.
 Mentre camminavo per le fumose e buie vie di Londra, la mia attenzione si concentrava sulle pozzanghere che si aprivano nei buchi della strada e nei solchi lasciati dalle carrozze.
 Mi sembrava di vedere riflessi in quell’acqua melmosa e sporca i volti delle persone che avevano incrociato il mio cammino, alcune in senso positivo e altre in senso negativo.
 Alcune se ne erano andate, altre mi erano rimaste a fianco… ma per quanto ancora?
 Dopo quella sera non avrei saputo cosa aspettarmi.
Mi trovai quasi senza accorgermene davanti al portone del palazzo, avevo voglia di scappare.
Sospirai e bussai, con le mani tremanti.
 Salii le scale, aggrappandomi alla ringhiera come se avessi paura di cadere e attraversai il corridoio, che mi sembrò infinito.
 William appena mi vide sobbalzò.
 Mi lasciai cadere su una poltrona e cercai di calmarmi.
“Irène, cosa succede?
 Non ti senti bene?”-mi domandò lui, mentre mi portava un bicchiere d’acqua.
 Decisi di affrontarlo.
“William, oggi ti devo raccontare il punto più importante di tutta questa storia.
 Prima però mi devi promettere una cosa: qualunque cosa, qualunque, che ti racconterò oggi non deve uscire da questa stanza.
 Promettimelo.
 C’è la vita di tante persone dietro quello che ti sto per dire, io stessa rischio grosso se si venisse a sapere quello che è accaduto, se dovessi venire scoperta per quello che ho fatto trascinerei alla rovina tutti i miei cari.
 Ti avverto che ti sto per raccontare un fatto veramente grave, quindi pensaci bene se vuoi ascoltarlo, oppure concludiamo qui”-lo avvertii
 William aveva avvicinato la sedia alla mia e mi stava squadrando, incerto su cosa dire.
 Dopo un po’ mormorò:”Problemi con la legge? Va bene, prometto che non lo dirò a nessuno, che non ti denuncerò.
 Hai la mia parola Irène.
 Per quanto riguarda te e per quanto riguarda i tuoi cari.
 Siete emigrati in Inghilterra perché rischiavate la vita in Francia, vero?”.
Annuii.
“Se è per questo in Francia si rischiava la vita e si rischia ancora per una parola, figurati per i reati che abbiamo tutti noi sulle spalle.
 Andiamo per gradi però.
 Passò un po’ di tempo, qualche settimana.
 Decisi che avrei parlato con Armand e gli diedi appuntamento sul Pont Neuf, il più antico ponte di Parigi”.
William mi guardò divertito:” Avevi pensato di buttare Armand nella Senna se la discussione fosse degenerata?”-domandò.
 Per un attimo un sorriso mi comparve sul volto, al pensiero.
“Esattamente! Vedi che cominci a ragionare come me?
 Brutto segno Cittadino, brutto segno!”.
Uscii di casa a tarda notte, mentre Jean dormiva, e mi presentai in anticipo sul luogo stabilito, totalmente vestita di nero eccetto il berretto frigio di Jean e coperta da un suo mantello, per mimetizzarmi.
 Avevo attraversato i quartieri più malfamati, affrontato masse di sanculotti ubriaconi radunati attorno ai falò nelle piazze che tentavano di avvicinarmi e mi facevano apprezzamenti ben poco lusinghieri del tipo:”Alza quella gonna, che vediamo cosa c’è sotto!
 Non sarai mica in lutto? Se ti è morto il marito, a me è appena morta la moglie e possiamo sposarci!” oppure:”Togliti il berretto frigio dalla testa che vogliamo vedere quel bel visino”.

Io non dicevo una parola e mi limitavo a mostrare loro il coltello che portavo con me, nascosto nel corpetto.
 Andavamo tutti in giro armati.
 Che fossero coltelli o pistole, poco importava.
 Si imparava ad usare le armi a dieci, dodici anni grazie ai ragazzi più grandi.
 E ti assicuro che era un insegnamento utile per tutta la vita.
 Mi fermai e mi guardai intorno. Non c’era nessuno.
 Attesi una ventina di minuti quando vidi un’ombra venire nella mia direzione, lentamente.
 Appena fui in grado di metterlo a fuoco e mi resi conto che era proprio lui, gli parlai.
“Sei in ritardo... pensavo che in un accesso di vigliaccheria avessi rinunciato e mi avessi lasciata qui tutta sola… devo dire che in quanto a buona educazione non hai mai brillato”.
Armand si accese un sigaro e me ne offrì uno, per poi rispondere:”Beh, nemmeno tu.
 Per non parlare di quanto sei caduta in basso da quando non vieni più mantenuta dalla mia famiglia… dopotutto cosa potrei mai aspettarmi da una come te?
 Era ora che tornassi tra i tuoi simili.
 Come sta il ragazzo?
 Mi è quasi dispiaciuto farlo aggredire ma dovevo mandarti un avvertimento”.
 "Come mai ti interessa?
Sta meglio, si riprenderà.
Perchè lo hai fatto, Armand?
Étienne non c'entra niente, avresti dovuto prendertela direttamente con me.
 Il tuo comportamento è da vigliacchi, come al solito.
 Hai paura di una donna"-lo provocai.
 "Irène, Irène...una donna non si tocca neanche con un fiore, nemmeno se è un'assassina!"-mormorò, accarezzandomi il viso e provocandomi una sensazione di ribrezzo.
 William saltò letteralmente in piedi, allontanandosi da me, sconvolto.
 Gli feci segno di venire a sedersi e stare zitto e continuai, molto tesa.
“Non sono un’assassina”-replicai, dopo avergli tirato uno schiaffo con quanta forza avevo in corpo "e non ti osare più chiamarmi così.
 Tuo padre si è meritato tutto, proprio tutto quello che gli è successo”.
Armand mi guardò con odio, mentre si massaggiava la guancia colpita.
“Brutta troia.
 Mi pagherai anche questa, te lo assicuro!
 Come ti permetti di toccarmi!”-sibilò, prendendomi per un braccio e costringendomi a sporgermi verso il fiume che scorreva nero sotto di noi.
“Potrei buttarti nella Senna e nessuno se ne accorgerebbe, saresti solo una delle tante puttane che si affogano nel fiume quando non hanno più denaro, non ci sarebbe nemmeno un cane che verrebbe a cercarti”.
Gli morsi una mano e, appena mollò la presa, veloce come un lampo, lo spinsi contro il parapetto e gli puntai il coltello alla gola.
 Un velo di paura percorse i suoi occhi.
 Ripresi a parlare.
“Sei proprio come tuo padre, e non è un complimento”.
Lui mi guardò con aria di sfida e si mise a ridere, con voce roca.
“Dipende dai punti di vista, ma chérie!
 Per quanto mi riguarda non potevi farmi complimento migliore”.
“Ha tentato di stuprarmi, Armand, lo capisci questo?
 Tuo padre ha tentato di stuprarmi, era un solo un porco ubriacone.
 Io mi sono fidata di lui, pensavo che sarebbe cambiato, quando faceva battute su di me e su come stessi diventando bella.
 Pensavo che avrebbe smesso.
 E invece no!
 Quella notte ha aspettato che tutti fossero andati a dormire e che tutte le luci si spegnessero.
 Io stavo leggendo nel salotto.
 Monsieur mi ha chiamata nel suo studio, con la scusa di prestarmi un libro che mi sarebbe piaciuto e ha chiuso la porta dietro si sé.
 Mi ha spinta contro il muro, sghignazzando e dicendomi parole irripetibili mentre mi tappava la bocca con una mano e con l’altra si slacciava i pantaloni.
 Io in quel momento ho pensato che avrei voluto morire lì.
 Ormai mi sentivo persa.
 Capii il significato delle parole che mi aveva rivolto il giorno che ero entrata per la prima volta in casa vostra:" voleva fare qualcosa di più di quella bella ragazzina".
Per fortuna Monsieur non aveva pensato di chiudere a chiave perché nella sua mente malata non avrei nemmeno avuto il tempo per scappare o urlare.
Per qualche miracolo del Cielo in quel momento nello studio entrò Frédéric, che era venuto a cercare della carta da lettere e vide la scena appena in tempo per evitare il peggio, saltare addosso a Monsieur, mollargli un pugno e darmi il tempo per scappare nella mia stanza.
Ecco, adesso sai la verità, dopo tanti anni.
 I tuoi dubbi possono essere confermati, lo ammetto, ci avevi azzeccato: lo ho ucciso io”.
William boccheggiava, come se avesse ricevuto una coltellata mortale.
“Così hai ammazzato Monsieur Delacroix.
 Bene.
 Voglio dire… non ti biasimo.
 Ha fatto un gesto davvero, davvero, davvero orribile.
 Doveva essere proprio un animale!
 Sono sconvolto Irène.
 Mi dispiace tanto, sul serio.
 Non avevo idea che ci fosse un così grande peso nel tuo passato.
 Ti giuro che non dirò nulla di quello che mi stai raccontando.
 E’ troppo terribile quello che hai vissuto.
 E’ stata una fortuna che Frédéric sia arrivato in tempo!
 Deve essere stato molto traumatico per te, poi da parte di una persona di cui ti fidavi e che avrebbe dovuto volerti bene…non so davvero come tu possa ancora fidarti degli uomini, e lo dico da uomo”.
Quando ripresi a parlare mi tremava la voce, rotta dai singhiozzi.
“Non mi fido infatti.
 Non mi fido di nessun adulto appartenente al genere maschile che non sia Jean, Étienne, Adrien, Maxime, Frédéric beh… te.
 Mi fido di te, William.
 Sembri tanto un bravo ragazzo, so che non mi faresti del male.
 Per il resto, non mi fido di loro.
 Sono costretta ad averci a che fare tutti i giorni e questo non mi da fastidio però sto sempre sulla difensiva, pronta a tirare fuori il coltello al minimo segno di pericolo.
 E’ stato difficile anche con Jean i primi tempi… ma lui è stato molto dolce beh… quando è stata ora, capisci.
 Sapevo mi sarei potuta affidare a lui, non solo quella notte ma per la vita.
 Siamo fatti uno per l’altra, è il mio compagno, il mio grande amore, il mio sostegno.
 C’è un’unica cosa che non gli ho mai detto, quella che sto raccontando a te.
  Non me la sono sentita di rovinare tutto.
 So che non è un comportamento corretto ma ho preferito risolverla per conto mio, anche se a Jean indirettamente è costato: a volte ci penso e mi sento in colpa.
 Poi però mi convinco che non si potesse fare altrimenti.
 Ti racconto come ho ucciso Monsieur e poi continuo a parlarti di Armand, va bene?
 Quel bastardo picchiò Frédéric, lo riempì di cinghiate fino alla carne viva e lo lasciò sul pavimento a lamentarsi.
 Quando Madame cercò di soccorrerlo, se la prese anche con lei.
 Armand non era in casa perché era andato qualche giorno da dei cugini: tutto quello di cui mi avrebbe accusato in seguito proveniva da supposizioni, fondate ma mai provate con esattezza finchè non gli spiegai cos’era accaduto, pensa un po’.
Raccontai a Madame dell’aggressione, lasciandola inorridita.
 Suo marito era sempre stato un uomo violento e crudele, anche con lei: la picchiava per motivi futili, la insultava di continuo e la tradiva.
 Decidemmo che questa volta aveva passato il segno e proposi di ucciderlo.
 Dopo un po’ di titubanza, con l’aiuto di Frédéric, riuscimmo a convincere Madame a liberarsi di lui, definitivamente: pensavamo che una volta morto Monsieur, noi avremmo potuto vivere felici senza più il suo tirannico controllo e la sua malvagità.
 Decidemmo che il metodo più  sicuro e veloce fosse avvelenarlo: organizzammo il piano, in cui ognuno avrebbe avuto un compito ben preciso ma aspettammo il ritorno di Armand per attuarlo, in modo che non si potesse sospettare che lo avessimo ucciso noi in sua assenza.
 Ci procurammo dell’arsenico: Frédéric aveva un amico che si dilettava a compiere esperimenti di dubbia scientificità e a studiare le attività degli alchimisti.
 Nel suo laboratorio teneva polveri, pietre preziose, erbe e veleni.
 Fu estremamente facile: quella notte stessa, il ragazzo si insinuò all’interno del laboratorio, che si trovava ai margini del parco della grande villa in cui abitava il suo amico, quindi lontano da sguardi indiscreti e da sospetti.
 Prese una quantità di veleno sufficiente, stando attento a rimettere tutto bene in ordine per non lasciare tracce e tornò a casa.
 Nei giorni seguenti lui e Madame fecero in modo di ingannare Monsieur e mandare quasi alla rovina un grande possedimento della famiglia in Bretagna: lui era disperato e non riusciva a capacitarsi di cosa aveva sbagliato per ritrovarsi così pieno di debiti.
 Ne parlava con tutti e i suoi conoscenti gli proponevano dei prestiti ma ciò avrebbe aggiunto debiti a debiti: Monsieur non vedeva via di uscita e cadeva sempre di più nella disperazione.
 William appuntò qualche frase e poi alzò la testa dal foglio e mi fissò, con un sorriso diabolico.
“Lo avete avvelenato? Aspetta… lo avete avvelenato e avete fatto in modo che sembrasse un suicidio!”.
“Esattamente.
 Una sera, poco dopo il ritorno di Armand, sgusciai senza essere notata nello studio di Monsieur mentre questi non c’era e versai la polvere nel bicchiere di liquore che si trovava su di un tavolino.
 Me ne tornai in camera da letto e finsi di dormire, non prima di aver raggiunto Madame e Frédéric e avergli confermato la riuscita della mia parte del piano.
 Dieci minuti dopo sentimmo le urla di una delle cameriere.
 La ragazza gli aveva portato del caffè e lo aveva trovato riverso sul tavolo, agonizzante e in preda a terribili dolori.
 Ci precipitammo tutti nella stanza e assistemmo ai suoi momenti finali: l'uomo era accasciato sulla scrivania , con la bava alla bocca e gli occhi fissi nel vuoto in un’espressione di puro terrore.
 Armand non riusciva a credere ai proprio occhi, tremava come una foglia e si era lasciato cadere contro il muro, sotto shock.
 Noi ci fingemmo profondamente addolorati e assistemmo Monsieur il più possibile; sapevamo benissimo che era spacciato ma dovevamo andare avanti con il nostro piano: Madame mandò a chiamare un medico nel tentativo di volerlo salvare.
 Quando questi arrivò, non c’era più nulla da fare: Monsieur Delacroix morì dopo pochi minuti.
 Raccontammo la nostra versione all’ispettore di polizia: gli affari stavano andando male e Monsieur era sempre più depresso: non avevamo idea che avrebbe compiuto un gesto così estremo, altrimenti lo avremmo fermato.
 L’ispettore mandò i suoi uomini a Villa Delacroix ma non trovarono niente, assolutamente nulla, tranne varie lettere che confermavano i problemi economici della famiglia.
 Tutti si convinsero che fosse stato un suicidio tranne Armand, che continuava ad affermare che suo padre non si sarebbe mai ucciso, che amava la vita e avrebbe trovato un modo per risolvere i problemi: secondo lui era stato ucciso e più precisamente da qualcuno di famiglia perché non sopportavamo Monsieur e in casa c’erano con lui continui litigi.
 Nessuno gli diede mai retta per fortuna: noi tre avevamo architettato il piano perfetto e i parenti di Monsieur confermarono che non avevano mai notato alcun comportamento violento e che non avevano mai assistito ad alcuna discussione tra marito e moglie.
 Per quanto riguardava me, Armand e Frédéric, avevamo sempre dato una buona impressione: Armand era scapestrato e viziato ma erano convinti non fosse cattivo, era molto legato a suo padre, che gliele dava tutte vinte.
 Trascorse circa un mese, in cui Armand continuò a guardarci con sospetto.
 Nel frattempo Frédéric, in quanto primogenito, si trovava a dover amministrare gli affari di famiglia e sistemò le cose, utilizzò parte del denaro che saltò fuori solo con l’eredità e recuperò la tenuta in Bretagna, dove mio padre era stato mandato a lavorare in quel periodo.
 Madame però era preoccupata e così ero io.
 Decisi che sarei fuggita a Parigi, nel tentativo di dimenticare e di allontanarmi dai sospetti di Armand.
 Scrissi a mio padre e mi limitai ad accennargli che sarei andata a studiare all’estero ma di non preoccuparsi perché avrebbe pagato tutto Madame e lui non avrebbe dovuto sborsare nemmeno un centesimo.
 Era rimasto molto colpito dal suicidio di Monsieur ma continuava a lavorare per i Delacroix perché lo trattavano bene e gli avevano dato la possibilità di liberarsi di me e Maxime.
 Se fosse riuscito ad affidare loro anche Alain e Céline quando fossero stati abbastanza grandi, lui non avrebbe più dovuto preoccuparsi di nulla.
 Si sbagliava ovviamente.
 Madame mi consegnò del denaro e mise in giro la voce che ero all’estero, come ti ho detto, per cui nessuno mi cercò più.
 Armand era innamorato di me ma non mi preoccupai certo di dargli spiegazioni o salutarlo, cosa che accrebbe il suo odio.
 Non c’è altro da dire, il resto lo sai già”.
Mi alzai dalla poltrona e mi spostai accanto alla finestra: mi appoggiai al davanzale e mi versai una tazza di tè.
“Non rivelai al mio ex fidanzato che l’idea era stata comune e non ammisi che lo avevamo ucciso insieme.
 Armand si zittì per un attimo, gli ci volle un momento per realizzare ciò che gli avevo detto.
“Non avevo dubbi! Lo sapevo che eri stata tu! Ti rendi conto di quello che hai fatto?
 Non sei giustificata! Sicuramente avevi provocato mio padre!
 E poi, come resisterti?
 Sei sempre stata bella.
 Ciò non toglie che sei un’assassina e mi ispiri un odio cieco.
 Avrei dovuto essere più convincente con la polizia e tu a quest’ora dovresti essere morta.
 Ma adesso avrò la mia vendetta”.
Alzai le spalle, come se niente fosse.
“Cosa vorresti fare eh? Uccidermi? Farmi arrestare? Mandarmi alla ghigliottina?
 Sono passati cinque anni, nessuno si metterebbe a sprecare tempo prezioso per scoprire le cause della morte di un uomo inutile come tuo padre, tanto più adesso, con tutti i problemi che ci sono”.
Per una volta vidi quasi un pò di umanità attraversare i suoi occhi azzurri.
 Mi si avvicinò tanto che potevo sentire il suo alito che puzzava di alcolici e tabacco sul viso: “ Tu non capisci.
 Non mi hai mai capito fino in fondo.
 Meriteresti di finire alla ghigliottina per quello che hai fatto, voglio vendicarmi e lo farò.
 Però d’altra parte, io ti amo ancora.
 Io ti ho sempre amata.
 Per te forse non è stato lo stesso: avresti potuto avere una vita agiata, un bell’uomo al tuo fianco, tanto denaro, servitù, tutto quello che volevi.
 Saresti potuta diventare una scrittrice.
 Invece hai voluto buttare via tutto e guarda come sei ridotta!
 Vestita come una stracciona, a lavorare tutto il giorno per poco denaro e a vendere giornali all’angolo di una strada, ad abitare probabilmente in qualche postaccio, in povertà, con un uomo del popolo.
 L’ho visto: è un bell’uomo anche lui, devo ammettere che per questo non ti smentisci mai Irène.
 Però non ha nient’altro.
 Se fosse ricco, allora si che sarebbe un avversario temibile ma è solo un povero operaio, vero?
 Mi sono informato.
 Come hai potuto farmi questo?”-domandò con gli occhi lucidi.
 Sapevo che c’era un fondo di verità nelle sue parole e me ne rendevo conto solo allora.
 Tuttavia non mi lasciai commuovere che per un secondo e risposi con fermezza.
“Mi dispiace che tu non sia riuscito a dimenticarmi, Armand.
 Forse le cose sarebbero potute andare diversamente o forse era questo il nostro destino, non lo sapremo mai.
 Io ho fatto quello che ritenevo giusto, ho seguito il mio cuore, come sempre.
 Non ti ho mai amato seriamente.
 Per quanto mi riguarda, è stata una storia d’amore di un’estate, come succede tra ragazzini.
 Me la sarei gettata alle spalle anche se non fosse accaduto quello che è accaduto.
 Il mio cuore appartiene a Jean.
 Non mi interessa se è povero, a me non importa.
 Dopotutto io sono una ragazza del popolo, non dimenticarlo.
 Mi è sempre stato vicino, mi ha sostenuta quando ero solo una ragazzina che chiunque altro avrebbe lasciato morire per strada, ha creduto in me e mi ha amata con tutto se stesso.
 Ha fatto tanti sacrifici per me e per nostro figlio e io l’ho sempre ricambiato più che ho potuto.
 Non avrei potuto desiderare niente di meglio e mi spiace dirtelo ma tu non saresti mai stato all’altezza”.
Armand mi squadrò con occhi gelidi.
“Questo lo dici tu.
 Bene, adesso abbiamo chiarito un po’ le cose.
 Hai intenzione di continuare ad osteggiarmi, lo immaginavo.
 Sei sempre stata testarda.
 Ma questa volta la tua ostinazione potrebbe costarti cara.
 Ti lascerò andare, sono certo che non scapperai, sei troppo coraggiosa.
 Sappi che ti tengo d’occhio e che questo è solo l’inizio della resa dei conti”.
“Accetto la sfida.
 Non mi fai alcuna paura perché sei più debole di quello che pensi.
 Solo i deboli si abbassano a meschini stratagemmi come i tuoi”.
“Stai attenta Irène, te lo ripeto”.
“Stai attento anche tu, Armand.
 Ti avverto: se osi ancora fare del male a qualcuno dei miei amici, a mio figlio o a Jean, ti ammazzo”.
Parve turbato dalla mia ultima frase ma cercò di non lasciarlo intendere.
 Gli voltai le spalle e mi avviai lungo la strada del ritorno che era quasi mattina.
 Mi sentivo sollevata perché avevo affrontato Armand e avevo cominciato a capire la sua strategia.
 Aprii silenziosamente la porta e osservai Renè che dormiva in un vecchio lettino e Jean, stretto in una coperta logora, sul materasso per terra.
 In quel momento sentii le campane di Notre Dame che suonavano in lontananza: erano le cinque del mattino, ero arrivata appena in tempo per non essere scoperta da mio marito che di lì a mezz’ora si sarebbe dovuto svegliare.
 Mi svestii silenziosamente e mi coricai accanto a lui.
Ça ira!”-ripetei tra me e me prima di cadere addormentata, come il ritornello di una canzone in voga all’epoca, che sarebbe diventata il nostro canto di guerra.
Si farà!”.

ANGOLO AUTRICE:
 Ecco qui.
 Abbiamo scoperto cosa è successo tra Irène e Armand.
 Il gesto di Irène, Frédèric e Madame Delacroix è estremo ma giustificato, avevo detto che le motivazioni erano fondate.
 Non sono ben chiare e molto fondate quelle di Armand ma si sa, è una stupida creatura con il quoziente intellettivo di un criceto morto quindi cosa pretendiamo?.
 In ogni caso Irène va sostenuta.
 Il suo ex fidanzato però le darà ancora molti problemi, non è mica finita qui!
 E’ solo iniziata.
 Il ritornello che viene in mente a Irène è quello del “Ça ira!”, canzone rivoluzionaria  da cui prende il titolo la nostra storia ma ne parlerò più diffusamente in seguito, l’ho solo accennato perché quelle parole mi sembravano adatte a ciò che passava per la mente della protagonista ma questa canzone tornerà in “extended  version” più avanti e sarà molto spesso intonata dai personaggi.
 Nella prossimo capitolo ci saranno grandi incontri e predizioni miracolose per due delle nostre rivoluzionarie preferite, oltre che diversi altri avvenimenti.
 Alla prossima!
 Jenny
 PS: non so se esisteva l’ispettore di polizia all’epoca( grazie Hugo per il suggerimento) e, a parte gli scherzi,dubito fortemente però non sono riuscita a documentarmi in merito e non ho idea di chi altro potesse intervenire sul luogo di un suicidio sospetto, chiedo venia.
Se ne sapete più di me, suggerite e lo correggerò, altrimenti perdonate l’errore e per una volta immaginate.

  
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