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Autore: Hermione Weasley    27/01/2016    2 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20
~

 

Il corridoio sarebbe stato silenzioso se non fosse stato per i passi, quasi del tutto soffocati dai lunghi tappeti stesi sul pavimento, delle guardie che procedevano davanti a lei e le risatine sommesse di re Howard e della favorita, intrecciate le une alle altre.

Natasha si sbarazzò della striscia di velo che le copriva gli occhi mentre il piano d'azione prendeva lentamente forma nella sua testa.

Il piccolo seguito virò in un corridoio adiacente, anch'esso ricoperto di specchi e ritratti ad olio che non poteva soffermarsi ad ammirare. La puzza di chiuso aumentava man mano che si addentravano nelle viscere del palazzo, nell'ala dell'imponente edificio in cui dovevano trovarsi gli appartamenti della famiglia reale. Anche i candelabri si facevano sempre più rari, alcuni carichi di candele spente, altri su cui erano rimaste poche superstiti. Le fiammelle proiettavano ombre inquietanti in quei cunicoli progettati da un qualche rinomato architetto, al punto che le divise delle guardie sembravano venir inghiottite a più riprese da pozze d'oscurità pressoché totale.

Fu poi la volta dell'acconciatura: districò i capelli dalla parrucca e se ne liberò dopo aver impugnato i corti coltelli che vi aveva nascosto all'interno.

Solo in quel momento, quando fu sicura di poter disporre della massima mobilità concessale, si decise ad affrettare il passo, ad approfittare dell'ennesima zona d'ombra in arrivo per sorprendere l'ultima guardia della fila. Gli saltò addosso da dietro, stringendogli un braccio attorno al collo e piazzandogli una mano su naso e bocca per impedirgli di urlare. Lo colpì duramente all'altezza dei reni con una ginocchiata ben assestata, lasciando che crollasse a terra mentre ancora si dimenava inutilmente. Dovette pestargli dolorosamente la mano che andò ad aggrapparsi alla spada assicurata alla cintura e in pochi attimi l'uomo perse i sensi, accasciandosi su se stesso a peso morto.

Si rimise in piedi e ritornò sui propri passi, raggiungendo quella che, adesso, era l'ultima guardia della fila.

Sarebbe stato tutto molto più semplice se avesse potuto uccidere piuttosto che stordire. Ma c'era una sordida, ridicola paura che quelli dello Scudo non approvassero, che l'avrebbero accusata di tutte le morti che avrebbe provocato, quale che fosse il risultato delle sue azioni. Eppure sapeva che l'ordine non era esattamente composto da stinchi di santo che si lasciavano tormentare da inutili questioni morali, non in momenti a tal punto decisivi per le sorti del regno.

E in fin dei conti il quartetto che si era accodato alla coppia formata dal re e dalla sua amante portava garofani gialli appuntati alle divise scarlatte...

Serrò le labbra e quando trascinò il secondo uomo nell'ombra, lo zittì prontamente aprendogli un profondo squarcio nella gola, lasciandolo a gorgogliare contro la parete, incapace di articolare alcunché.

Natasha si sforzò di controllare il proprio respiro, ignorando il modo in cui le si era stretto lo stomaco quando aveva affondato la lama nella carne calda e morbida, quando il sangue tiepido le aveva imbrattato solo leggermente la punta delle dita. Non le capitava spesso di perdersi in quei ragionamenti perché la politica della Stanza Rossa era piuttosto semplice. Il peso degli omicidi che aveva commesso l'aveva sempre scaricato su di loro, sui suoi capi, sugli uomini e le donne che l'avevano resa ciò che era... ciò che non era. Ma adesso che l'assassinio era solo una delle tante opzioni, si riscopriva a desiderarne la netta e chiara elementarità, ad aspettare che quella sensazione indefinibile le contraesse il petto mentre qualcuno esalava l'ultimo respiro davanti ai suoi occhi.

Alla possibilità che tutto ciò le piacesse non aveva mai pensato. L'eventualità che la Stanza Rossa fosse in fin dei conti il posto giusto per lei non l'aveva neppure sfiorata. Mai.

Un nodo minacciava di chiuderle la gola e allora fu costretta a respingere quei pensieri insensati e a rimandarli ad un secondo momento. Aveva una missione da portare a termine, non aveva importanza chi gliel'avesse assegnata; senza contare che Clint si era esposto per far sì che le dessero un'opportunità. Non poteva permettersi errori.

Nel corridoio – sempre più nettamente separato tra aree oscure ed occasionali stralci di luce tremolante – non riuscì a vedere il re e la favorita aprire la porta, ma li sentì e seppe che erano giunti a destinazione. Ne approfittò per mettere fuoriuso anche la terza e poi la quarta guardia, disseminando la propria strada di cadaveri.

Si ritrovò davanti ad una doppia porta chiusa proprio al centro di un corridoio più ampio dei precedenti, alle cui estremità si aprivano due finestre.

Si liberò dell'arco e della faretra che ancora portava agganciati alle cosce, sistemandoli in un angolo buio accanto ad un pesante tendaggio, ripromettendosi di recuperarli più tardi. Si rigirò i coltelli tra le mani fino a stringerli con più decisione, sentendone finalmente il peso rassicurante.

C'era un'altra Vedova Nera là dietro, una spietata assassina che avrebbe fatto di tutto pur di portare a termine il proprio incarico con successo. Non sarebbe stata la prima volta che Natasha si batteva contro altri agenti della Stanza Rossa – gli allenamenti e le dimostrazioni erano all'ordine del giorno al monastero – ma non ne aveva mai affrontati da un diverso schieramento. Non era mai stata loro amica, perché di amici non ne potevi avere alla Stanza Rossa, ma neanche loro nemica.

E adesso... adesso in fin dei conti era quello, che era. Una nemica. Una traditrice dell'organizzazione che l'aveva allevata e cresciuta, forse strappandola ai suoi veri genitori o magari salvandola dagli stenti che l'avrebbero sicuramente portata alla morte in tenera età.

Fece un passo avanti, talmente vicina da poter quasi sfiorare la porta con la fronte. Inspirò ed espirò ripetutamente, aspettando che il battito del proprio cuore si fosse placato.

Solo allora afferrò le maniglie d'ottone e le tirò bruscamente a sé, spalancandole su un'enorme camera da letto immersa nella semioscurità.

“Cominciavo a pensare che avessi cambiato idea.” Il russo pulito della donna echeggiò debolmente tra le pareti ricoperte d'arazzi.

La favorita era in piedi in mezzo alla stanza. Si era sfilata l'abito e stava facendo roteare pigramente il polso della mano armata di spada, come si fosse annoiata nell'attesa.

Natasha ebbe a malapena il tempo di lanciare un'occhiata al re riverso sul letto (il sonnifero doveva aver fatto effetto nel momento meno opportuno) che la bionda le si scagliò contro con tutta la foga di cui fu capace.

 

*

 

Le guardie che al seguito del principe Anthony e dei suoi funzionari si erano dileguate una ad una, fatta eccezione per un ragazzetto imberbe che Clint aveva riconosciuto come uno dei membri dello Scudo. Nessuno aveva osato mettere in discussione gli ordini dell'ufficiale appena sopraggiunto.

Ma Grant non aveva occhi che per lui, il che non faceva che accrescere il già discreto disgusto che Clint nutriva nei suoi confronti. Gli era bastato vederselo materializzare davanti per poter dar finalmente forma concreta a tutti i dubbi e le antipatie che aveva provato nei suoi confronti, a tutto il marcio che gli era sempre sembrato di fiutare quand'era nei paraggi a villa Coulson.

“Dov'è sir Phillip?” Fu la prima cosa che gli chiese mentre sguainava lentamente la spada.

“Al sicuro,” rispose evasivamente, senza abbandonare quell'insopportabile sorrisetto malizioso di chi è tremendamente soddisfatto di se stesso.

“E' tuo padre,” esalò inorridito e furibondo.

Il cuore gli batteva forte ora che i pezzi del puzzle si ricomponevano davanti ai suoi occhi una volta per tutte. Se lo Scudo l'aveva mandato a recuperare sir Phillip dalle grinfie della lega dell'Idra, l'unica spiegazione plausibile era che Grant lavorava per gli uomini che avevano complottato per il colpo di stato.

“Avrebbe dovuto esserlo,” disse, il bel volto solo leggermente irrigidito nella smorfia rabbiosa che riuscì a malapena a trattenere. “Ma invece si dilettava di casi disperati... bifolchi e pezzenti salvati dalla strada.”

“Sul bifolco e pezzente ci posso anche stare, ma disperato suona un tantino drammatico, non trovi?” Si ritrovò a contestare, mostrandosi teatralmente perplesso dalla scelta di parole.

“Di drammatica c'è solo la fine che farai, Clint Barton.”

“Wow,” si portò una mano al petto, scioccato, “credevo che nemmeno lo conoscessi, il mio nome.”

“Ti stai divertendo, ah?” Grant forzò una risata poco credibile, infastidito dalla nonchalance che Clint andava sfoggiando.

Sperò non si accorgesse di quanto fosse realmente incazzato e indignato per la ridicola piega che avevano preso gli eventi; per il fatto che il rampollo di casa Coulson avesse scelto di tradire il padre e l'intera famiglia per lenire il suo maledetto orgoglio ferito.

“No, non particolarmente. Di solito per divertirmi faccio altro,” finse di riflettere, “ma temo di dovermi accontentare.”

Fu Grant ad attaccarlo per primo, a sfoderare la spada e abbattergliela contro. Clint l'intercettò a mezz'aria e il clangore si disperse per le pareti, riverberandosi lungo il corridoio e disperdendosi nella galleria antistante il salotto della luna.

“Va' a cercare aiuto!” Gridò rivolto al ragazzetto in divisa che era rimasto immobile a fissarli. La spada d'ordinanza gli tremava in pugno. “Di' che c'è un traditore nello Scudo! Di' che si tratta del figlio di sir Phillip Coul-”

“Sta' zitto!” Grant lo colpì con un calcio nello stomaco, respingendolo contro un mobiletto su cui era poggiato un enorme vaso carico di garofani.

“Fottiti, Grant!” Smozzicò un attimo prima di dover fronteggiare l'ennesimo attacco. “Datti una mossa! Qui ci penso io!” Sbraitò in direzione del giovane membro dell'ordine che corse via tenendosi il tricorno sulla testa.

Quella stupida divisa gli rallentava i movimenti e la spada non era decisamente l'arma in cui era maggiormente versato: sapeva fin troppo bene che Grant era uno spadaccino più abile di lui.

“Sei spacciato e lo sai,” gli sibilò in faccia mentre le lame si incrociavano di nuovo davanti ai loro visi.

“Te l'ha mai detto nessuno che sei troppo sicuro di te?” Gli ritorse contro prima di sferrargli una testata in pieno viso e ritrarsi rapidamente dopo aver perso la parrucca. “Grazie al cielo, cominciava a fare un po' troppo caldo qua dentro.”

Lo guardò portarsi una mano al naso che sanguinava e poi rifarsi sotto con rinnovata ira, mentre dalla finestra spalancata in fondo al corridoio risalivano le grida di giubilo del popolo assiepato davanti ai cancelli del palazzo reale.

Doveva decisamente darsi una mossa.

 

*

 

Riatterrò sul pavimento con una capriola e si rimise dritta su un ginocchio, i pugnali spianati davanti a sé in posizione di combattimento.

Natasha registrò prima la sottile striscia di sangue raccoltasi sulla lama di uno dei suoi coltelli, e poi la linea rossa che aveva tracciato sul viso dell'amante del re che, proprio in quel momento, si stava voltando verso di lei.

Non aspettò di vederla constatare il danno perché la donna le fu nuovamente addosso e lo scontro riprese a ritmi serrati, fendente dopo fendente.

Il vestito le ingombrava i movimenti, ma si era rivelato utile nel respingere i colpi con cui la favorita tentava inutilmente di sorprenderla alle spalle o alle gambe, per toglierle qualsiasi tipo d'appoggio.

Intercettò la lama con il coltello destro e la colpì con un gancio dritto in faccia prima di abbassarsi e schivare la sciabolata con cui la donna non si peritò di ristabilire le distanze.

I suoi occhi azzurri, gelidi come il ghiaccio, scintillavano furiosi nella semioscurità della camera da letto, l'acconciatura le si era arruffata e sciolta in più punti, là dove ciondolavano boccoli biondi e lunghissimi. Il petto di entrambe si alzava e abbassava in rapida sequenza, ma i loro respiri erano silenziosi e impalpabili.

“S-Sei solo una sporca t-traditrice,” sibilò la favorita prima di avventarlesi nuovamente contro.

Natasha fu più rapida di lei e lo roteò di fianco schivando per un pelo i suoi affondi e sorprendendola alle spalle. Riuscì solo a conficcarle uno dei suoi pugnali nella schiena, a sentire l'aria che le si prosciugava dai polmoni per la sorpresa, prima che la donna si voltasse di nuovo.

La lama rimase incastrata tra le costole e Natasha non poté far altro che lasciarla dov'era e affidarsi all'unica arma che le rimaneva.

La danza riprese, una coreografia fatta di mosse simili perché simile era l'addestramento che avevano ricevuto. La bionda imitava e prevedeva i suoi gesti perché erano anche i suoi: era come riflettersi in uno specchio, come combattere col proprio riflesso.

All'ennesimo fendente andato a vuoto, mentre il suono della lama lunga che tagliava l'aria le echeggiava nelle orecchie, la favorita fece nuovamente volteggiare la spada davanti a sé, ma invece che colpirla la infisse nel pavimento.

Natasha impiegò un secondo di troppo a capire che le aveva inchiodato il vestito al pavimento e, quando la donna estrasse un pugnale di medie dimensioni per aggredirla ancora una volta, si ritrovò bloccata a terra potendo solo abbassarsi e indietreggiare col busto per schivarlo.

Un dolore sordo e inizialmente a malapena percepibile la colpì alla spalla destra. Finì col perdere l'equilibrio e cadere per terra. La favorita le fu addosso con tutto il peso del proprio corpo.

La lama del coltello che la bionda aveva sollevato sopra la testa brillò alla tremolante luce delle candele prima di calare su di lei con la gelida certezza della fatalità.

 

*

 

Scartò di lato e la spada andò a colpire la parete, imprimendovi un profondo solco.

“E' inutile che ti affanni tanto,” sibilò Grant mentre riguadagnava il centro del corridoio. Il sangue gli era colato sulla bocca e creava l'illusione di un ridicolo pizzetto rosso porpora.

“Adesso sì che sei un vero cattivo da romanzo,” lo sfotté Clint, senza che l'altro capisse a cosa si stesse riferendo.

Fu sufficiente a farlo incazzare però, e il fratello adottivo gli si scagliò contro menando colpi a destra e a manca a velocità sorprendente. Clint mancò i primi tre, ma il quarto lo prese di striscio al polpaccio e la calza bianca si impregnò di scarlatto in pochi attimi.

Si preparò a fronteggiare l'ennesima sfuriata: i colpi di Grant si fecero sempre più rapidi e, prima che potesse accorgersene, la spada sfuggì alla sua presa.

Maledì ogni santo esistente mentre l'agente dell'Idra lo spingeva contro la parete, la lama a solleticargli il collo come nella più odiosa tradizione dei combattimenti teatrali.

“Avresti dovuto vedere la tua faccia,” Grant aveva ripreso a parlare e a sorridere, ora che era convinto di averlo in pugno, “quando hai visto la tua freccia infilzare il capitano Rogers.”

“Brutto pez-”

“Certo sarebbe stato ancora meglio se avesse colpito la vittima designata...,” lo interruppe, la voce ridotta ad un sibilo.

“Di che stai parlando?”

Papà doveva morire, ma suppongo che l'atto d'eroismo del capitano ci abbia facilitato... inaspettatamente le cose.”

Un improvviso moto di rabbia minacciò di fargli perdere il controllo: “Sembri davvero compiaciuto da te stesso,” biascicò Clint in risposta, piegando il capo contro la parete per alleggerire la pressione della spada appuntita contro il pomo d'Adamo, “è abbastanza disgustoso.”

Ovviamente era stato Grant l'esecutore dell'attentato: aveva accesso sia al suo arco e alle sue frecce, sia alle provette e le sostanze con cui Leopold si trastullava durante la maggior parte dei pigri pomeriggi a villa Coulson.

“Non mi stupisce,” sussurrò l'altro, assaporando finanche l'ultimo istante di quella conclusione a suo vantaggio, “dubito che tu abbia le facoltà di riconoscere un vincente quando ne vedi uno.”

“Ma come fai a sopportare la tua stessa pomposità?” Domandò schifato col preciso intento di guadagnare tempo, giusto quel poco necessario a calcolare le distanze. Gli sarebbe bastato distrarlo per un misero secondo per scostare la lama e caricarlo a testa bassa per schiantarlo contro la parete opposta.

Si stava preparando ad ubriacarlo di stronzate, ma non ce ne fu bisogno. Un boato pazzesco sembrò scuotere il pavimento e le fondamenta del palazzo, rimbombando nel cielo che si intravedeva dalla finestra aperta in fondo al corridoio e scatenando le urla della folla.

Approfittò di quel provvidenziale diversivo perché Grant si era rapidamente voltato verso la finestra; scostò la lama e mise in pratica il suo proposito, schiantandolo contro la parete mentre gli afferrava il polso che teneva la spada. Lo colpì con un pugno in pieno viso – dritto sul naso che gli aveva già potenzialmente rotto – e gli torse la mano finché non fu costretto a mollare la presa sull'arma.

Da fuori partirono i fuochi d'artificio, filamenti di luci colorate che si dipinsero nel cielo senza alcun preavviso. I botti facevano tremare i vetri e le pareti, ma non come il boato precedente... ma perdersi in inutili ragionamenti non sarebbe servito a niente.

Ingaggiarono un breve corpo a corpo in cui il dislivello di preparazione si azzerò quasi del tutto, perché se c'era una cosa che Clint sapeva, quello era fare a botte. Grugnirono e trattennero il fiato mentre si scaraventavano da un lato all'altro del corridoio, si colpivano in pieno viso, nello stomaco, nei fianchi, senza grazia alcuna.

Grant lo mandò a sbattere contro il tavolino su cui era appoggiato il vaso carico di garofani e allora prese un'improvvisa decisione. Fece fronte all'ennesima sfuriata di Grant, colpendolo ripetutamente all'altezza dello sterno per togliergli il respiro; in cambio ricevette un pugno sullo zigomo sinistro che cominciò a sanguinare prima ancora che potesse registrare il colpo.

Dopodiché l'agganciò per il collo e gli abbassò violentemente il capo contro il ginocchio alzato, costringendolo a piegarsi in due per il dolore, per i polmoni che bruciavano reclamando aria.

Senza perdere tempo, afferrò il vaso di porcellana che pesava almeno un quintale e gliel'abbatté sulla sommità della testa, guardandolo andare in mille pezzi. I fiori si sparsero sul tappeto quasi fossero stati sul palco di un teatro dopo una messa in scena di particolare successo e l'acqua si disperse tracciando un alone scuro nella stoffa pesante e polverosa del tappeto.

Clint indietreggiò di un passo mentre respirava affannosamente osservando Grant accasciato a terra, privo di sensi. Recuperò entrambe le spade – la sua e quella del fratello adottivo – e andò dritto alla porta del salotto della luna tentando di aprirla, ma qualcuno l'aveva sigillata dall'interno. Sentì delle voci soffocate, stralci di parole che gli parvero prive di senso.

Il principe Anthony non avrebbe resistito a lungo là dentro, non da solo con tutti quei traditori decisi a fargli la festa. Insisté nell'agitare le maniglie, ma non ci fu niente da fare.

Imprecò a mezza voce, i botti dei fuochi d'artificio – all'esterno – non cessavano e fu quello a spostare la sua attenzione sulla finestra. Corse al davanzale e quello che vide confermò la sua intuizione: la terrazza del salotto della luna non era molto distante da lì. L'avrebbe potuta raggiungere scalando la facciata.

Rinfoderò le armi e si arrampicò sulla finestra per aggrapparsi alle sporgenze esterne dell'edificio. Mentre il vento leggero di quella sera estiva gli accarezzava il viso, Clint si sforzò di ignorare quell'unica sagoma schiacciata contro la balaustra della terrazza vicina e il minaccioso stuolo d'ombre nere che le incombevano addosso.

 

*

 

Natasha le aveva afferrato entrambi i polsi e stava respingendo l'arma dal proprio viso quando il sordo boato scosse le pareti della camera da letto. Neanche la donna sembrava esserselo aspettato, ma non si lasciò distrarre più di tanto.

Continuò ad affondare il pugnale verso il basso e, ormai, la sua punta acuminata rischiava di solleticarle la guancia destra.

Inspirò a fondo, una, due, tre volte per raccogliere le energie. Caricò il colpo e la respinse bruscamente con tutta la forza che aveva in corpo, allontanando il coltello per lasciarsi lo spazio sufficiente a colpirla in pieno viso col pugno chiuso, senza rischiare di vedersi infilzare nello stesso secondo.

La bionda barcollò all'indietro e Natasha continuò a stringerle il polso armato mentre si rimetteva seduta. Approfittò del momento di defaillance per colpirla con una testata sulla fronte, stando attenta a non concederle l'attimo giusto per reagire. Si rimise in piedi allora e la sovrastò mentre disincastrava dal vestito la spada che la teneva ancora saldamente ancorata al pavimento.

La favorita rise di una risata sgradevole e un tantino ubriaca, ma Natasha non si lasciò impressionare. L'aggirò alle spalle e le torse il braccio dietro la schiena, ancora inginocchiata a terra com'era. Le sarebbe bastato esercitare un po' di pressione in più per spezzarglielo di netto.

“Sei u-una stupida,” esalò la donna, che ancora stava riprendendo fiato, nella loro lingua. “Ti r-ritroveranno... s-sempre.”

Le puntò la lama della sua stessa spada al collo, più che decisa a porre fine ad uno scontro che si era protratto fin troppo a lungo.

“C-Credi che lo S-Scudo faccia q-qualche differenza? C-Che possiamo r-rinnegare q-quello che siamo?”

“Ti conviene scegliere le tue ultime parole con attenzione,” le sibilò contro Natasha, pronta a romperle il braccio al minimo segnale di pericolo.

Forse lo Scudo non avrebbe fatto alcuna differenza, forse non sarebbe neanche rimasta con loro, forse del suo futuro non le importava poi così tanto. Non in quel momento.

Quella rise di nuovo, le spalle scosse da un tremito leggero mentre dalla finestra penetravano i bagliori dei fuochi d'artificio sparati dal tetto del palazzo.

Natasha si stava ormai preparando al colpo finale quando la favorita si voltò verso di lei, rivolgendole un sorriso rosso sangue, uno sguardo vacuo e folle al tempo stesso.

“L'ho ucciso prima ancora di lasciare la f-festa,” le sussurrò con la stessa confidenza con cui le avrebbe rivelato un segreto compromettente.

La vide fare uno scatto inconsulto e Natasha fu costretta ad indietreggiare mentre la donna si conficcava nel collo uno dei coltelli che aveva raccolto dal tappeto. Inorridì mentre la guardava aprirsi uno squarcio nella gola e poi accasciarsi di lato in un gorgoglio sinistro.

Il cuore prese a batterle all'impazzata nel petto e un conato di vomito le risalì su per lo stomaco. Le ultime parole dell'amante del re le rimbalzarono nel cervello spingendola ad abbandonare le armi e il cadavere della donna per avvicinarsi al sovrano ancora riverso sul letto.

Pensò a come neppure il boato che avevano sentito – di un'esplosione, ne era sicura – fosse riuscito a svegliarlo anche solo per un istante.

Il materasso era altissimo e spesso, ricoperto da una decina di vaporosi strati di pregiate lenzuola. Il copriletto di seta blu si era raggrinzito sotto il peso del corpo. Recuperò l'unica candela accesa abbandonata sul comodino e gliel'avvicinò al viso.

Trattenne il respiro mentre il volto dell'uomo si delineava nell'ombra, le guance striate di sottili vene azzurrognole, le labbra violacee, la pelle ingrigita e irrigidita nella sua maschera di morte, gli occhi già opachi e spalancati in un'espressione di muto orrore.

Re Howard Stark era stato avvelenato.

Re Howard Stark era morto.

 

*

 

La folla gridava a pieni polmoni sotto di lui. Si era costretto a tagliare quelle grida fuori dalle proprie percezioni, ad ignorare i botti e gli strepiti dei fuochi d'artificio perché anche la più piccola distrazione avrebbe significato un volo di svariati metri nel vuoto... e poi morte certa nello spiazzo antistante il palazzo.

Era così vicino da riuscire a sentire le voci dei congiurati e quella del giovane principe, schiacciato com'era contro la balaustra a frapporre tra sé e i traditori uno spadino di dimensioni ridotte. Quel che c'era di positivo era che nessuno sembrava volersi fare avanti per primo e rischiare di perdere la vita nel tentativo di privare l'erede al trono della sua, il che gli faceva guadagnare tempo prezioso.

“State indietro, signori,” stava dicendo il principe in tono apparentemente calmo, “potete ancora evitare inutili colpi di testa.”

“Il tempo dei colpi di testa è passato, vostra altezza,” rispose qualcuno proprio mentre Clint si aggrappava al cornicione e benediceva chiunque avesse deciso che quello stile architettonico pieno di fronzoli e riccioli dovesse andare di moda ai tempi della risistemazione del palazzo.

“Voi e vostro padre non avete fatto altro che trascinare il regno nella disgrazia!” L'accusò rabbiosamente un secondo.

“Se non altro abbiate la decenza di non travestire le recriminazioni per i privilegi perduti con queste inutili fandonie sulle sorti del regno,” rivomitò con disprezzo il principe, continuando a brandire l'arma davanti a sé.

“I nobili e la chiesa sono il regno, vostra altezza. Siamo noi che vi conferiamo il potere,” obiettò il primo che aveva parlato.

“Ed è qui... che vi sbagliate,” sibilò Anthony lanciando un'occhiata nella sua direzione.

Gli parve sorpreso di vederlo, ma Clint si affrettò a portarsi un dito alle labbra per imporgli il silenzio.

“No, vostra altezza, l'errore è stato vostro.”

“Se ci aveste sostenuti come avreste dovuto, a quest'ora non vi trovereste in questa situazione.”

“Nella situazione di essere minacciato da un manipolo di vecchi ciccioni puzzolenti?” Il principe stava prendendo tempo e intanto aveva estratto qualcosa da una delle tasche della giamberga rossa e ora che indossava.

“Adesso basta, sono stufo di queste ridicole chiacchiere.” Un tizio si fece strada dalle retrovie proprio mentre Clint era sul punto di balzare dal cornicione alla balaustra della terrazza... c'erano un paio di metri a separarlo da quell'appiglio, ma era sicuro di potercela fare dandosi la giusta spinta.

A distrarlo fu lo scatto di un'arma da fuoco che veniva caricata, a malapena soffocato dallo scoppiare insistente dei fuochi artificio, le cui luci lanciavano bagliori bizzarri su quella scena tutt'altro che allegra e spensierata.

Il nuovo arrivato costrinse gli altri congiurati a scostarsi e puntò la pistola contro il principe.

“Che Dio vi perdoni, vostra altezza,” decretò in tono definitivo prima di far fuoco... ma non successe niente. L'arma aveva fatto cilecca.

“Sir Francis,” lo rimproverò comicamente il principe, mascherando l'agitazione con una buona dose di sarcasmo, “nessuno vi ha insegnato a conservare all'asciutto la vostra polvere da sparo?”

Clint saltò in quel preciso istante, rimanendo sospeso nel vuoto per un secondo che gli parve durare un'eternità prima di sentire la pietra tiepida della balaustra sotto le mani. Intravide Stark gettare qualcosa a terra e un gran fumo, bianco e spesso riempì la terrazza, confondendo gli uomini che ancora gli stavano assiepati attorno.

Si stava tirando su quando il principe si affacciò lì accanto, guardando un punto qualsiasi oltre le sue spalle.

“Dove sono gli altri?” Chiese perplesso, la preoccupazione malamente celata sul suo viso.

“Gli altri?” Clint si alzò sul parapetto e sguainò entrambe le spade perché i congiurati si erano districati dal vapore che li aveva momentaneamente accecati e li avevano nuovamente individuati.

“Siete da solo?” Domandò con orrore il principe, dando ancora le spalle alla balaustra per fronteggiare l'attacco imminente.

“Mi dispiace, vostra altezza, ma vi dovrete accontentare,” si scusò scendendo finalmente sulla terrazza mentre i primi uomini – nobili in parrucche vaporose ed ecclesiastici dalla tuniche setose – si facevano avanti per porre fine alla questione.

“Fantastico. Veramente fantastico!” Si lamentò l'altro, respingendo con un calcio un vecchio cardinale panciuto. “Fortuna che hanno quasi tutti la gotta.”

“Già, che fortuna!” Gli fece eco Clint, disarmando un aristocratico e respingendone un altro.

Un nobiluomo praticamente calvo che doveva aver perso i capelli per strada rientrò dal salotto della luna imbracciando un fucile con tanto di baionetta.

Lo vide prendere la mira, ma non aveva modo di neutralizzarlo, non impegnato com'era ad occuparsi di altri tre congiurati imbestialiti.

“Vostra altezza!” Urlò, ma il principe Stark era coinvolto in una feroce colluttazione che stava assorbendo tutte la sua concentrazione. “Toglietevi di mezzo!”

Infilzò un vescovo dall'aria arcigna e scattò in avanti, ma l'uomo armato di fucile aveva già premuto il grilletto.



Note: bè nessuno dei nostri eroi è messo particolarmente bene, e re Howard è messo pure peggio *cough cough* ma se Natasha ha fallito, la sorte di Clint e Anthony è ancora tutta da decidere... e per scoprirla ci toccherà aspettare il prossimo capitolo.
Per il resto ringrazio sempre chi legge & commenta e la sociabeta Eli :3
Alla prossima settimana!
(◡‿◡✿)
  
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