Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Cathy Earnshaw    27/01/2016    2 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 3
Ritratto di famiglia
 
 
Quella sera, Horlon si trascinò faticosamente fuori dalle coperte per prendere parte alla cena di società organizzata da Erina nelle sale del palazzo di Cyanor. Non che normalmente disdegnasse quel genere di appuntamenti sociali, ma passare la giornata a leggere di eventi poco piacevoli al riparo del suo lettuccio caldo l’aveva impigrito. Gli sembrava di sentire già i commenti caustici di Glenn: come si poteva organizzare serate di festa mentre ogni giorno una città veniva attaccata? E che scopo aveva riunire tutti quegli ipocriti tirati a lucido in una sola sala? Storr avrebbe dovuto mettere un freno all’estro di sua moglie… Horlon sospirò, annoiato prima ancora di incontrare suo fratello. Si guardò allo specchio, chiedendosi come lui e Glenndois potessero somigliarsi così poco pur essendo fratelli. Mentre lui aveva i capelli neri, Glenn li aveva chiari; mentre lui aveva gli occhi blu, Glenn li aveva neri; mentre lui amava la vita di società, Glenn era un musone poco incline ai rapporti interpersonali; mentre lui soffriva i vincoli imposti dalla corona, Glenn sguazzava nei formalismi. Si sistemò meglio il diadema sulla testa, convinto che si sarebbe inclinato prima ancora di aver raggiunto il piano terra.
Ailyn gli diceva spesso che Glenndois sarebbe stato un Re migliore di lui, e che avrebbe fatto meglio a cedergli il trono e liberarsi dell’incombenza, ma, per quanto perspicace, almeno su questo sua cognata sbagliava. Non bastava essere buoni politicanti per essere automaticamente buoni sovrani, purtroppo. La verità era che nessuno di loro due ci era troppo portato. Dato che Horlon non aveva coniuge né figli era probabile che presto o tardi la corona sarebbe passata ad Oliandro, primogenito di Glenn, e allora forse il Reame Eterno avrebbe avuto un Re degno di tale nome. Sempre che Ailyn permettesse al suo figliolo di prendersi una simile responsabilità. Come lei, l’intera sua famiglia non aveva mai avuto un gran riguardo per il potere che lui stesso incarnava, anarchici di convenienza e sempre più dichiaratamente convinti della necessità di una loro estraniazione dai giochi politici. Salvo poi trovarsi sempre a lato del trono, in un modo o nell’altro. Ad ogni generazione il problema si era fatto più marcato, poi fortunatamente era arrivata Ailyn e aveva riequilibrato un po’ la situazione. Horlon e Glenn erano cresciuti insieme a lei, ed entrambi l’avevano amata molto. Glenn l’aveva addirittura sposata.
Horlon sospirò di nuovo, consapevole di stare temporeggiando in modo scandaloso per rimandare l’incontro con suo fratello e con la cognata, giunta da Spleen in compagnia dei ragazzi per l’occasione. Oliandro e Rowena somigliavano ad Ailyn, sì, ma non avevano ereditato dal lato materno della famiglia supponenza e antipatia. La visione di Oliandro con quel suo stesso diadema sulla testa lo fece sorridere. Certo, sapeva che, a meno che non fosse finito grigliato da Bearkin in guerra, avrebbe comunque avuto l’eternità per procreare un erede tutto suo, ma aveva la tragica sensazione di essersi giocato la sua occasione in amore molto, molto tempo addietro. Era accaduto una notte d’estate di infiniti anni prima.
 
Il cielo stellato sopra il suo capo era, in un certo modo, consolante. L’alba del giorno seguente avrebbe cambiato molto, ma non tutto: Glenndois si sarebbe sposato e sarebbe partito per il nord con Ailyn, la loro amatissima Ailyn, ma quel cielo stellato sarebbe rimasto lì per lui, a consolarlo per tutta quella solitudine, fino alla fine del mondo. L’erba era fredda e umida, e il mare ruggiva contro alla scogliera, ma Horlon cercava un po’ di pace, un po’ di sollievo dal peso di  quella corona e delle responsabilità che aveva portato con sé.
Si addormentò cullato dal ruggire delle onde, ma fu svegliato poco dopo dalla sensazione che ci fosse qualcosa fuori posto. Ci mise un attimo a capire che tra lui e le stelle si era interposta una figura sottile e aggraziata.
«Ailyn?» balbettò, quasi convinto che fosse una qualche proiezione della sua fantasia.
Sbatté le palpebre e riuscì a mettere a fuoco meglio la sua figura. Nella penombra, i capelli di quel bel color miele sembravano argentati, gli occhi blu due pozzi scuri e profondi. L’elfa gli lanciò uno sguardo obliquo, allontanandosi un ciuffo troppo lungo dal viso, e si fece scivolare l’abito scuro giù dalle spalle, esponendo la pelle bianca quanto la luce delle stelle che si stagliavano sullo sfondo.
Horlon sgranò gli occhi. Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e impedirle di fare qualunque cosa stesse architettando, ma braccia e gambe non reagivano. Ailyn stava facendo una cosa totalmente insensata e lui non aveva né la forza né la dignità per fermarla.
«Che cosa stai facendo?» farfugliò senza riuscire a guardarla negli occhi come avrebbe voluto.
«Una volta nella vita, ti dispiace startene zitto?!» sbottò l’elfa scavalcando l’abito ammucchiato ai suoi piedi e chinandosi su di lui.
Horlon deglutì a vuoto seguendo con lo sguardo le forme delicate, la testa completamente piena di nebbia. Con il respiro accelerato alzò faticosamente le mani, pesanti come macigni, per impedirle di sbottonargli la camicia come stava facendo, ma quelle lo tradirono posandosi sui fianchi di Ailyn, che lo baciò.
«Se mi sveglio adesso, mi butto dalla scogliera» gemette.
L’elfa rise contro le sue labbra, ma Horlon non aveva affatto voglia di ridere, perché il contatto della propria pelle nuda contro quella di Ailyn rasentava il dolore fisico.
«Lyn…» annaspò, nel vano tentativo di prendere il controllo della situazione.
Ma lei gli tappò la bocca e l’elfo rinunciò.
 
Il cielo stellato sopra di lui non aveva più lo stesso fascino, ora che accanto aveva lei. La sentiva respirare contro la sua pelle, e il suo respiro caldo gli faceva il solletico. La sensazione di appagamento era durata poco, giusto il tempo di ricordarsi che quella che stringeva tra le braccia sarebbe stata nel giro di poche ore la moglie di suo fratello. Respirò a fondo il profumo dei suoi capelli, consapevole di essere in procinto di rompere l’idillio.
«Lyn» mormorò.
«Non ci riesci proprio a star zitto, vero?» sospirò in rimando.
«No. Tu stai per sposare Glenn, non dovresti essere qui.»
«Grazie dell’informazione, me la segno. E complimenti per il tempismo» sbottò.
«Perché…?» la voce gli si spezzò. «Perché lo sposi?»
«Perché è la volontà della mia famiglia. È il mio dovere.»
Horlon faticò a reprimere un moto di frustrazione.
«Ti rendi conto di che assurdità stai dicendo? Lo ami almeno?»
«Sì.»
Horlon deglutì a vuoto.
«Più di quanto ami me?»
Una mano di Ailyn si mosse a sfiorargli il profilo del viso. Il silenzio si protrasse, tanto che l’elfo iniziava a temere che la sua domanda non avrebbe ottenuto risposta.
«No» disse infine l’elfa. «Ma non ha importanza, perché il mio destino è già stato deciso, ed è mio dovere soddisfare le aspettative della mia famiglia. Per questo domani sposerò Glenn, e io e te dimenticheremo quanto è accaduto stanotte.»
«Dimenticare?!» balbettò Horlon. «Come potrei… per tutti gli Dei, Lyn! Come puoi chiedermi una cosa simile? Come fai a parlare di dovere, e perché sei venuta da me?!»
«Tu mi ami, Horlon?» domandò a bruciapelo.
«Più di qualunque altra cosa» mormorò.
«Allora rinuncia alla corona.»
«Cosa?»
«Se mi ami così tanto, rinuncia alla corona. Cedila a Glenn. Non posso e non desidero essere Regina, e tu non sei adatto a fare il Re…»
In una frazione di secondo, Horlon soppesò le parole di Ailyn, con la drammatica consapevolezza di averla già perduta.
«Non posso farlo. So che hai ragione, ma non posso farlo.»
L’elfa si irrigidì.
«Lo vedi? Anche tu farai il tuo dovere, così come lo farò io. Sapevo che avresti scelto il dovere, e pertanto sono qui. Era l’ultima occasione.»
           
Horlon finse di dormire il sonno pesante dei mortali per lunghe ore, perché questo gli consentiva di godere della vicinanza di Ailyn senza sentirsi oppresso da quel senso di inadeguatezza. Finse di dormire anche quando l’elfa si trasse silenziosamente in piedi, raccolse il suo abito e si dileguò, lasciandolo solo e infranto. Non si mosse per seguirla, nemmeno alzò le palpebre per vederla scomparire nelle prime luci, certo di avere appena ucciso la propria parte migliore, e certo anche che non avrebbe mai più stretto quella persona così preziosa tra le sue braccia.
 
Sbagliava. E Horlon sospettava che Glenn sapesse delle scappatelle di sua moglie con il cognato, ma che chiudesse un occhio. Già aver potuto sposare la loro Ailyn, con la prospettiva di un’eternità da passare accanto a lei, lo ripagava a sufficienza giorno dopo giorno. Pur nella conflittualità del loro rapporto, Horlon e Glenndois non erano mai stati invidiosi l’uno dell’altro, anche se ne avrebbero avuti buoni motivi: l’uno desiderava lei, l’altro il trono. Due colpi secchi alla porta lo strapparono dalle sue riflessioni. Non poteva temporeggiare per sempre.
 
La sala principale del palazzo era già piena di personaggi di ogni tipo: nani dalla barba lunga e intrecciata di perle d’oro e pietre dure; elfi dal portamento altero e degli abiti eccezionalmente raffinati; maghi di ogni genere, chi più chi meno a proprio agio in mezzo a tutta quella ostentazione di classe. Muovendosi tra quella ressa, Horlon sapeva di fare la propria figura. Era Re da più di mille anni, non aveva nemmeno bisogno di impegnarsi per spiccare. Glenndois gli si accostò con aria cupa.
«Sei indecentemente in ritardo, Sire.»
Horlon ghignò.
«Eccesso di formalismo. Mi spaventi, Glenn… È diritta la corona?» sussurrò.
Anche Glenndois ghignò.
«Per il momento sì. Se la vedo pendere ti mollo un pugno, così giustifichiamo l’inclinazione!»
I due risero, attirando gli sguardi perplessi dei maghi accanto a loro.
«Qualcuno è di buonumore!» esclamò Storr emergendo dalla folla.
«Non dovremmo? Offri tu!» rispose Horlon anticipando suo fratello prima che potesse guastare il momento con del moralismo inopportuno.
Storr rise.
«Non credevo che gli elfi fossero così taccagni.»
«Se vuoi mantenerti per migliaia di anni devi iniziare subito a risparmiare» rispose.
«Interessante filosofia» disse accompagnandoli verso il buffet. «Frunn non c’è?»
«Nah, lui non è un tipo da socialità…»
Glenndois sbuffò.
«Nastomer?» domandò Horlon di rimando.
Storr accennò col capo verso una figura cupa, circondata da uno stormo di ragazze. Nastomer era rosso come un peperone e si guardava intorno alla ricerca disperata di una via di fuga. Horlon si sentì colpevole di averlo gettato impreparato in pasto alla notorietà e non riuscì a reprimere il desiderio di soccorrerlo. Dopotutto, stregone o no era solo un ragazzo. Sotto lo sguardo divertito di suo fratello e di Storr, l’elfo si accostò a Nastomer e gli posò una mano sulla spalla. Le ragazze ammutolirono istantaneamente.
«Posso presentarti una persona, Tom?»
Il ragazzo annuì senza provare nemmeno a celare il sollievo. Horlon lo portò via con sé, domandandosi come si potesse fare per dare un po’ di autostima al ragazzo. Di certo nel suo paese natio non era stato una celebrità.
«Grazie» mormorò.
«Oh, è stato un piacere!» rispose il Re con un sorriso. «La corona è ancora dritta?» aggiunse in un sussurro.
Nastomer sorrise a sua volta.
«Non dovrebbe?»
«Non per farmi i fatti tuoi, ma quelle tipe da dove sono saltate fuori? Sono amiche tue?» domandò Horlon.
Nastomer scosse la testa.
«Mi si sono incollate addosso quando hanno sentito che sono uno stregone. Non riuscivo a liberarmene… Come se non avessi già abbastanza problemi senza uno stormo di piccioni al seguito!» sbottò, poi sembrò rendersi conto che il suo interlocutore era il millenario Re degli elfi e arrossì. «Scusami, di solito non sono così frignone…»
Horlon gli sorrise.
«Non è colpa tua, sono le femmine che sanno essere un filino pesanti, a volte!» l’elfo si guardò intorno e avvistò suo nipote in mezzo a un gruppetto di maghi. «Eccolo là!» disse.
Quando i due si avvicinarono i maghi ammutolirono e sul viso di Oliandro si allargò un gran sorriso.
«Zio! Sei qui finalmente! Nana mi stava facendo impazzire!»
Horlon sorrise di rimando. Oliandro – come anche sua sorella Rowena – era la copia esatta di Ailyn: aveva i capelli color miele, gli occhi blu e un forte senso dell’umorismo.
«Ma davvero? E dov’è adesso?»
«Sta affogando i suoi dispiaceri nel buffet» disse con un sorriso storto. «Ma non ditele che ve l’ho detto.»
Horlon e Nastomer scoppiarono a ridere.
«Caro Tom, ti presento mio nipote Oliandro. Dodo, questo è Nastomer, il nostro stregone.»
I due si strinsero la mano.
Nel giro di pochi minuti, Oliandro aveva portato il ragazzo via con sé, alla ricerca del tavolo dei dolci, e Horlon si riteneva soddisfatto.
«Ciao, zio Lollon» sussurrò una voce alle sue spalle.
L’elfo si volse e Rowena gli si gettò tra le braccia.
«Ciao Nana» rispose abbracciandola stretta. «Se tuo padre ci vedesse rinunciare pubblicamente al dovuto contegno cadrebbe svenuto…»
«Importa molto?»
«Proprio nulla!»
Rowena rise. Per un secondo, Horlon riuscì a dimenticare tutto quanto, la guerra, Bearkin, la festa stessa, perso nella risata cristallina di sua nipote. Poi si costrinse a tornare al presente.
«Hai assaggiato quella gigantesca torta al cioccolato?» domandò Rowena.
«Torta al cioccolato? Dove?» rispose Horlon allungando cautamente il collo.
«Vado a prendertene una fetta. Non scappare eh!» disse Rowena intrufolandosi tra la folla ammassata contro il tavolo dei dolci.
Il Re rimase a fissare il punto in cui era scomparsa con un sorrisetto sulle labbra.
«Non usa più salutare i vecchi amici?»
Horlon sobbalzò e si volse di scatto. Ailyn sorrideva e in una frazione di secondo si sentì catapultato indietro di mille anni. L’elfa gli raddrizzò con aria divertita la corona che si era infine inclinata nel sobbalzo.
«Trattieni un po’ l’entusiasmo, mi raccomando» aggiunse.
«È bello vederti, Lyn…»
«O non è vero, oppure sei già sbronzo. Non puoi essere ancora così impacciato alla tua età, non ci voglio credere!»
Horlon non riuscì a trattenere una smorfia. Passavano i secoli, ma lei non cambiava mai.
«Mi sorprende che tu sia venuta qui. Che cosa ti ha strappata alla tua bella e pacifica Spleen?»
Ailyn abbassò lo sguardo e lisciò le pieghe del bel vestito azzurro che indossava, con aria improvvisamente assente.
«La guerra, Lon. L’incertezza, la precarietà, e il senso di inadeguatezza.»
«Inadeguatezza?»
Ailyn annuì e gli puntò di nuovo gli occhi in viso.
«Come pensi che ci si possa sentire all’idea che tutte le persone che ami rischino la vita su un campo di battaglia, mentre tu sei a casa a guardare le nuvole che passano?» sospirò e la sua voce si ridusse ad un sussurro. «Lo so che non è colpa tua, né di Glenn, ma è un pensiero che mi fa impazzire…»
Horlon deglutì a vuoto, incapace di trovare una parola che potesse esserle di conforto.
«Se potessi fare qualcosa per te lo farei, lo sai. Ma essere Re a volte non basta. Tu non sei una guerriera, non lo sei mai stata, e preferirei comunque non saperti su quel campo di battaglia insieme agli altri, quando verrà il momento. Per questo e per altri motivi tu e Rowena dovete restare a Spleen.»
Ailyn gli lanciò un’occhiata di fuoco.
«E Oliandro?» domandò.
«Oliandro è un ottimo combattente. Vuole rendersi utile, e suo padre lo vuole accanto.»
«Anche Rowena è abile, sia con la spada che con l’arco, e anche lei desidera combattere.»
Horlon scosse il capo.
«Nana è giovane, e non cercare di farmi credere che la vorresti in guerra!» sbottò Horlon sforzandosi di tenere il tono basso e pacato.
Qualcuno aveva iniziato a guardare nella loro direzione.
«Certo che no! Non vorrei nessuno di voi in guerra! Quello che voglio sapere è perché suo padre non la vuole accanto!»
Horlon imprecò a denti stretti.
«Allora chiedilo a tuo marito, Lyn, Dei onnipotenti!»
L’elfa gli lanciò l’ennesima occhiataccia e Horlon rabbrividì istintivamente. Avevano entrambi passato il segno. Di nuovo. In una frazione di secondo, Ailyn tornò fredda e misurata. Con un sorriso di cortesia splendidamente costruito disse:
«Mi piacerebbe conoscere questo stregone di cui tanto si parla.»
Horlon si guardò intorno, individuò la testa di Oliandro e Nastomer accanto a lui.
«È laggiù, insieme a Dodo.»
L’elfa accennò un inchino e si dileguò tra la folla. Il Re seguì con lo sguardo la chiazza turchese del suo abito con il groppo alla gola e con il famoso senso di inadeguatezza che provava sempre davanti a lei. Altro che nuvole in transito!
«Non mi dirai che avete litigato di nuovo!» esclamò Rowena mettendogli in mano un piattino con la fetta di torta promessa.
«Se riesci a farla sbollire, ti prego di porgerle le mie scuse, Nana.»
«Oh, tranquillo, se tutti quelli che litigano con lei si scusassero, davanti a casa nostra ci sarebbe sempre la coda…»
 
La festa nelle sale del Palazzo Reale di Cyanor si protrasse fino a notte inoltrata. Horlon non aveva mai desiderato tanto andarsene a letto. Nonostante la costante e piacevole compagnia di Rowena, non era riuscito a riaversi del tutto dal confronto con Ailyn. Si erano reciprocamente evitati per il resto della serata. Alla fine forse era stato un bene che Glenn se la fosse sposata e portata via, a lungo andare lui sarebbe impazzito.
La mattina dopo, Storr era sul campo di allenamento con il povero Nastomer. Il ragazzo sbadigliava in modo pietoso, Horlon riusciva a vederlo anche dalla finestra della propria stanza. Non che il mago se la passasse tanto meglio… Quando l’aveva visto per l’ultima volta era abbastanza ubriaco, e l’elfo non aveva osato domandarsi quanto dovesse bere un mago di elemento Acqua prima di arrivare a sbronzarsi, diventando un mago di elemento alcol. Ridacchiò tra sé.
«Signore?»
Horlon cacciò un grido e si volse di scatto. Frunn lo osservava da dietro i suoi occhialetti, con la testa inclinata di lato.
«Accidenti, Frunn! Da quanto sei lì?» farfugliò.
«Da pochi secondi, Maestà» rispose Frunn tentando di nascondere un sorrisino divertito.
«È inutile che ti fingi mortificato, si vede benissimo che non lo sei» sbottò Horlon.
Frunn sorrise.
«Vostro fratello, il Governatore Glenndois, chiede udienza.»
«Chiede?» domandò Horlon, senza riuscire ad impedire al sopraciglio di alzarsi.
«Ho riformulato la sua petizione in modo educato.»
«Chissà perché me l’ero immaginato. Grazie, ragazzo. Spediscimelo pure qui.»
«Io non mi faccio spedire da nessuna parte, mio dolce fratello» borbottò Glenndois entrando in camera a passo di marcia.
Horlon sospirò, desiderando ardentemente tornare a letto.
«Carissimo Frunn, me lo potevi anche dire che il Governatore Glenndois era già qua fuori…»
«Mi è sfuggito. Sarà per la prossima volta, Sire» disse Frunn ritirandosi e chiudendo la porta.
Horlon scosse il capo, sempre più convinto che il suo segretario si divertisse un mondo a metterlo in difficoltà. Soprattutto quando c’era Glenn di mezzo.
«È solo una mia sensazione, oppure quel ragazzo è sempre più impudente?» domandò Glenndois.
«È un creativo, a modo suo…» mormorò il Re. Poi accennò ad una poltrona. «Siedi, Glenn. Che succede?»
Fu il turno di suo fratello di sospirare, lasciandosi cadere nella soffice poltrona che il Re gli indicava.
«Lyn questa mattina ripartirà per Spleen insieme a Nana, ma è scontenta.»
«Strano» commentò Horlon, sedendosi a sua volta.
«Vero? Vorrebbe che anche lei e Rowena potessero fare qualcosa.»
«La cosa migliore che possano fare è tenersi lontane dai guai.»
Glenndois allargò le braccia.
«Una volta tanto siamo d’accordo!»
Horlon sorrise e si passò una mano tra i capelli. Forse era il caso di tagliarli un po’.
«Mi auguro che tu non ti sia precipitato qui per questo.»
«Questa notte Shiren è stata attaccata. Ha resistito strenuamente, ma alle prime luci dell’alba ha dovuto capitolare.»
Horlon si irrigidì. Il cuore aveva preso a battergli all’impazzata.
«Superstiti?» mormorò.
«Pochi, a quanto si dice. Ma non abbiamo ancora comunicazioni ufficiali.»
«Come può essere?! Lantor si trova a Lenada, no? A poche miglia da Shiren!»
Anche Glenndois si rabbuiò.
«Strano, vero?» esitò. «Senti, Lon, magari non sarà niente, un semplice disguido, ma non mi piace. Ho un brutto presentimento su di lui. Ultimamente è… cambiato.»
Horlon annuì, mascherando al fratello il brivido che gli era corso giù per la schiena.
«Fallo chiamare, Glenn, per favore. Conducimelo qui. Voglio guardarlo negli occhi.»
Glenndois annuì.
I due rimasero seduti in silenzio a lungo, a godere della reciproca compagnia come ai vecchi tempi. Infine, il Governatore si alzò.
«Odio davvero doverlo fare» disse.
«Cosa?» domandò Horlon riscuotendosi.
«Dubitare degli amici.»
Horlon seguì con lo sguardo la figura di suo fratello, e continuò a fissare la porta chiusa quando questi uscì dalla stanza con le spalle basse.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Cathy Earnshaw