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Autore: Awesomissima123    28/01/2016    1 recensioni
"(n.) the temporary affection and infatuation usually experienced by two young people in love".
Chiuse il libro, mantenendo l'indice per tenere il segno. Si tolse gli occhiali e li poggiò sul tavolo. Aveva capito.
Ed andava bene così?
***
[Dal prologo]
"Lui lascia vagare lo sguardo altrove cercando di scacciare il senso di amarezza ed aspettativa nostalgica ma Finlandia fa ticchettare continuamente la penna sul tavolo, lo fa con naturalezza, lo fa distrattamente mentre ascolta il rappresentante del Regno Unito. Tino sembra sempre mediamente rilassato e tranquillo e, lui, ha notato delle fossette sulle sue guance che si creano anche solo quando stringe le labbra.
“Adorabile”: ecco, questo è l'aggettivo esatto, probilmente.
Il primo che gli sia venuto in mente, guardandole."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Finlandia/ Tino Väinämöinen, Sorpresa, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ci sono occhi giganteschi a guardarlo, orecchie ancora più grandi che ascoltano il suo respiro e lui è fermo a ricambiare lo sguardo, interdetto e destabilizzato per una manciata di secondi: ha dimenticato la sua meta e le mani si irrigidiscono, nelle tasche del cappotto.

Si concede un sospiro, affondando la bocca nella sciarpa, osservando la condensa del suo respiro e poi tornando al coniglio gigante, potrebbe mangiarlo con un solo morso.
Ma perché un coniglio dovrebbe mangiare proprio lui? Ci sono poche cose che venera: i conigli sono tra quelle, quasi sullo stesso piano del denaro. Un coniglio non deciderebbe mai di mangiarlo.

Assurdo.

Assurdo anche e sopratutto, perché è un coniglio di ottone, quello che ha davanti: una titanica statua nel bel mezzo di una piazza e che lui ha sempre accuratamente evitato da almeno cinque anni a questa parte.

Sembra che qualcuno dall'alto -messo che esista, lui ha non pochi dubbi a riguardo- ci sia messo con impegno o semplicemente non riesce ad accettare di essere stato così sommerso dai pensieri e dalle elucubrazioni da esserci finito da solo lì. Assottiglia lo sguardo, con sfida, trovandosi in competizione con gli occhi inanimati della statua e che qualcuno aveva definito “inquietanti”, una volta.

Deglutisce: ha perso la sfida con un coniglio gigante, 'chè in una sorta di remémbrance, non ha potuto fare nulla per i ricordi che l'hanno investito come fotogrammi, neanche troppo sbiaditi, di un film che ha visto veramente troppe volte.

Abbassa le palpebre a mezz'asta e si porta la pipa alla bocca, aggira il monumento e appoggia la schiena ad un fianco del coniglio, gli occhi verdi si perdono ad osservare i ghirigori evanescenti del fumo mentre la mente, in modo altrettanto evanescente, si concede i propri ricordi, le proprie immagini e lui, questa volta, davvero non ha potuto nulla per bloccare il flusso di pensieri.


#Aprile, 2009.


Non era raro, ormai, che molte multinazionali, spostassero le loro sedi legali nei Pesi Bassi, anzi, sembrava essere diventata una prassi molto frequente ma nessuno, nessuno, aveva mai necessitato di tanto tempo e precisazione come gli svedesi.

Tre anni dalla proposta all'attuazione, tre anni di rimostranze e scetticismo: tanto tempo sprecato in una serie di riunioni che lui aveva giudicato come inutile, come qualunque spreco.

Uno spreco, resta uno spreco, anche di tempo: il tempo è denaro e lui lo sa bene. Il suo modus vivendi è filosofia pura: sprecare non produce, non produrre indica piattume statico nel guadagno.

Si raddrizzò sulla sedia, sentendo lamentarsi ogni singola vertebra della spina dorsale: quanto tempo era rimasto in quella posizione? Aveva perso la cognizione e nonostante questo, nulla, nella sua fisicità o nella sua espressione lasciava intendere l'insofferenza: si trattava di lavoro e di affari, in ogni caso, la serietà ed il rispetto erano sempre in primo piano, permeati anche della stima verso degli ospiti così puntigliosi e pruriginosi. A quel pensiero, spostò lo sguardo sul rappresentante della nazione svedese che sembrava particolarmente ligio, in quel contesto: seguiva la discussione con gli occhi fermi sui documenti, annuiva, ogni tanto, come a voler confermare la sua presenza mentale oltre fisica, faceva scivolare la penna sui fogli, firmando. Tutto ad intervalli regolari e perfettamente calibrati, poi senza parlare mentre una mano era ferma sulla pila, quella libera, gli passò uno dei documenti, con una piccola “x” su dove avrebbe dovuto firmare lui.

Olanda inarcò un sopracciglio: aveva sul serio precisato dove lui dovesse firmare? L'aveva fatto sul serio, come se lui fosse il primo incompetente passato di lì?

Questa era davvero esilarante. Che poi, cosa c'entravano loro, con l'Ikea? Non era mica patrimonio nazionale? Va bene avere le proprie fissazioni ma far sottoscrivere anche a lui un contratto in cui si impegnava a non infangarne il nome od assumesse comportamenti deleteri per la multinazionale svedese, era davvero troppo. Respirò profondamente, sciolse le braccia, ancora in conserta, per recuperare la propria penna.


«Grazie per la “x”, pensavo di dover firmare in alto a destra.»

La lingua era partita prima che potesse giudicare se fosse un'affermazione pertinente oppure no, probabilmente, anche ragionandoci, non avrebbe potuto evitare quella constatazione sarcastica e velatamente piccata. Svezia lo guardo e sembrò accorgersi in quel momento di lui, arcuò entrambe le sopracciglia, restando interdetto per qualche istante.

Stava giudicando se fosse serio, forse? Questo avrebbe dovuto offenderlo nel verso senso della parola: sembrava che lo svedese credesse di interagire con uno sprovveduto.

O forse, aveva interrotto la sua concentrazione.


«Era una battuta, Zweden.»

Puntualizzò mentre firmava leggermente più lontano dal segno fatto precedentemente, così, in uno slancio di ribellione che probabilmente, avrebbe notato soltanto lui. Svezia non aggiunse altro, tornando completamente concentrato alla riunione.

Che tipo.


«Fuori luogo.»


Olanda lo guardò con la coda dell'occhio: l'aveva appena rimbeccato. Increspò le labbra in un sorriso sghembo e soffiò aria dal naso conscio che forse, solo forse, era stato fuori luogo sul serio.




*


"Le chicche": Coffeeshop fuori dal centro, frequentati quasi esclusivamente dai locali, solitamente con prezzi più bassi rispetto alla media del centro.
"Le chicche" perché non erano gremiti di turisti ed era lì che si viveva sul serio la notte olandese, la notte della sua Amsterdam.
Ed era per questo che l'aveva condotto all' Het Ballonnetje, al confine fra il centro e il quartiere Oost, di fronte all’università: ambiente molto pulito, grande varietà di the e infusi e zero orde di stranieri coi cappellini "Amsterdam". Storse appena il naso al solo pensiero di quegli odiosi capi d'abbigliamento.
Portò la pipa alla bocca, guardando con coda dell'occhio l'uomo accanto a lui, erano entrambi di poche parole. Un eufemismo per descrivere la "palpabile emozione" del soggiorno olandese di un improbabile turista svedese.
Non si era ancora abituato a non dover abbassare lo sguardo per raggiungere il viso del proprio interlocutore: l'altro era probabilmente l'unica persona più alta di lui, che conosceva.

«Davvero colorato.»

Commentò Berwald, fermo davanti la vetrina, la borsa del computer portatile sotto il braccio. Lo stesso commento che aveva fatto per le case sul porto, per le vetrate delle chiese, per i musei d'arte. Wilhelm, d'altronde, s'era limitato a scrollare le spalle: non è che lui vantasse questa grande dialettica ed andava bene così: nessuno dei due sentiva il bisogno di riempire i silenzi con affermazioni ridondanti, superflue, considerazioni non richieste. Tutte quelle cose che, alla fine, si rivelano sempre fastidiose ed -a tratti- persino imbarazzanti.
Il brusio del locale non era molesto, e non lo era neanche il leggero alone del fumo.
Entrambi, inconsciamente, finirono per far indugiare le orecchie ed i pensieri sulle parole degli altri clienti. L'olandese si chiese come fosse possibile accostare la propria lingua a una serie di gargarismi: aveva sentito più di una persona affermarlo.
Non lo svedese, lui stava pensando che quella versione del tedesco gli piaceva, era più dolce, più musicale.

Nessuno dei due ne fa parola, entrambi classificano quel genere di considerazione come “inutile”.

Svezia dovette giudicare “inutile” anche chiedere una traduzione del menù, perché, richiudendolo con tutta la calma che ben celava un certo fastidio nel non aver trovato la traduzione inglese, si limitò ad ordinare un “espresso” normale.
Se Wilhelm non fosse stato sé stesso, probabilmente si sarebbe spalmato una mano sul viso, in evidente stato di frustrazione.
Si limitò, piuttosto, a scuotere il viso ed espirare il fumo dalle narici, guardando il proprio interlocutore.

«Bene. Ordino io.»

Di poche parole e pragmatico. Il benedetto caffè, per Berwald, lo ordinò sul serio, insieme alle birre e a dello skunk, fu l'ennesimo tocco sarcastico. Non sarcastica quanto infastidita, invece, fu la mano che con lentezza e decisione, richiuse il portatile che l'altro aveva appoggiato sul tavolo: non c'era stato un attimo in cui non l'avesse visto ticchettare al pc, qualunque cosa stesse scrivendo, in quel momento non credeva di riuscire a sopportare oltre il rumore molesto delle dita sulla testiera. Lo svedese gli riservò un'occhiata perplessa e moderatamente inquietante, probabilmente, non voleva esserlo ed, in ogni caso, non è che Wilhelm avesse lo sguardo più gentile e cristallino del mondo, anche fermarsi a ragionare sulla questione, quindi, fu classificato come “inutile”.

Ora, non si sarebbe mai aspettato che la serata potesse prendere una piega tanto diversa con il solo ausilio di un po' d'erba, per quanto fosse pregiata, lo intuì velatamente soltanto quando l'altro, sembrò osservarlo con dovizia attonita, la naturalezza con cui lui annusò la bustina arrivata con l'ordinazione. Non contento, la allungò sotto il naso dello scandinavo che per il bene dell'integrazione culturale e della mera e semplice curiosità, lo imitò, limitandosi ad un'altra occhiata, questa volta un pelo esterrefatta.
Olanda accennò un sorrisino di soddisfazione mosso dall'insano divertimento nel constatare una reazione nell'altro, solitamente sempre troppo composto e silenzioso.
Da che pulpito, poi.
Bisognava battere il ferro finché era caldo: in altre parole, approfittare di quel momento di stordimento per evitare le lamentele o l'ostracismo che sarebbe potuto arrivare a breve.
Una mano andò a frugare nella tasca della giacca, tastando con le dita il contenuto: l'accendino, la busta di tabacco ed il tritino.
Eh sì, il nostro caro olandese, persino lui, s'esaltava quasi, in determinate situazioni.

Che piega assurda, che circostanza paradossali, che protagonisti inusuali.

}

}

}

«Tu lo fai spesso?»

«Sì.»
«É un modo come un altro per rilassarsi ed allentare la presa.»




«Che c'è?»

«Non c'è nulla, notavo solo i tuoi occhiali sul tavolo, Zweden.»




«Anche Belgio lo fa spesso?»
«No. Non penso sia proprio il caso.»

«Hai ragione. Nemmeno io farei sentire queste cose a Tino.»




«Secondo me, ci sarebbe da divertirsi con Finland.»

«Secondo me, ci sarebbe da divertirsi con Belgio.»

«Nee. Non ci pensare neanche.»
«E tu non pensare a Tino.
'Chè io, al massimo, con Belle cucinerei waffles.
»
«Nee. Non penso a Finland. Non é propriamente il mio tipo. E grazie, Zweden, ora ho voglia di waffles.»
«Qual è il tuo tipo? ― Non vendono waffles qui? Siamo vicini al Belgio. ― Perfino all'Ikea si vendono.»
«Stai diventando logorroico. Che ci fanno dei waffles da Ikea? Zweden quanto tempo trascorri in media da Ikea? Il mio tipo é un divano Ikea, ne sono fortemente convinto. Uno di quelli che si aprono.»
«Bel divano.



...Allora, qual è?»





Gli poggiò poi il filtro tra le labbra, tenendolo tra le sue dita, evitandogli di scottarsi, quindi. Non rispose, osservando il punto esatto in cui la bocca di Berwald toccava i propri polpastrelli, passò poi a guardare gli occhi leggermente arrossati dell'altro: probabilmente entrambi avevano i sensi alterati ed una sensibilità diversa in quel momento, una modalità stessa di approccio nettamente differente al loro usuale ed era divertente quasi, avere quell'immagine dello svedese, laddove l'aveva solo visto rigoroso, ligio e gelido.

Da che pulpito, poi, per la seconda volta.

«Ultimi tiri.»

Spiegò, non trattenendo il sorrisino sghembo ma questo non bastò all'altro che si chinò verso di lui aspirando il fumo, senza espirare e senza interrompere il contatto visivo. Era pacato, forse non glaciale come sempre ed era una sensazione che gli piaceva in cui, in fondo, si sentiva persino a proprio agio e Olanda continuava a guardarlo, deglutii.


«Chi lo sa, Zweden. Potresti essere tu ed io ti sto inibendo le capacità per abusare di te.»
«Du pratar nonsens.»*
«Nee. Sono serissimo. Pensi che sia uno che parla a vanvera?»
«Prost.
No ― forse.»

Sebbene aspirasse, sentiva ormai solo il sapore del filtro, e la consistenza delle dita dell'olandese che lo riportò alle proprie: ultimo tiro e con un'imprecazione dovuta alla scottatura -che aveva provato ad evitare- spense il mozzicone nel posacenere.
Sventolò la mano destra per far raffreddare il punto dolente e fuori da ogni logica infilò le due dita nella birra dell'altro. La sensazione di refrigerio fu un'attenuante a non interrompere quella posizione. A ben vedere, neanche Berwald sembrò stranirsi di quel gesto, anzi, si limitò a calare lo sguardo, per un istante, al bordo del bicchiere di vetro.

«Qual é il tuo tipo, invece?»

Se Olanda, avesse pensato, minimamente di aver ulteriormente scosso l'animo di Svezia, dovette seriamente ricredersi quando lui, andando contro qualunque pronostico, gli prese il polso alzandogli la mano quanto bastava per prendere un sorso dal bicchiere e poi leccar via i sapore di birra dalle sue dita.

«Skunk. È uno skunk.

Si bloccò un attimo a quel sagace gesto, dettato sicuramente dalla momentanea perdita dei freni inibitori.
Inarcò un sopracciglio, lasciando ancora il polso nella sua presa. Sembrava essersi innescata una sorta di sfida tra le due personalità che definire ostica, si rivelava eufemistico. C'era un qualche senso? Era davvero colpa dell'alterazione dovuta all'erba? Quanto c'era di reale in quei momenti?

E, sopratutto, c'era realmente bisogno di appesantire il momento con tutti quei pensieri, quegli interrogativi che non avrebbero mai avuto una risposta esaustiva?

Ancora una volta, entrambi ragionavano sulle stesse cose, inconsapevolmente ed ancora una volta, entrambi giudicarono sovrabbondanti le elucubrazioni, concedendosi l'incertezza di quel momento.


«E sia skunk. Ma non sai quante altre varietà esistono...»

«Altre varietà di questo o di tipi?»

Svezia non riusciva a focalizzare bene il discorso, le parole e, tuttavia, quella momentanea e piccola perdita del controllo totale, non lo disturbava, per quanto, ovviamente ne fosse stupito persino lui stesso. Sembrava che le parole gli scivolassero da un orecchio a all'altro, e via, sul tavolo, per terra. Guardò la mano dell'altro.

«Perché se si parla di olandesi, non ho dubbi al momento.»

Restò in silenzio per un momento, lasciando che le parole dell'altro si chiarissero meglio nella mente, onde evitare refusi o malintesi.
Distese le braccia, stiracchiandole e notando il viso dell'altro prendere una leggera tonalità, reazioni fisiche normali in quella situazione, dovute anche al locale che si stava affollando sempre di più.
Fece schioccare la lingua contro il palato, scuotendo il viso ed ammettendo di essere stato preso alla sprovvista.
Quasi per fargli il verso, si mise nella stessa posizione dell'altro: poggiò i gomiti sul tavolo ed il viso alle mani, trovandosi più vicino al suo volto.

«Si parla di quello che tu vuoi che si parli. Si intende quello che tu vuoi si intenda.»
«...Quasi mi dimenticavo quanto tu sappia vendere bene le tue cose.»

Lo svedese ghignò persino: belle soddisfazioni da un uomo che era sempre sembrato troppo composto, rigoroso ed -a tratti- imperturbabile. Una piacevole sorpresa che sentì agitargli leggermente le membra, in modo lento e strisciante, qualcosa che si diramava fino alle estremità.
Gli occhi sondarono le labbra piegare in quel sorriso, sentendo stranamente secche le proprie, tirò un profondo respiro.
Rise sommessamente, gutturale, le dita tamburellavano sulle proprie guance.

«Non sprecherei energie a vendere qualcosa che sembri aver deciso già di prendere.
Nee. Piuttosto, ti lasciavo un margine di decisione, dopotutto, sei l'ospite.»

Entrambi avvertivano, sempre più prepotente, quel senso di sfida, una certa adrenalina che non sapevano addurre se alla situazione, al contesto. Wilhelm pensò che quegli occhi glaciali contrastavano fortemente con i gesti, con le parole di quella sera amorfa.

«Quale risposta vuoi avere, Zweden?»




*





«Non è la cosa più bella che tu abbia mai visto?»


La sensazione di trance edenica in cui cadeva ogni volta che si ritrovava davanti a quel coniglio é vagamente paragonabile alla sindrome di Stendhal, un amore viscerale e si faceva quasi violenza nel non correre ad attaccarsi al muso del gigantesco animale, gemendo appena nel reprimere quell'impulso e mordendosi l'interno della guancia, spostò lo sguardo sul proprio interlocutore.
No, era più forte di lui: non ci riusciva. Lo trascinò come mosso da volontà superiore vicino la scultura e si fermò proprio in corrispondenza della testa.

«Il coniglio, intendi? Nej.»

E si era persino limitato: Berwald trovava quell'obbrobrio, non solo orribile ma anche fastidioso. Bloccava il transito, bisognava aggirarlo e, tuttavia, intercettando gli occhi verdi dell'olandase in stato di semi-adorazione, intuì che doveva piacergli molto e l'ennesimo pensiero, quella sera, sfuggì alla razionalità, trovando a giudicare adorabile l'espressione assunta dall'altro che si trasformò in contrita non appena lui aveva risposto.

« È sicuramente impressionante, ma non è il mio genere di cose.»

Wilhelm era incredulo: nella sua testa confusa dai fumi e dai conigli, non poteva esistere qualcosa di più mirabile. Sospirò impercettibilmente cercando di recuperare contegno e la virilità scivolata via davanti a cotanta commozione.
Lo guardò serio e portò la pipa alla bocca.


«Quale sarebbe il tuo genere di cose? Cosa c'è di meglio?»

«Uh, se intendi di arte...Arte figurativa. Non capisco quest'arte concettuale. Ma a parità di scenicità, mi godo molto di più la natura.»

«Guarda che questa scultura, prima, era ad Örebro, in Svezia. Ce l'avere regalata voi. Si trovava contro contro la statua di Engelbrekt. Un modo per esplorare le dimensione del vedere e del vivere lo spazio pubblico.»


Sì, l'olandese, risultava davvero adorabile quando provava a dare un senso a qualcosa di così inutile e ingombrante. Fondamentalmente, a Berwald, non interessava da dove venisse quel coniglio gigante, anzi, fu contento che non si trovasse più in Svezia. Evitò di sciorinare almeno venti motivi circa l'idiozia di un tale spreco di rame -o forse era ottone?-, solo per non distrarlo, per continuare ad osservarlo indisturbato e forte di uno slancio di...- non seppe spiegarsi bene cosa, la propria mano raggiunse quella dell'altro.

Fu un gesto non eclatante e neanche destabilizzante, nessuno dei due se ne stranì, fu un qualcosa di basso, come un sussurro e per nulla invadente. Sembrò totalmente naturale.
Olanda lo guardò con la coda dell'occhio.

«Andiamo. Ho ancora voglia di waffles.»

«Jhoo.»


***


E così, come nei ricordi, loro si allontanarono dalla statua, lui svolta a destra, diretto verso casa.

Solo che, questa volta, è solo.







E DUNQUE.
Ho partorito questo primo capitolo. Evviva Dio.

Ringrazio _ ghost_ writer e LEDitbe che hanno recensito lo scorso capitolo, passo subuto a rispondere anche alle vostre recensioni.

Sono le 2.26. Domani ho un esame e probabilmente ho dimenticato il 90% di quello che volevo dire in queste note autore.
Vogliate scusarmi.
Grazie per aver letto e grazie a chi recensirà e, come sempre, grazie a chi mi sostiene ed ha sopportato i miei continui scleri su questo capitolo.

Alla prossima,

Awesomissima123

   
 
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