"Momenti bui e difficili ci attendono. Presto dovremo affrontare la scelta fra ciò che è giusto e ciò che è facile."
- Albus Silente -
Regulus Black non aveva mai avuto dubbi
sulla strada che avrebbe seguito. Secondogenito di una delle più antiche e
illustri famiglie Purosangue, Serpeverde come tutti quelli che contavano in
famiglia, attendeva con ansia il momento in cui avrebbe finalmente potuto
abbandonare Hogwarts per unirsi alla nobile causa dell’Oscuro Signore.
Non gli importava di essere troppo
giovane e nemmeno di non avere eccellenti doti magiche. Aveva dalla sua parte
amici influenti, già ben inseriti nella stretta cerchia di Colui che faceva
fremere l’intero mondo magico al solo essere nominato. In più faceva parte di
una delle migliori famiglie di maghi mai esistita da secoli ed era fiero di vantare
il suo status di Purosangue. Queste ultime erano sicuramente ottime credenziali
che gli avrebbero permesso di entrare nei Mangiamorte, i migliori seguaci di
Lord Voldemort.
Lui non sarebbe stato la vergogna dei suoi
genitori come suo fratello; lui avrebbe riscattato il nome dei Black offrendo i
propri servigi senza esitazioni.
Il suo ingresso nei Mangiamorte,
nell’estate del 1978, fu accolto dai
suoi genitori con folle entusiasmo. Non si preoccuparono minimamente del fatto
che avesse solo sedici anni: Regulus aveva fatto ciò che era giusto. Sostenere il Signore Oscuro era
un dovere per tutti i giovani maghi Purosangue e Regulus aveva dimostrato loro
di essere un degno e riconoscente figlio.
Per via della sua giovane età, dei suoi
modi aristocratici e discreti, senza contare il fatto che fosse imparentato con
gran parte dei più fedeli Mangiamorte, Regulus venne ben presto richiesto da
Lord Voldemort in persona che aveva bisogno di garantirsi la sua lealtà. Fu così
che offrì l’elfo domestico della famiglia Black a discrezione del Signore
Oscuro.
Gli ordini impartiti a Kreacher erano stati
più che chiari: gli aveva detto di fare tutto ciò che Lord Voldemort gli avesse
richiesto e poi sarebbe dovuto tornare a casa per l’orario di cena per non
insospettire sua madre. Ma allora, perché tardava ancora? Forse il suo elfo
domestico non si era dimostrato all’altezza delle aspettative del Signore
Oscuro.
Regulus misurò a grandi passi la propria
stanza per quella che doveva essere la trentesima volta. Camminare lo aiutava
da sempre a schiarirsi le idee. Richiamare o meno l’elfo? E se per caso
Kreacher stava eseguendo degli ordini e con la sua chiamata avesse in qualche
modo ostacolato i piani del suo Signore, come si sarebbe potuto giustificare
poi?
I rintocchi cupi dell’orologio a pendolo
del salotto, scandirono le 6. Avrebbe aspettato ancora, soli altri cinque
minuti. La casa era vuota quel pomeriggio. I suoi genitori erano andati a far
visita alle sue cugine e lui, per una volta, aveva declinato l’invito adottando
una scusa.
Le
6.01.
Continuava a camminare senza concedersi
un attimo di pausa mentre la sua mente lavorava febbrile. Richiamarlo o non
richiamarlo?
Dopotutto erano già parecchie ore che
Kreacher era via e di solito l’elfo svolgeva sempre tutto in modo non solo
puntiglioso ma anche piuttosto celere. Possibile che il compito che gli avesse
affidato il Signore Oscuro richiedesse tutto quel tempo?
Le
6.03.
Avrebbe già dovuto essere di ritorno e
il cervo avrebbe già dovuto cuocere sul braciere in cucina. Cosa avrebbe detto
sua madre se Kreacher non fosse tornato in tempo per preparare la cena?
Le
6.04.
Certo, prestare il proprio elfo al più
grande mago di tutti i tempi non era sicuramente una cosa da nulla e
probabilmente sua madre avrebbe capito e, anzi, sarebbe stata anche orgogliosa
e fiera di collaborare a così stretto contatto con l’uomo che perseguiva ideali
tanti puri e giusti. Ma erano davvero
teorie giuste?
Le
6.05.
Regulus si fermò d’improvviso in mezzo
alla stanza. Si rese conto, con immenso stupore e altrettanto sgomento, che
stava mettendo in dubbio quello in cui aveva sempre creduto, la linfa vitale
che aveva succhiato fin dal latte materno. Le teorie sulla supremazia dei maghi
Purosangue erano state pane per i suoi denti fin da quando era piccolo.
Toujours pur. Così recitava
il motto dei Black dipinto da lui stesso sul muro, dietro l’imponente letto a
baldacchino dalle cortine verdi e argento.
Toujours pur.
Non era tempo di interrogarsi ora.
Doveva richiamare Kreacher.
“Kreacher, torna subito a casa!” ordinò
chiaramente all’aria.
Il silenzio di quella dimora antica e
vuota venne spezzato da un sonoro ‘crak’.
“Kreacher! Che cosa hai fatto?”
L’elfo era orribile nel suo aspetto già
miserabile. Faticava a respirare ed era completamente zuppo.
“Padron Regulus ha detto a Kreacher di
tornare e Kreacher è tornato.” Tossì e sputacchiò in modo convulso.
“Kreacher, respira e raccontami cosa hai
fatto. Voglio sapere tutto!” Gli accenti decisi di Regulus nascondevano una
nota di panico pronta a saltare fuori da un momento all’altro.
Kreacher fece un profondo inchino e
iniziò a raccontare.
L’essere diventato un Mangiamorte non
era di certo un lusso che lo poteva esimere dalle lezioni e dalla vita
scolastica. Anche se intratteneva con successo rapporti con i suoi compagni
Mangiamorte, la sua vita sembrava essere arrivata ad una situazione di stallo.
Quanto Kreacher gli aveva raccontato era
qualcosa di raccapricciante, qualcosa che andava oltre ogni sua
immaginazione. Lord Voldemort stava
architettando qualcosa di più di quanto facesse credere a tutti i suoi seguaci.
L’epurazione della razza era una scusa ben congegnata per accrescere il proprio personale
potere mentre, ogni passo che faceva era finalizzato al raggiungimento dell’immortalità. Almeno questo era quello che aveva intuito. Ma aveva bisogno anche di altre prove.
Aveva avuto modo di riflettere su quanto
era accaduto e soprattutto sui dubbi che, quel giorno, si erano affacciati per
la prima volta alla sua mente.
La tensione a scuola era palpabile. Ora
che era un Mangiamorte gli sembrava di sentire più spesso discorsi sul Signore
Oscuro, su sparizioni sinistre e su morti, tante morti, di parenti dei suoi
compagni. Ragazzi che, anche se appartenenti ad altre Case, avevano, forse, il diritto di vivere una vita
serena e giusta come la sua. Ma era davvero una vita serena e soprattutto giusta quella che lui conduceva? Oppure l’aver dato il
proprio sostegno alla causa di Lord Voldemort era stata la via più facile?
Dopotutto la sua famiglia era Purosangue
da sempre per cui era normale – o facile?
– che lui condividesse l’ideologia della razza pura. Eppure suo fratello non la
pensava allo stesso modo. Sirius si era schierato apertamente contro il Signore
Oscuro, contro i suoi sostenitori e contro la sua stessa famiglia. Per questo
era stato bruciato dall’arazzo personalmente da sua madre, il giorno in cui era
scappato di casa. Ma qui non si trattava delle scelte, palesemente contro
corrente, che aveva fatto suo fratello. Qui si trattava delle sue scelte.
La sua scelta di diventare un
Mangiamorte era stata giusta o era
stata facile?
Prima del racconto di Kreacher sapeva
esattamente di essere nel giusto, ma
ora cominciava a pensare di aver fatto solo la cosa più facile. Era come uno sciocco ragazzino, pedina in un gioco che si
era dimostrato più grande e terribile di lui. E solo adesso se ne rendeva davvero
conto.
Cosa aveva deciso realmente nella sua
vita? Fin da bambino aveva sempre fatto tutto quello che sua madre e suo padre
gli avevano detto; aveva disubbidito di rado, ma soprattutto aveva sempre
pensato che le idee dei suoi genitori fossero giuste.
E invece, ora, messo di fronte
all’evidenza dei fatti dal racconto di Kreacher, non era più sicuro della rettitudine
di tali idee.
Sirius probabilmente l’aveva capito da
tempo. Già a undici anni il Cappello Parlante aveva visto in lui qualcosa che
andava ben oltre il sangue puro dei nobili e aristocratici ragazzi degni di
appartenere alla casa di Salazar. Suo fratello era finito in Grifondoro
attirando su di sé la vergogna della famiglia. Eppure non sembrava averci
badato e, di certo, la strada che aveva scelto non era delle migliori: là
fuori, l’Oscuro Signore dava la caccia anche a lui come a molti altri.
Regulus, nonostante avesse reciso da
tempo ogni rapporto con Sirius, sapeva perfettamente – come solo chi ha un
fratello può sapere – che la scelta da lui compiuta non era stata facile. E
forse, proprio per questo, era quella giusta.
“Ehi, Black. Cos’hai? Qualcosa non va?
Hai un’aria strana.”
“No, va tutto bene, Dolohov.” Quando era
concentrato gli capitava spesso di corrugare la fronte involontariamente.
Assumeva un’aria sciocca per chi lo vedeva e gli si leggeva in viso che
qualcosa non andava. Cercò di pensare ad altro e le rughe si distesero,
sparendo sotto il ciuffo scuro.
Cercò di leggere ancora qualche riga
dell’ultimo libro che gli aveva mandato Kreacher prima di richiuderlo con un
tonfo sordo. Si alzò in fretta dalla nera poltrona che era solito occupare in
Sala Comune e senza stare a sentire i richiami del suo amico Antonin Dolohov si
precipitò fuori. Regulus incominciò a correre per il lungo corridoio delle
segrete. I suoi passi forsennati rimbombavano in una maniera che ricordava una
mandria di centauri impazziti. Sapeva che non avrebbe potuto mantenere
quell’andatura a lungo: in prossimità della Sala d’Ingresso avrebbe sicuramente
incontrato qualche insegnante che gli avrebbe fatto delle storie. Rallentò
appena ma non smise di correre. Seduto su quella poltrona, era stato colto da
un’illuminazione improvvisa. Ora sapeva esattamente dove trovare i libri che,
quasi sicuramente, lo avrebbero aiutato a confermare o smentire i propri dubbi.
I libri, o meglio, il libro che gli
avrebbe parlato degli Horcrux era sempre stato sotto il suo naso, più vicino di
quanto avesse mai potuto pensare. Andò di filato alla Guferia quando si accorse
di non avere con sé nemmeno un foglio e una piuma.
“Dannazione!” sbattè con forza il pugno
sul davanzale di pietra della finestra, facendo stridere di disappunto alcuni
gufi sui trespoli vicini.
“Scusa, hai bisogno di qualcosa?” Una
ragazzina dai lunghi capelli castani con una divisa di Corvonero perfetta, lo
colse di sorpresa. “Sono appena arrivata e ti ho sentito. Se posso
fare qualcosa per aiutarti…” Sembrava tranquilla, per nulla intimorita dalla
sua divisa di Serpeverde, il che era alquanto insolito dato i tempi che
correvano.
“Ho scordato la pergamena e la piuma.”
Non sapeva che cosa l’avesse spinto a confidarsi con lei, così, di getto.
“Oh, ma se è solo questo il problema, lo
risolviamo subito!” Estrasse dalla propria borsa un foglio di pergamena, una
boccetta d'inchiostro nero e una magnifica piuma di pavone. “Ecco a te.”
Regulus prese gli oggetti un po’
titubante. Quella ragazzina non aveva esitato ad offrirgli il proprio aiuto incondizionato
nonostante non lo conoscesse nemmeno.
“G-grazie.” Non era abituato a gesti
così cordiali e spontanei. Un sorriso sincero accese il volto della Corvonero
che, spostatasi all’atro lato della guferia, si munì a sua volta degli oggetti
per scrivere.
Regulus rimase per un attimo perplesso.
Perché si era allontanata?
“Perché ti sei allontanata?” E prima che
se ne accorgesse, aveva già fatto quella domanda assurda.
“Per educazione. Sai, non so a chi tu
debba scrivere ne cosa e non mi importa. Io vengo sempre quassù a scrivere le
mie lettere perché odio che la gente mi guardi mentre lo faccio. Potrà
sembrarti stupido ma ho sempre la sgradevole sensazione che gli altri vogliano
spiarmi. Magari anche tu preferivi essere da solo per cui mi sono allontanata.”
“Oh.” Regulus non seppe che rispondere.
La ragazzina tornò a concentrarsi sulla propria pergamena.
Anche Regulus tentò di farlo mentre riordinava i pensieri. Doveva scrivere a sua zia Druella e
chiederle subito di inviargli il libro sulle Arti Oscure che, da secoli, si tramandava
come eredità nella famiglia Rosier. Non poteva rischiare di chiedere a sua
cugina Bella e nemmeno a sua cugina Cissy: la prima lo avrebbe sicuramente
deriso mentre la seconda non lo avrebbe preso nemmeno in considerazione. Lui
non aveva decisamente l’indole carismatica di suo fratello.
Un allocco scuro si appollaiò vicino
alla finestra e Regulus si affrettò a legargli alla zampetta esile la propria
missiva prima di vederlo sparire soddisfatto nel cielo del crepuscolo.
Un roco schiarirsi la voce fece sobbalzare la ragazzina. Regulus
le porgeva piuma e inchiostro.
“Già finito?”
“Sì.”
“Scusa. Non volevo essere indiscreta
solo che io ci metto talmente tanto a scrivere le lettere che a volte do per
scontato che facciano tutti così. Naturalmente, non sapendo a chi hai scritto e
per cosa, non posso giudicare le tue tempistiche ma mi sorprendo sempre. Sto
parlando decisamente troppo e ti sto facendo perdere tempo. Scusami.”
“Non è nulla. Grazie per la pergamena e
il resto.” Fece per andarsene ma la ragazzina riprese a parlare.
“Figurati! È stato un piacere aiutarti e
anche scambiare quattro chiacchiere con te. È bello conoscere altra gente. Sai,
è il mio primo anno qui a Hogwarts e conosco ancora pochissime persone. Penso
sia anche a causa del fatto che i miei genitori sono Babbani. I figli dei maghi
sembra che si conoscano un po’ tutti, soprattutto quelli di Serpeverde. Oh,”
sgranò gli occhi meravigliata. “ma tu sei di Serpeverde!” Gli occhi della
Corvonero saettarono veloci sulla sua cravatta verde e argento e sullo stemma
con il serpente cucito sulla lunga toga nera. “Allora potresti dirmelo tu se è
vero che vi conoscete tutti tra di voi perché siete maghi da decenni in
famiglia.”
“Da secoli, in realtà.” La corresse con
orgoglio e stizza.
“Addirittura?” La ragazzina ora aveva
posato pergamena e piuma.
“Sì, la mia famiglia è una delle più
antiche famiglie Purosangue.” Si zittì all’istante. Perché mai stava raccontando ad una
ragazzina del primo anno, per altro nata Babbana, delle sue origini? Lei era
solo un’inferiore, faceva parte della feccia che lui, da fedele Mangiamorte,
avrebbe dovuto non solo odiare ma persino sterminare. E invece si ritrovava a
pensare di non aver alcun motivo per odiare una simile saputella e nemmeno di
aver voglia di ucciderla. Cos’era giusto?
“Accipicchia! Allora saprai un sacco di
cose sulla magia! Sai, spero anche io di impararne tante e penso sia stata
proprio questa mia curiosità a spingere il Cappello Parlante a smistarmi in
Corvonero. Ne sono stata davvero entusiasta. Adesso scusami ma se continuo a
chiacchiere così non finirò mai la mia lettera. E poi immagino che tu abbia
anche altro da fare.”
“Infatti.” Rispose, più bruscamente di
quanto in realtà avesse voluto.
“Be’, è stato un vero piacere. Spero di
rivederti in giro ogni tanto. Ciao, ehm… come ti chiami?”
Regulus si era già avviato verso la
porta quando si voltò e guardò ancora una volta quella chiacchierona. “Regulus,
Regulus Black.”
“Ok, ciao Regulus.” E riprese a scrivere
come se nulla fosse.
Regulus , attonito, rimase immobile
sulla porta. “E tu come ti chiami?”
La ragazzina alzò il volto, spaesata.
“Ah, certo. Che sciocca, non mi sono presentata. Io sono Amy, Amy Gilmore.” E
con un sorriso tornò a concentrarsi sulla propria lettera.
Era l’ultimo giorno di lezione prima
delle vacanze di Natale. Il libro che Regulus aveva chiesto alla zia era
appoggiato sul suo comodino nel dormitorio. Seduto sul letto a gambe
incrociate, Regulus lo guardava come se potesse, da un momento all’altro,
animarsi di vita propria. Ora capiva perché la zia era stata tanto entusiasta
quando gliel’aveva spedito. Quel libro era un vero cimelio di Magia Oscura
e lei era fiera che suo nipote, non solo fosse a conoscenza dell’esistenza di
un ‘simile tesoro’ – come lei stessa
l’aveva definito nella lettera di risposta – ma che volesse persino leggerlo!
Regulus in realtà lo aveva solo spulciato. Aveva trovato il capitolo che
cercava e si era limitato a coglierne gli aspetti fondamentali. La sua scoperta
era qualcosa di sconvolgente: era finalmente venuto a conoscenza di che cosa
fosse un Horcrux e anche della complicata magia che serviva per realizzarne
uno. Ed ora ne era più che sicuro: il medaglione che Lord Voldemort aveva
nascosto nel bacile ricolmo di un’indefinita pozione magica, era un Horcrux. Un
frammento di anima nascosto e protetto che gli avrebbe permesso di vivere per sempre.
Quel giorno Regulus si mostrò piuttosto
taciturno a lezione come con i suoi compagni. La notte prima non aveva chiuso
occhio e la mattina, due profonde occhiaie, segnavano il suo giovane volto. Il
suo aspetto sciupato era il risultato di giorni passati ad ossessionarsi sul
segreto di Lord Voldemort.
“Ciao, Regulus! Come stai?”
Mentre percorreva da solo l’Ingresso,
una voce familiare lo raggiunse alle spalle.
Amy Gilmore, con i capelli raccolti in
due lunghe trecce, gli sorrideva serena.
“C-ciao, Amy. Bene, grazie.”
“Che bello rivederti! Mi chiedevo se ti
avessi incontrato prima delle vacanze. Volevo farti gli auguri di Buon Natale.
Io tornerò a casa dalla mia famiglia e tu?” Il chiacchiericcio veloce e
disinvolto di Amy lo metteva stranamente in imbarazzo.
Gli sembrò che tutti i ragazzi di
passaggio li stessero fissando.
“Anche io torno a casa.”
“Ma è magnifico! Certo, mi mancherà il
castello e anche il pranzo di Natale. Ho sentito dire che è davvero strepitoso
ma non vedo l’ora di rivedere i miei genitori. Mi sono mancati molto.”
“Già.” Regulus doveva assolutamente
andare via da lì prima che i suoi amici lo vedessero in compagnia di quella
ragazzina.
“Amy, andiamo o faremo tardi dalla
McGranitt.”
“Arrivo, Jane. Ora devo proprio andare.
Ciao Regulus e ancora Buon Natale!” Amy corse via raggiungendo quella che doveva
essere una sua amica e, come il loro prima incontro, lo lasciò un po’ sbalordito.
Tornare a casa per Natale, quell’anno
sarebbe stato molto diverso. L’ultimo mese che aveva trascorso ad Hogwarts era
stato davvero tremendo. Nascondere i propri pensieri sui piani del Signore
Oscuro era diventato un peso quasi insostenibile ma quello che ancor più
tormentava il giovane Black riguardava le proprie scelte. Insistente e
impertinente, il pensiero che avesse commesso l’errore più grande della propria
vita nello schierarsi tra le file dei Mangiamorte non gli consentiva un attimo
di pace. Aveva o non aveva fatto la scelta giusta?
Questo dilemma lo logorava dentro e metteva in moto un meccanismo di sentimenti
contrastanti che, prima o poi, avrebbe colpito la sua sanità mentale.
Avrebbe dovuto porre fine a tutto questo
il prima possibile, prima che l’idea tra giusto
e facile crocifiggesse la sua anima
ormai perduta per sempre. Era tempo di fare una seconda scelta e questa volta,
non avrebbe sbagliato.
Il primo sorso di quell’orribile
pozione, gli scivolò in gola senza troppi problemi mentre lo sguardo
terrorizzato e angosciato di Kreacher si rifletteva nei suoi occhi grigi.
“Stai tranquillo, Kreacher. Sai
esattamente cosa devi fare e lo farai. Questo è un ordine.” L’elfo represse a
stento un singhiozzo e si inchinò tanto che il suo naso sfiorò lo scoglio umido
e scuro di quell’isolotto abbandonato al centro del lago sotterraneo nella
caverna sul mare di Lord Voldemort.
Il secondo sorso gli fece bruciare la
gola e poi, improvvisamente, il suo sguardo si spense. Sentì che tutto attorno
a lui diventava nero mentre cominciava a combattere con dei volti che si
affollavano rapidi e confusionari nella mente. Una lotta silenziosa finché
un urlo disumano non squarciò le tenebre del luogo. A stento Regulus si accorse
di essere stato lui ad urlare e di aver gridato un nome del tutto inaspettato.
Kreacher cercava di sorreggergli il capo
e di costringerlo, con le lacrime agli occhi, a continuare a bere. “Padron
Regulus ha ordinato a Kreacher di farlo bere e Kreacher deve obbedire.”
Un terzo sorso gli colò languido e
freddo giù per la faringe e si sentì come paralizzare le corde vocali. Ora,
nella sua mente, vedeva solo un unico viso ma non riusciva a far pronunciare
alla bocca quel nome che gli morì sulle labbra.
“Padron Regulus non deve arrendersi!
Padron Regulus è forte!” Le parole di Kreacher giungevano smorzate alle sue
orecchie. Sembrava che il volto che occupava interamente i suoi più angosciosi
pensieri volesse parlargli senza però riuscirci.
Ancora una volta una cascata di liquido
amaro gli invase la bocca impastata da chissà quale terribile magia e questa
volta riuscì, per un attimo, a collegare il pensiero del viso terrorizzato che
gli danzava davanti agli occhi al nome che gli premeva sulle labbra.
“A-Amy!” Nel silenzio salmastro della
grotta, quel nome rimbombò come un tuono. Kreacher rimase per un attimo
sorpreso quando Regulus parve ritornare in sé. Forse il suo padrone ce
l’avrebbe fatta.
“Kreacher, prendi il medaglione e
sostituiscilo. Poi va’ via.”
Kreacher trasse un sospiro di sollievo,
Regulus non aveva pronunciato le parole maledette.
“Ho sete.” Troppo tardi.
Gli occhi di
Kreacher si dilatarono come non mai nel guardare il suo padrone.
“Ho sete. Amy, ho sete.” Regulus stava
lentamente ma inesorabilmente perdendo il senno mentre si dirigeva a quattro
zampe verso l’acqua del lago.
Kreacher era paralizzato dall’orrore:
combattuto tra l’aiutare il suo padrone e il rispettare l’ordine che lui stesso
gli aveva dato.
Gli voltò le spalle.
Lasciò cadere nel bacile il finto
medaglione e si mise al collo quello vero.
Regulus, con le mani a ciotola, bevve
l’acqua fresca e purificatrice del lago nero mentre una mano morta, affiorata
dall’acqua, si chiudeva attorno alla sua pallida gola.
“Amy.”
Regulus era seduto accanto al focolare
della cucina.
“Padron Regulus ha chiamato Kreacher?”
“Vieni Kreacher. Vieni avanti.”
L’elfo si esibì in un classico e
profondo inquino.
“Ti ho chiamato per dirti una cosa,
Kreacher. Insieme abbiamo fatto un ottimo lavoro. Tu hai fatto uno splendido lavoro e per questo ti ringrazio.”
“Kreacher ha fatto solo quello che il
padrone gli ha detto di fare.” Si schernì l’elfo.
“Un’ultima cosa prima che io vada,
Kreacher: ricordati che non sempre la cosa giusta
da fare è anche quella più facile.
Richiede un grande coraggio scegliere di fare la cosa giusta e noi, questa
volta, l’abbiamo dimostrato.”
Kreacher non fece in tempo a rispondere
a Regulus che quest’ultimo scomparve in una nuvola dorata.
Kreacher aprì gli occhi e si risvegliò
nella sua tana nella vecchia dimora di Grimmauld Place numero 12. Tutto era
buio e silenzio. Il falso medaglione stretto tra le sue lunghe e esili dita era
l’unico ricordo che gli sarebbe rimasto di Regulus Black.