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Autore: Mirty_92    29/01/2016    2 recensioni
[Questa ff si è classificata 3^ al contest "Choose your quote" di erzsi indetto sul forum di EFP]
[Questa ff ha ottenuto la nomination per il premio introspezione/caratterizzazione al "Contest dei premi speciali" di Ladyriddle indetto sul forum di EFP]
"Regulus Black non aveva mai avuto dubbi sulla strada che avrebbe seguito. Lui non sarebbe stato la vergogna dei suoi genitori come suo fratello; lui avrebbe riscattato il nome dei Black offrendo i propri servigi senza esitazioni a Lord Voldemort."
Però, la vita concede anche delle seconde occasioni offrendo l'opportunità di redimersi: perché la scelta più facile non è sempre la più giusta e agire nel giusto spesso richiede sacrificio.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kreacher, Nuovo personaggio, Regulus Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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La scelta di cambiare

La scelta di cambiare

 

"Momenti bui e difficili ci attendono. Presto dovremo affrontare la scelta fra ciò che è giusto e ciò che è facile." 

- Albus Silente -

 

Regulus Black non aveva mai avuto dubbi sulla strada che avrebbe seguito. Secondogenito di una delle più antiche e illustri famiglie Purosangue, Serpeverde come tutti quelli che contavano in famiglia, attendeva con ansia il momento in cui avrebbe finalmente potuto abbandonare Hogwarts per unirsi alla nobile causa dell’Oscuro Signore.
Non gli importava di essere troppo giovane e nemmeno di non avere eccellenti doti magiche. Aveva dalla sua parte amici influenti, già ben inseriti nella stretta cerchia di Colui che faceva fremere l’intero mondo magico al solo essere nominato. In più faceva parte di una delle migliori famiglie di maghi mai esistita da secoli ed era fiero di vantare il suo status di Purosangue. Queste ultime erano sicuramente ottime credenziali che gli avrebbero permesso di entrare nei Mangiamorte, i migliori seguaci di Lord Voldemort.
Lui non sarebbe stato la vergogna dei suoi genitori come suo fratello; lui avrebbe riscattato il nome dei Black offrendo i propri servigi senza esitazioni.

 
Il suo ingresso nei Mangiamorte, nell’estate del 1978,  fu accolto dai suoi genitori con folle entusiasmo. Non si preoccuparono minimamente del fatto che avesse solo sedici anni: Regulus aveva fatto ciò che era giusto. Sostenere il Signore Oscuro era un dovere per tutti i giovani maghi Purosangue e Regulus aveva dimostrato loro di essere un degno e riconoscente figlio.
Per via della sua giovane età, dei suoi modi aristocratici e discreti, senza contare il fatto che fosse imparentato con gran parte dei più fedeli Mangiamorte, Regulus venne ben presto richiesto da Lord Voldemort in persona che aveva bisogno di garantirsi la sua lealtà. Fu così che offrì l’elfo domestico della famiglia Black a discrezione del Signore Oscuro.

 
Gli ordini impartiti a Kreacher erano stati più che chiari: gli aveva detto di fare tutto ciò che Lord Voldemort gli avesse richiesto e poi sarebbe dovuto tornare a casa per l’orario di cena per non insospettire sua madre. Ma allora, perché tardava ancora? Forse il suo elfo domestico non si era dimostrato all’altezza delle aspettative del Signore Oscuro.
Regulus misurò a grandi passi la propria stanza per quella che doveva essere la trentesima volta. Camminare lo aiutava da sempre a schiarirsi le idee. Richiamare o meno l’elfo? E se per caso Kreacher stava eseguendo degli ordini e con la sua chiamata avesse in qualche modo ostacolato i piani del suo Signore, come si sarebbe potuto giustificare poi?
I rintocchi cupi dell’orologio a pendolo del salotto, scandirono le 6. Avrebbe aspettato ancora, soli altri cinque minuti. La casa era vuota quel pomeriggio. I suoi genitori erano andati a far visita alle sue cugine e lui, per una volta, aveva declinato l’invito adottando una scusa.

Le 6.01.
Continuava a camminare senza concedersi un attimo di pausa mentre la sua mente lavorava febbrile. Richiamarlo o non richiamarlo?
Dopotutto erano già parecchie ore che Kreacher era via e di solito l’elfo svolgeva sempre tutto in modo non solo puntiglioso ma anche piuttosto celere. Possibile che il compito che gli avesse affidato il Signore Oscuro richiedesse tutto quel tempo?

Le 6.03.
Avrebbe già dovuto essere di ritorno e il cervo avrebbe già dovuto cuocere sul braciere in cucina. Cosa avrebbe detto sua madre se Kreacher non fosse tornato in tempo per preparare la cena?
Le 6.04.
Certo, prestare il proprio elfo al più grande mago di tutti i tempi non era sicuramente una cosa da nulla e probabilmente sua madre avrebbe capito e, anzi, sarebbe stata anche orgogliosa e fiera di collaborare a così stretto contatto con l’uomo che perseguiva ideali tanti puri e giusti. Ma erano davvero teorie giuste?
Le 6.05.
Regulus si fermò d’improvviso in mezzo alla stanza. Si rese conto, con immenso stupore e altrettanto sgomento, che stava mettendo in dubbio quello in cui aveva sempre creduto, la linfa vitale che aveva succhiato fin dal latte materno. Le teorie sulla supremazia dei maghi Purosangue erano state pane per i suoi denti fin da quando era piccolo.
Toujours pur. Così recitava il motto dei Black dipinto da lui stesso sul muro, dietro l’imponente letto a baldacchino dalle cortine verdi e argento.
Toujours pur.
Non era tempo di interrogarsi ora. Doveva richiamare Kreacher.
“Kreacher, torna subito a casa!” ordinò chiaramente all’aria.
Il silenzio di quella dimora antica e vuota venne spezzato da un sonoro ‘crak’.
“Kreacher! Che cosa hai fatto?”
L’elfo era orribile nel suo aspetto già miserabile. Faticava a respirare ed era completamente zuppo.
“Padron Regulus ha detto a Kreacher di tornare e Kreacher è tornato.” Tossì e sputacchiò in modo convulso.
“Kreacher, respira e raccontami cosa hai fatto. Voglio sapere tutto!” Gli accenti decisi di Regulus nascondevano una nota di panico pronta a saltare fuori da un momento all’altro.
Kreacher fece un profondo inchino e iniziò a raccontare.

 

Erano passati mesi dal racconto che Kreacher aveva fatto e l’ultimo anno d’istruzione del giovane rampollo di casa Black era incominciato.
L’essere diventato un Mangiamorte non era di certo un lusso che lo poteva esimere dalle lezioni e dalla vita scolastica. Anche se intratteneva con successo rapporti con i suoi compagni Mangiamorte, la sua vita sembrava essere arrivata ad una situazione di stallo.
Quanto Kreacher gli aveva raccontato era qualcosa di raccapricciante, qualcosa che andava oltre ogni sua immaginazione.  Lord Voldemort stava architettando qualcosa di più di quanto facesse credere a tutti i suoi seguaci. L’epurazione della razza era una scusa ben congegnata per accrescere il proprio personale potere mentre, ogni passo che faceva era finalizzato al raggiungimento dell’immortalità. Almeno questo era quello che aveva intuito. Ma aveva bisogno anche di altre prove.
Aveva avuto modo di riflettere su quanto era accaduto e soprattutto sui dubbi che, quel giorno, si erano affacciati per la prima volta alla sua mente.
La tensione a scuola era palpabile. Ora che era un Mangiamorte gli sembrava di sentire più spesso discorsi sul Signore Oscuro, su sparizioni sinistre e su morti, tante morti, di parenti dei suoi compagni. Ragazzi che, anche se appartenenti ad altre Case, avevano, forse, il diritto di vivere una vita serena e giusta come la sua. Ma era davvero una vita serena e soprattutto giusta quella che lui conduceva? Oppure l’aver dato il proprio sostegno alla causa di Lord Voldemort era stata la via più facile?
Dopotutto la sua famiglia era Purosangue da sempre per cui era normale – o facile? – che lui condividesse l’ideologia della razza pura. Eppure suo fratello non la pensava allo stesso modo. Sirius si era schierato apertamente contro il Signore Oscuro, contro i suoi sostenitori e contro la sua stessa famiglia. Per questo era stato bruciato dall’arazzo personalmente da sua madre, il giorno in cui era scappato di casa. Ma qui non si trattava delle scelte, palesemente contro corrente, che aveva fatto suo fratello. Qui si trattava delle sue scelte.
La sua scelta di diventare un Mangiamorte era stata giusta o era stata facile?
Prima del racconto di Kreacher sapeva esattamente di essere nel giusto, ma ora cominciava a pensare di aver fatto solo la cosa più facile. Era come uno sciocco ragazzino, pedina in un gioco che si era dimostrato più grande e terribile di lui. E solo adesso se ne rendeva davvero conto.
Cosa aveva deciso realmente nella sua vita? Fin da bambino aveva sempre fatto tutto quello che sua madre e suo padre gli avevano detto; aveva disubbidito di rado, ma soprattutto aveva sempre pensato che le idee dei suoi genitori fossero giuste.
E invece, ora, messo di fronte all’evidenza dei fatti dal racconto di Kreacher, non era più sicuro della rettitudine di tali idee.
Sirius probabilmente l’aveva capito da tempo. Già a undici anni il Cappello Parlante aveva visto in lui qualcosa che andava ben oltre il sangue puro dei nobili e aristocratici ragazzi degni di appartenere alla casa di Salazar. Suo fratello era finito in Grifondoro attirando su di sé la vergogna della famiglia. Eppure non sembrava averci badato e, di certo, la strada che aveva scelto non era delle migliori: là fuori, l’Oscuro Signore dava la caccia anche a lui come a molti altri.
Regulus, nonostante avesse reciso da tempo ogni rapporto con Sirius, sapeva perfettamente – come solo chi ha un fratello può sapere – che la scelta da lui compiuta non era stata facile. E forse, proprio per questo, era quella giusta.

Da quando si convinse di aver indovinato il piano nascosto di Lord Voldemort, aveva passato tutto il suo tempo libero alla ricerca di un qualunque libro che lo aiutasse a capire meglio. Aveva organizzato i suoi impegni come al solito: faceva i compiti, si allenava a Quidditch, parlava con i suoi amici e poi cercava informazioni tra i più svariati e antichi tomi. Purtroppo la biblioteca della scuola non aveva potuto aiutarlo molto. Quello che cercava era talmente sconvolgente e così intriso di Magia Oscura che mai avrebbe potuto passare sotto il severo controllo di Madama Pince, figurarsi poi varcare la soglia di Hogwarts. Eppure era convinto che il Signore Oscuro doveva esserne venuto al corrente in qualche modo. Aveva anche chiesto a Kreacher di mandargli, periodicamente, gli antichi libri di famiglia conservati nella biblioteca di casa ma, purtroppo, anche questa ricerca non aveva dato molti frutti. L’argomento era trattato in modo vago e la parola Horcrux, nella quale si era imbattuto una sola volta e che gli aveva chiuso la bocca dello stomaco per l’intera serata, non veniva pressoché spiegata.
“Ehi, Black. Cos’hai? Qualcosa non va? Hai un’aria strana.”
“No, va tutto bene, Dolohov.” Quando era concentrato gli capitava spesso di corrugare la fronte involontariamente. Assumeva un’aria sciocca per chi lo vedeva e gli si leggeva in viso che qualcosa non andava. Cercò di pensare ad altro e le rughe si distesero, sparendo sotto il ciuffo scuro.
Cercò di leggere ancora qualche riga dell’ultimo libro che gli aveva mandato Kreacher prima di richiuderlo con un tonfo sordo. Si alzò in fretta dalla nera poltrona che era solito occupare in Sala Comune e senza stare a sentire i richiami del suo amico Antonin Dolohov si precipitò fuori. Regulus incominciò a correre per il lungo corridoio delle segrete. I suoi passi forsennati rimbombavano in una maniera che ricordava una mandria di centauri impazziti. Sapeva che non avrebbe potuto mantenere quell’andatura a lungo: in prossimità della Sala d’Ingresso avrebbe sicuramente incontrato qualche insegnante che gli avrebbe fatto delle storie. Rallentò appena ma non smise di correre. Seduto su quella poltrona, era stato colto da un’illuminazione improvvisa. Ora sapeva esattamente dove trovare i libri che, quasi sicuramente, lo avrebbero aiutato a confermare o smentire i propri dubbi. I libri, o meglio, il libro che gli avrebbe parlato degli Horcrux era sempre stato sotto il suo naso, più vicino di quanto avesse mai potuto pensare. Andò di filato alla Guferia quando si accorse di non avere con sé nemmeno un foglio e una piuma.
“Dannazione!” sbattè con forza il pugno sul davanzale di pietra della finestra, facendo stridere di disappunto alcuni gufi sui trespoli vicini.
“Scusa, hai bisogno di qualcosa?” Una ragazzina dai lunghi capelli castani con una divisa di Corvonero perfetta, lo colse di sorpresa. “Sono appena arrivata e ti ho sentito. Se posso fare qualcosa per aiutarti…” Sembrava tranquilla, per nulla intimorita dalla sua divisa di Serpeverde, il che era alquanto insolito dato i tempi che correvano.
“Ho scordato la pergamena e la piuma.” Non sapeva che cosa l’avesse spinto a confidarsi con lei, così, di getto.
“Oh, ma se è solo questo il problema, lo risolviamo subito!” Estrasse dalla propria borsa un foglio di pergamena, una boccetta d'inchiostro nero e una magnifica piuma di pavone. “Ecco a te.”
Regulus prese gli oggetti un po’ titubante. Quella ragazzina non aveva esitato ad offrirgli il proprio aiuto incondizionato nonostante non lo conoscesse nemmeno.
“G-grazie.” Non era abituato a gesti così cordiali e spontanei. Un sorriso sincero accese il volto della Corvonero che, spostatasi all’atro lato della guferia, si munì a sua volta degli oggetti per scrivere.
Regulus rimase per un attimo perplesso. Perché si era allontanata?
“Perché ti sei allontanata?” E prima che se ne accorgesse, aveva già fatto quella domanda assurda.
“Per educazione. Sai, non so a chi tu debba scrivere ne cosa e non mi importa. Io vengo sempre quassù a scrivere le mie lettere perché odio che la gente mi guardi mentre lo faccio. Potrà sembrarti stupido ma ho sempre la sgradevole sensazione che gli altri vogliano spiarmi. Magari anche tu preferivi essere da solo per cui mi sono allontanata.”
“Oh.” Regulus non seppe che rispondere. La ragazzina tornò a concentrarsi sulla propria pergamena.
Anche Regulus tentò di farlo  mentre riordinava i  pensieri. Doveva scrivere a sua zia Druella e chiederle subito di inviargli il libro sulle Arti Oscure che, da secoli, si tramandava come eredità nella famiglia Rosier. Non poteva rischiare di chiedere a sua cugina Bella e nemmeno a sua cugina Cissy: la prima lo avrebbe sicuramente deriso mentre la seconda non lo avrebbe preso nemmeno in considerazione. Lui non aveva decisamente l’indole carismatica di suo fratello.
Un allocco scuro si appollaiò vicino alla finestra e Regulus si affrettò a legargli alla zampetta esile la propria missiva prima di vederlo sparire soddisfatto nel cielo del crepuscolo.

 
Un roco schiarirsi  la voce fece sobbalzare la ragazzina. Regulus le porgeva piuma e inchiostro.
“Già finito?”
“Sì.”
“Scusa. Non volevo essere indiscreta solo che io ci metto talmente tanto a scrivere le lettere che a volte do per scontato che facciano tutti così. Naturalmente, non sapendo a chi hai scritto e per cosa, non posso giudicare le tue tempistiche ma mi sorprendo sempre. Sto parlando decisamente troppo e ti sto facendo perdere tempo. Scusami.”
“Non è nulla. Grazie per la pergamena e il resto.” Fece per andarsene ma la ragazzina riprese a parlare.
“Figurati! È stato un piacere aiutarti e anche scambiare quattro chiacchiere con te. È bello conoscere altra gente. Sai, è il mio primo anno qui a Hogwarts e conosco ancora pochissime persone. Penso sia anche a causa del fatto che i miei genitori sono Babbani. I figli dei maghi sembra che si conoscano un po’ tutti, soprattutto quelli di Serpeverde. Oh,” sgranò gli occhi meravigliata. “ma tu sei di Serpeverde!” Gli occhi della Corvonero saettarono veloci sulla sua cravatta verde e argento e sullo stemma con il serpente cucito sulla lunga toga nera. “Allora potresti dirmelo tu se è vero che vi conoscete tutti tra di voi perché siete maghi da decenni in famiglia.”
“Da secoli, in realtà.” La corresse con orgoglio e stizza.
“Addirittura?” La ragazzina ora aveva posato pergamena e piuma.
“Sì, la mia famiglia è una delle più antiche famiglie Purosangue.” Si zittì all’istante. Perché mai stava raccontando ad una ragazzina del primo anno, per altro nata Babbana, delle sue origini? Lei era solo un’inferiore, faceva parte della feccia che lui, da fedele Mangiamorte, avrebbe dovuto non solo odiare ma persino sterminare. E invece si ritrovava a pensare di non aver alcun motivo per odiare una simile saputella e nemmeno di aver voglia di ucciderla. Cos’era giusto?
“Accipicchia! Allora saprai un sacco di cose sulla magia! Sai, spero anche io di impararne tante e penso sia stata proprio questa mia curiosità a spingere il Cappello Parlante a smistarmi in Corvonero. Ne sono stata davvero entusiasta. Adesso scusami ma se continuo a chiacchiere così non finirò mai la mia lettera. E poi immagino che tu abbia anche altro da fare.”
“Infatti.” Rispose, più bruscamente di quanto in realtà avesse voluto.
“Be’, è stato un vero piacere. Spero di rivederti in giro ogni tanto. Ciao, ehm… come ti chiami?”
Regulus si era già avviato verso la porta quando si voltò e guardò ancora una volta quella chiacchierona. “Regulus, Regulus Black.”
“Ok, ciao Regulus.” E riprese a scrivere come se nulla fosse.
Regulus , attonito, rimase immobile sulla porta. “E tu come ti chiami?”
La ragazzina alzò il volto, spaesata. “Ah, certo. Che sciocca, non mi sono presentata. Io sono Amy, Amy Gilmore.” E con un sorriso tornò a concentrarsi sulla propria lettera.

 
Era l’ultimo giorno di lezione prima delle vacanze di Natale. Il libro che Regulus aveva chiesto alla zia era appoggiato sul suo comodino nel dormitorio. Seduto sul letto a gambe incrociate, Regulus lo guardava come se potesse, da un momento all’altro, animarsi di vita propria. Ora capiva perché la zia era stata tanto entusiasta quando gliel’aveva spedito. Quel libro era un vero cimelio di Magia Oscura e lei era fiera che suo nipote, non solo fosse a conoscenza dell’esistenza di un ‘simile tesoro’ – come lei stessa l’aveva definito nella lettera di risposta – ma che volesse persino leggerlo! Regulus in realtà lo aveva solo spulciato. Aveva trovato il capitolo che cercava e si era limitato a coglierne gli aspetti fondamentali. La sua scoperta era qualcosa di sconvolgente: era finalmente venuto a conoscenza di che cosa fosse un Horcrux e anche della complicata magia che serviva per realizzarne uno. Ed ora ne era più che sicuro: il medaglione che Lord Voldemort aveva nascosto nel bacile ricolmo di un’indefinita pozione magica, era un Horcrux. Un frammento di anima nascosto e protetto che gli avrebbe permesso di vivere per sempre.

 
Quel giorno Regulus si mostrò piuttosto taciturno a lezione come con i suoi compagni. La notte prima non aveva chiuso occhio e la mattina, due profonde occhiaie, segnavano il suo giovane volto. Il suo aspetto sciupato era il risultato di giorni passati ad ossessionarsi sul segreto di Lord Voldemort.
“Ciao, Regulus! Come stai?”
Mentre percorreva da solo l’Ingresso, una voce familiare lo raggiunse alle spalle.
Amy Gilmore, con i capelli raccolti in due lunghe trecce, gli sorrideva serena.
“C-ciao, Amy. Bene, grazie.”
“Che bello rivederti! Mi chiedevo se ti avessi incontrato prima delle vacanze. Volevo farti gli auguri di Buon Natale. Io tornerò a casa dalla mia famiglia e tu?” Il chiacchiericcio veloce e disinvolto di Amy lo metteva stranamente in imbarazzo.
Gli sembrò che tutti i ragazzi di passaggio li stessero fissando.
“Anche io torno a casa.”
“Ma è magnifico! Certo, mi mancherà il castello e anche il pranzo di Natale. Ho sentito dire che è davvero strepitoso ma non vedo l’ora di rivedere i miei genitori. Mi sono mancati molto.”
“Già.” Regulus doveva assolutamente andare via da lì prima che i suoi amici lo vedessero in compagnia di quella ragazzina.
“Amy, andiamo o faremo tardi dalla McGranitt.”
“Arrivo, Jane. Ora devo proprio andare. Ciao Regulus e ancora Buon Natale!” Amy corse via raggiungendo quella che doveva essere una sua amica e, come il loro prima incontro, lo lasciò un po’ sbalordito.

 
Tornare a casa per Natale, quell’anno sarebbe stato molto diverso. L’ultimo mese che aveva trascorso ad Hogwarts era stato davvero tremendo. Nascondere i propri pensieri sui piani del Signore Oscuro era diventato un peso quasi insostenibile ma quello che ancor più tormentava il giovane Black riguardava le proprie scelte. Insistente e impertinente, il pensiero che avesse commesso l’errore più grande della propria vita nello schierarsi tra le file dei Mangiamorte non gli consentiva un attimo di pace. Aveva o non aveva fatto la scelta giusta? Questo dilemma lo logorava dentro e metteva in moto un meccanismo di sentimenti contrastanti che, prima o poi, avrebbe colpito la sua sanità mentale.
Avrebbe dovuto porre fine a tutto questo il prima possibile, prima che l’idea tra giusto e facile crocifiggesse la sua anima ormai perduta per sempre. Era tempo di fare una seconda scelta e questa volta, non avrebbe sbagliato.

 
Il primo sorso di quell’orribile pozione, gli scivolò in gola senza troppi problemi mentre lo sguardo terrorizzato e angosciato di Kreacher si rifletteva nei suoi occhi grigi.
“Stai tranquillo, Kreacher. Sai esattamente cosa devi fare e lo farai. Questo è un ordine.” L’elfo represse a stento un singhiozzo e si inchinò tanto che il suo naso sfiorò lo scoglio umido e scuro di quell’isolotto abbandonato al centro del lago sotterraneo nella caverna sul mare di Lord Voldemort.
Il secondo sorso gli fece bruciare la gola e poi, improvvisamente, il suo sguardo si spense. Sentì che tutto attorno a lui diventava nero mentre cominciava a combattere con dei volti che si affollavano rapidi e confusionari nella mente. Una lotta silenziosa finché un urlo disumano non squarciò le tenebre del luogo. A stento Regulus si accorse di essere stato lui ad urlare e di aver gridato un nome del tutto inaspettato.
Kreacher cercava di sorreggergli il capo e di costringerlo, con le lacrime agli occhi, a continuare a bere. “Padron Regulus ha ordinato a Kreacher di farlo bere e Kreacher deve obbedire.”
Un terzo sorso gli colò languido e freddo giù per la faringe e si sentì come paralizzare le corde vocali. Ora, nella sua mente, vedeva solo un unico viso ma non riusciva a far pronunciare alla bocca quel nome che gli morì sulle labbra.
“Padron Regulus non deve arrendersi! Padron Regulus è forte!” Le parole di Kreacher giungevano smorzate alle sue orecchie. Sembrava che il volto che occupava interamente i suoi più angosciosi pensieri volesse parlargli senza però riuscirci.
Ancora una volta una cascata di liquido amaro gli invase la bocca impastata da chissà quale terribile magia e questa volta riuscì, per un attimo, a collegare il pensiero del viso terrorizzato che gli danzava davanti agli occhi al nome che gli premeva sulle labbra.
“A-Amy!” Nel silenzio salmastro della grotta, quel nome rimbombò come un tuono. Kreacher rimase per un attimo sorpreso quando Regulus parve ritornare in sé. Forse il suo padrone ce l’avrebbe fatta.
“Kreacher, prendi il medaglione e sostituiscilo. Poi va’ via.”
Kreacher trasse un sospiro di sollievo, Regulus non aveva pronunciato le parole maledette.
“Ho sete.” Troppo tardi. 
Gli occhi di Kreacher si dilatarono come non mai nel guardare il suo padrone.
“Ho sete. Amy, ho sete.” Regulus stava lentamente ma inesorabilmente perdendo il senno mentre si dirigeva a quattro zampe verso l’acqua del lago.
Kreacher era paralizzato dall’orrore: combattuto tra l’aiutare il suo padrone e il rispettare l’ordine che lui stesso gli aveva dato.
Gli voltò le spalle.
Lasciò cadere nel bacile il finto medaglione e si mise al collo quello vero.
Regulus, con le mani a ciotola, bevve l’acqua fresca e purificatrice del lago nero mentre una mano morta, affiorata dall’acqua, si chiudeva attorno alla sua pallida gola.
“Amy.”

Regulus era seduto accanto al focolare della cucina.
“Padron Regulus ha chiamato Kreacher?”
“Vieni Kreacher. Vieni avanti.”
L’elfo si esibì in un classico e profondo inquino.
“Ti ho chiamato per dirti una cosa, Kreacher. Insieme abbiamo fatto un ottimo lavoro. Tu hai fatto uno splendido lavoro e per questo ti ringrazio.”
“Kreacher ha fatto solo quello che il padrone gli ha detto di fare.” Si schernì l’elfo.
“Un’ultima cosa prima che io vada, Kreacher: ricordati che non sempre la cosa giusta da fare è anche quella più facile. Richiede un grande coraggio scegliere di fare la cosa giusta e noi, questa volta, l’abbiamo dimostrato.
Kreacher non fece in tempo a rispondere a Regulus che quest’ultimo scomparve in una nuvola dorata.
Kreacher aprì gli occhi e si risvegliò nella sua tana nella vecchia dimora di Grimmauld Place numero 12. Tutto era buio e silenzio. Il falso medaglione stretto tra le sue lunghe e esili dita era l’unico ricordo che gli sarebbe rimasto di Regulus Black.

  
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