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Autore: Adeia Di Elferas    30/01/2016    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Caterina Sforza e la sua scorta non passarono per la strada principale, ma per i boschi, evitando così di pagare il pedaggio ai Manfredi, che, quando seppero della partenza per Milano della Contessa, si chiesero non senza adirarsi, come avesse fatto a passare per le loro terre senza essere notata.
 Il viaggio si rivelò complesso, per via del tempo scostante, ma per Caterina sarebbe stata una cavalcata difficile anche con il più mite dei climi.
 Per quanto cercasse di convincersi che a Milano avrebbe ritrovato almeno un briciolo della pace di cui aveva bisogno, il tormento dei suoi pensieri non la lasciava nemmeno un istante. Erano più i momenti in cui si trovava sull'orlo delle lacrime che non quelli in cui si rallegrava per essere sempre più vicina alla sua terra natìa.
 Fecero pochissime soste e molto brevi, più che altro per far riposare i cavalli, cercando di non essere troppo notati. Caterina, infatti, aveva cominciato a pensare che qualcuno avrebbe potuto ricondurla dal marito, se l'avesse scoperta. Forse era solo un'idea assurda, ma, ormai ne era conscia, non riusciva a ragionare lucidamente.
 Si imposero anche alcune variazioni, lasciando la strada più diretta varie volte, preferendo strade secondarie, più lunghe, ma più discrete.
 Il suo umore cambiò nel momento in cui cominciò a riconoscere in lontananza, dopo tanti giorni di viaggio, il profilo della città che l'aveva vista nascere.
 “Andate e chiedete la strada più breve per la casa di Gian Piero Landriani.” disse a uno dei soldati che la scortavano, quando furono poco distanti dalle porte di Milano.
 L'uomo annuì e spronò il cavallo con forza, staccandosi dal piccolo gruppo per andare a informarsi sulla strada da prendere.
 Caterina ricordava che la casa di Landriani era vicina al palazzo di Porta Giovia, ma per quello che ne sapeva poteva essersi trasferito altrove. Dopo tutto, mancava da Milano da una decina d'anni.
 Mentre ricordava il giorno in cui se n'era andata, partendo alla volta di Imola, non poté evitare di ricordare come le ultime immagini che aveva della sua città erano proprio dell'aprile milanese...
 Annusò l'aria, cercando di riportare alla mente qualcosa, mentre la città si avvicinava e i suoi colori si facevano più nitidi. No, non riusciva a evocare molto. Forse era cambiata troppo. Lei o la città? Chi poteva dirlo...
 
 Gian Piero Landriani si era affacciato alla finestra, per lasciare entrare l'aria pungente, ma profumata di quel giorno d'inizio primavera.
 Era un uomo pacato, di buon senso, e trovava piacevole guardare il lento passare della gente sotto casa sua. Gli piaceva la tranquilla routine dei milanesi, sempre intenti a lavorare per migliorare la propria condizione, sempre attenti a viver bene, più che all'apparire. Sì, se c'era una cosa che amava della sua città era proprio quella. Se in altri Ducati italiani alla gente importava di più avere un titolo che altro, lì a Milano la forma perdeva d'interesse e a contare era la qualità della vita.
 Perfino al palazzo di Porta Giovia, dove prima passava la gran parte del suo tempo, le stalle e il pollaio erano vicini alle sale del potere, eppure si respirava un'aria di sicurezza e casa. Quello che a occhi stranieri sarebbe parso come troppo rustico, all'occhio milanese appariva come pratico e comodo.
 Mentre era immerso in questi suoi pensieri, Gian Piero si accorse che in strada erano arrivati alcuni uomini a cavallo. Aguzzò la vista, non più buona come un tempo, e gli parve che in mezzo vi fosse anche una donna.
 Li osservò incuriosito, trovando quell'apparizione abbastanza strana. Gli uomini sembravano armati di tutto punto e la giovane – perchè si vedeva che era giovane – era vestita in modo semplice, ma non troppo modesto.
 Infine, quando si rese conto che quelle persone cercavano qualcosa, e che si stavano concentrando sempre di più sulla sua casa, non poté fare a meno di stringere ancora di più le palpebre, nella speranza di convincere i suoi occhi miopi a riconoscere almeno un volto noto.
 Alla fine cedette e si voltò, vociando verso la camera affianco: “Lucrezia...! Lucrezia!”
 Lucrezia Landriani abbandonò il ricamo su cui stava lavorando e raggiunse il marito: “Sì?”
 Gian Piero le fece segno di avvicinarsi alla finestra: “Sembra che qualcuno cerchi casa nostra, o almeno è quello che mi sembra, ma non riesco a capire se è qualcuno che conosciamo...”
 “Ci guardo io.” si offrì subito Lucrezia, che, tra i due, aveva la vista migliore.
 La donna, ormai di quarantasette anni, brillava ancora di una bellezza rara. Non teneva più i capelli biondissimi in vista, ma coperti da una reticella, e non cercava più di valorizzare il suo corpo, rimasto snello e aggraziato, ma anzi, pareva volerlo nascondere sotto le gonne. Tutti i suoi tentativi di nascondere il suo ancora prorompente fascino erano vani.
 Si accostò alla finestra, appoggiandosi con entrambe le mani per sporgersi un po' e guardare meglio.
 I suoi occhi azzurri indagarono istintivamente prima gli uomini d'arme, pochi e apparentemente molto stanchi, che stavano parlottando e indicavano di quando in quando proprio la loro casa. Poi, quando già stava per dire che no, non conosceva nessuno di loro, diede uno sguardo alla donna che stava tra i soldati.
 A prima vista, non s'avvide di nulla. Poi, quando il sole timido di quell'aprile fece brillare un riflesso dorato tra i capelli della giovane, finalmente la riconobbe. Erano passati dieci anni, ma era lei. Il suo profilo, la sua postura... Per forza doveva essere lei.
 “Ommioddio...” sussurrò Lucrezia, senza fiato, portandosi una mano alle labbra: “Caterina...”
 Gian Piero cercò di chiederle qualche spiegazione in più, ma prima che potesse formulare una domanda coerente, la moglie si era già lanciata di corsa verso le scale.

 “Sì, sì, deve essere questo.” concluse Caterina, scendendo da cavallo e andando verso il batacchio enorme che stava sul portone.
 Uno dei soldati si disse d'accordo, mentre gli altri smontavano a loro volta dalle loro cavalcature.
 Caterina non fece in tempo ad arivare alla porta, che questa si aprì e ne uscì una donna, accalorata e agitata.
 Bastò un secondo a Caterina per capire che quella che si trovava di fronte era sua madre. Dieci anni avevano segnato un po' il suo volto, ma non era cambiata.
 “Caterina! Bambina mia!” esclamò Lucrezia, abbracciandola immediatamente.
 Per qualche minuto non ci fu bisogno di dire nulla. Gli uomini della scorta attesero con pazienza che la loro signora finisse di salutare la madre, mentre le due donne restarono allacciate nel loro abbraccio silenzioso.
 Quando finalmente riuscì a lasciare la figlia, Lucrezia fece un mezzo passo indietro, tenendo Caterina per le mani e la guardò con attenzione.
 L'aveva lasciata che era poco più che una bambina e ora la ritrovava donna.
 Caterina aveva indosso un vestito da viaggio con l'orlo pieno di polvere e fango. Era diventata alta e ora le assomigliava ancora di più. Il suo fisico era armonioso e le spalle dritte. I suoi capelli erano lunghi, e li portava sciolti, contravvenendo a ogni regola della moda. I suoi occhi...
 Lucrezia li scrutò a lungo, ma non vi trovò quasi traccia dell'allegria che avevano avuto un tempo. Erano offuscati, come se sapessero qualche segreto terribile, come se avessero visto tutto il male del mondo.
 “Lasciate pure qui i cavalli, ve li faremo sistemare subito. Entrate.” disse alla fine Lucrezia: “Gian Piero sarà felice di trovare una sistemazione per tutti.”
 Così legarono i cavalli agli anelli fuori dal portone ed entrarono tutti nel palazzo di Gian Piero Landriani.
 
 “Davvero, è un grande piacere avervi qui.” disse Gian Piero Landriani, con un sorriso bonario: “Vostra madre vi nomina così spesso...!”
 Caterina ricambiò il sorriso. Appena era stata accolta in quella casa, quell'uomo le aveva assegnato la camera degli ospiti più bella e aveva predisposto affinché una serva si occupasse di lei e l'aiutasse a rinfrescarsi e a cambiarsi d'abito.
 Anche gli uomini della scorta erano stati sistemati a dovere.
 Una volta rimessa in sesto, Caterina era andata nel salone, dove Gian Piero l'aspettava assieme a Lucrezia.
 “Ludovico sa che sei qui?” chiese Lucrezia, facendosi improvvisamente seria.
 Caterina scosse il capo: “No. Gli avevo scritto alcune volte, nei mesi scorsi, ma non ha mai voluto concedermi la sua ospitalità.”
 “Capisco.” disse Gian Piero, corrucciandosi e guardando di sfuggita la moglie, che, in tutta risposta, si sporse verso la figlia, seduta di fronte a lei, e le strinse una mano nelle sue.
 “I miei fratelli?” chiese Caterina, che da troppo tempo non riceveva notizie univoche sulla sorte dei suoi familiari. L'unica cosa certa di cui era venuta a conoscenza era stata la morte di Carlo, ormai quattro anni addietro.
 Quella notizia l'aveva lasciata abbastanza indifferente. Anche se provava affetto per il fratello, aveva saputo della sua dipartita in un momento in cui si sentiva lontana da Milano in tutti i sensi. Sapere che il fratello aveva lasciato sole la moglie e la figlia, Ippolita, a governare la città di Casteggio perchè era scomparso prematuramente non l'aveva minimamente scossa.
 Solo in quel momento, mentre si trovava di fronte a sua madre, si sentì veramente triste e sinceramente in colpa per non essersi sentita così prima.
 Lucrezia si fece scura in viso e rispose: “Alessandro sta bene. Tua sorella Anna Maria anche. Vive al palazzo di Porta Giovia. Anche Bianca Maria è con tuo zio. E così Ermes Maria. Ho sentito che Ludovico lo vuole mandare come ambasciatore a Napoli. Gian Galeazzo è Duca, come sai.”
 “Ma mio zio Ludovico è il suo reggente, restando lui il Duca di fatto, se non di nome.” commentò prontamente Caterina.
 Lucrezia esitò un momento. Quel tono fermo e un po' aggressivo non lo riconosceva. Il modo in cui sua figlia aveva tratto le sue conclusione e le aveva esposte con chiarezza e con una certa freddezza l'avevano lasciata perplessa.
 Forse era cambiata più di quello che credeva.
 “E mia sorella Chiara? Ho saputo della morte di suo marito...” disse Caterina togliendo la mano dalla stretta della madre.
 Lucrezia annuì: “Sì. Non è stata una bella esperienza. Passa molto tempo qui a casa nostra. Anche oggi è uscita con Piero e Bianca.”
 Caterina si sentì improvvisamente a disagio, nel sentire sua madre nominare con tanta disinvoltura i figli che aveva avuto dal marito Gian Piero dopo la morte di Galeazzo Maria.
 Tentò di non dare a vedere quanto quella situazione la mettesse in difficoltà. Era sicura che, col passare dei giorni, avrebbe ritrovato qualcosa che l'avrebbe fatta sentire a casa. Per il momento, però, a parte il viso luminoso e sicuro di sua madre, Caterina non aveva ancora trovato nulla di familiare, in quella città.
 “Avremo modo di raccontarci molte cose.” promise improvvisamente Lucrezia: “Resterai per qualche tempo, vero?”
 Caterina fece segno di sì con la testa e fece un respiro profondo, sistemandosi un po' sulla poltroncina imbottita: “Sempre che la mia presenza non vi sia d'incomodo, si intende.”
 “Nessun incomodo.” esclamò con allegria Gian Piero: “Ci fate solo un piacere, Caterina.”

   
 
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