Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: mgrandier    01/02/2016    18 recensioni
"Se in quell’istante avessi avuto il coraggio di abbassare lo sguardo,
evitando quegli occhi trasparenti come cristallo e taglienti come il filo di una lama,
allora, forse, avrei avuto la libertà.
La libertà di obbedire."
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nodo senza storia
 
Scorgendola nell’abitacolo della carrozza, appena giunti alle scuderie, era rimasto immobile ad osservarla per lunghi e densi istanti; rannicchiata sul sedile, con le spalle appoggiate allo schienale della carrozza, le braccia strette al corpo e il capo abbandonato contro il vetro del finestrino, l’immagine del suo angelo biondo lo aveva colpito come sferza di lama nel petto. Aveva riconosciuto nell’abbandono di quel corpo di porcellana la delusione e la sconfitta, e nel viso rivolto a terra, nascosto al mondo, una sorta di velata vergogna. Si era avvicinato lentamente, in silenzio, pensandola finalmente cullata dall’abbraccio del riposo e temendo di disturbarla; ma poi lei si era mossa, ruotando lenta il capo e aprendo gli occhi alla realtà, cercandolo con lo sguardo. André si era sorpreso, colto da uno sguardo tormentato, lucido e timoroso, ma anche trasparente nel suo timido bisogno di conforto. Così aveva rispettato il suo silenzio, si era avvicinato, un sorriso come un soffio sulle labbra, e con gesti gentili e rispettosi aveva fatto scivolare un braccio insinuandolo tra la stoffa, sotto le sue ginocchia e l’altro dietro la schiena, sollevandola dal velluto per trarla a sé. Oscar non aveva protestato, né aveva tentato di sottrarsi alla sua presa, ma si era semplicemente adagiata al suo petto, chinando il capo sulla sua spalla, un sospiro appena udibile a sfiorare le labbra, e abbandonandosi al suo abbraccio, che si era fatto solido e forte, per lei. Gli era parsa arresa al suo gesto, ma anche spontaneamente affidata alla sua protezione, e così non aveva atteso oltre, incamminandosi verso il palazzo, diretto alle sue stanze.
Il passo rapido, il respiro corto e le braccia piegate a trattenere a sé quel corpo senza peso, André aveva attraversato l’atrio d’ingresso di palazzo Jarjayes, salito l’imponente scalinata e percorso il lungo corridoio appena illuminato dai bagliori della notte, fino a raggiungere la porta dell’appartamento di Oscar. Poi l’aveva condotta fino alla stanza da letto, senza badare alle formalità, violando quel luogo sacro e intimo come in innumerevoli occasioni perse nel loro passato parallelo. L’aveva adagiata delicatamente sul letto, mettendola a sedere sulla soffice coperta e sciogliendo con lentezza la presa, allontanandosi solo per sedersi al suo fianco, cercando con lo sguardo quello ancora basso di lei.
- Stai … stai bene, Oscar? – le chiese con voce appena udibile, ricevendo in risposta un rapido annuire, che molto suscitò nel suo animo, tranne l’anelata tranquillità.
- Davvero stai bene? – chiese ancora preoccupato, scivolando con il dorso di due dita sulla sua guancia lattea e poi fermandosi sotto il mento, indugiando e spingendo delicato, perché lei sollevasse il viso – Posso fare qualcosa per te? Ti aiuto a metterti a letto? -
Lo sguardo blu si spalancò, il riflesso della notte accese un bagliore vivo sotto le ciglia scure, muta richiesta che non trovava la via delle labbra, mentre le mani si stringevano l’una all’altra, torturandosi in un moto nervoso, e poi risalivano in un abbraccio solitario, fino al collo, fino a che le lunghe dita non raggiunsero il ciondolo lucente che ornava il lobo, per sfilarlo e depositarlo sul tavolino da notte, proprio accanto al letto. La vide tornare con le mani al proprio collo, indugiare sull’altro lato del viso e guardarsi attorno, rapida scrutando il pavimento e poi le coperte, per poi accarezzare la stoffa, sfiorando la trama delicata attorno a sé.  Riconobbe inquietudine, certo, ma colse il respiro pieno che le gonfiava il petto e quel moto deciso che stringeva il labbro inferiore sotto la stretta degli incisivi, comprendendo un disagio che ormai era tutto dell’animo, e non più del corpo.
André sospirò, le sorrise gentile e si raddrizzò guardandosi attorno, cercando una veste da notte, una camicia pronta per il rientro di Oscar.
- Vediamo se trovo qualcosa per la notte … - disse quasi tra sé, ma nella penombra, non riuscì a distinguere molto … Tra mobili lucidi e poltrone imbottite, tutto appariva famigliare quanto scuro, senza volume, senza forma e senza consistenza, come un luogo noto divenuto irriconoscibile e scialbo; così si decise a lasciare la stanza, rimediando a quel buio opprimente. Si volse a lei, ancora seduta sul letto, le braccia strette sul corpo e il capo chino, intenta a seguire i suoi spostamenti con sguardi nascosti.
- Torno tra un attimo, Oscar. Ti porto un po’ di luce. – l’aveva rassicurata donandole un ultimo sorriso.
 
Aveva davvero restituito la forma e il colore a quella stanza; aveva trovato la veste da notte, una tunica di seta bianca finemente ricamata, profumata di bucato, e l’aveva portata ad Oscar, depositandola accanto a lei, sul letto. Poi aveva controllato le coperte, che fossero sufficienti per la notte che pareva pungere la pelle con insolenza, tirato le tende pesanti a celare le finestre, e verificato che le candele fossero sufficienti a permettere ad Oscar di cambiarsi e coricarsi; aveva misurato più volte in lungo e in largo quell’ambiente, guardandosi attorno, sistemando la posizione delle poltroncine e correggendo quella della pendola sulla mensola di marmo al di sopra del camino, e poi quella del volume scuro poggiato sul comodino accanto alla testa del letto, ma l’unica sua vera preoccupazione era stata lei e da lei non aveva mai tolto la sua attenzione.
Oscar era rimasta immobile e silenziosa, ancora seduta sul letto, e pareva incapace di qualunque altro gesto che non fosse il sollevare di tanto in tanto uno sguardo furtivo sui suoi movimenti.
- E’ tutto a posto, Oscar. – le comunicò con un tono pacato e rassicurante – Se hai bisogno di aiuto ti chiamo la nonna … Non farà certo problemi ad alzarsi, se si tratta della sua bambina … - aggiunse con un sorriso di labbra e gote.
- No, André … non disturbarla … ti prego. – lo tranquillizzò lei accennando a sua volta un sorriso, mentre chinava il capo, portando la guancia alla propria spalla, e poi una mano raggiungeva il collo, quasi a sfregarlo con un malcelato fastidio.
André si allontanò di poco, un rintocco nel silenzio le suole sul legno lucido – Allora, se non hai bisogno di altro … io … io mi ritirerei, Oscar. – un nuovo sorriso, un saluto timido perso in uno sguardo blu come la notte che gli parve tremare, mentre indietreggiava raggiungendo l’anticamera – Buonanotte … -
Un attimo di silenzio, denso e vibrante, e poi la sua voce flebile, un sussurro delicato, un soffio di primavera con il potere di togliergli il respiro – André aspetta … ti prego. –
Si volse, tornò sui suoi passi, nella camera, e la trovò in piedi, le mani unite a celare il volto, come a nascondere la verità del suo timore.
- Sono qui, Oscar. – le disse solo, e la vide scoprire lentamente la fronte, gli occhi e poi le labbra, lo sguardo di nuovo libero a cercare il suo.
- Non posso coricarmi così … - sussurrò scuotendo il capo, mentre le ciocche tremavano sulle spalle nude e le dita scorrevano sulla pelle esposta, indugiando sulle clavicole e disegnando i contorni dell’abito, per poi chiudersi a sfregare lente, il pollice sull’indice, come a cercare la consistenza di un ricordo rimasto sulla seta pallida – Io … ho bisogno … di togliermi di dosso questo abito, ma anche questo … Ecco, io vorrei un po’ di … -
La sua voce vibrava di inquietudine, disagio, forse vergogna, e questo fu sufficiente ad André per avvertire nel proprio animo lo stesso tremore. Non la lasciò continuare, la soccorse in quel difficile cammino, le venne incontro anticipando una richiesta che forse Oscar non avrebbe saputo nemmeno esprimere.
- Ti scaldo dell’acqua, Oscar. Scendo immediatamente in cucina; forse per una intera tinozza ci vorrebbe troppo tempo … ma potrei portarti due paioli e magari una pezza così che tu possa almeno … - rimase in sospeso. Non osò addentrarsi in quel dedalo di immagini che avrebbero turbato il suo cuore provato, dove il ricordo del pomeriggio bruciava ancora vivo. Il suo corpo sottile stretto nel telo candido, le mani serrate a trattenerlo fino a disegnare i contorni dei fianchi e del seno … e poi quella richiesta pronunciata con voce quasi timorosa, primo gradino nella discesa serrata in quella serata insolita e densa di emozioni, che ancora persisteva nel metterlo a dura prova.
- Ti aspetto qui … André. Anche un solo paiolo andrà benissimo … -
Colse un sorriso tenero, che gli valse più di ogni ringraziamento, un ultimo respiro in quella stanza in cui l’aria pareva rarefatta e insufficiente ad entrambi, e poi corse al corridoio e giù per la scala, verso la cucina.
 
- Oscar? – chiamò a mezza voce ad un passo dalla porta della camera, arrestandosi e mettendosi in attesa di un suo cenno, rispettoso come il ruolo imponeva, e come la situazione chiedeva di essere. La risposta non si fece attendere.
– Vieni pure André. Vieni, sono qua. – la voce sottile lo chiamò dal fondo della camera e André la seguì, raggiungendo Oscar fino nella stanza da bagno e posando a terra i due paioli fumanti che aveva recato con sé dalla cucina. Tolse da una spalla un telo, scuotendolo un poco per disporlo a terra, a fianco dei paioli.
- Ecco … potrai restare su questo telo, mentre … - l’intento s’infranse nella vista di un involto di stoffa, nuvola di seta accasciata senza cura. Lo afferrò rapido, raccogliendolo e tenendolo fra le mani nel tornare dritto, mentre le dita scorrevano adoranti sul rilievo appena percepibile del ricamo dorato, lasciando che fili delicati scivolassero tra le dita[i]. Celato fra le pieghe dei vapori della reggia, riconobbe in un soffio la stoffa e il profumo che avevano vestito Oscar; distese la seta, allargando le braccia, percorrendo maniche e pizzi.
- Oscar ma questo … - e le parole sfiorirono sul suo cuore, mentre realizzava dove fosse Oscar e in cosa fosse impegnata.
La trovò infatti in piedi accanto alla vasca ormai svuotata dell’acqua del bagno del pomeriggio, appena illuminata dal doppiere che lei stessa aveva recato con sé dalla camera da letto, intenta a scrutare le proprie spalle e la propria nuca, riflesse nello specchio sistemato sopra la cassettiera. Le braccia nude piegate all’indietro e la schiena inarcata quanto più possibile, Oscar teneva tra le dita i nastri che serravano il corsetto in un intreccio di seta, cercando di tirarne i lembi e scioglierne i legami. André strinse la stoffa ricamata tra le mani: evidentemente, Oscar stava lottando con quell’abito fin da quando lui aveva lasciato la stanza per recarsi nelle cucine a scaldare dell’acqua, ma era riuscita ad avere la meglio solo su quel lembo di cielo che aveva fasciato la sua schiena e le sue spalle, avvolgendo le braccia e il corpo fino al seno, mentre nessun risultato avevano sortito i suoi sforzi sul corsetto. Ringraziò mentalmente il cielo di non averla avvicinata oltre e di averla solamente intravista di spalle, nonostante quella sola immagine fosse stata sufficiente a smuovere il suo animo provato ad emozioni che gli era arduo celare.
 La vide mordersi le labbra, e poi scuotere il capo sconsolata, arricciare il naso con disappunto e strizzare lo sguardo per mettere a fuoco il groviglio di nastro, in una sorta di ultima minaccia. Poi un lungo sospiro e la resa.
– Ti prego, André … prova tu … Dovrebbe essere sufficiente tirare questi capi ma … - gli chiese in palese imbarazzo, sollevando un poco due lembi dall’intreccio.
Così si accorse che l’aveva fissata senza fiatare per alcuni istanti, contemplando in silenzio il collo teso, nello sforzo di volgere il volto allo specchio, la pelle liscia che scivolava insinuandosi nell’incavo tra i seni premuti dal corsetto, e la seta lucida del davantino che, in quella strana posizione, sfuggiva dalla scollatura dell’abito disegnando una linea perfetta fino al ventre piatto, mentre dal fianco rigonfio la stoffa cadeva ancora abbondante come cascata, fino ad adagiarsi sul legno lucido del parquet. Le si avvicinò, inciampando nelle scarpette abbandonate a terra, e lo sguardo risalì lungo la curva morbida di stoffa fino alla vita e poi sulla schiena, stretta tra stoffa bianca e stecche, fermandosi sull’intreccio di chiusura. Inspirò a labbra dischiuse, gonfiò il petto di aria e coraggio, finendo per forzare dentro di sé quella fragranza delicata che ancora riusciva a rendere la sua Oscar un fiore inconfondibile. Le si fece ancora più prossimo, aggrottando la fronte, scrutando attento l’intrico di nastro, notando come fosse curiosamente infilato solo in qualcuna delle numerose asole ricamate nella stoffa, e prese tra le dita due lembi, per sollevarli cercando di sfruttare al meglio la luce disponibile … Non seppe tacere la propria sorpresa.
- Ma cosa è accaduto a questo nastro? La nonna voleva tenerti prigioniera per sempre? Io non ci capisco gran che, ma qui … – esclamò faticando a contenere il tono della voce, ma venne interrotto dal sussulto di Oscar, che si volse di scatto strappandogli dalle dita il tessuto e mostrando un’espressione atterrita. I suoi occhi sgranati, scuri e immobili, gli imposero il silenzio, soffocarono ogni ulteriore commento e insinuarono il dubbio che la storia di quel nastro non dovesse essere raccontata. Un nuovo dubbio, un seme di senapa in un cuore preoccupato, capace di nutrire con terra generosa il timore di ciò che non si vorrebbe scoprire, ma della cui esistenza si ha certezza salda.
Le sorrise, suo malgrado, combattendo l’istinto di scendere a scrutare la stoffa del davantino che, ancora cucita al corsetto chiuso malamente, faticava a celare una morbidezza innegabilmente femminile.
- Non ti preoccupare, troverò un modo … - la tranquillizzò con un filo di voce, una carezza lo sguardo sul suo viso, e una mano ad appoggiarsi sulla spalla nuda, percorsa da un fremito che attraversò entrambi.
- Voltati un po’ … - le suggerì, mentre la mano raccoglieva la chioma morbida sciolta in modo disordinato, fino a depositarla sulla spalla destra, e poi scivolava sulla china della scapola e la spingeva un poco perché la luce giungesse meglio all’intreccio. La vide inarcare la schiena, due ali magre sollevarsi fino a mostrarsi e tendere la pelle lucida creando un vuoto e un’ombra  tra schiena e stoffa, e poi si chinò un poco, perché il naso sfiorasse la pelle e le labbra giungessero al nodo. Indugiò un istante, il profumo di lei a minare ogni volontà di muoversi, rendersi utile e allontanarsi da quella seta; i capelli sfiorarono la pelle e la fronte ne accarezzo le forme. Un nuovo brivido increspò la porcellana attraversando corpo e mente. E allora i denti afferrarono il raso, un lembo stretto da forzare per sciogliere un intreccio maldestro; una scossa il primo fallire, per poi tornare a quel nodo e tentare di nuovo, ancora e poi ancora, mentre la rabbia covata per quel groviglio senza storia si sfogava sull’intrico malfatto.
- Maledizione … - si lamentò André e le mani corsero rapide al lembo del corpetto, le dita si infilarono tra pelle e stoffa perché la presa fosse forte su quella prigione di seta. Avvertì la pelle di Oscar sul dorso della dita, ne percepì il calore e la consistenza, dolce carezza che la vista rendeva petalo di giglio candido.
Si fece ancora vicino, senza pensarci, sempre più forte nell’impeto contro quel sigillo, ancora più determinato nel violare quello scudo, e di nuovo strinse fra i denti, tirando con l’energia rabbiosa di un sentimento soffocato e calpestato, destinato alla prigione, e ora alla tortura, e stordito dal profumo inebriante dei suoi stessi sogni … finché un lamento di stoffa non giunse inatteso, come colpo d’ascia sui sensi intorpiditi, risvegliandolo alla realtà di ciò che aveva compiuto. Ebbe un sussulto, nel ritrovare ad un soffio da sé i lembi separati e sfilacciati del corsetto, uniti a mala pena da un unico passaggio di nastro, morbido e appena trattenuto dalle asole rovinate; spalancò gli occhi, perdendosi nella visione inattesa di una china di seta e latte, scoperta da quell’impeto che aveva travolto anche la delicata stoffa della chemise sottostante. Rimase impietrito, il sentore più dolce a penetrare nell’animo, il timore più amaro a risalire nel petto. Un contrasto di rimorso e follia a fondersi nelle viscere.
Scelse il buio, si sollevò lento, inspirando per recuperare una calma che sembrava perduta, e riaprendo gli occhi trovò su di sé lo sguardo di Oscar, scuro e lucido dei bagliori delle candele, tremante e forse smarrito; lei gli dava ancora le spalle, ma gli si era rivolta e lo osservava, lo scrutava in modo insolito, sorpreso e al contempo curioso, tradendo indecisione e inafferrabili domande. Non riuscì a dominarsi, ad imporsi di lasciare quegli occhi, e si perse in quel prezioso riflesso. Il respiro rapito, la mente annebbiata, si accorse che ancora le dita scivolavano sul nastro, scorrendo la fettuccia fino a liberarla dall’ultima asola sgualcita, fino a che le mani non sostennero il corsetto, lasciandolo scendere lento, perché rimanesse sorretto solo dalle braccia di Oscar piegate sul seno. I lembi aperti, gli mostrarono lo strappo nella chemise in tutta la sua profondità, una ferita nella stoffa più sottile, a scoprire la seta più vera e preziosa. Cercò lo sguardo di mare, ancora una volta fermo, sgranato e perso nel suo; percepì quella seta sotto le dita, morbida e invitante, sospiro dei sensi in una lenta discesa, che si fece tocco sulla presenza nascosta delle costole, sul vuoto di un respiro forzato, al di sotto di esse, e poi tornò a salire, placido ad assaporare ogni istante, fino a che un contatto più morbido e gentile non ne fermò l’ascesa. Un tocco di palmo, caldo e avvolgente come il blu che lo accoglieva languido e incredulo.
Si bloccò, chinando il capo e scoprendo la schiena nuda di Oscar e le proprie mani infilate tra pelle e stoffa, mentre la mente tornava lucida spezzando il respiro in una sorta si singulto soffocato. Lo sguardo corse al viso di lei, agli occhi ora celati, al capo reclinato appena all’indietro, alle labbra dischiuse e lucide.
Si ritrasse rapido, il cuore in una morsa, i passi scomposti, a ritroso verso il buio della camera di lei. Non sollevò la vista dal proprio incedere, se non quando si ritrovò oltre il varco, e riconobbe, nel bagliore fioco e lontano, la sagoma di Oscar, risalendo la gonna rilucente di riflessi dorati, scorgendo le sue braccia ancora incrociate al petto, la cascata di capelli sciolti sulle spalle e il suo viso immobile, gli occhi sgranati e fissi, puntati su di sé.
Poi nulla, niente altro che uno scorrere rapido di intarsi e marmi, ritratti e lame, fino al buio completo del suo rifugio più intimo.
 
[i] Mettendo a frutto le interessantissime informazioni gentilmente offerte da Sabre, Alga e Giulia, ho vestito Oscar di un abito à la française che, mi dicono, negli anni 80 del XVIII secolo, costituiva modello adatto ad un ballo a corte. Questo abito con corsetto dalle stecche dritte, vita bassa e gonna dalla linea a tulipano capovolto, sostenuta da panier ridotto ad una sorta di salsicciotto fissato attorno alla vita, era sovente caratterizzato da sopragonna a strascico e nelle versioni ricercate poteva avere il corpino costituito da parti distinte, alcune cucite direttamente sul corsetto sottostante (un inno alla praticità, insomma). Ho immaginato l’abito proprio così, con una parte (maniche e schiena) infilate e poi sovrapposte ad una sorta di pettorina anteriore, cucita al corsetto legato sulla schiena. Parte inferiore separata, costituita da gonna e sopragonna. Spero di non aver fatto un pasticcio, ma abbiate pietà e permettetemi di lavorare di fantasia …

Angolo dell'autrice: sono tornata, secondo i tempi. Il danno è fatto... André ha perso un po' del suo proverbiale autocontrollo. E ora?
Intanto, ringrazio tutte coloro che leggono, seguono, ricordano, preferiscono, recensiscono e commentano altrove.
Un bacione! A presto
  
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