Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: StellaDelMattino    01/02/2016    1 recensioni
Ognuno possiede un po' di oscurità in sé. Semplicemente perché è nella nostra natura: ogni persona, anche la più buona, ha nell'anima una macchia scura che contamina ciò che avrebbe potuto essere perfetto.
Madison Huddle è solo una ragazza dal passato turbolento e con uno sguardo ironico sul mondo, quando arriva nella Città, ma da quando incontra Red, tipo eccentrico e misterioso, capisce che non è e non sarà mai normale.
Eppure, il vero problema non è questo, bensì il fatto che nella Città nessuno è normale.
Basti pensare a Gianduiotto, mutante che ama prendere la forma di un macaco e braccio destro di Red, o a Zwinky e Twinky, bariste del "De Vil", o ancora a Maude Maggots, strega della congrega della Mezzaluna, brillante e combattiva.
Per non parlare di Alexander Morales, l'uomo (se si può definire così) forse più potente e spietato, il capo della Famiglia, l'affascinante giovane che Madison non riuscirà mai a capire.
Dal primo capitolo:
"Che ne dici, tesoro" disse una voce sconosciuta attirando la sua attenzione e facendola fermare "se ti do qualche spiegazione sul perché ti sei svegliata in mezzo a una marea di matti?"
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 10
The Price

 

Alexander Morales fissò a lungo l'armadio. Cosa mettersi per ciò che stava per fare?
Non che fosse così importante, certo, ma era tempo che non si faceva vedere in giro e, essendo lui il capo della Città, anche l'aspetto contava.
Fece scorrere le dita sui tessuti delle varie giacche, senza indugiare particolarmente su nessuna. Poi ne prese una nera.
Era pomeriggio tardo, fra poco il sole sarebbe tramontato e avrebbe acceso il cielo di sgargianti tonalità rossastre. E di quel colore sarebbero stati anche i palazzi, sogghignò Alexander.
Sulla soglia della porta della casa, Felix stava appoggiato guardando le strade. Sembrava pensieroso. Quando vide Alexander aggrottò un sopracciglio.
“Andiamo da qualche parte?” gli chiese.
L'altro sorrise. “Vado a far vedere che Alexander Morales esiste.”
Il demone lo squadrò per qualche secondo, con uno sguardo enigmatico. “Per dimostrare la tua esistenza dovrai mostrare solamente uno dei tuoi tanti volti. Non è il nome che devi esibire, bensì la tua essenza plasmata dalla Città.”
“Odio quando parli in questo modo” rispose Alexander, alzando gli occhi al cielo, ma Felix sapeva che non era vero.
Il demone, di punto in bianco, cambiò espressione. Il suo sguardo si fece vacuo, perso nel vuoto. Alexander capì subito cosa stava succedendo: stava per vedere nel passato o nel futuro.
“Fra non molto dovrai dimostrare il tuo nome in ogni tuo volto” disse, ma neanche lui stesso capiva cosa ciò volesse significare. Alexander, invece, capiva perfettamente.
“Lo so, Felix, lo so” rispose, senza neanche provare a nascondere tutta la sua malinconia.
Poi se ne andò.

***

Erano passate diverse ore, ma Connor ancora non riusciva ad andare oltre a quell'affronto che Red Anomalies gli aveva mosso. Gli aveva fatto fare una figuraccia davanti al suo branco intero, figuraccia che lui non aveva saputo giustificare in alcun modo, dato che quell'uomo non era altro che uno sbruffone. Avrebbe pagato per ciò che aveva fatto, questo era sicuro.
Era stato congelato dalla sorpresa: tutti conoscevano il nome di Red Anomalies e lui sapeva quanto potere avesse quell'uomo, non poche erano le voci che lo riguardavano.
Era un'ombra, tutti lo conoscevano ma nessuno ne parlava, era il diavolo con cui i mostri stringevano i patti. Gli avrebbe fatto pagare il prezzo delle sue azioni.
Ma chi era quella ragazza? Red Anomalies era uscito dall'ombra per una novellina, Connor avrebbe colpito lei. Avrebbe ottenuto la sua vendetta.
D'altronde non aveva alcuna ragione per temere Red Anomalies, lui aveva un branco. Cosa poteva fare un solo uomo contro un branco di forti lupi?
“Alfa” lo chiamò un lupo “C'è un problema.”
Connor era stufo dei problemi. Chiunque fosse stato il colpevole, di certo quel giorno l'avrebbe ucciso. La sua rabbia era ormai impossibile da contenere.
Uscì dalle sue stanze, in cui si trovava precedentemente, per andare nella piazza delle adunate a sentire quale fosse questo nuovo problema. In mezzo alla piazza, circondato da tutti i suoi lupi, stava un giovane, vestito elegantemente: aveva una camicia bianca, mentre i pantaloni e la giacca erano neri.
“Connor Wallace” iniziò questi, con un tono quasi sfacciato, completamente sicuro di se stesso. “Sono qui per ricordarti che la Città non ti appartiene. Hai oltrepassato il limite.”
L'alfa scoppiò a ridere, ma questo sembrò divertire lo sconosciuto. Aveva uno sguardo malizioso, accompagnato da un sorriso storto.
“E, Vossignoria” replicò Connor con tono di evidente scherno “Con chi ho l'onore di parlare?”
Alcuni lupi si misero a ridacchiare.
“Con Alexander Morales” rispose lui, con una certa soddisfazione.
Calò il silenzio. Nessuno osò fiatare.
Connor si sentì invadere le membra dal gelo nel realizzare che il capo della Famiglia era davanti a lui.
Eppure quella era la seconda volta in quel giorno che un uomo metteva alla prova la sua autorità e affrontava il più potente dei lupi della Città insieme al suo branco. Non importava chi diceva di essere quell'uomo, era solo uno, non poteva far nulla contro una quarantina di lupi allenati alla guerra.
“Ti dico io chi sei” lo apostrofò l'Alfa, con disprezzo. “Sei solo un impertinente e fra poco sarai solo polvere.”
Mentre parlava, le sue membra si trasformavano, il viso prima distorto da un ghigno ora si trasformava nel muso da lupi, un ringhio che nasceva nella sua gola.
Gli si scagliò contro, con rabbia, ma Alexander lo evito senza mostrare alcuna difficoltà. Connor finì nella polvere, dopo essere caduto, ma si rialzò con inumana velocità, indenne. I suoi occhi erano iniettati di sangue, ma non attaccò di nuovo.
“Lupi, uccidetelo” comandò imperioso.
Il branco, però, fu preso da un attimo di incertezza, o più che altro di timore. Il loro alfa era appena stato gettato a terra come se nulla fosse, non erano così pazzi da scagliarsi contro Alexander. In gioco, però, c'era la fedeltà e quella, per un lupo, era forse più importante della vita stessa.
“Questa è la vostra ultima occasione di sopravvivere: abbandonate il vostro capo indegno!” gridò Alexander, ma invece di scoraggiare i lupi li mosse all'azione. Lui stesso non avrebbe saputo dire quale fosse il suo fine, la pace o la guerra.
Quando i componenti del branco iniziarono a correre verso di lui, Alexander sorrise amaramente: quella loro stupida fedeltà illimitata avrebbe costato loro la vita, ma ancora non se ne rendevano davvero conto.
Un primo lupo si avventò su di lui a fauci spalancate, ma Alexander lo afferrò per la gola, sollevandolo. Lo fissò negli occhi, scatenando un turbine e sconquassando le sue membra con la sola forza di uno sguardo letale, poi scaraventò il corpo morto qualche metro più in là.
Ne arrivarono altri tre, tutti insieme, che lo attaccarono con tutta la loro forza, cercando di morderlo, ma Alexander spezzò il collo a due di loro, prima che riuscissero ad affondare i denti nella sua carne, mentre sul terzo utilizzò il proprio potere proprio come aveva fatto sul primo.
Ora, però, ad andargli incontro erano una ventina di lupi, forse di più, che lo accerchiarono con le fauci spalancate, gli occhi da predatore fissi su di lui, famelici, mentre aspettavano il momento giusto per attaccare.
Alexander sorrise, mentre nei suoi occhi adombrati nacque un vortice che, dopo aver percorso tutto il suo corpo, si espanse anche all'esterno, prima sotto forma di una leggera brezza, poi come un vero e proprio tornado di cui lui stesso era il centro, un tornado composto da buio e caos anziché da vento, che emanava quelle che sembravano delle piccole scosse elettriche, gialle e blu.
I lupi, ora terrorizzati, furono sollevati in aria dal tornado e giravano, con il corpo percosso sia dalle correnti d'aria sia dalle scosse elettriche, ma in particolare da quella che sembrava vera e propria oscurità, simile a una nuvola di tempesta che vorticava nel turbine e sembrava divorare tutte le creature, finché uno ad uno non ricaddero a terra morti o moribondi.
Il tornado tornò in Alexander, sorridente, che si scrocchiò le ossa del collo. Sembrava nutrirsi di quel caos.
I lupi che ancora erano vivi avevano un'espressione impaurita e Connor se ne stava a bocca spalancata, tremante come una foglia, sotto spoglie completamente umane.
Alexander ghignò, guardandolo, ed estrasse due pugnali che teneva appesi ai lati della cintura. Con un tale velocità che neanche un lupo sarebbe riuscito a cogliere i suoi movimenti inchiodò Connor al muro e gli pugnalò una spalla con una quantità di forza tale che la lama si conficcò nel cemento e lì rimase. L'Alfa urlò di dolore e invano cercò di rimuovere l'oggetto o anche solo di estrarlo dal muro. Non poteva scappare.
Alexander si girò verso gli altri, ormai solamente cinque, che avevano iniziato a correre per scampare alla morte, nonostante ormai avessero capito che la loro vita era finita e la loro fedeltà fosse ormai distrutta. Fuggivano più velocemente che potevano, ma lui comunque ne colpì due, avendoli raggiunti facilmente, poi ruppe il collo ad un altro e uno lo sollevò e lo scaraventò dall'altra parte della piazza. Ne mancava solo uno.
Gli si avvicinò, con il fiato corto, mentre questo correva via. Poi il lupo cadde, quindi iniziò ad arretrare, lo sguardo invaso dal terrore. Lui non voleva morire.
Alexander si fermò davanti a lui, pensando a come l'avrebbe ucciso.
“Ti prego” iniziò a supplicare l'altro, con gli occhi che si riempivano di lacrime e un tono pietoso che quasi fece disgusto ad Alexander. In quella supplica, in quel disgustoso cane non c'era dignità. “Non uccidermi.”
In realtà avrebbe potuto lasciarlo andare, pensò. Qualcuno che raccontasse cos'era successo poteva essere utile e non era detto che fosse sopravvissuto qualcuno di quelli che aveva imprigionato nel turbine. Lasciarlo vivere avrebbe potuto portare più benefici di quanto pensasse.
Vedere degli occhi impauriti che lo fissavano chiedendo pietà non era esattamente qualcosa che gli ispirava l'omicidio.
Decise dunque di lasciarlo andare, ma appena prima che lo facesse il lupo disse qualche parola di troppo.
“Devi pur avere un cuore!” gridò con la voce spezzata “Non puoi essere solamente un mostro!”
Alexander si irrigidì di colpo e con un veloce movimento del polso lo sgozzò, mentre il sangue gli schizzava sulla camicia.
“Siamo tutti mostri” sussurrò al corpo che senza vita si accartocciava sul suolo. “Siamo qui per questo.”
Si girò allora, completamente insensibile, e in pochi attimi raggiunse Connor, che agonizzante teneva una mano insanguinata sul pugnale, ancora nell'inutile tentativo di rimuovere l'oggetto dalla sua spalla.
Alexander lo guardò con feroce indifferenza e con il pugnale con cui aveva sgozzato l'ultimo lupo fece un taglio in verticale sul braccio dell'Alfa, così che uscisse una maggior quantità di sangue, poi applicò un'altra ferita più piccola sul collo.
Quei tagli, più il pugnale nella spalla, lo avrebbero fatto dissanguare abbastanza presto, dandogli in ogni caso il tempo di capire ciò che era successo al suo branco e a lui e di sentire tutto il senso di colpa nei suoi ultimi attimi di vita. Non aveva più un branco a cui chiedere aiuto.
Alexander dunque se ne andò, con i vestiti completamente inzuppati dal sangue, che lo copriva di quel rosso vermiglio che ora caratterizzava anche il cielo, nello spettacolo del tramonto, mentre l'Alfa rimase lì, solo, a morire senza neanche la compagnia del suo uccisore, ma solamente circondato da quel branco che aveva condotto alla distruzione.
Questa era la punizione per chi osava sfidare Alexander Morales.

***

Qualche ora prima


Madison tremava come una foglia, dopo che l'adrenalina aveva smesso di fare effetto, quando arrivarono sulla soglia dell'appartamento.
Red la sosteneva, aiutandola a camminare, ma soprattutto fornendole un bastone morale, le stava cercando di comunicare che non era sola.
Mad si staccò da lui, poi lo guardò negli occhi, in silenzio.
Lui sembrava essere sul punto di parlare, ma la ragazza lo interruppe scuotendo la testa e facendo un gesto con la mano.
“Per ora non dire nulla” gli disse “Poi avrò un sacco di domande che sicuramente troverai insopportabili, ma per ora voglio solamente ringraziarti, davvero. Grazie, Red, per avermi salvato la vita nonostante io ti abbia buttato fuori di casa.”
Detto questo, Mad lo abbracciò, teneramente. Red rimase un attimo interdetto, poi la strinse lievemente, attento a non fare del male, ma anche comunicandole un affetto che lei non si aspettava.
Si sciolsero dall'abbraccio, qualche secondo dopo, quindi lui bussò alla porta, continuando a guardare Mad con la coda dell'occhio.
Connie aprì la porta e spalancò la bocca, spaventata e sorpresa.
“Cosa le hai fatto?!” chiese a Red, pronta a scagliarsi contro di lui e arrabbiata.
Lui alzò gli occhi al cielo, vagamente esasperato. “Ma perché voi due date sempre la colpa a me?”
Madison ridacchiò, a fatica, poi guardò Connie cercando di rassicurarla con un sorriso. “Mi ha salvato la vita.”
La coinquilina li guardò entrambi con evidente confusione, poi scosse la testa e si concentrò su Mad, conducendola verso il divano prima di fare altre domande, per un attimo dimenticandosi che il divano era già occupato da qualcun altro.
Mad vide la figura, sdraiata e immersa nelle coperte, tanto che spuntava solamente la parte superiore del viso, e alzò un sopracciglio, interrogativa.
Ci mise un attimo a riconoscere Virgil, così com'era conciato.
Vicino a lui, su un bracciolo, c'era un gatto grigio con un'espressione tremendamente annoiata, senza dubbio Gianduiotto.
Connie sospirò. “È arrivato qui chiedendo aiuto” spiegò “Non ho saputo dire di no.”
Red sorrise.
Dopo aver incontrato Virgil lo stava per portare in un luogo sicuro, un altro appartamento abbandonato, ma era arrivato Gianduiotto a informarlo che Mad si stava comportando in modo strano in quei giorni e Connie mal celava la sua preoccupazione. Allora Red aveva lasciato Virgil davanti all'appartamento delle due ragazze, dicendogli di chiedere aiuto, sapendo che Connie era troppo buona per rifiutare, poi aveva cercato Madison, al De Vil, e in poco tempo aveva scoperto ciò che era successo.
Mad non indagò ulteriormente, limitandosi a raggiungere la sua stanza, poi si sedette sul letto e si appoggiò allo schienale.
Red indugiò sulla soglia, non sapendo bene cosa fare, poi si mise ai piedi del letto, aspettando di vedere se Mad l'avrebbe scacciato o meno, m la ragazza sembrava troppo persa nei suoi pensieri per farci caso.
Connie si pose di fianco a Madison e con una mano iniziò ad accarezzarle una spalla per confortarla, sebbene ancora non conoscesse ciò che era successo.
Mad allora iniziò il suo racconto, partendo dal suo turno al De Vil prima dell'omicidio. Non menzionò la congrega, però, poiché ancora diffidava di Red, nonostante iniziasse a dubitare della sua decisione di escluderlo completamente dalle loro vite. Prima di cambiare idea voleva sentire cosa aveva da dire lui.
Continuò, comunque, soffermandosi particolarmente sulla voce della banshee che aveva sentito nella sua testa, poi concludendo con il salvataggio di Red.
“Non è colpa tua, Mad, lo sai?” le disse Connie “Mi dispiace che tu non me ne abbia parlato, ma ti capisco. Voglio solo che tu sappia che non dovrai mai temere di essere giudicata da parte mia, ti conosco e so chi sei e cosa non faresti. Quell'omicidio l'ha commesso la Città, non tu.”
Madison si addolcì in un sorriso, poi la strinse in un abbraccio, decidendo che non le avrebbe mai più nascosto nulla.
Pianse, incapace di trattenersi, e Connie la tenne stretta. Non servivano parole per commentare ciò che era accaduto, nonostante il turbine di pensieri che ora frullavano nella mente della ragazza.
Rimasero così per una decina di minuti, prima che Connie si alzasse dal letto lasciando più spazio a Madison e dicendole che l'avrebbe lasciata riposare.
“Mad” aggiunse prima di uscire “Ricordati che io e te siamo un team. Niente più segreti.”
Madison annuì, ma quando Red, che fino a quel momento era stato zitto e immobile, fece per alzarsi, lo fermò.
“Ora dobbiamo parlare” gli disse.
Red sembrò riacquistare la sua sicurezza: le faccende più pratiche gli sembravano più facili da gestire di quelle emozionali ormai da tempo. Una delle cose che la Città a poco a poco ti strappava era proprio quell'altruismo basato sull'empatia che serviva per poter confortare una persona.
Anche Mad, però, dopo essersi lasciata andare al pianto era diventata una statua di ghiaccio, quasi avesse escluso ogni sentimento di sconvolgimento che aveva comportato ciò che era successo negli ultimi giorni.
“Sono un Alp” disse Red, andando subito al nocciolo della questione. “Ovvero un Incubo. Posso entrare nei tuoi sogni, trasformarmi in un paio di animali, diventare un'ombra e fare un paio di giochetti con la paura della gente.”
Madison lo fissò per qualche istante, senza fiatare o cambiare espressione.
“Tu sei molto potente” si limitò a dire dopo un po'.
Red annuì lentamente.
“Se Connor non ci avesse lasciati andare cosa avresti fatto?” chiese senza alcun sentimento nel tono di voce. “Avresti avuto la forza di uccidere quaranta lupi?”
“Forse, con qualche difficoltà. Avrei approfittato della loro esitazione per prenderti e scomparire. Mad, lo so che non ti fidi di me e so anche di avertelo consigliato io di non farlo. Ci sono cose che non ti ho detto e cose che non ti voglio dire, ma non c'è nessuno nella Città che possa affermare il contrario, se non un bugiardo. E io non sono un bugiardo: non ti dirò mai falsità, Mad, non risponderò alle domande a cui non vorrò rispondere oppure ti dirò la verità.”
Red sembrava quasi supplicarla, ma più con gentilezza che con disperazione.
Madison non si aspettava un tale discorso e si sentì sinceramente mossa dalle sue parole. Gli credeva davvero, ma c'era una domanda che la bloccava, le impediva di concedergli fiducia, almeno su questo punto.
Rimase a guardarlo per qualche istante, prima di proferir parola in un lieve, debole sussurro.
“Perché ti interessa così tanto la mia vita?”
Red si aspettava quella domanda, ma era chiaro che la risposta non fosse facile per lui da pronunciare.
“Tu mi ricordi tantissimo una persona” disse in un filo di voce. “Arrivò lo stesso giorno in cui sei arrivata tu, nella stessa parte della Città, tantissimi anni fa.”
Ancora una volta in pochi minuti, Red l'aveva sorpresa. Se quello che stava dicendo era effettivamente la verità, Madison lo aveva frainteso alla grande, per tutto quel tempo.
Lui le era sempre sembrato così freddo, incapace di avere emozioni, con quel suo cipiglio sempre cinico e utilitarista.
“Ne eri innamorato?” gli chiese, con un po' di imbarazzo.
Red sorrise lievemente, ma subito il sorriso scomparve e il suo sguardo si incupì. Chiaramente era pervaso dal rimpianto.
“No, ma lei è stata il mio primo peccato, il mio primo omicidio, così sono diventato un mostro.”

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: StellaDelMattino