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Autore: Adeia Di Elferas    02/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Quella sera Caterina incontrò Piero e Bianca, i figli che sua madre Lucrezia aveva avuto dal marito.
 Benché non si fossero mai conosciuti prima, tra loro nacque immediatamente una simpatia reciproca che li portò a parlarsi fin da subito con franchezza e affetto.
 Chiara, invece, inizialmente restò un po' in disparte, fino a che non fu Caterina a prendere l'iniziativa e a ricordarle i tempi passati, quando entrambe vivevano al palazzo di Porta Giovia insieme a entrambe le loro madri.
 Dopo aver rotto il ghiaccio, tutti decisero che il giorno seguente Caterina avrebbe riposato un po', per riprendersi dal viaggio e che nei giorni prossimi avrebbero organizzato una battuta di caccia e qualche cavalcata nelle campagne.
 Una volta ritiratasi nella stanza che le era stata assegnata, Caterina si preparò per la notte, aiutata dalla serva scelta da Gian Piero Landriani.
 Quella donna le parlava con ammirazione e le diceva quante volte aveva sentito la padrona fare il suo nome. La lodò per la sua bellezza e le chiese anche come fosse Roma e le altre città che aveva visto. Caterina rispose a tutte le domande con frasi brevi, ma cercando di essere gentile. Le piaceva sentir parlare con l'accento che l'aveva cullata da piccola, quindi non cercò di mettere a tacere la donna, anzi, dopo un po' fu lei a fare qualche domanda.
 Le chiese com'era Ludovico come signore della città, ma la serva rispose in modo incredibilmente diplomatico e distaccato. Le domandò cosa ne pensassero i milanesi di quello che stava succedendo nel resto della penisola e la donna rispose solo che i milanesi si facevano gli affari loro, curandosi poco di quello che accadeva oltre i confini della città.
 Dopo che la serva la lasciò sola, Caterina andò subito a letto. Si massaggiò un po' il ventre. Il lungo viaggio a cavallo l'aveva un po' spossata, ma si sentiva bene. Era contenta del fatto che la pancia ancora non si vedeva. Era appena un po' gonfia, ma nessuno l'avrebbe notata, sotto i vestiti.
 “Caterina, sei sveglia?” la voce di Lucrezia arrivava ovattata da oltre la porta.
 “Sì.” rispose subito lei, mettendosi a sedere sul bordo del letto.
 “Posso entrare?” chiese Lucrezia, un po' circospetta.
 “Certo.” rispose subito Caterina, sospirando.
 Era il momento che tanto aveva atteso e che da un lato tanto aveva temuto. Dal momento in cui aveva rivisto sua madre aveva capito che parte della sua voglia di tornare a Milano era legata al voler restare un po' sola con lei, per parlarle di quello che le stava accadendo e di quello che la tormentava. Anche se non era facile affrontare certi discorsi.
 Lucrezia entrò nella stanza silenziosamente e si richiuse subito la porta alle spalle. Guardò un attimo la figlia, illuminata dalla luce di alcune candele e del caminetto, che era acceso per scaldare quella sera ancora fredda di aprile.
 “Finalmente da sole...” sussurrò la donna, le mani strette l'una nell'altra. Per tutto il giorno, da quando aveva rivisto sua figlia, Lucrezia non aveva fatto altro che aspettare il momento giusto per restare sola con lei e poterle parlare liberamente.
 Si erano scambiate lettere, nel corso degli anni, ma sempre meno e sempre meno dettagliate. Entrambe temevano di scrivere troppo, di essere controllate da chissà chi. C'erano così tante cose che Lucrezia desiderava sapere sulla vita di Caterina...
 “Ma forse sei stanca...” disse Lucrezia, sentendosi improvvisamente agitata all'idea di quello che sua figlia le avrebbe confidato: “Se preferisci ti lascio riposare e parleremo un po' domani. In fondo abbiamo tempo...”
 “No. Ti prego. Resta.” la invitò Caterina, facendole segno di sedersi accanto a lei.
 Lucrezia aveva apprezzato il modo colloquiale che la figlia aveva usato nei suoi confronti. Sia Lucrezia sia Bona avevano sempre permesso a Caterina di dare loro del tu. Non l'avevano fatto per educarla in modo carente, ma solo perchè a entrambe faceva piacere avere un rapporto preferenziale con lei e quindi le concedevano molte libertà in molti campi.
 “Come stai?” chiese Lucrezia, accomodandosi accanto a Caterina.
 Questa sollevò un po' le spalle, poi pose una domanda che la tormentava e che non aveva avuto il coraggio di porgere prima: “Mia madre Bona?”
 Lucrezia abbassò gli occhi e deglutì: “Da quello che ne so è ancora al castello di Pavia. Ma le informazioni che ho potrebbero non essere corrette o non aggiornate. Nessuno, ovviamente, si sente in dovere di tenermi informata. Quello che so me lo ha detto Gian Piero, ma nemmeno a lui dicono molte cose... Ha perso molti privilegi e tutta la sua importanza a corte, da quando è morto tuo padre.”
 Caterina soffiò con sprezzo e disse, con un certo sarcasmo: “Era il minimo che gli potesse capitare.”
 Lucrezia fece un'espressione dura e notò: “Non eri così, prima. Anche oggi... Ho colto in te qualcosa di profondamente diverso.”
 Caterina si morse le labbra, già pentita di non aver tenuto a freno la lingua: “Sono successe molte cose, in dieci anni. Non potevi pretendere che non fossi cambiata.”
 “Eri già cambiata una volta...” cominciò a dire Lucrezia, ma Caterina la interruppe, alzando appena la voce.
 “E quindi pensavi che non potessi cambiare più?” fece, assumendo quasi lo stesso cipiglio che aveva quando si trovava a litigare con suo marito.
 Lucrezia spalancò gli occhi, quasi spaventata, mentre sua figlia lentamente si placava senza che ci fosse bisogno di richiamarla apertamente alla calma.
 “Mi vuoi dire perchè sei venuta qui a Milano di punto in bianco e senza il permesso di tuo zio?” chiese a quel punto Lucrezia, con un tono dolce e accomodante, ben diverso da quello che la figlia aveva usato fino a quel momento con lei.
 Caterina aprì la bocca e disse la prima cosa che le passò per la testa: “A Forlì c'è stata da poco la peste e ero in cerca di aria salubre...”
 Lucrezia abbozzò un sorriso: “Il motivo vero.”
 Caterina sentì la gola seccarsi e le mani sudare: “Sono incinta.”
 Lucrezia non riuscì a nascondere la sua sorpresa. Anche se sapeva che ormai sua figlia era madre già di cinque bambini, non si aspettava di sentirle dire una cosa simile.
 Le aveva chiesto di sfuggita, quel giorno, qualche notizia sulla salute dei suoi nipotini, che non aveva mai visto, ma Caterina aveva sviato abbastanza in fretta la questione, rassicurandola e dicendo che avrebbero avuto modo di parlarne. Aveva capito che non parlava volentieri sei suoi figli, ma non aveva minimamente sospettato che ne aspettasse un altro.
 “Da quello che avevo sentito dire tra te e tuo marito non correva buon sangue...” constatò la donna, con cautela.
 “Infatti ci odiamo.” precisò subito Caterina.
 Lucrezia stava per fare una domanda, ma si bloccò. Gli occhi di sua figlia si erano fatti lontani ed era difficile capire se la ragazza volesse o meno approfondire il discorso.
 “Parlami di Gian Piero. Sei felice con lui?” chiese Caterina, come se volesse cambiare discorso.
 Lucrezia preferì assecondarla e così fece un piccolo sorriso e parlò a cuore aperto: “Lui non è certo la passione dei vent'anni...” cominciò: “Ma mi dà molta sicurezza e mi ha accolta quando nessuno mi voleva.”
 “Lo ami?” la voce di Caterina era incrinata, ma Lucrezia non riusciva a capire perchè.
 Era la gelosia di una figlia che vede la figura del padre sostituita da un altro uomo, oppure era l'invidia di una donna che non era riuscita a trovare un compagno di vita degno di quel nome?
 Lucrezia si sentì arrossire, mentre rispondeva: “Non quanto ho amato tuo padre. Galeazzo era l'amore della mia vita, l'uomo che amerò per sempre, malgrado tutto. L'amore con lui è stato travolgente, tanto che sono andata contro a tutte le convenzioni e al mio stesso interesse decidendo di restare con lui. Gian Piero è un porto sicuro, un uomo che può darmi una vita tranquilla e agiata e che per me prova un affetto incondizionato. Sono due forme diverse d'amore, ma sono entrambe belle.”
 “Mio padre era un uomo difficile, vero?” disse piano Caterina.
 Lucrezia non poté negare l'evidenza: “Non era una persona facile.” parafrasò.
 “Però lo amavate lo stesso.” proseguì Caterina.
 Lucrezia annuì in silenzio. Non era stato facile stare accanto a quell'uomo, ma l'amore l'aveva acciecata fin dall'inizio, portandola a perdonare tutte le mancanze e tutte le cattiverie di cui Galeazzo Maria era stato capace. In parte le era stato facile, perchè anche lui l'amava e nei suoi confronti era sempre stato prodigo di grandi e piccoli gesti d'amore...
 “Io non potrò mai amare mio marito.” confessò Caterina, con un filo di voce: “Più di una volta ho desiderato ucciderlo. E quasi lo stavo per fare davvero...”
 Lucrezia raddrizzò la schiena, sconvolta nel sentire una frase del genere: “Caterina, bambina mia... Cosa stai dicendo?”
 “Una volta stavo per ucciderlo. Gli avevo già puntato il coltello alla gola. Non so perchè mi sono fermata...” scosse la testa Caterina, pensando che forse avrebbe dovuto ucciderlo davvero quella volta di tanto tempo addietro. Si sarebbe risparmiata tante sofferenze inutili...
 “Non desiderare la morte di tuo marito.” la redarguì subito Lucrezia: “Per brutale che sia, è sempre il padre dei tuoi figli. E, anche se tu non la pensi così, nel nostro mondo una donna senza marito non conta nulla. Guarda tua madre Bona. Ha tenuto lo Stato per un anno scarso e poi Ludovico l'ha incarcerata senza che nessuno alzasse un dito per difenderla.”
 “Io so difendermi da sola.” ribatté subito Caterina, sentendosi ferita nell'orgoglio: “A Castel Sant'Angelo i soldati mi hanno dato ascolto perchè ero Caterina Sforza e non perchè ero la moglie di quel codardo!”
 Lucrezia rispose a tono, alzando a sua volta il volume: “Forse i soldati ti ascolteranno sempre in rispetto a chi erano i tuoi nonni, ma se tuo marito morisse, credi davvero che due città ti darebbero retta e starebbero ai tuoi ordini, senza sapere che al tuo fianco c'è un uomo?!”
 “Non è un uomo! È un vile! Ha paura di tutto e tutti, non è in grado di prendere una decisione, se non sbagliata e...” aveva preso a dire Caterina, alzandosi in piedi.
 Anche Lucrezia si era tirata su: “Devi tenerlo in vita il più a lungo possibile! E devi farlo per i tuoi figli e per te stessa!”
 “Tu non lo conosci.” concluse Caterina, la voce che tornava bassa e un senso indecifrabile di solitudine che si faceva spazio nel suo petto: “Se lo conoscessi mi consiglieresti di soffocarlo nel sonno.”
 Lucrezia guardò la figlia che si stava rimettendo a sedere. Era davvero così forte l'odio che provava verso il marito?
 “Vivere con lui è una violenza continua, in tutti i sensi.” riprese Caterina, guardandosi le mani strette in grembo: “Di cinque, anzi, sei figli, non ce n'è uno che io abbia desiderato. Ogni giorno è una tortura. Mi ha tradito di continuo, in ogni modo possibile. Mi ha lasciata sola continuamente e quando ha imposto la sua presenza, lo ha sempre fatto in modo autoritario e ingiusto.”
 Lucrezia si risistemò accanto a Caterina, ascoltando in silenzio quello sfogo, convinta che, se avesse provato a interromperla anche solo per consolarla, la giovane si sarebbe di nuovo chiusa in se stessa e non avrebbe esternato più nulla.
 “Io...” soffiò Caterina, visibilmente scossa: “Non sono forte come credevo. A volte è come se... Come se mi bruciasse dentro un fuoco. In parte è sempre stato così, ma da quando ho vicino quell'uomo, il fuoco continua a crescere e ho il terrore che un giorno non sarò più capace di controllarlo. Mi trovo a pensare le cose peggiori e a desiderare il male e il dolore per lui e...” si sfiorò l'addome, pensierosa, come se stesse ricordando qualcosa di orribile, poi continuò: “Insomma, è come avere un demone dentro di me che mi tenta e mi dilania e mi spinge a... Ho paura che mi porterà a compiere atti orribili.”
 Per un fugace istante a Lucrezia parve di avere davanti agli occhi Galeazzo Maria. Anche lui le aveva parlato di quel 'demone', anche se per lui si trattava di 'un'ombra'. Ripensando alle brutture di cui era stato capace lui, Lucrezia cominciò a sudare freddo.
 “Sono scappata da Forlì perchè avevo paura di impazzire.” dichiarò infine Caterina.
 Lucrezia le accarezzò con dolcezza i capelli e senza dirle nulla, la strinse con forza a sé.
 Caterina si lasciò cullare da quell'abbraccio che aveva il sapore del passato. Si sentì di nuovo figlia, cosa che non le capitava da troppo tempo. Quella dolcezza e quell'atmosfera di fiducia reciproca non le aveva più trovate, dopo il giorno delle sue nozze.
 Quando Lucrezia si staccò da lei, Caterina si accorse che la donna stava piangendo. Non riuscendo a trattenere il suo istinto, la giovane non fece nulla per consolare la madre. Inconsciamente la stava ancora punendo, perchè non riusciva a dimenticare che nemmeno lei aveva aveva fatto qualcosa per salvarla, quella notte di quindici anni addietro.
 “Tu sapevi che mio padre stava per vendermi a quell'uomo?” chiese Caterina, incapace di trattenersi oltre.
 Quella domanda la tormentava da troppi anni, l'aveva tenuta sveglia per troppe notti. Doveva sentire la risposta subito, non poteva più aspettare.
 Lucrezia mosse il capo a destra e a sinistra, ma disse: “Avrei dovuto capire che stava per accadere qualcosa.” fece un respiro profondo: “Ero stata allontanata con una scusa, me ne sono resa conto troppo tardi. Avrei dovuto capire che tuo padre stava tramando qualcosa, invece ho fatto finta di non aver colto qualche piccolo indizio...”
 “Mia madre Bona? Lei lo sapeva?” la voce di Caterina era atona e fredda. Per Lucrezia quel tono era una pugnalata nel cuore.
 “No. Ne abbiamo parlato, qualche volta, ma non ne sapeva nulla. Anche lei, però, mi aveva detto che aveva avuto qualche dubbio, ma...” Lucrezia si asciugò le lacrime che continuvano a scenderle sulle guance, mentre sua figlia la fissava inespressiva.
 “Se avessi saputo con assoluta certezza quello che stava per accadermi, cosa avresti fatto?” in quella domanda non c'era accusa, ma un velo di speranza.
 Lucrezia avrebbe voluto alimentare quel sentimento, ma desiderava sopra ogni cosa essere sincera con sua figlia, perciò disse la verità: “Non avrei potuto fare nulla.”
 Caterina distolse lo sguardo, mordendosi l'interno della guancia, per trattenere le parole avvelenate che le erano passate per la mente.
 “Mio padre almeno ti aveva detto apertamente cos'era successo, dopo?” domandò Caterina. Le sembrava di condurre un interrogatorio su un condannato, ma non poteva smettere. Voleva sapere quello che le era stato taciuto fino a quella sera.
 Lucrezia tirò su col naso: “Sì. Prima l'ha detto a Bona, poi a me.”
 “Come hai reagito?”
 “Gli ho dato uno schiaffo e l'ho disprezzato. Non l'ho mai più perdonato.” sussurrò Lucrezia.
 Caterina annuì, apparentemente soddisfatta dalla spiegazione, ma Lucrezia ci tenne ad aggiungere una precisazione: “Non averlo perdonato mi tormenta ancora oggi, perchè è morto, prima che potessi riconciliarmi veramente con lui. Lo amavo ancora, ma qualcosa si era spezzato tra noi. Non commettere lo stesso errore con tuo marito.”
 Caterina guardò sua madre incredula, ma capì che era mossa dal suo senso di colpa, che cercava di darle un buon consiglio, così evitò di prenderla di petto, dicendo solo: “Non credo di poterlo perdonare, ma ti ringrazio per essere stata sincera con me.”
 Lucrezia l'abbracciò di nuovo e Caterina cercò di ricambiare il gesto con il calore necessario.
 “Figlia mia, io ti voglio bene come quando eri piccola, vedi di tenerlo a mente.” fece Lucrezia, il volto immerso nei capelli della figlia, mentre la teneva stretta a sé: “So che in te c'è ancora quella bambina piena di voglia di vivere e di allegria e faremo del nostro meglio per farla tornare a galla. Anche se stasera ci siamo dette cose dolorose, da domani torneremo a sorridere insieme.”
 Le due donne si strinsero a lungo e alle fine fu Lucrezia a lasciare la figlia, dicendo: “Si è fatto veramente tardi. Ti lascio sola a riposare. Domani, però, dovrai raccontarmi ancora molte cose. Dobbiamo colmare dieci anni di lontananza.”
 Caterina si lasciò dare un bacio sulla guancia e un altro veloce abbraccio e poi si congedò dalla madre, che uscì salutandola con la mano.
 Lucrezia faticò a prendere sonno. La distanza che aveva trovato nella figlia l'aveva colta di sorpresa. Forse era stata troppo ottimista nel pensare che tutto sarebbe stato come prima.
 Però di una cosa era certa: sarebbe riuscita a ritrovare la vera Caterina, che per il momento era nascosta sotto una coltre di risentimento e paura. Perchè alla fine erano quelli i sentimenti che stavano governando la sua figlia preferita...
   
 
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