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Autore: ChiaraSerafin22    06/02/2016    1 recensioni
Elvin è uno straniero, un immigrato in un'Italia ostile. La sua vita è scandita tra la casa, la scuola, il lavoro che non si trova. E in tutto questo, la sua amica Alice rappresenta l'unico raggio di sole.
E' un racconto fatto di silenzi, di amicizia, di occasioni, di solitudine, di sorrisi rubati.
> 2° posto Premio Nazionale Leoncini 2010
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giovanni Da Re abitava in un appartamento vicino al parco cittadino, poco distante dalla stazione degli autobus.
I due ragazzi si incamminarono taciturni fino al portone d’ingresso e Alice si mise a cercare fra i pulsanti argentati del citofono. Quando trovò il nome, cercò un’ultima conferma in Elvin, che annuì dopo un lunghissimo istante. Suonò.
Driiin. Attesa. “Chi è?” La voce era giovane e femminile.
Vedendo che il suo amico non accennava a parlare, fu Alice a prendere in mano la situazione: “Cerchiamo il signor Giovanni, è in casa?”
“Cosa volete?” ribatté la ragazza.
“Vorremmo parlargli privatamente, è possibile?” continuò Alice, diplomatica, senza lasciar trapelare nulla.
“Papà scende subito” disse la voce, interrompendo la comunicazione.
Appena si udirono passi frettolosi venire nella loro direzione, istintivamente i due amici si portarono indietro di qualche metro rispetto alla porta.
Il portone si aprì dall’interno, lasciando uscire un uomo di statura media, con i capelli brizzolati e una voluminosa garza sul naso. “Ebbene?” fece, in tono chiaramente nasale.
Alice era ammutolita e si era portata dietro a Elvin. Non doveva parlare lei. A quel punto, non doveva mettersi in mezzo.
Giovanni Da Re li fissava, soprattutto il ragazzo. Era sicuro di averlo già visto.
Proprio quando Alice cominciava a pensare che il suo amico non avrebbe avuto il fegato di farsi avanti, lo vide irrigidirsi e alzare la testa: “Scusi il disturbo”, si presentò, “Mi chiamo Elvin, sono il fratello del ragazzo con cui stamattina ha avuto un diverbio a seguito di un incidente. Mi scuso a nome suo.”
L’uomo, dapprima confuso, partì alla carica: “Mi ha ammaccato l’auto e fracassato il naso!”
Elvin non si permise di scaldarsi: “Lo so. Io e la mia famiglia ci scusiamo. È stato imperdonabile, ma sono venuto per pregarla di non sporgere denuncia. Anche Kodran ha subìto dei lividi” gli ricordò.
“Gli immigrati ne fanno di tutti i colori” ringhiò fra i denti Da Re, come scusante.
“Non ci troviamo in una posizione molto agiata” continuò Elvin, “Le assicuro che le saranno risarciti i danni alla macchina, ma non denunci mio fratello, glielo chiedo per favore. Per me… per noi non è facile accettare di trovarci in un altro Paese e subirne le umiliazioni.” La voce gli si era rotta.
L’altro sbatté le palpebre per qualche secondo, stupito per quella reazione. “Cosa ti fa credere che non lo denuncerò solo per questo bel discorso? Dove pensi di vivere?”
Mentre Alice tratteneva il fiato, il ragazzo lo riprese: “Le chiedo solo di evitare di rendere le cose ancora più difficili per la mia famiglia. Cosa le costerebbe, sapendo di poterci sottrarre da una difficile situazione economica! Solo mio padre lavora e io, a doverlo ammettere, non vengo assunto per discriminazione.”
Giovanni Da Re si chinò in avanti e si grattò la testa con una mano. “Mettiamo che rinunci” incominciò. Gli occhi di Alice brillarono, ma dal viso di Elvin non trapelò nulla, il suo cuore, però, si rischiarò. “Mettiamo che non sporga denuncia” riprese “A me cosa ne viene in tasca?”
Ridonerebbe fiducia negli Italiani a Kodran, pensò Elvin, ma disse: “Non saprei cosa proporle. Lavorerò per lei, se vuole.”
Il signore con la benda sul naso sciolse i muscoli del viso e fece un sorriso forzato: “D’accordo. Elvin, giusto? Che titolo di studio hai?”
Esitò. “Non ho terminato la scuola superiore.”
“Se io, beh, ti proponessi come tuttofare al mio capo. Lui ha un’agenzia… sarebbe solo una prova, s’intende”
Si vedeva chiaramente che voleva aiutarlo, ma lo faceva in modo talmente impacciato che il ragazzo si sentì subito in dovere di rassicurarlo: “Non darò problemi, signore. Arrivo sempre in anticipo, imparo in fretta.”
“Bene. Bene” annuì, rasserenato. “Con quei primi soldi potresti ripagarmi i danni all’auto. Per un impiego fisso, invece, non prometto niente.”
“Accetta!” s’intromise Alice, stringendo il braccio a Elvin. Aveva la gioia che le danzava negli occhi: “Vero che accetti, vero?”
Il ragazzo le sorrise, ancora scosso. “Penso, credo di sì.” Tornò guardare Giovanni: “Grazie.”
“Allora siamo d’accordo, Elvin.” Gli si avvicinò per stringergli la mano e poi gli dettò un indirizzo: “Presentati domani mattina e chiedi pure di me. Qualcosina troveremo da farti fare.”
Se ne andarono prima che Giovanni Da Re cambiasse idea. Mentre si allontanavano, si guardavano e scoppiavano a ridere, una risata di sollievo. Dopotutto, a discapito del futuro, l’importante era stato affrontare anche quel problema, e affrontarlo insieme.
Godendo di quell’amicizia a cui non servivano parole, s’incamminarono tenendosi per mano nel silenzio della sera.
   
 
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