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Autore: Silvio Shine    07/02/2016    4 recensioni
"Sono angeli, ti dico!"
"Ma per favore! Non sai di che parli!"
"Lo giuro! Sono angeli, li ho visti con questi occhi! Sono tra noi e combattono e cacciano gli uomini malvagi e le creature del demonio!"
"Ma vattene dal MIO LOCALE!"
Jason e Angelica sono due soldati serafici facenti parte del leggendario Progetto, un'organizzazione fondata da Dio in persona al fine di salvaguardare la pace del mondo come lo conosciamo, risiedente sul Santuario. Lui è un tiratore scelto dalle capacità che hanno impressionato perfino Nostro Signore, lei è una spotter dalla vista straordinaria.
La loro missione: obbedire agli ordini del Padre Eterno, per garantire la pace agli uomini.
Tuttavia, una guerra all'orizzonte, la più grande di tutte le ere, li costringerà a guardare dentro se stessi e riconsiderare i loro veri desideri.
Il primo capitolo del Progetto WARRIOR!
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Paul corse alla finestra del suo appartamento: aveva sentito un violento scoppio, ne era sicuro. Se le sue supposizioni erano corrette, colui che stava cercando era proprio lì, a Parigi. Proprio per questo aveva giocato carte false, pur di farsi trasferire al Distretto di Polizia francese. Il suo sguardo si perse oltre il vetro, vagando per i cieli nuvolosi. C’era una tormenta, fuori, pessimo tempo per uscire di casa. Sospirò. Stava addosso a quell’uomo da cinque anni, fin da quando era diventato un poliziotto.

Si voltò, passandosi la mano sul volto. Paul aveva venticinque anni; non era molto alto, ma aveva un fisico robusto e muscoloso, che copriva sempre con vestiti caldi come maglioni e jeans invernali e cappotti di pelle. La sua pelle era scura come la pece, ma, fortunatamente, ai suoi colleghi giù in centrale e ai suoi amici non importava granché: era un bravo ragazzo e un agente di tutto rispetto. Detective, si corresse. Aveva ricevuto la promozione due giorni prima. Doveva ancora abituarcisi. Sbirciò un’ultima volta fuori, poi tornò dal suo compagno, Terence, che, in quel momento, stava giocando alla sua PlayStation, tirando qualche imprecazione quando la squadra avversaria riusciva a rifilargli un goal.

Terence, al contrario di Paul, era di carnagione pallida. O meglio, perfettamente bianca: era un albino, con tanto di occhi azzurri e lentiggini da adolescente. Strano, pensava, eppure era più vecchio di lui di due anni. Il ragazzo di colore si sedette sul divano, con un gemito annoiato. « Prendi un controller e gioca con me! » lo invitò, subito prima di alzarsi in piedi, braccia alzate, furibondo. Paul sapeva perché: sullo schermo del loro grosso televisore al plasma era apparsa la scritta “Hai perso la partita”, subito seguita dai risultati. Il detective fischiò. « Ti ha battuto sette a uno? » lo canzonò e il suo amico lo mandò a cagare. Poi, quando Terence si fu seduto e calmato, Paul si alzò a sua volta; si avvicinò alla console, dove si trovavano tutte le loro custodie con i giochi, per prenderne una tra le dita. Il suo gioco preferito. Sniper Elite III… era sempre causa di discussione tra i due poliziotti, fin da quando il ragazzo di colore raccontò all’altro del caso che si ostinava a seguire, nonostante fosse stato archiviato parecchio tempo prima. Mostrò la copertina del titolo a Terence, che subito alzò occhi e mani al cielo con un gran sospiro seccato. « Non mi rompere! » lo rimbeccò lui, « hai giocato a tutto quello che volevi, fin da stamattina! Ora voglio ammazzare anch’io un po’ di noia! »; « come ti pare! » bofonchiò l’albino, la dita intrecciate dietro la nuca. « Per una volta che non siamo in servizio, parte la peggior tormenta della storia dell’Umanità! »

Paul ridacchiò, mentre cambiava il disco nel cassettino automatico del congegno. Raggiunse il detective Fernandez sulla loro volante imbottita e gli requisì il controller. L’amico lo guardò, torvo. « E’ per questo che sei corso alla finestra in quel modo, prima? » gli fece, lo sguardo accusatorio. « Ancora con questo Tiratore? Quand’è che ti stancherai? »

Paul si grattò il collo. Il caso del Tiratore dei Cieli è stato l’unico ad averlo realmente coinvolto. Era davvero un mistero: riusciva ad apprendere le coordinate di un criminale estremamente pericoloso con precisione impensabile, compariva poco prima che una squadra della polizia raggiungesse la posizione del sospetto, e infine l’unica cosa che rimaneva era il cadavere di quest’ultimo, ucciso da un proiettile dal calibro inimmaginabile. Ovviamente, nessuno è mai riuscito a vederlo in faccia. La prima uccisione del Tiratore era uno spacciatore, un re della droga, che lavorava nell’area di Detroit, dove Paul era di pattuglia. Lo sparo era arrivato dal tetto di un edificio di quaranta piani, a una distanza di ottocento metri. Era accorso, per verificare il numero di vittime, trovando così lo spacciatore, la testa sfracellata dal proiettile. A tentare di individuare l’assassino, con la coda dell’occhio vide una specie di raggio di luce toccare uno dei grattacieli, per poi scomparire di colpo.

La schermata del titolo lo accolse nel gioco. « E poi, perché lo perseguiti? » gli chiese ancora Terence; indugiò per un attimo. « So che è un pezzo grosso, nel giro dei killer a pagamento. Voglio sbatterli tutti dentro. » tagliò corto, mentendo ad ogni parola. Fernandez, fortunatamente, non indagò oltre. Piuttosto lo esortò ad avviare la partita, perché si annoiava.

Era quasi una settimana che non venivano richiamati in servizio. Avevano passato quelle giornate e quelle sere ad andare in giro a divertirsi, visto che non avevano tanto altro da fare. Paul mirò bene contro il suo bersaglio, dunque premette il tasto dorsale, facendo fuoco: l’azione venne visualizzata al rallentatore, mentre il proiettile si schiantava contro la scatola cranica del bersaglio, spargendo sangue e cervella dappertutto. Terence sogghignò, assonnato. L’altro invece, continuava a rimuginare: quello di prima era uno sparo, poco ma sicuro. Ma il suo compagno non l’avrebbe ascoltato, dal momento che aveva passato così tanto tempo ad assecondarlo per quanto riguardava il Tiratore dei Cieli che si era semplicemente ma dannatamente stancato. Per questo, spesso e volentieri litigavano. Nulla che, però, una bella birra e qualche ragazza non riuscissero a curare.

Il cellulare di Paul vibrò nella tasca dei pantaloni; pigramente, prese in mano l’apparecchio e rispose: « detective Johnson! »

« Paul Johnson, ti voglio al dipartimento tra cinque minuti o giuro che mi mangio quell’inutile sacco di merda che tu chiami culo! » qualcuno sbraitò nel suo timpano. Sulle prime fece una smorfia sdegnata; solo dopo si rese conto che quello con cui stava parlando era il suo capo, François Venicé. Si paralizzò per qualche secondo. « S-signore? » balbettò; dall’altra parte del filo provenne un grugnito. « Abbiamo due morti. Ti voglio alla centrale, ora! »; « sissignore! »

Il comandante riattaccò. Il detective rimase con il cellulare in mano, silenzioso, gli occhi chiusi. Finalmente, la sua vacanza era terminata. Sbadigliò. « Dobbiamo andare… » disse battendo la mano sulla coscia del compagno; « eh? » fece lui, inebetito dal sonno. « Venicé ha qualcosa per noi. Dobbiamo andare in centrale… » e si alzò. « Ah… » rispose l’altro, gli occhi già celati dalle palpebre; « MUOVITI! » latrò Paul, facendolo cadere dal divano.

 

***

 

Sterzò verso destra, in modo da imboccare l’entrata del parcheggio. Fermatosi, tirò il freno a mano, recuperò le chiavi dal vano motore e si volse ad aprire la portiera. C’era una cosa che aveva notato, durante il tragitto dal suo appartamento al Dipartimento di Parigi: c’era molta agitazione, per le strade. Sembrava che fosse avvenuto un omicidio, nell’area del monumento. Due uomini erano stati uccisi nella loro automobile; non erano stati individuati sospetti, prima o dopo fatto avvenuto. Inoltre, era stato esploso un unico sparo, che aveva colpito la fronte del guidatore, attraversato il sedile e subito dopo la gola del passeggero che trovavasi dietro di lui. Un tiro di incredibile precisione. Paul sapeva già di chi sospettare e chi accusare, ma nessuno gli avrebbe creduto. Chiuse la portiera con un colpo secco; Terence lo imitò, per poi affrettarsi a raggiungerlo, che già camminava verso l’ascensore.

« Johnson! » il puzzo di sigaretta gli arrivò alle narici non appena ebbe aperto la porta. Sventolò una mano, per dissipare il fumo almeno quel poco sufficiente per riuscire a vedere qualcosa. Il suo capo era un uomo robusto, ma non per i muscoli: gli anni passati al dipartimento dopo la promozione a Capitano non erano stati clementi. Era aumentato di almeno tre taglie, i muscoli si erano trasformati in rotoli di grasso, e la barba era costantemente insozzata di sudore. A peggiorare la situazione c’era l’aria condizionata calda che inondava l’ufficio, imperlando di sudore il povero Paul, il quale già detestava dover entrare lì dentro. Al cenno dell’altra sola persona nella stanza, si richiuse la porta alle spalle. « Hai sentito di quel che è successo alla Tour Eiffèl? » poggiò le mani grassocce sulla scrivania, caricandovi tutto il suo peso; la sua arma d’ordinanza, una Glock diciannove, si rivelò alla vista dalla fondina ascellare che indossava. Non era assicurata. « Ho sentito di un duplice omicidio, signore » rispose il sottoposto, cercando di non offrire commenti aperti riguardo lo stato dell’ufficio, la puzza o l’arma del Capitano senza sicura azionata. Annuì con il capo, un’espressione selvaggia sul volto sudato. « Hanno fatto fuori Smirnov! » sbraitò come suo solito; marciò per l’ufficio. « Il trafficante? » fece Paul, confuso. Venicé digrignò i denti. « L’avevamo in pugno, cazzo! Una volante gli stava addosso, quando bam » fece uno strano gesto con le mani che avrebbe dovuto rappresentare un proiettile che colpisce un bersaglio, « un fottuto cecchino lo ammazza assieme al suo autista! » sbuffò e volse lo sguardo fuori dalla finestra. Ma Paul si stava visivamente agitando. « Un cecchino, signore? »

« So già cosa pensi… » sibilò; tornò a guardarlo negli occhi, questa volta con un’aria grave. « Stai pensando al Tiratore dei Cieli. Allora, ti ripeto quel che ti ho sempre detto: è una leggenda metropolitana. Ti sei fatto trasferire in questo distretto perché hai trovato una fantomatica pista, che, secondo te, ti dovrebbe portare a questo assassino. Ma la cosa che mi ha più impressionato è stato che tu hai affermato, assolutamente convinto, che stiamo parlando di un Angelo e non di un essere umano. Ho dovuto dire all’intera squadra che eri sotto shock dopo aver visto un cadavere! E’ un assassino, sì, ma è tutt’altro che al servizio di Dio. »

Paul serrò la mascella, pur di non sbraitare contro quella palla di lardo. Nessuno gli aveva mai creduto, riguardo quel guerriero serafico. Se proprio Venicé non lo voleva aiutare, poteva farlo per conto suo, in segreto. Doveva trovare il Tiratore dei Cieli, a qualunque costo. Doveva assolutamente parlargli.

« Per quale motivo mi ha chiamato qui, signore? » parlò a denti stretti. Si strofinava le mani tremanti. « Il caso è per te » spiegò il grassone, « mi devi trovare il proiettile, l’arma del delitto e magari qualche testimone oculare. » Senza farsi dire altro, Paul uscì dall’ufficio del Capitano.

 

***

 

La musica gli penetrò nelle orecchie. Era piacevole, una volta tanto che tornava sul Santuario. Di solito, Oracle metteva qualche canzone talmente chiassosa da lasciarlo abbastanza innervosito da fargli mancare il centro dei bersagli d’allenamento di due millimetri. Valore medio. Accolse la luce che lo inondava. Angelica era già sveglia e stava conversando con una ragazzina seduta a una scrivania colma di marchingegni tecnologici di ogni tipo: radar, levette, tastiere, schermi di computer, un grosso microfono da tavolo, diversi palmari, e un lettore CD con tanto di pila di album dei suoi artisti preferiti. La giovane aveva sì e no quattordici anni; aveva capelli castani lunghi fino alla base del collo, talmente lisci da sembrare di metallo; il suo viso era piccolo, rotondo, tipico di un’adolescente. Era vestita come un tecnico militare e al collo portava delle grosse cuffie scarlatte. Oracle, finalmente, notò che era sveglio ed esclamò: « buongiorno, ANGEL! »; le sorrise, in risposta. Angelica, la sua spotter, lo guardò anche lei, per poi rivolgergli un piccolo cenno con la mano, con un gran sorriso. « Jason Goldwing è uscito dal Sonno, rilascio dal Bozzolo autorizzato! » annunciò la ragazzina, digitando qualcosa sulla sua tastiera. Lentamente, il vetro che avvolgeva Jason si divise in innumerevoli spicchi; questi, si aprirono dall’alto, fino a lasciarlo libero di respirare aria fresca. Goldwing si stiracchiò le braccia, indolenzite dopo il Sonno. « Angelica Halo, autorizzata ad uscire da qui perché mi sta disturbando più del dovuto! » disse poi Oracle, volgendosi alla spotter. Angelica ridacchiò; poi, facendo cenno a Jason che si sarebbero rivisti più tardi, corse fuori dalla stanza.

Il tiratore si avvicinò alla ragazza. « Il tuo rapporto? » fece lei, senza neanche onorarlo di guardarlo negli occhi, impegnata com’era a leggere qualcosa su uno degli schermi. « Il bersaglio è stato eliminato con successo » rispose lui, leccandosi il dito ancora ferito dal lucchetto di Goldfeather; « sei bravo ad uccidere, Jason… » mugugnò Oracle. Il cecchino non sapeva se prenderlo come complimento, oppure come accusa. « … ma perché non ti importa delle altre vittime, quando sei in missione? Hai ucciso l’autista di quel russo solo perché non volevi perdere una traiettoria ottimale. »

« Traiettoria perfetta, vorresti dire » Jason incrociò le braccia. « Quando sparo, non me ne frega niente di chi altro si fa male: ho un bersaglio, il mio unico interesse è che muoia. Questi sono gli ordini. »; « siamo egoisti, eh? » finalmente, lei lo guardò con i suoi occhi bianchi. Non aveva iridi o pupille. Solo i bulbi oculari. Eppure, riusciva a vedere meglio di tante altre persone, perfino di Angelica, e non solo a livello fisico, ma perfino a livello mentale e spirituale. Una bambina cieca che vedeva più di coloro che credevano di vedere. Era esattamente quello il motivo per cui fu scelta da Dio in persona per il Progetto, e quindi era una ANGEL di diritto. Era stata assegnata a svariati compiti: controllo dei Lanci, del Sonno, autorizzazione al rilascio del Bozzolo – speciali capsule che permettono di raggiungere la superficie terrestre -, sgancio degli equipaggiamenti primari W.I.N.G. per ogni ANGEL operativo. Gestiva anche la stazione radio del Santuario: da qui, il nome “Oracle”. Era il loro Oracolo durante le missioni. Non mentiva praticamente mai, quando le si parlava ed era sempre gentile con tutti; le volevano tutti bene, nessuno escluso.

« Celia Shine » le parlò usando il suo vero nome, « non ti ho chiesto un giudizio diretto sulla mia personalità. »; « beh, Jason Goldwing, questo è mio dovere in quanto ho il compito di supervisionare i sodati del Santuario » lo rimbeccò a tono, un pennino da touch screen stretto tra le dita sottili e piccole. Jason lasciò correre l’insulto – anche se non era un insulto, ma il suo orgoglio gli suggeriva tutt’altro – e chiese, cambiando argomento: « porti il nome di una grande casata di Angeli. Perché non sei laggiù, a combattere per Dio? »

Oracle lo studiò per un lungo istante, prima di rispondere ad una domanda così personale, gli occhi vuoti che lo scrutavano nell’anima. « Ho saputo di essere un Angelo quando ho sentito delle gesta di mio nonno, il più potente della mia famiglia. Molti lo dicono, ma è tutto vero: i serafici hanno il privilegio della vita e gioventù eterna. Lo stesso vale per la nostra anima gemella, la persona che scegliamo con cui passare i nostri giorni. Certo, possiamo ancora morire a causa delle ferite o del veleno. Mio nonno ha fatto proprio questa fine: avvelenato. Davanti a sua figlia, mia madre. » sospirò, leggermente intristita. « Gli Shine, fino a mia madre, Islanzadi Shine – o Isla, come la chiamavo io -, sono stati potenti guerrieri che hanno servito il Signore » - si indicò con la punta del pennino - « poi sono nata io: debole, fragile, mingherlina nonostante abbia diciannove anni… »; « diciannove? » sbottò il tiratore, di punto in bianco. Era assolutamente convinto che fosse molto più giovane! Oracle lo guardò di sbieco, già abbastanza imbarazzata d’avergli rivelato la sua età. « Sì, diciannove! » sottolineò aspra; « a causa del mio fisico non sono stata addestrata nelle arti marziali, o a sparare. La mia passione si è da sempre rivelata essere la strategia. Ed è per questo… » si sistemò meglio sulla sedia, « …che hai Angelica, come spotter, e non me. »

« Dai, non è quello che intendevo… »

« Ho capito perfettamente cosa intendevi dire » gli fece notare, corrugando la fronte. « Ora, va’ a pranzare. Il Sonno è durato più a lungo del previsto. Il tuo ultimo pranzo risale a due giorni fa » e gli indicò l’uscita con il pollice. Jason, allora, si congedò.

Quando fu entrato nella mensa, agguantò subito il primo vassoio che ebbe individuato. Aveva fame, sapeva solo questo. Celia aveva tristemente ragione: era rimasto nel Bozzolo più del dovuto e il suo organismo aveva continuato a lavorare. Il tutto era sfociato in una conseguente fame da lupi. Si mise in fila e, quando ne ebbe la possibilità, si riempì almeno quattro piatti: uno con una generosa forchettata di spaghetti al sugo, un altro di costolette impanate, un altro ancora di alette di pollo, e l’ultimo di pancake alla panna montata – attirandosi addosso non pochi sguardi curiosi -. Si fece largo tra qualche ANGEL ritardatario a gomitate e corse a sedersi a un tavolo isolato. La mensa era molto spaziosa e mai vuota. Infatti, dopo essersi risvegliati, tutti i soldati del Santuario finivano per sedersi a quei tavoli e fare il pieno di energie. Per questo le cucine erano costantemente all’opera. Jason addentò avido un’aletta di pollo, dopo averla intinta nella panna montata dei pancake – non pensava fosse molto salutare, ma aveva un buon sapore e gli andava benissimo così -. Masticò, beato di tutti quei sapori che collidevano contro le sue papille gustative. Non si stancava mai di dirlo: Drake, il capocuoco, era il migliore. I suoi piatti erano tutti squisiti – tranne la zuppa di cipolle – ed ogni giorno era sempre curioso di scoprire cos’altro si era inventato. L’unica che non osava mostrarsi lì era Oracle: la prima e ultima volta che aveva deciso di mangiare lì, alcuni ANGEL l’avevano presa in giro, perché, dal momento che discendeva da una famiglia di potenti Angeli, era molto meno di quanto si aspettassero, cieca per giunta. La poverina era scoppiata a piangere e Angelica, infuriata, aveva malmenato due di loro, mentre tutti gli altri li aveva costretti a fare cinquecento giri di corsa per tutto il Santuario, altrimenti, li aveva minacciati, avrebbe fatto rapporto a Dio. Si erano pentiti all’istante di quello che avevano detto, ma la piccola Celia non aveva più osato mostrare il suo musetto, lì. Prese un sorso di cola, dunque tornò ad attaccare il cibo.

Qualcuno occupò il posto di fronte a lui; non capì chi fosse, poiché aveva il capo abbassato per prendere un altro boccone. Quando si tirò su, tuttavia, si ritrovò a guardare un’immagine singolare: un uomo lo stava fissando, le guance gonfie, le labbra sozze di pomodoro. Aveva capelli corti e castani, risultato di due mesi di crescita dopo il taglio militare che doveva fare, secondo il regolamento. I suoi occhi erano piccoli, dall’iride nera ed erano sormontati da due sopracciglia oblique e sottili. Il naso era leggermente più grosso della media. Le labbra erano sottili. Il suo mento era squadrato e la mascella pronunciata. La barba gli stava già ricrescendo. Riprese a masticare: stava guardando il suo riflesso, riprodotto dallo schermo di uno di quegli apparecchi che tutti chiamavano “smartphone”. Deglutì.

« Devi smetterla di farmi questi scherzi, Angelica! » ammonì, portandosi il bicchiere alla bocca una seconda volta. La sua spotter ridacchiò e distolse il telefono dal volto di Jason. « E smettila di rimanere così appiccicata a quell’affare! Ti deconcentra. »; « “cellulare”, prego! » lo raddrizzò lei. Il tiratore sbuffò. « Come ti pare. »

« Sei antiquato » gli fece notare poi, « la Seconda Guerra Mondiale non è stata clemente… » La bocca di Goldwing si schiuse in una smorfia sdegnata. « Non ci posso fare molto, se ho vissuto in quel periodo! » si lamentò; « antiquato e troppo rigido » rise l’altra, « davvero, dovresti imparare a divertirti! Prova a scendere sulla Terra, di tanto in tanto! »

Jason la guardò, dubbioso. « Posso scendere sulla Terra quando non sono in missione? » si meravigliò; « a quale scopo? »

« Non ad ammazzare criminali! » Angelica aprì le mani, come se stesse spiegandogli la cosa più ovvia del mondo. « E cosa dovrei fare, allora? » sospirò lui, già stanco della conversazione. « Cosa ti piace fare? »

« Uccidere…? »

Lei lo guardò, le palpebre socchiuse, in un cipiglio seccato. « Prova ad andare in qualche discoteca, oppure al cinema. O a un concerto! Non ti piace la musica? »; l’altro sollevò le sopracciglia. « Sì, mi è piaciuto quel gruppo che mi hai fatto sentire l’altro giorno… »

« I “Linkin Park”? »

Jason schioccò le dita, quando ebbe sentito il nome. Se c’era una cosa che gli piaceva davvero, quella era la musica; ma, come amava le sinfonie meglio assortite, così detestava il chiasso e la confusione: gli davano sui nervi. Di conseguenza, un concerto era fuori discussione. E quando lo ebbe esplicato ad Angelica, ella sbuffò di esasperazione. « Davvero non gradisci altro, oltre l’uccidere qualche poveraccio? » trillò. « Sì, adoro il silenzio e la pace. Quindi, cerca di non strillare come una scolaretta, per piacere! » ribattè, ottenendo una bionda dal viso scarlatto come gran premio. « Certe volte mi chiedo perché sei stato ucciso da Hitler. Poi mi sveglio e realizzo che sei un gran stronzo! Ecco perché! » incrociò le braccia, mettendo il muso.

« Mio Fuhrer! » salutò, alzando il braccio destro, come sempre gli avevano insegnato. Adolf Hitler, il leader dell’esercito Nazista, in quel momento, gli dava le spalle ed osservava il tramonto di un altro giorno, le mani intrecciate dietro la schiena. Quando il saluto del suo sottoposto gli fu giunto alle orecchie, finalmente si voltò facendo sventolare il candido mantello che il suo gigantesco ego tanto desiderava. Alla sua vista si rivelò il volto di un tedesco di più di quarant’anni, con quel disgustoso baffetto che era abituato a portare. Volto che, appena giratosi, si illuminò. « Jazon! » chiamò, contento; « allora, come è proceduta la mizzione che ti ho affidato? »

« E’ andato tutto liscio » affermò Jason, « ho abbattuto il bersaglio ancor prima che avesse il tempo di salire sul furgone »; l’uomo annuì, veramente compiaciuto della notizia. Di colpo, uno dei soldati dell’SS entrò nella grande sala, salutò il capo e gli consegnò un plico, che venne letto avidamente da quest’ultimo: l’espressione del Fuhrer passò da raggiante ad infuriata in una manciata di secondi, mentre i suoi occhi scorrevano lungo le parole scritte sulla carta. Lento e tremante, posò la lettera sulla superficie della propria scrivania, già rosso in volto per la rabbia. Poggiò anche i palmi sul legno; aveva il fiato pesante. Pessimo segno…

Guardò Jason dritto negli occhi e lui si senti cuore mancare un battito. Quello che aveva appena letto era un rapporto, e non sembrava contenere buone nuove. L’istante dopo la sua voce tuonò in ogni angolo della stanza, in tedesco. Era un ordine: i due soldati che stavano di guardia alla porta accorsero, lo afferrarono in malo modo e lo costrinsero in ginocchio. Uno di loro gli prese i capelli tra le dita, per poi tirare all’indietro, forzandolo a guardare Hitler in volto. Ancora una volta, si rese conto di quanto lo odiasse in realtà: suo padre era un SS, ed era fedele alla causa dei nazisti. Aveva istituito campi di concentramento in tutta Europa, aveva ucciso Ebrei oltre ogni umana comprensione, ma, soprattutto, lo convinse con la paura ad arruolarsi nell’esercito tedesco. Un americano nazista che costringe il suo stesso figlio a prendere parte al più grande genocidio che l’umanità avesse mai avuto la sfortuna di vantare. Jason Goldwing era conosciuto tra le fila di Hitler come il letale “Krähen Moralische”, il “Corvo Mortale”, in quanto qualunque nemico lo vedesse, era già morto e i compagni del caduto che se ne accorgevano, lo prendevano come presagio che non avrebbero respirato ancora a lungo.

L’altro si avvicinò al ragazzo, guardandolo con occhi di fuoco. « Zai coza ho appena letto? » gli chiese in un sibilo; « no » rispose semplicemente. Il Fuhrer inarcò un sopracciglio. « Qvello è un rapporto inviato dalla zqvadra di Vrancia. Gvarda cazo, la tua mizzione era il recupero di un furgone di Ebrei che stavano organizzando una fuga. Tu, a qvanto pare, hai decizo di rivoltarti contro il mio dominio indiscusso e, invece di uccidere il gvidatore Ebreo, hai rizervato quezto deztino alla zqvadra che ho inviato per darti zupporto! » scatenò un potente manrovescio diretto allo zigomo sinistro di Jason. Con la guancia che ancora gli pulsava, tornò a guardare il bastardo con aria di sfida. « Ora » l’uomo frugò dietro la cintura e ne tirò fuori una Mauser Military di colorazione verde oliva; il metallo della pistola dalla canna sottile rifletteva la luce dei lampadari con uno strano riverbero. Il dittatore squadrò l’arma un paio di volte, prima di proferire nuovamente: « zei al zervizio della Germania e dell’ezercito Nazizta da... qvanto? »; « dieci anni, mio Fuhrer! » rispose al suo posto il soldato che aveva portato il rapporto. Hitler sogghignò. « Ja, dieci anni…! » di colpo si voltò ed uccise colui che aveva parlato senza il suo consenso, sparandogli alla testa: un unico spruzzo di sangue e il ragazzo si accasciò a terra, morto. « Dopo cozì tanti anni… » riprese il filo, « …ozi tornare al mio cozpetto, con qvella vaccia tozta, a parlarmi e a mentirmi come ze nulla fozze » lo affiancò. « E’ qvezto il caztigo che meritano qvelli come te! »

L’unica cosa che ricordava dopo era lo sparo…

Una fitta alla testa lo riscosse. Sospirò piano e si portò le mani alle tempie: due cicatrici rotonde gli invasero il senso del tatto, una per ogni lato. « Scusami. Ti ho fatto tornare alla mente quel ricordo? » si preoccupò Angelica; annuì. « Già » affermò, glaciale. Ogni volta che ripensava a quell’episodio, la testa cominciava a dolergli, esattamente nel punto in cui il proiettile lo colpì. « Sei stato riportato in vita cinque anni fa… » rammentò la spotter, « le tue abilità hanno impressionato perfino Nostro Signore. Ti ha richiamato dalla morte e ha fatto di te un Angelo. E’ davvero misericordioso… »; « e tu sei nata Angelo! » sottolineò secco, « anche tu sei stata molto… fortunata! »

Angelica sbuffò. « Come sei noioso! » lo insultò. Goldwing fece per ribattere, ma la sua radio squillò. « Jason, il Grande Capo ti vuole vedere! » comunicò Oracle. Il destinatario spalancò gli occhi: per quale motivo Dio avrebbe voluto parlargli? Sospirò, leggermente innervosito. Poi, alzandosi: « digli che sto arrivando… »; « subito! »

Salutò Angelica.

***

 

All’esterno, nessuno si aspetterebbe come fosse fatto in realtà il Santuario: sembrava una gigantesca portaerei della marina, ma almeno cinquanta volte più grande, in modo da riuscire a contenere tutti gli ANGEL scelti e schierati, con tanto di dormitori, stanze private per combattenti di rango più alto, bagni, mensa e tanto altro. Ma forse un dettaglio fondamentale sfuggiva alla maggior parte: si trovava nel cielo, talmente in alto da non poter essere individuato da nessun radar esistente. Vi era perfino una task force speciale super-addestrata. Era composta da pochissimi, ma l’esiguo numero di componenti veniva totalmente compensato dalle sconfinate potenza e abilità dei singoli. Nessuno conosceva l’identità di questi soldati, tanto meno il loro aspetto, tuttavia, se vedevi qualche container o fascicolo che riportava la sigla R.E.A.P.E.R. significava solo una cosa: roba grossa e molto pericolosa. Girava voce che, addirittura, fossero talmente sensibili alla luce da indossare speciali tute isolanti di protezione; motivo per cui non si facevano mai vedere sulla superficie del Santuario.

Jason ricambiò il saluto di alcuni fucilieri e deviò bruscamente dal percorso, diretto all’Altare, che l’avrebbe portato a cospetto del Signore. Entrò, con il permesso delle due guardie che sorvegliavano il portone. Il luogo nel quale si trovava era un improvviso cambio di stile architettonico: mentre la Corazzata – come chiamavano il Santuario gli ANGEL – era costruita totalmente per fini militari, quello somigliava più ad un’enorme cattedrale, con tanto di campanili e torri. Avanzò in mezzo alle due file di panche a passo spedito, desideroso di non far aspettare Dio più del dovuto. Arrivato dinanzi alla grossa tavola di pietra, si inginocchiò, recitando una piccola preghiera. Quando l’ultima parola ebbe abbandonato le sue labbra, una morbida luce bianca lo avvolse, guidandolo in un’altra dimensione.

« Jason! »

Lo accolse una voce calda, profonda ed affascinante. Il giovane soldato quasi desiderò non riaprire gli occhi, pur di sentire nuovamente costui parlare. Sorrise. Era al Suo cospetto, infine.

« Jason, alzati, ti prego. »

Il tiratore obbedì. Dinanzi a lui si stagliava, fiero ed eterno, il Signore Nostro Dio. Se per canoni umani si poteva intendere, il suo volto dimostrava all’incirca cinquant’anni; portava i candidi capelli legati in una elegante coda di cavallo, mentre la barba era ben curata, dandogli un’aria di importanza e stile ancor più grandi di quanto già non fossero. I suoi occhi, i più saggi che potessero esistere, erano neri, ma il contorno delle pupille era curiosamente giallo, come una coppia di stelle. Il naso era adunco, ma non in maniera volgare: dava, più che altro, al tutto un aspetto più esperto. Il suo fisico poteva far invidia ad un atleta e, vestito di uno smoking bianco, nessuno vi poteva competere. La sala, totalmente bianca, eccezion fatta per la scrivania e la sedia, che erano rossi. L’ospite chinò il capo, in segno di tacito saluto. Dio gli sorrise dolcemente. « Come ti senti? » gli chiese, senza staccargli gli occhi di dosso. Jason esitò per un istante, ma poi rispose: « sto bene, mio Signore. »

Lui annuì, compiaciuto. Piano, si alzò dalla propria scrivania e si avvicinò di qualche passo, intrecciandosi le mani dietro la schiena. « Ragazzo mio, sei sicuro di quel che dici? » domandò; Goldwing titubò. Non sapeva cosa ribattere, ma neanche cosa intendesse. « Ho deciso di intervenire nella pace del mondo – mondo che io ho creato – poiché non volevo che sprofondasse nel caos dell’Apocalisse prima di quando si sarebbe rivelato fondamentale » continuò, non vedendolo rispondere; « il protocollo “THE END è pronto, nel malaugurato caso non vedessi altra soluzione per garantire la salvezza della Terra. Nome interessante, quello che gli avete dato, a proposito! » ridacchiò, per sdrammatizzare. Dunque: « ricordi ancora cos’è il Progetto, vero? »; Jason annuì prontamente. « Il Progetto è una soluzione che Voi avete creato dal niente. Consiste in una base operativa di sorveglianza assoluta che collega la città di Heaven e il pianeta, e in un esercito formato da guerrieri serafici, in modo da garantire la migliore protezione attraverso il dispiegamento di forze ultraterrene. Questo esercito siamo noi, gli ANGEL. A nostra disposizione vi sono gli equipaggiamenti primari W.I.N.G.: armi dalla foggia angelica. Questi sono assegnati solo ad alcuni di noi, in quanto solo coloro che ne possiedono uno sanno come richiamarlo tramite il codice di sgancio, come aprire la cassa che lo contiene ma, soprattutto, come usarlo. L’arma è strettamente legata al suo possessore e i due non si possono scindere, in nessun modo e per nessuna ragione. Inoltre, siamo muniti di una speciale squadra specializzata in inseguimento, recupero o uccisione di fuggitivi: questo vale sia per i traditori che per i latitanti più pericolosi dell’Inferno. »

« E sai come si chiama, questa squadra? »

« So solo che la loro sigla è “R.E.A.P.E.R.” »

Dio sorrise ancora. « Qualcuno ha fatto i compiti. » rise, usando una delle battute più classiche degli stessi umani che Egli ebbe generato. « Sono sorpreso che tu sappia dei R.E.A.P.E.R. » confessò, « doveva rimanere sotto totale segretezza… »; « è difficile tenerlo segreto, quando su tutto il Santuario ne viene sbandierato il nome. » La Sua espressione si fece seria, tutto d’un tratto. « Oracle! » chiamò e, con un tenue bip una finestrella olografica con l’immagine di Celia Shine apparve proprio dinanzi al Padre Eterno; « sì, signore? » fece lei. « Fa insabbiare immediatamente tutti i container che riportano la sigla della task force segreta e sparire ogni documento, fascicolo o qualsiasi cosa che dia solo l’idea che ci sia una squadra speciale sul Santuario. D’ora in poi i carichi di cibo e armi destinati al R.E.A.P.E.R. saranno scortati da due ANGEL sotto totale anonimato. Ai soldati verranno poi cancellati i ricordi legati a questo incarico e sostituiti con memorie false. Il R.E.A.P.E.R. non esiste! Sono stato chiaro? »

La ragazza annuì ed interruppe la chiamata. « Problema risolto » annunciò poi, ritrovata la calma in poco meno di un istante. « Dunque » battè le mani; « ti ho chiamato qui per una ragione, Jason Goldwing! »

« Sono tutto orecchi… » disse il giovane, inchinandosi solenne. « Sono cinque anni che presti servizio, ragazzo mio, e non ti sei mai lamentato della stanchezza o della noia… »; « non mi importa del divertimento » osò interromperlo, « la cosa più importante è la missione. Il divertimento lo trovo nell’uccidere i bersagli della Vostra ira, mio Signore. Vi tradirei, se dovessi distrarmi dall’incarico che avete avuto la fiducia di affidarmi… »

« Non mi tradisci se ti rilassi un po’, Jason! » lo ricambiò Dio, divertito dalla sua reazione. « Sei uno dei migliori ANGEL che abbiano mai combattuto per me, caro Goldwing. Per questo hai continuato a fare le terribili cose che quello sporco… dittatore ti imponeva di fare, mentre la mia intenzione era tutt’altra. So che sei fedele, ma tu ora devi fidarti di me: và sulla Terra e divertiti per qualche giorno. Ho notato che non ci sono stati attacchi dalle Chimere, ultimamente, tanto meno da criminali o terroristi. Hai tutto il tempo che desideri. » Jason spalancò gli occhi, mentre quel discorso gli scorreva nel corpo. Aveva l’opportunità di distrarsi dal dovere per qualche tempo… ma questo che voleva dire? Lo ignorava: fin da quando aveva compiuto dieci anni, era stato costretto ad addestrarsi per diventare un soldato di prim’ordine; sapeva cosa significava essere buoni verso il prossimo, ma non era lo stesso per lo svago. Non aveva idea di cosa significasse, non più.

Ma non poteva ignorare il desiderio di Colui che lo aveva riportato in vita.

Guardò il suo padrone, grato. « Sissignore » fu la sua unica parola, prima che si congedasse.

 

***

 

« Te l’avevo detto… » lo canzonò Angelica, quando fu tornato alla loro camerata. Erano seduti a un tavolo, una bella tazza di caffè in pugno. Jason sbuffò: anche se era così grato dell’offerta del Signore, non aveva idea di cosa fare, per divertirsi. « Hai già qualche idea? » fece lei, gli occhi che le scintillavano, ma JJ scosse il capo. Fu il turno di Angelica per sbuffare. « Hai passato troppo tempo in guerra… » affermò tristemente; « hai mai avuto una ragazza, almeno? »

Goldwing arrossì. « Come se ne avessi avuto la possibilità! » sibilò, nascondendosi dietro la tazza. « E poi, tu non conti? »

« Oh, che ammaliatore! » rise la ragazza. Prese un sorso. « Forse… ma tu non me lo hai mai chiesto. » Lui la guardò, a bocca aperta, ma, subito dopo, si riconcentrò sul liquido scuro che stava bevendo, fingendo che non gli importava. « Prova a portarmi fuori! » propose l’Angelo biondo, « magari mi piacerai abbastanza da accettare di diventare la tua… »; « non ho idea di come si porti avanti una relazione! » sbottò il tiratore, imbarazzato. « Sono stato in battaglia da quando ero un bambino! E prima ancora di avere il piacere di provare il vero amore, sono stato ucciso da uno schifoso dittatore che ha distrutto mezza popolazione europea! » latrò subito dopo, sforzandosi di non usare termini troppo volgari. Il fiato gli si fece pesante: si sentiva stranamente contento, di quello sfogo. Ma non durò a lungo, che subito riprese il suo solito comportamento pacato e non curante. Angelica, però, lo guardava con inaspettata dolcezza; « usciamo insieme… » gli sussurrò. Dunque, si alzò dalla sedia accarezzandogli la mano con le dita. Jason digrignò i denti. Sapeva che se ne sarebbe pentito.

 

***

 

« Lancio eseguito con successo, uscita dal Sonno confermata alle ore “due-tre-cinque-otto” del “ventuno-cinque-duemiladiciotto” » comunicò Jason a Oracle attraverso l’auricolare. Angelica arrivò, trafelata, dopo aver nascosto la piastra che permetteva il richiamo del Bozzolo. « Ricevuto, ANG… oh, giusto! Non siete in missione, voi due! » rise Oracle; « vedete di non tornare prima dell’alba! » detto questo, spense la radio. Jason rimase imbambolato per un attimo, inconsapevole del da farsi. La ragazza era vestita come una classica vent’enne durante un sabato sera: maglietta, giacca di pelle, jeans e non riuscì a vedere le scarpe. Almeno così credeva si vestissero. Lui, invece, era stato costretto ad indossare un paio di pantaloni bianchi da smoking, una camicia di colore scuro e delle scarpe eleganti, oltre al gel nei capelli. Si sentiva ridicolo, ma allo stesso tempo stranamente a proprio agio, conciato così.

Erano atterrati in una piccola area boschiva, vicino ad una discoteca di Parigi. Lui aveva protestato riguardo quella scelta, ma Angelica lo aveva rassicurato: « è passato un mese da quando abbiamo eliminato quel russo: ormai avranno cessato qualsiasi indagine! E’ stato un bel colpo di fortuna, il fatto che tu abbia dovuto compilare tutte quelle scartoffie per farti autorizzare un Lancio non a fini di missione! » Infatti, il povero Goldwing, era stato messo in attesa per tre settimane, prima di poter scendere sulla Terra. Ora che finalmente era lì, si sentiva come pietrificato. L’Angelo biondo lo prese per mano. « Andiamo, forza! » lo incitò eccitata, e si diresse verso l’entrata del club.

« Nome? » fece il buttafuori. Aveva un forte accento francese, come ci si poteva aspettare dai nativi del paese. Indossava una stretta camicia bianca, pantaloni stirati neri e un paio di occhiali a specchio – per un qualche motivo -. Squadrò Angelica per un lungo istante, disgustosamente interessato, dunque si volse verso Jason, questa volta accigliato. Era muscoloso, al fine di scoraggiare eventuali imbucati. « Jason Goldwing e Angelica Halo! » annunciò la sua compagna; l’altro controllò sulla lista, facendo scorrere la penna sui nomi che vi aveva scritti. Con un sospiro, comunicò: « la signorina può passare… »; nel mentre, alcuni uomini vestiti come quello con cui stavano parlando si avvicinarono al collega, richiamati da quest’ultimo attraverso l’auricolare. « …Ma tu non puoi. » sibilò, rivolto al tiratore, un’espressione feroce sul volto inondato di autoabbronzante. Il giovane cecchino inarcò un sopracciglio. « Quindi, vedi di smammave. Su, levati dai coglioni! » ma lui non si mosse. Angelica aveva fatto richiesta per entrambi, qualche giorno prima. La ragazza lo guardò, preoccupata. Non vedendolo reagire, i buttafuori lo circondarono, mettendosi le mani in grembo, nel tentativo di spaventarlo. Era cinque in tutto. Sbuffò. « Controlla meglio… » gli consigliò, pacato; l’omone finse di guardare meglio la lista, per poi scuotere la testa. « Ma avevo detto che saremmo stati in due! » si intromise la spotter, ma venne totalmente ignorata dalla comitiva. Poi, quando fece per mettersi in mezzo agli uomini, Jason la fermò: « ferma dove sei. Ho capito cosa vogliono: vedendo uno come me in compagnia di una donna così bella, hanno deciso che io sono di troppo. » Sogghignò. « Ma non hanno idea con chi hanno a che fare… »

Senza preavviso, uno di quelli alle sue spalle si mosse per afferrarlo; tuttavia, Jason lo anticipò, scartando a sinistra. Si voltò, per poi assestare una falciata dritta allo zigomo del buttafuori. Si piegò in avanti, evitando un ridicolo gancio; colpì l’addome dell’attaccante con una potente gomitata: il nemico crollò subito in ginocchio, tossendo violentemente tra diversi schizzi di sangue. Si mosse ancora e attaccò il terzo con una pedata proprio al setto nasale, il cui impatto lo costrinse ad eseguire un mezzo salto mortale all’indietro. Il maledetto atterrò sul duro cemento, facendo affondare ulteriormente il proprio naso nel cranio. Rotolò a sinistra, mandando a vuoto il pestone del penultimo rimasto; si tirò su con uno scatto delle reni. Lì, mulinò le braccia per parare un paio di ganci, scagliati da entrambe sinistra e destra; subito dopo sferrò una testata sulla fronte dello sfortunato. Seguì un montante diretto al mento di quest’ultimo, che, appena venutone a contatto, finì sollevato da terra di almeno tre piedi. Jason eseguì una giravolta oraria, per poi assestare una falciata con la gamba sinistra all’addome della vittima, gettandolo all’indietro di diversi metri. Si accasciò, perduti i sensi.

Dunque confrontò colui con cui aveva parlato. Questo lo attaccò, ma Goldwing evitò il suo diretto; si abbassò su un ginocchio, colpendo con un manrovescio lo stomaco dell’avversario. Non gli lasciò il tempo di soffrire, che già gli abbatteva sul collo la mano di taglio; fatto questo, afferrò il suo polso e fece pressione sul gomito, slogando l’avambraccio senza sforzo. Pestò il suo ginocchio destro, spezzando anche quest’ultimo. Infine, ne colpì il petto con l’intero braccio, proiettandolo a terra. Era ancora cosciente. L’ANGEL raccolse la lista da terra e la schiaffò in faccia al buttafuori.

« Controlla meglio… » ripetè con un sibilo. L’altro gemette in risposta, annuendo piano. Jason annuì di rimando; con due bruschi strattoni ed altrettanti schiocchi sinistri, aggiustò gli arti che aveva appena rovinato e si diresse verso l’interno della discoteca, con Angelica che, a malapena, riusciva a trattenere le risate.

 

***

 

Paul si svegliò, avvolto da un soffice lenzuolo. Si alzò a sedere, ancora stordito dopo la scorsa, movimentata notte: era andato in discoteca, a divertirsi assieme a Terence ed aveva – decisamente – alzato il gomito fin sopra i capelli. Era passato un mese dall’omicidio di Asimov e del suo autista; si era impegnato, aveva fatto domande in giro, aveva cercato prove – del proiettile neanche l’ombra, proprio come aveva detto Venicè – e tentato di ricostruire la faccenda. L’unica soluzione che gli veniva in mente ogni volta era quella: il Tiratore dei Cieli aveva colpito ancora. Ed altrettante volte, un unico ricordo gli faceva ruggire l’istinto poliziesco:

Entrò nella sala da ballo. Subito la potente musica gli invase l’udito. La ragazza che aveva portato lì, quella sera, Margot, si liberò dalla sua mano e prese a dimenarsi assieme a tutte le altre persone riunitesi in quel posto. Paul le si avvicinò e le gridò nell’orecchio che l’avrebbe trovato al bar; lei gli aveva risposto con un okay e tornò ad agitare il corpo come una forsennata. Arrivato al bancone del bar, ordinò un cocktail: aveva bisogno di una bella botta alla testa e un super alcolico era quello che faceva per lui. Prima di servirlo, però, il barista fece apparire una birra sul vetro illuminato al neon del bancone, la aprì con un’unica mossa del cavatappi e la diede ad un altro uomo. Questo era vestito come un damerino, ma non si comportava da tale. Sembrava stranamente modesto. Era bianco, aveva capelli castani e il viso perfettamente rasato. Era giovane: vent’anni o poco più. Una curiosa aria di familiarità lo avvolgeva, secondo le percezioni di Paul. Schioccò la lingua, dunque, mezzo annoiato e mezzo incuriosito, si fece avanti. « Ti diverti? » fece, alzando la voce. Quello lo guardò di sottecchi e per un attimo temette che l’avrebbe colpito; invece: « mica tanto… » prese un sorso dalla bottiglia scura. Paul rise. « Io sono Paul. Paul Johnson! » gli offrì la mano. Il fighetto gli scoccò un’altra occhiata dubbiosa. Si passò la lingua sui denti da sotto le labbra, poi gliela strinse, ancora un po’ sull’attenti. « Jason Goldwing! » rispose e spostò nuovamente l’attenzione sulla birra che teneva tra le dita. Finalmente, il drink del detective arrivò e lui poté pagare il ragazzo al lavoro. Bevve un poco dell’intruglio dal sapore acuto e si rivolse ancora a Jason: « sei venuto con la ragazza? O ne stai cercando una? » lo punzecchiò con il gomito. « Sono qui con un’amica! » guardò la pista da ballo, come se stesse cercando la stessa donna che aveva appena nominato; « tu, invece? »

« Io me ne sono trovata una! Vediamo come va a finire! »

Si godettero la musica e le bevande per qualche minuto. Poi, mentre il DJ stava cambiando traccia: « dì un po’! Non mi sembri uno di quei ragazzini viziati! Lavori? » chiese Paul, sempre più sciolto dall’alcol. Jason annuì con il capo, l’apertura della bottiglia nascosta dalle sue labbra. « Sono un soldato! »; sul viso del ragazzo di colore si dipinse un’espressione stupita. « Ecco spiegati i muscoli! » rise, « esercito francese? » l’amico scosse il capo. « Sono stato nell’esercito tedesco, per un po’… » sembrò esitare per un attimo. « Sono stato congedato, ma presto tornerò di stanza nell’esercito americano! »; « io, invece, sono un detective! » si vantò Paul; gli venne un’illuminazione. « Magari potresti aiutarmi, a proposito! » urlò.

« Hai mai sentito parlare del “Tiratore dei Cieli”? » Jason lo adocchiò, un sopracciglio sollevato. « No! » scrollò le spalle e bevve ancora. « Avrai sentito almeno dell’omicidio di Aalin Smirnov, no? » stavolta, l’altro spalancò gli occhi. Paul rimase di stucco, dinanzi a quella reazione, ma poco dopo si riscosse dicendosi: sa qualcosa, decisamente.

« Allora, ti viene in mente niente? » fece, sempre più interessato. Goldwing, invece, sembrò ignorarlo e finì la sua birra con tutta calma. Posò una banconota da venti Euro sul bancone; poi, si volse all’uscita. « Sei un poliziotto, eh? » chiese, senza neanche guardarlo; « un detective » annuì. « Allora accetta un consiglio: quando cerchi un indizio o qualcosa, o qualcuno, a cui tieni tanto, guardati bene attorno » lo guardò per un istante, « la soluzione al dilemma potrebbe essere molto più vicina di quanto credi! » e se ne andò, ignorando il barista che lo richiamava a gran voce per rendergli il resto.

Solo allora si rese conto di quello che intendeva: lui era il Tiratore dei Cieli! Era esattamente quello che gli aveva detto! Doveva trovarlo. Trovarlo e parlargli. Balzò fuori dal letto; secondo la sveglia erano già le nove del mattino. Margot era ancora addormentata. Si vestì in fretta e furia e corse al garage, dove si infilò in auto e partì.

 

***

 

Jason si grattò il capo e continuò a sonnecchiare. Si trovava in cima ad un albero, su uno dei rami più grossi, in un boschetto nella periferia di Parigi. Almeno lì, il silenzio c’era tutto. Aveva lasciato che Angelica si trovasse una stanza nei più lussuosi hotel parigini, ma lui, alle prime luci dell’alba, se l’era svignata, alla ricerca di un luogo come quello che aveva trovato. Il canto degli uccellini gli accarezzò le orecchie; era decisamente meglio, rispetto alla musica che metteva Oracle la maggior parte delle volte che tornava sul Santuario. Avrebbe voluto richiamare un Lancio, ma la Shine aveva bloccato la sua frequenza. Allora, si rilassò per conto suo. Era sempre stato così: un amante della pace e della quiete; tranne quando era in missione per il Signore, periodi in cui era una furia omicida come pochi, non faceva nulla, se non leggere oppure ascoltare la musica – e non quella di Oracle -. Liberò il braccio sinistro da sotto la nuca e lo lasciò penzoloni, per permettere al sangue di affluire alle dita; sbadigliò forte. Non poteva neanche fare a meno di pensare: era stato ucciso da Hitler durante la guerra, era finito all’Inferno, condannato a soffrire per i terribili crimini che aveva commesso, sia per scelta che per obbligo. Poi, la luce. Il Signore aveva inondato quegli abissi ardenti con il suo infinito potere; stava cercando proprio lui, Jason, nessun altro. Dio era sceso nella prigione di coloro che l’avevano tradito e l’aveva setacciata solo per lui. Quando lo ebbe trovato, pronunciò solo due frasi: « sto costruendo un esercito per salvare il mondo che io ho creato. Vuoi farne parte ed espiare i tuoi peccati? »; aveva accettato alla prima occasione. Era disposto a combattere un’altra Guerra Mondiale, pur di purificarsi e riposare in pace. Divenne un Angelo, puro ed invincibile, ma la sua abilità in battaglia non era stata modificata: era perfetta, secondo tutti coloro che lo videro all’opera. Ma perché? Per quale motivo Lui era venuto fin laggiù per incontrarlo e fargli quella proposta? Perché proprio lui, Jason Goldwing?

Non aveva idea di quale fosse la risposta. Tutto quello che poteva fare era rimuginarvi sopra. E questo difficilmente l’avrebbe portato alla verità, e, di certo, non avrebbe fatto perdere tempo al suo padrone solo per soddisfare un proprio dubbio. Inarcò un angolo della bocca, dandosi dello stupido. Non poteva, caso chiuso.

All’improvviso, passi affrettati gli giunsero alle orecchie; alzò gli occhi al cielo: la pacchia era finita. Tuttavia, quelli che aveva udito non erano i suoni prodotti da scarponi da trekking oppure stivali, bensì da mocassini, scarpe fin troppo eleganti per riuscire ad adattarsi al terreno appiccicaticcio. La persona che si annoiava tanto da mettersi a camminare per una foresta con un paio di scarpe da trecento Dollari o Euro falcò per qualche altro minuto, fino a fermarsi di colpo.

« Jason! » chiamò qualcuno. Con un gran sospiro e un gigantesco sforzo di volontà, volse la testa ed abbassò lo sguardo, fino a posarlo su un giovane uomo di colore. Dovette lavorarci un po’, ma alla fine si rese conto di chi stesse guardando: Paul Johnson, il detective che aveva incontrato la sera prima. Imprecò. Solo in quel momento si era reso conto di quel che aveva detto al poliziotto, nonostante la frase enigmatica – a sua detta -.  « Cosa vuoi, detective? » fece, riposizionandosi sul ramo; « sei tu, non è vero? » balbettò l’altro. « Tu sei il Tiratore dei Cieli! »; « stammi a sentire ragazzi… » stava ribattendo, ma accadde qualcosa. Un gigantesco boato riecheggiò per l’intera città; a seguirlo, una forte tempesta di sabbia si abbattè sulla foresta dove si trovavano Jason e Paul. Di riflesso, entrambi si coprirono occhi e bocca. Tuttavia, la folata non durò più di sei secondi.

Goldwing levò il braccio e si guardò cautamente attorno: aveva un brutto presentimento. Anche il detective faceva guizzare lo sguardo dappertutto per gli alberi, frenetico. Si aggrappò al ramo e si lanciò verso terra, atterrando senza danni.

Urla e altri boati si levarono dal centro della città.

Era come se un gigante avesse appena invaso la Francia.

Con un piccolo rumore di statico, la radio di Jason si riattivò; dall’altra parte del filo non vi era Oracle, bensì Dio. « Jason! » sembrava allarmato. « Mio Signore? » il ragazzo rispose alla chiamata, ignorando le domande di Johnson; « Jason, una Chimera di fattura umana sta attaccando Parigi! Hai un nuovo bersaglio! Permesso di ingaggiare ed uccidere accordato! » il tiratore spalancò gli occhi. Una Chimera artificiale poteva significare solo una cosa: un umano aveva stipulato un Contratto con un Demone ed era stato posseduto, in modo da avere potere, conoscenza o qualsiasi cosa la bramosia di un uomo potesse desiderare. Digrignò i denti per la vergogna di essere appartenuto ad una razza così disgustosa, per certi versi.

Poggiò il polpastrello all’auricolare ed aprì il canale di comunicazione con il Santuario – l’avrebbe fatto pregando, ma così era molto più rapido -: « richiedo sgancio immediato di equipaggiamento primario W.I.N.G. alle coordinate del tiratore scelto Jason Goldwing. Codice di rilascio: HALORING! »

« Ricevuto, ANGEL! Sgancio eseguito! Buona fortuna! »

La cassa di Goldfeather si materializzò dinanzi a lui, come l’ultima volta. Si abbassò su un ginocchio e subito si punse il dito con l’ago del lucchetto. Questo si sciolse in un istante, come se avesse intuito l’importanza del momento; aprì il contenitore ed agguantò il fucile angelico, senza neanche degnarlo del suo amorevole sguardo. Si volse per andarsene ma rimase di stucco non appena i suoi occhi si posarono su Paul, ancora scioccato da quello che aveva visto pochi secondi prima; « levati dai coglioni… » gli sibilò, per poi avviarsi a passo spedito.

 

***

 

La gigantesca creatura pestò il suo enorme piede, rovinando edifici ed uccidendo persone. Percepì qualcosa di bagnato sulla pianta, a conferma di quello che aveva fatto. I patetici mucchietti di carne gridarono dal terrore e tentarono di fuggire; qualcuno tentò perfino di attaccarlo, scagliandogli contro dei ridicoli pezzetti di piombo con quelle che loro chiamavano “armi da fuoco”. Tutto quello che riuscirono ad ottenere, tuttavia, fu l’esatto contrario: credevano di ucciderlo, ma furono loro quelli ad essere massacrati, dilaniati, stritolati. Pece qualche passo in avanti; lì, si ritrovò dinanzi a un oggetto singolare: fatto di una miriade di bastoncini di metallo, una sorta di lancia spuntava dal terreno. Era piuttosto alta, ma gli arrivava soltanto al petto. La evitò, poiché gli era stato insegnato che le armi degne di questo nome meritavano rispetto.

Era alto, molto alto. E forte. La sua pelle era stata intessuta con particelle di metallo proveniente direttamente dall’Inferno, per questo resistentissima a qualsiasi tipo di trauma. Tutto quello che indossava era una corazza da gambe, che, però, non gli arrivava ai piedi. Sferrò un pugno a terra, facendo crollare alcuni grattacieli; le urla si levarono nuovamente, ma a lui giungevano come formiche che si lamentavano di una fiammella. Sogghignò: il suo istinto gli dava così tanto piacere, nel distruggere ed uccidere creature a lui inferiori, che sentiva il bisogno assoluto di continuare. E così fece.

Finché non lo vide.

Un altro umano stava rapidamente avvicinandosi dalla periferia della città; riusciva a vederlo perfettamente: era giovane e tra le mani portava un’altra di quelle “armi da fuoco”. Questa era bianca e rossa. Ne osservò il volto. Non era spaventato, né arrabbiato per quel massacro. Anzi: aveva la sua stessa, identica espressione sanguinaria. Ne fu orgoglioso, per quanto la sua limitata mente glielo potesse permettere. Un umano che era agguerrito tanto quanto lui era una bestia rara, un mostro perfino più spaventoso di quanto potesse essere lui stesso. Inaccettabile. Era inaccettabile che un comune mortale riuscisse a sottometterlo, anche se virtualmente. Ringhiò, facendo vibrare il terreno stesso. Il nemico si stava avvicinando, balzando di tetto in tetto; era perfino così agile.

Jason guardò con cosa era costretto a confrontarsi. Quello su cui aveva posato gli occhi era letteralmente un gigante, un mostro talmente grande da superare in altezza perfino la Tour Eiffèl. Non riusciva a credere che un uomo posseduto potesse realizzare qualcosa di simile. Ma aveva degli ordini e non avrebbe disobbedito, per nulla al mondo. Evitò delle macerie, saltando su un altro tetto e continuò a correre a perdifiato.

Balzò in alto. Il bersaglio è rinforzato con una lega speciale di metallo infernale impiantata tra le cellule della carne. Sono così tante e talmente sottili da fornirgli una corazza impenetrabile. Però…

Sollevò il fucile, ancora in aria, ed allineò il centro del mirino con lo sterno della creatura.

… il suo creatore non ha considerato che gli Angeli possono vedere oltre la più spessa delle armature!

La sua visuale tremolò per un istante; dunque, tutto quel che vedeva divenne di un bel rosso acceso, salvo per le ombre. Come sospettava, anche il petto del gigante era totalmente rivestito dal metallo; sbuffò. Non avrebbe fatto differenza. Semplicemente, espulse il primo proiettile del caricatore e fece fuoco. Sparò un unico colpo, che andò a schiantarsi contro lo sterno nemico. Con grande sorpresa del bersaglio, il petto si squarciò e si aprì in mille pezzi: il colpo era talmente potente da distruggere totalmente il busto del gigante. Un’inumana ondata di sangue sommerse le vie di Parigi, mentre la Chimera cadeva a terra, come se l’intera azione fosse vista al rallentatore.

Jason sogghignò, quando fu atterrato su un edificio integro per osservare il risultato del suo lavoro. La missione era compiuta, con un unico proiettile. Si voltò a raccogliere quello che aveva espulso prima di sparare. « Oracle? » chiamò; « sono qui! » rispose la ragazzina.

« Bersaglio abbattuto! Richiedo Lancio di ritorno al Santuario, ASAP! »

« Ricevuto! »

Guardò un’ultima volta il grosso cadavere fatto a pezzi. Poi, si diresse al punto di ritrovo.

 

 

GLOSSARIO DI SNIPER

Tiratore dei Cieli – Il soprannome dato a Jason Goldwing da ogni poliziotto che abbia indagato sugli omicidi da lui commessi. Viene chiamato così perché chiunque abbia avuto la fortuna – o sfortuna – di vederlo, affermava di aver veduto un raggio di luce nel punto in cui si trovava;

Santuario – La base operativa ANGEL  sulla quale è stato collocato il leggendario Progetto. E’ una enorme portaerei – almeno cinquanta volte più grande di una normale portaerei – fatta apposta per accogliere tutti i soldati scelti da Dio. Offre ogni tipo di abitazione o edificio necessario per l’addestramento e la vita e tempo libero dei combattenti;

ANGEL – Soldato serafico accuratamente selezionato per far parte del Progetto. Ogni ANGEL è un Angelo, senza eccezioni;

Sonno – E’ la fase fondamentale per eseguire un Lancio. Consiste nel separare l’anima del soldato internato nel Bozzolo dal corpo a cui appartiene, attraverso uno speciale gas che viene iniettato nella capsula. Poiché il viaggio durante il Lancio attraversa grande spazio e numerose dimensioni, queste parti fondamentali devono essere preservate, poiché, in caso contrario, si corre il rischio di perderne una o entrambe;

Bozzolo – Speciale capsula di vetro impenetrabile, necessaria per il Lancio. E’ a forma di un sottilissimo fiore di loto. Nella parte inferiore sono presenti quattro valvole che permettono l’iniezione del gas che induce il Sonno;

Lancio – Processo utilizzato per raggiungere la superficie terrestre dal Santuario. Consiste nel separare l’anima dal corpo del soldato, onde evitare la perdita di uno dei due, e il lancio all’interno di una capsula speciale chiamata Bozzolo. Lo stesso vale per il ritorno;

W.I.N.G. – Warfare, Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear. E’ l’equipaggiamento fondamentale degli ANGEL in missione speciale sul pianeta Terra. Solo alcuni soldati vengono legati a un W.I.N.G. e non possono assolutamente venirne separati, per quanto ci si possa sforzare. Se un ANGEL perde il proprio W.I.N.G. viene scomunicato, nessuno escluso. I W.I.N.G. sono uno diverso dall’altro, in base alla specializzazione del soldato al quale vengono assegnati; tipicamente sono armi da fuoco;

R.E.A.P.E.R. – Retrieval, Earth, All-terrain, Pre-emptive, Elìte Raiders. E’ la task force segreta di stanza sul Santuario, specializzata in missioni furtive, inseguimento e recupero fuggitivi, blitz e uccisioni di elementi estremamente pericolosi per i regni sia umano che ultraterreno. Ogni soldato facente parte di questa squadra è un guerriero dalla forza e abilità che trascendono perfino gli stessi ANGEL. Il segreto è tenuto perfino dagli stessi soldati di Dio. Nessuno sa chi o cosa siano, ma si vocifera che abbiano a che fare molto spesso con la Morte in persona;

Altare – Un normale altare posto nella cattedrale del Santuario. Permette di avere udienza con Dio, solo su richiesta di quest’ultimo;

THE END – Letteralmente “LA FINE”. E’ il protocollo militare di misura estrema ideato da Dio: se le cose per la Terra e gli umani dovessero peggiorare oltre un certo limite, il protocollo THE END porterà la fine di ogni cosa;

Progetto – E’ la soluzione che Dio ha voluto assumere per proteggere il mondo che ha creato. Consiste in un esercito di Angeli (gli ANGEL), e una base operativa che collega la Terra e la città di Heaven (il Santuario);

Heaven – E’ la città di Paradiso, luogo di pace e riposo eterni, dove le anime dei caduti e assolti possono, finalmente, godersi le gioie che meritano;

Chimera – Creatura generata dal Demonio oppure dai suoi sottoposti. Possono avere qualsiasi forma o dimensione, ma hanno un unico obiettivo: l’obliterazione delle forme di vita terrestri;

Contratto – Patto stipulato tra umano e Demone. Può essere concluso in qualsiasi modo, ma quello più conosciuto è la Vendita dell’Anima oppure il Giuramento di Sangue.

 

 

Giovani, un saluto a tutti dal vostro Silvio Shine di fiducia!

Innanzitutto, mi scuso umilmente per questo grande ritardo: questo capitolo mi ha portato via molto più tempo di quanto credessi!

Dunque, spero che questo nuovo “episodio” di Sniper sia stato di vostro gradimento. Abbiamo scoperto già tante, tante cose sui nostri protagonisti – specialmente Jason – ma altrettante rimarranno nascoste fino a tempo debito; un nuovo personaggio è stato introdotto nella storia: Paul Johnson, un detective di Detroit trasferito a Parigi su sua richiesta per continuare ad investigare sul misterioso Tiratore dei Cieli. Ma per quale motivo ne è così ossessionato? Ha un conto in sospeso con lui? Lo sapremo in futuro!

Cosa sono le Chimere? Per quale motivo è stato istituito il Progetto? E’ solo per proteggere gli uomini dalle forze dell’Inferno oppure si mira a qualcosa di più importante? Perché Jason è stato riportato in vita, senza sé e senza ma? Angelica è davvero chi dice di essere? E il R.E.A.P.E.R. è davvero così pericoloso come descritto da Dio stesso?

Sono ottime domande, ma altre si aggiungeranno nel prossimo capitolo: “Il Terrorista Chiacchierone”!

Recensite, mi raccomando!

 

KEEP IT UP!

- Silvio Shine

   
 
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