“Era il tuo ragazzo?” mi chiede Silvia.
“Sì, domani viene qui. Secondo voi riesco a farlo rimanere qua una notte?”
“No.” Ho capito che l’ottimismo non è proprio la qualità principale di Alessandra.
“Vedrai che ci riusciremo, forse posso aiutarti.”
Sto amando ancora di più Silvia, forse grazie a lei riuscirò a stare un’intera notte con Liam. Dio, quanto sarebbe bello.
“Ora però sarebbe meglio andare, non voglio che ci scoprano qui. Marti, Ale, andate pure avanti. Devo parlare un attimo con Irene.”
Silvia riesce ad essere autoritaria ma benevola nello stesso momento, più la conosco, più la vorrei conoscere ancora meglio.
“Da quanto state insieme?” mi chiede lei mentre si infila gli shorts.
“In realtà non stiamo insieme. È molto complicato.”
“Ti ascolto.”
“Per farla breve, lui era fidanzato quando ci siamo conosciuti. Dopo qualche tempo si è lasciato con la sua ex e ci siamo baciati. La settimana prima che io partissi poi…” taccio, non so come verrei giudicata da lei.
“Siete stati a letto insieme?” mi chiede lei, quasi sapesse già tutto. Non lo fa con tono accusatorio, anzi, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Cosa che alla fine è.
“Esatto.”
“Capisco. Ti deve piacere proprio tanto, e si vede anche da come ne parli. Ti si sono illuminati gli occhi.
Credo di riuscire ad aiutarti, ma devi mantenere il segreto su cosa ti dirò.”
“Certo. Però, perché mi aiuti? Rischi grosso in questo posto e ci conosciamo solo da poche ore.”
“Ho fatto tante cazzate prima di venire qui.”
Rimango zitta, aspetto che vada avanti con il discorso.
“Prima che mio padre mi mandasse in questo collegio ne ho davvero passate tante. Sono stata tirata in mezzo in cose più grandi di me, da persone più grandi di me. Ero egoista, pensavo solo a farmi e a sballarmi. Mi è stata data una seconda occasione e voglio aiutare le persone, non fotterle come facevo prima.”
“Ed è per questo che sei qui?”
“In parte. Vedi, mia madre è morta un anno fa. Un mese dopo la sua morte, non provavo assolutamente niente: né tristezza, né rabbia, nulla. Incontrai un ragazzo, Federico, aveva 26 anni, era il buttafuori di una discoteca di Roma. Mi piaceva: era il classico cattivo ragazzo e io all’epoca ero la classica perfettina, non bevevo, né fumavo, ero ancora vergine. Mi misi insieme a lui e solo poco dopo scoprii che era invischiato in dei circoli strani di cocaina ed ecstasy. Provai entrambe e andai avanti così per mesi; fino a quando una notte, erano le 4 ed eravamo appena usciti da un locale entrambi in condizioni pessime, salimmo sulla sua macchina per andare a casa sua. Non ci arrivammo mai, lui sbagliò corsia e ci schiantammo contro un’altra macchina.
Era una famiglia che tornava a casa da un compleanno, morirono tutti: madre, padre e una bambina di 5 anni, che guarda caso, si chiamava Silvia. Federico entrò in coma e tutt’oggi è ancora in ospedale, attaccato ad una macchina per farlo respirare.”
Il racconto di Silvia mi fa gelare il sangue e mi fa venire la pelle d’oca. Le scende una lacrima sulle guance, ha uno sguardo mesto, le parole le uscivano con amarezza.
“Mi dispiace per quello che hai dovuto passare.”
“È solo colpa mia. Non me la posso prendere con nessuno.”
“Non è colpa tua, non c’eri tu al volante.”
“Ero io però in discoteca a bere e a far bere Federico. Ho sulla coscienza tre persone, tra cui una bambina.
Ogni notte la sogno. È da quella sera che non tocco più alcol o droghe. Quant’ero stupida.”
Non so cosa rispondere, così mi viene naturale abbracciarla.
Restiamo abbracciate per un po’, poi decidiamo di tornare dalle altre e cercare di pensare un po’ ad altro.
Questo capitolo è corto, lo so, ma volevo ritagliare uno spazio anche per Silvia, personaggio che mi sta molto a cuore. Spero che nonostante la brevità, vi sia piaciuto.
Alla prossima
Buck98 aka Beatrice