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Autore: FreienFall    11/02/2016    1 recensioni
Ho fatto una scelta e ora sono come sono.
Ho abbandonato il superfluo, eliminato l'indispensabile, per dedicarmi solo alle cose importanti. Non ho tempo per niente e per nessuno.
"Qualcosa non mi torna, qualcosa mi sfugge, c’è qualcosa di quel ragazzo che mi attira; non riesco a capire, più ci penso e più rimango incatenato al dubbio."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti, ecco il secodno capitolo di Unspoken! Spero che vi piaccia e che recensiate, sia positivamente, sia negativamente. Ringrazio di cuore chi segue questa storia e chi l'ha recensita. Buona lettura! Chiara.

2.


Rimango attonito, senza fiato, con le labbra semiaperte, il battito del cuore regolare che mi rimbomba nel petto e nella testa. Una ragazza. È una ragazza cristo. Impossibile, nessuna ragazza avrebbe mai fatto a botte con quella montagna di Klaus, nessuna ragazza avrebbe mai fatto a botte in generale!
Ma che c'entra, questa non è la cosa importante. Come ho potuto non accorgermene? Forse è l'abbigliamento, i capelli nascosti sotto il berretto, il viso pulito, senza trucco. Non capisco. Qualcosa che non mi tornava c'era e i suoi occhi mi avevano parlato certamente, ma in una lingua che non conosco. Forse proprio per questo avrei dovuto capire. I suoi occhi mi parlano anche ora mentre io sono immobile come uno stupido.
Ma non è neanche questa la cosa più importante, idiota che non sono altro! È il legame, lo sento, lo schivo. Un nesso sottile, invisibile, ma percepibile, qualcosa che mi ha fatto capire che dovevo andare via. Dio non l'ho fatto! Niente legami Tom, niente legami! È la prima regola! Devo spezzare quel filo che inspiegabilmente mi lega a lei, devo troncare subito. «Hey?! Quantomeno vorrei sapere il tuo nome!» la sua espressione ora è divertita e io mi scuoto dai pensieri stupidi che mi affollano la testa «Si scusa pensavo ad altro, Tom, mi chiamo Tom» stringo la sua mano sospesa davanti a me, la stretta è salda e lunga. «Da quanto tempo suoni? Amo la musica ma a suonarla non sono davvero capace, mi suoneresti qualcosa?» mi guarda come se fossi la persona più importante al mondo, come se ogni momento dovesse essere vissuto e spremuto fino alla fine prima che fugga via «Ehm, io suono da sempre, insomma da quando mi ricordo ho sempre suonato» sistemo il cappello dietro la nuca e subito dopo la visiera, sono a disagio, non so se voglio rimanere ancora qui. «Posso?» mi chiede tirando un sorriso e indicando la chitarra che avevo in mano, non faccio nemmeno in tempo a rispondere che lei si siede a terra e impugna la chitarra improvvisando. In un attimo sono a fianco a lei e le spiego come tenere le braccia, come posizionare le mani e come suonare un paio di note. «Accidenti è difficile, te l'ho detto che non sono brava, suona tu» di nuovo gli occhi, dal disegno delicato, grandi, con le iridi dipinte di intricati arabeschi, puntati sull'imbarazzo celato dei miei «Per favore!».


Acconsento, delicatamente prendo la chitarra e mi concentro solo su di lei. Il legno chiaro mi calma, le corde tirate sono come una calamita per le mie mani che appena vi si posano smettono di tremare. Inizio a suonare e Ari mi fissa incantata, poi pian piano si lascia andare e chiude gli occhi mentre io mi perdo nella mia musica: torno ad uno stato di pensiero in cui il linguaggio sono le note e le emozioni si esprimono davvero, senza bisogno di spiegarle, sono nudo.
Finisce il pezzo, riapro gli occhi, tornando alla realtà di tutti i giorni piena di finzioni e di maschere, richiudendo me stesso in un cassetto. Ari è ancora ad occhi chiusi, si è tolta il cappello e ora mostra un caschetto castano scuro poco sopra delle spalle, le braccia incrociate posate sopra le ginocchia, il respiro leggermente accelerato. La fisso in silenzio, mentre combatto con me stesso, mi piace, si vede, ma non è come le altre, non è una botta e via. Per questo non posso, il mio corpo si irrigidisce, ho i muscoli in tensione, le mani nervose. Poso la chitarra a terra «È stato bellissimo» sussurra dischiudendo gli occhi, io sussulto e mi giro di scatto verso di lei.
Quella frase bisbigliata con voce roca, sembrava un invito allettante, un empio segreto sconfessato, una provocazione ardita che mi aveva preso alla sprovvista, tanto che il mio corpo di nuovo reagisce con un brivido.
I nostri visi sono a una distanza quasi impercettibile. Ari mi guarda senza rimpianti, pronta, audace e quelle labbra carnose e sode di un colore così naturale, sono invitanti e sembrano contenere un soave piacere e un'impetuosa tempesta. Siamo ancora più vicini, gli occhi chiusi, partecipi l'uno dell'altra solo con il respiro. Sento il profumo della sua pelle, il calore del suo sospiro, vorrei prenderla in quel momento, bere dalle sue labbra, scottarmi con il suo corpo. Non posso farlo! Devo tornare in me! Devo controllare il mio corpo, il mio cuore! Le sue labbra toccano le mie bramose, sto perdendo il controllo o forse l'ho già perso, devo alzarmi, devo andare via ora prima che sia tardi. Mi allontano di scatto con una smorfia quasi di dolore sul viso, il cuore così forte da sembrare un tamburo, mi alzo scombussolato e teso «D-devo andare» la voce mi tradisce, forse anche il viso e gli occhi mi tradiscono, è da tanto che non mi mostro turbato, mi fa paura. Ari ha il fiato mozzo, l'espressione di chi ha interrotto il piacere nel momento più bello, le sopracciglia aggrottate, le labbra poco dischiuse, gli occhi ancora pieni di desiderio insoddisfatto. Prendo la chitarra e quasi scappo mentre lei rimane immobile senza dire una parola.

Apro la porta di casa, il tragitto a piedi non mi aveva aiutato anzi aveva solo riempito ancora di più la testa di pensieri. «Si può sapere che fine avevi fatto? Ti ho cercato ovunque e ti ho chiamato mille volte, stavo per chiamare chi l'ha visto!» urla Bill correndo verso di me dalla cucina. Mi si butta addosso e mi stringe forte a sé, grazie a dio c'è lui. «Ho preparato il pranzo e indovina che cosa ho cucinato?» il suo sorriso sincero a trentadue denti e i suoi occhi brillanti quasi mi esplodono nel petto; faccio spallucce «La pasta Tom, il tuo piatto preferito! Sbrigati posa la roba e vieni di là che è quasi pronta» mi stampa un bacio sulla guancia e ritorna zompettando in cucina. Io butto giacca e zaino sull'enorme divano del salotto e la chitarra sul tavolo di cristallo: c'erano dei vantaggi a vivere praticamente da soli. «Dov'è zia Kris?» domando dal salotto «Stamattina è partita per Hong Kong starà fuori due settimane, ne abbiamo parlato ieri sera a cena, ti sei rincoglionito?» giusto, lo avevo dimenticato. Entro nella cucina spaziosa openspace che da su un tavolo ovale di ciliegio, apparecchiato come si vorrebbe in una tavola regale. «Insomma dove eri finito? Ho saputo che c'era stata una rissa, ero preoccupato che ci fossi finito in mezzo!» mi siedo al mio posto a tavola «Bill hai mai notato un ragazzo del primo anno, bassetto, magrolino come te, con gli occhi verde scuro?» gli chiedo ignorando la sua domanda. «Non saprei Tomi ce ne sono almeno una decina che corrispondono a questa descrizione» «No, è impossibile che tu non lo abbia notato! Ha uno stile molto simile al tuo e al mio messi insieme e indossa sempre un berretto» «Aaah ma certo! L'altro giorno ho notato la sua maglia oversize: aveva la skyline di New York, davvero bella! Perché?» mi porge il piatto e si siede anche lui davanti a me.
«Klaus l'ha picchiata e visto che le stava prendendo sul serio, sono intervenuto» gioco con la pasta guardandolo di sottecchi, lui strabuzza gli occhi allibito, il cibo sulla forchetta sospeso a mezz'aria «"Picchiata"? È una ragazza? Tom raccontami!» «Non lo so Bill, io non lo sapevo, ho visto un ragazzino in difficoltà e mi sono messo in mezzo per aiutarlo. Mi sembrava la cosa giusta da fare ma poi ho sentito un legame, sono attratto da lei Bill, ma non come al solito, c'è qualcosa che mi trattiene concentrato su di lei. Mentre stavo con lei non riuscivo ad andare via, anche se sapevo che era la cosa giusta da fare». «Ok Tom non capisco, qual è il problema? È ora che ti concedi di provare qualcosa per qualcuno! Se questa ragazza ti piace dovresti darti una possibilità!» aveva parlato con cautela come se si aspettasse di vedermi cadere in pezzi. «No, non se ne parla, non siamo ancora pronti, non ci siamo ancora ripresi completamente, dobbiamo pensare l'uno all'altro e non posso farmi distrarre da una ragazza! No Bill non mi interessa di lei, non ne voglio parlare!» interrompo l’argomento sul nascere.
Bill ama l’amore, forse perché non è mai stato tradito, forse perché lo commisura su quello dei nostri genitori e sul mio, cioè sul nostro. Sarei disposto a fare qualunque cosa per non fargli mai cambiare questa idea illusa dell’amore: pensa che l’amore sia solo puro e senza doppi fini, senza finzioni; che il sentimento sia eterno e invincibile e che sia la vita ad opporvisi. Lui pensa che sia stata la vita ad averci portato via l’amore di mamma e papà in quel dannato incidente.


Quando cade un aereo, non si sa a chi incolpare, non è colpa del pilota che è morto come tutti gli altri passeggeri, che ha fatto di tutto insieme al copilota per fare un atterraggio di emergenza, non è colpa dei piloti di terra che avevano fatto perfettamente il loro lavoro, non è colpa del meteo perché quel giorno c’era il sole. Alla partenza tutto era in ordine e funzionante e poi un guasto meccanico, imprevisto, imprevedibile. Centosettantatre morti, qualche disperso, che volevano solo godersi una settimana bianca a Courchevel sulle Alpi francesi. Non è stato facile per noi, la nostra vita è cambiata, noi siamo cambiati. Siamo finiti in un tunnel oscuro in cui ciò che volevamo era lo sfogo e la non coscienza di sé e del mondo. Detestavamo tutti e anche noi stessi, eravamo come una persona sola contro il mondo.
Non ne siamo ancora usciti completamente, ci portiamo dietro ancora qualche strascico della tragedia e delle sue conseguenze. Fortunatamente zia Kristine ci aveva presi in affido ed era venuta a vivere a casa nostra, nei periodi in cui non viaggiava per lavoro, e le cose erano pian piano migliorate. «Bill hai preso le pillole?» a proposito di strascichi. «Le ho prese stamattina e poi devo prenderle nel primo pomeriggio» l'espressione sul suo viso cambia incupendosi. Sparecchio la tavola e nel mentre ho un'idea geniale «Hey Bill che ne pensi se diamo una festa da noi questa sera?» il suo nuovo sorriso, complice mi scalda il cuore. Abbiamo entrambi bisogno di divertirci e questa sera sarà uno sballo.
   
 
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