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Autore: Adeia Di Elferas    12/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Dopo l'incontro con Leonardo, Caterina non fece altro che godere della lontananza dal marito e della compagnia di sua madre Lucrezia.
 Se spesso al mattino Caterina usciva assieme a Gian Piero e al fratellastro Piero per andare a caccia o si esercitava con loro nell'uso della spada, passava invece i pomeriggi oziando, andando a assieme alla madre a fare brevi cavalcate verso la campagna o passeggiando mano nella mano con lei, mentre le due si raccontavano piccoli dettagli della loro vita.
 Caterina parlava solo delle cose belle che le erano capitate, ma anche dei momenti di assoluta eccitazione che aveva provato nel prendere Castel Sant'Angelo o nell'impugnare una spada sul campo di battaglia.
 Lucrezia ascoltava, cercando davvero di capire, benché nella sua vita non avesse esperienze paragonabili, e poi le raccontava della sua nuova vita come moglie di Gian Piero, dei due figli che aveva avuto con lui e della sua rinnovata tranquillità.
 Entrambe traevano piacere dalle parole dell'altra perché, anche se a volte appariva palese che quelle frasi erano scelte con cura e misurate in modo da nascondere anche qualche verità scomoda, quei discorsi dimostravano che avevano avuto anche dei momenti di serenità.
 Caterina stava lentamente rinascendo. Si sentiva più calma e meno incline a perdere la pazienza. Riusciva a dormire con più facilità e gli incubi se ne stavano andando uno dopo l'altro. Il modo rapido in cui alcune sue ferite stavano guarendo aveva del miracoloso.
 Lucrezia poteva vedere coi suoi occhi i miglioramenti della figlia, nel modo più disteso in cui parlava, nei sorrisi, sempre più frequenti e sempre più spontanei, che le dedicava. Era come veder rifiorire un cespuglio di rose selvatiche. Anche se le spine erano sempre lì al loro posto, i fiori, bellissimi e profumati, le vincevano, mostrandosi in tutto il loro splendore.
 Chiara le osservava senza mai intromettersi, cercando di capire come potesse il loro legame essere tanto stretto malgrdo fossero state lontane l'una dall'altra per anni.
 Avrebbe voluto potersi sentire come loro, ma ogni giorno di più si faceva persuasa che era troppo diversa per poter essere capita e per poterle capire, così si limitava a stare in loro compagnia quando capitava, e aspettare che arrivasse il giorno del suo secondo matrimonio.
 Ludovico aveva allentato la sorveglianza che all'inizio gli era parsa tanto indispensabile. Sua nipote non stava facendo nulla di strano, se non starsene con sua madre e, finché non ci fossero state notizie o pettegolezzi sulle corti di Imola e Forlì, non aveva senso impuntarsi contro una simile donna.
 
 “Secondo me sarà un maschio.” disse Lucrezia, mentre si metteva a sedere accanto alla figlia.
 La sua esclamazione era dovuta al fatto che quando era entrata nella stanza, Caterina si stava accarezzando pensierosa la pancia.
 “Un altro?” sbuffò ella, quasi divertita: “Devo forse mettere in piedi un esercito?”
 Lucrezia sorrise: “Preferiresti una bambina per trovare una compagnia alla piccola Bianca?”
 “Bianca si trova bene coi suoi fratelli.” disse subito Caterina: “Anche se non scappa come facevo io davanti ad ago e filo, non disdegna nemmeno i giochi più... vivaci.”
 Lucrezia aveva gli occhi che brillavano, come ogni volta che sentiva parlare della sua nipotina mai incontrata: “Ci avrei scommesso che fosse simile a te...”
 “In realtà ha il tuo profilo e credo che diventerà bella come te, quando sarà più grande.” fece Caterina, mentre rivedeva davanti a sé il viso di Bianca.
 Provò una piccola fitta di dolore, quasi impalpabile e dapprima non capì che quello altro non era che un accesso di malinconia.
 “Mi piacerebbe poterla conoscere.” sospirò Lucrezia, prendendo dal tavolo il suo lavoro di ricamo: “E mi piacerebbe conoscere anche gli altri quattro...”
 “Magari quello che porto ancora dentro di me nascerà mentre sono ancora in questa casa...” provò a dire Caterina, con tono casuale.
 Lucrezia le dedicò un rapidissimo sguardo severo, che si addolcì subito mentre constatava: “In effetti, se vuoi restare fino alla fine dell'estate, potrebbe essere proprio così.”
 Caterina sospirò lentamente. Da giorni non si permetteva di pensare a quando sarebbe tornata a Forlì. Non riusciva ancora a considerarla casa sua, quella città. Per lei era Milano la sua casa...
 “Vorrei poter restare qui per sempre.” sussurrò Caterina, mentre Lucrezia prendeva tra indice e pollice l'ago per il ricamo.
 La madre guardò a lungo la figlia e poi le ricordò, con fermezza: “Hai dei figli.”
 Caterina, pur sentendosi ridicola, buttò lì un'idea che le era frullata per la testa qualche tempo addietro: “Potrei andare a prenderli o farli portare qui da qualcuno. Starebbero meglio in questa casa con te che non nel palazzo di Forlì con mio marito.”
 Lucrezia abbassò il ricamo e scosse il capo: “Mi piacerebbe averli qui, ma sai meglio di me che anche solo pensare a una simile soluzione è impossibile. Si scatanerebbe uno scandalo e tuo marito ha ancora parenti potenti. Non dimenticarti che anche se il papa Sisto IV è morto e sepolto, Giuliano Della Rovere è ancora vivo e la sua fama si rafforza di giorno in giorno.”
 Caterina inclinò la testa e si mise a fissare la parete per non dover sopportare lo sguardo di sua madre: “Mio marito...” sbuffò.
 Quanto suonavano come una condanna, quelle parole.

 “Fatelo entrare...” concesse Ludovico Sforza, accigliandosi.
 Non era dell'umore giusto per ricevere dei messaggeri, perchè quel giorno aveva litigato con Cecilia, che lo rimproverava di curarsi troppo della salute del nipote Gian Galeazzo.
 Quel ragazzo sempre preda di dolori e di orribili coliche, secondo Cecilia, distraeva eccessivamente Ludovico che, invece, avrebbe dovuto occuparsi più di lei che non del nipote.
 Egli aveva cercato di spiegarle che essendo il reggente di Gian Galeazzo era suo preciso dovere vegliare su di lui e quindi occuparsi anche del suo stato di salute, ma Cecilia sapeva essere così insistente...
 Un giovane uomo con indosso i colori dei Riario si inchinò davanti allo scranno di Ludovico: “Porto una missiva urgentissima per la Contessa Riario.” esordì.
 Ludovico restò quanto meno sorpreso da una simile presentazione, così chiese, retoricamente: “Venite da Forlì, dunque?”
 Il messaggero scosse con forza il capo e, restando sempre con un ginocchio in terra, prese dalla borsa che portava con sé una lettera e, alzandola verso il reggente del Duca di Milano per mstrargliela, rispose: “No, mio signore, non mi mandano dalla città di Forlì, ma dalla città Imola.”
 “Ma dai...” bisbigliò Ludovico, stupefatto.
 Allungò una mano e disse, sbrigativo: “Dunque datemi questo messaggio. Sarò io a darlo a mia nipote.”
 “Mi spiace, mio signore, ma devo essere io stesso in persona a consegnare la missiva alla Contessa.” si impuntò la staffetta, ritirando subito la lettera.
 Ludovico si indispose immediatamente, ancora molto provato dal litigio con Cecilia, così lo liquidò: “Mia nipote non è qui. Potete chiedermi di mandarla a chiamare a corte, così potrete leggere la missiva davanti a lei e a me contemporaneamente oppure potete andare a cercarla.”
 “Dove la posso trovare?” chiese il messaggero, la cui urgenza ormai era impossibile da non notare.
 “E io che ne so.” fece subito Ludovico, con un'alzata di spalle e una breve risata.
 “Allora chiedo alla vostra signoria di farla chiamare a palazzo. Si tratta di un affare della massima urgenza.” si affrettò a cedere la staffetta.
 “Bene. Ditemi che le posso far riferire per convincerla a venire in questo palazzo, visto che non mi sembra molto desiderosa di passare del tempo nelle stanze che l'hanno vista crescere...” scherzò Ludovico, sempre più curioso di scoprire il contenuto della missiva.
 Il messo di Imola annuì e disse, con gravità: “Dovete dirle che è intercorso un fatto increscioso di cui deve immediatamente essere messa a conoscenza.”

 “Ah, che ipocrita!” commentò con acidità Chiara, mentre sua sorella Caterina si affrettava a uscire da palazzo: “Continui a dire che non te ne importa nulla di Imola e Forlì e appena ti riferiscono che forse è successo qualcosa in una di quelle due città, corri subito!”
 Caterina zittì la sorella con un lapidario: “Posso dire molte cose, ma non posso scappare dalle mie responsabilità!”
 “Perchè, che altro hai fatto rintanandoti qui a Milano?!” la accusò Chiara.
 Caterina non aveva tempo di discutere con sua sorella, perciò non le rispose più e uscì in strada, dove la stavano già aspettando un cavallo e due degli uomini che l'avevano scortata fino a Milano da Forlì.
 Gian Piero, appena era arrivata la convocazione ufficiale alla presenza di Ludovico, si era proposto come accompagnatore, ma Caterina aveva declinato con decisione la proposta, sia perchè temeva che l'uomo sarebbe stato di nuovo vittima delle insinuazioni pungenti dello zio, sia perchè, se si trattava davvero di affari di Stato, non voleva conivolgere nessun altro.
 Dopo poco più di due settimane passate a fare la figlia, Caterina si sentiva ritemprata, ma le vesti della Contessa le stavano già strette.
 Stringendo le redini con forza, spronò la sua cavalcatura ad andare il più velocemente possibile e quando arrivò all'ingresso del palazzo di Porta Giovia, si ritrovò senza fiato.
 Era agitata e se ne rendeva conto a mala pena. Non riusciva a immaginare cosa mai potesse essere accaduto a Forlì, o a Imola.
 Per un breve istante, mentre attraversava il cortile per raggiungere il corpo principale del palazzo, affiancata dai suoi due uomini di fiducia, si trovò a pensare che forse Girolamo era morto. Che notizia, che sarebbe stata.
 Nell'arrivare al salone di rappresentanza, si era chiesta con insistenza se una notizia simile sarebbe stata bella o brutta e non era arrivata a una risposta soddisfacente.
 “Oh, Caterina, finalmente siete arrivata. Prego!” disse subito Ludovico, non appena vide il profilo della nipote sulla porta.
 La staffetta, benché avesse accettato poco prima le condizioni di Ludovico, che gli imponevano di leggere ad alta voce la lettera, si affrettò a raggiungere Caterina.
 Le si gettò ai piedi e le consegnò il messaggio: “Sono arrivato di corsa da Imola per porgervi questa missiva di Matteo Menghi, mia signora.”
 “Ma cosa...?” sbottò Ludovico, oltraggiato da tanta insubordinazione.
 Caterina non lo sentì nemmeno. A udire il nome di Menghi le si era gelato il sangue nelle vene. Perchè era stato quell'uomo a scriverle?
 Prese tra le dita la lettera e, dopo aver ringraziato velocemente la staffetta, la congedò.
 Passato un tempo ragionevole, abbastanza da permettere al messaggero di portarsi a distanza di sicurezza dal palazzo, chinò appena il capo e salutò lo zio: “Grazie per avermi fatta chiamare per una questione tanto importante.” e uscì quasi di corsa dalla stanza.
 Ludovico era senza parole, ma riuscì a ritrovarsi padrone di sé. Chiamò le guardie e ordinò di riportare Caterina nel salone, con le buone o con le cattive.
 Quando capì quello che stava accadendo, Caterina non oppose resistenza. Voleva leggere quel messaggio da sola, sì, ma solo per non far conoscere a nessuno la sua reazione davanti a parole che ancora non conosceva.
 “Leggete ad alta voce. È il minimo che potete fare per ringraziarmi della mia ospitalità.” le disse Ludovico, non appena la ebbe di nuovo davanti.
 Caterina contrasse i muscoli della mascella, ma non ribattè.
 Spezzò la ceralacca e, prima di cominciare a leggere, scorse la firma di Menghi in calce.
 Mentre Ludovico si accomodava sul suo scranno per ascoltare meglio, Caterina lesse nella mente le righe iniziali e dapprima sbiancò, salvo poi avvampare di rabbia.

   
 
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