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Autore: Altair13Sirio    13/02/2016    2 recensioni
Ib è cresciuta. Non è più una bambina ingenua che segue gli sconosciuti nelle mostre d'arte; adesso è una adulta, con dei sogni sul proprio futuro e delle passioni che la fanno sentire viva, ma anche tormentata da incubi e sensi di colpa.
Dopo la fuga dal Mondo di Guertena, la bambina ha trovato nell'arte del vecchio Maestro qualcosa di più di un passatempo: l'arte è diventata parte integrale della sua vita e con questa è cresciuta, vedendo in Weiss Guertena un modello da imitare e a cui ispirarsi.
Al suo fedele amico Garry, Ib chiederà un regalo molto particolare per il suo diciottesimo compleanno... E conoscerà una persona speciale...
Genere: Horror, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garry, Ib, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Ib era bloccata. Era chiusa in uno stanzino stretto, senza una luce sopra la sua testa, e spinta a una porta priva di serratura. Era freddo, il legno su cui si schiacciava. Lei aveva freddo, ma non tanto da non poter sudare per la tensione; quell’oscurità le dava le vertigini, gli spazi stretti le facevano mancare l’aria. Stava male, non riusciva a muovere un dito, come se fosse stata sedata; voleva urlare per liberare la propria paura in qualche modo, ma l’unico suono che proveniva dalla sua gola era un lamento sforzato, privo di profondità. Le bruciava la gola, doveva bere qualcosa, si sentiva il petto schiacciato da una forza invisibile che la portava a terra; tuttavia era ancora in piedi, schiacciata contro il freddo legno della porta senza maniglia, immobile e dolorante.
Se avesse potuto, avrebbe distrutto quelle pareti che la costringevano in quello spazio esiguo, si sarebbe dimenticata della sua debolezza e la sua piccola statura e avrebbe demolito quello stanzino minuscolo che la lasciava senza aria. Non le importava se anche quello era parte delle opere di Guertena, nessuno avrebbe dovuto creare una simile prigione! Ma non sarebbe stata in grado di fare quello che avrebbe voluto fare, proprio a causa della sua mancanza di forza, ma anche a causa della sua impossibilità di muoversi; l’unica possibilità per andare via da lì era sperare nell’arrivo di qualcuno che l’avrebbe liberata da quell’inferno.
Ma chi poteva salvarla? Chi le diceva che quella fosse una stanza, e non una bara in cui era stata chiusa e sepolta per sempre? Chi le diceva che avrebbe rivisto la luce del sole, dopo quello? Avrebbe potuto morire asfissiata o la fame l’avrebbe consumata, prima che qualcuno si potesse accorgere di quello che stava accadendo lì dentro. E lei non avrebbe potuto chiamare nessuno, perché era bloccata, intrappolata, incapace di muoversi o di emettere un suono. Poteva solo contare i secondi che passavano, e vedere quanto ci mettesse la vita ad abbandonare il suo corpo…
Adesso si sentiva legata. Sentiva i nodi stretti ai polsi e alle caviglie, le corde che sfregavano alle sue gambe e ai suoi fianchi, e il sangue che rallentava per raggiungere le estremità dei suoi arti. Non pensava che potesse essere così doloroso. Non sentiva niente di tutto questo, in realtà: il dolore e la sensazione di oppressione che le davano le corde erano come dei rumori lontani, trasportati dal vento; Ib percepiva solo l’idea che le dava quella sua impossibilità di muoversi. Sentiva di essere anche bendata, e di avere qualcosa in bocca per impedirle di emettere dei suoni; questo avrebbe spiegato perché non potesse parlare, ma alla ragazza sembrò molto più semplice immaginare di essere stata drogata e rinchiusa lì.
In fondo era stata avvelenata. Quell’idea aveva un suo senso, nonostante tutta la follia che la circondava; chi si sarebbe preoccupato di trascinare una ragazza morta fuori da un buco e metterla in un altro buco, ancora più isolato per giunta? Forse qualcuno aveva avuto pietà di lei e aveva volto darle una sepoltura rispettosa… Ma chi avrebbe avuto tanta umanità, in quel luogo? C’erano solo mostri assassini, non c’erano buoni samaritani pronti a fare del bene – e poi, sarebbero stati anche abbastanza stupidi per non chiedersi se fosse viva o morta…
Ib non voleva rimanere in quel posto, voleva andare via; ma dove? Non poteva muoversi, non poteva chiamare aiuto, e non poteva certo liberarsi con le proprie forze. Era da sola, come non si era mai sentita prima, e pensava che la sua vita sarebbe finita così, senza un epilogo, senza un senso, ma solo con la morte per mano del morso di una formica.
Odiava quella formica, odiava sé stessa per essere stata così stupida, odiava quel luogo, odiava Guertena, odiava quel giorno che era il suo compleanno e che le aveva dato quella possibilità di andare a morire. Non voleva più pensare a nient’altro, se non a quello che odiava profondamente; tutto quello che era rimasto dentro di lei era odio. Non vi erano altre emozioni, ormai. Era intrappolata nel proprio odio; non aveva neanche paura ormai, perché sapeva di essere morta, indipendentemente da quello che sarebbe successo. Ma a un certo punto la paura tornò a farsi sentire, e con grande prepotenza.
Percepì un tonfo; un colpo che rimbombò nello stanzino, facendo vibrare le sue stesse membra. In un primo momento la ragazza fu confusa, non capì cosa significasse quel rumore. Poteva essere qualunque cosa, ma decisamente non era qualcosa di buono. Ne sentì un altro più forte, questa volta fece tremare tutta la bara in cui era rinchiusa Ib. Cosa poteva essere? Perché non la lasciavano in pace, cos’altro volevano da lei ancora? Ci fu un altro colpo e poi un altro ancora, uno più forte dell’altro, sempre crescenti e sempre diretti a fare del male alla mente di Ib, spaventandola e facendole perdere la ragione a poco a poco.
Non ne poteva più, ogni istante passato in quella tomba era una tortura, i colpi si erano fatti ormai costanti e veloci, sempre più forti e spaventosi. Si era creato un frastuono che martellava i timpani di Ib e distruggeva le poche cellule sane rimaste nel suo cervello. Non ce la faceva più, le faceva male, era stanca, voleva andare a casa, voleva morire. E avrebbe anche accettato la morte, se fosse servita a liberarla da tutto quello; ma chi aveva architettato quella tortura non doveva aver considerato l’eventualità che lei potesse morire. No, Ib doveva essere viva fino all’ultimo istante, così da perdere completamente la ragione fino a non provare più niente; ma lei non voleva che quello accadesse, non voleva far vedere di essere debole. Lei avrebbe combattuto fino alla fine, avrebbe dimostrato a chiunque si stesse divertendo a farla soffrire che lei non aveva paura e che era più forte di chiunque altro.
Per questo decise aprire gli occhi. E nello stesso istante in cui aprì gli occhi, spalancò la bocca per urlare e i suoi polmoni si riempirono istantaneamente di aria nuova. Il suo grido risuono forte nella stanza dalle pareti rosse in cui si trovava e fece sussultare la persona che stava seduta dandole le spalle a meno di un metro da lei.
In un attimo Ib capì di non essere rinchiusa in una bara, di non essere legata e di potersi muovere quanto volesse; aveva solo un cappotto pesante addosso che le limitava i movimenti ed era sdraiata a terra sul fianco sinistro, ansimante e spaventata, mentre guardava con occhi sgranati la schiena di uno sconosciuto. Quello stesso sconosciuto si voltò colto alla sprovvista, e si inginocchiò accanto a lei per controllare che stesse bene: era un uomo sulla cinquantina, aveva i capelli biondi, raccolti in una coda liscia dietro la nuca, con alcuni ciuffi liberi davanti alla fronte; i suoi occhi erano azzurri come l’oceano e il viso era segnato da rughe che davano l’impressione di uno che aveva visto molto nella sua vita; la barba ispida cresceva su tutta la parte inferiore del viso, dandogli una espressione più marcata e severa.
L’uomo indossava una leggera camicia bianca dall’aspetto consumato, mentre quel cappotto che copriva il corpo inerme di Ib dava una sensazione diversa; la ragazza non pensò che appartenesse a lui. << Ehi… >> Mormorò alzando una mano verso il viso della ragazza, ancora confusa, e ora, anche terribilmente imbarazzata per aver lanciato quell’urlo. << Stai meglio, finalmente! >> Commentò dopo averle tastato la fronte con le dita. Ib non capì perché dovette tastarle la fronte per capirlo, ma immaginò che prima stesse molto peggio. Non sembrava sorpreso per il suo urlo di poco fa
… Che avesse fatto altri versi nel sonno?
La ragazza si guardò intorno muovendosi un po’ sotto quel cappotto pesante, spaesata. << Uhm… Io… >> Cercò di scusarsi per quel suo gesto oppure di fare qualche domanda, ma non riuscì a dire nulla.
L’uomo sembrò intuire da solo la sua incertezza e si preoccupò di rassicurarla in fretta:<< Non temere: non sono come quei mostri. >> Disse assumendo un sorriso amichevole, che stranamente rincuorò la ragazza. Era strano come ogni volta, Ib finisse per fidarsi di sconosciuti da pochi, effimeri indizi; quella era una qualità della quale si sentiva orgogliosa, ma la gente la reputava ingenua e avventata: una qualità del genere non l’aveva aiutata in precedenza, quando aveva incontrato la formica che l’aveva messa in quelle condizioni, ma le aveva probabilmente salvato la vita, anni addietro, quando ebbe incontrato Garry.
Ib volle mostrare un po’ di riconoscenza all’uomo, nonostante non le avesse ancora detto niente, e annuì piano, mormorando qualcosa di impercettibile. << Grazie… >> Lo ringraziò specialmente per averle detto di non essere parte della galleria, come la formica che aveva cercato di ucciderla, o molte altre opere che non si sarebbero fatte scrupoli a schiacciarla in quel momento di debolezza. Era semplicemente felice di condividere quella stanza con un altro essere umano; non aveva pensato neanche per un momento al fatto che potesse mentirle…
L’uomo sorrise di nuovo al suo ringraziamento e si alzò senza staccarle gli occhi di dosso. << Eri in condizioni gravi, quando ti ho trovata, nascosta in un buco nel muro… >> Spiegò camminando verso una parete, osservando qualcosa fuori dal campo visivo della ragazza. << Avevi la febbre alta e deliravi. >> Aggiunse tornando da lei. Una volta che si fu inginocchiato di nuovo accanto a lei concluse la sua spiegazione:<< Il massimo che ho potuto fare è stato portarti al sicuro e prendermi cura di te… >>
Ib mosse piano gli occhi a destra e a sinistra, esaminando la stanza in cui si trovava: sembrava essere una semplice stanza quadrata, di piccole dimensioni, con al centro una strana fonte di luce rossastra che si muoveva incessantemente, proiettando strane ombre sulle pareti rosse; in un angolo c’era una piccola libreria, e in un altro vide uno sgabello di legno. Con fare stanco, Ib si spinse improvvisamente con le braccia per mettersi a sedere, ma riuscì solo a rimanere sospesa per alcuni secondi, tenendo le braccia tese. La sua debolezza la lasciò spiazzata, ma non lo diede a vedere e si concentrò sul circondario; lo sconosciuto sembrò non condividere la sua idea di alzarsi così presto, ma lei cercò di ignorarlo. Capì quindi che la strana fonte di luce era un fuoco posto al centro della stanza: scoppiettava ed emanava calore che con la sua danza faceva sentire ancora più piacevole. Girando la testa, si rese conto che su una parete stava appeso il quadro Separazione, ma a parte quei pochi elementi, la stanza appariva vuota.
Le braccia della ragazza cedettero e lei si ritrovò di nuovo con il viso a terra; digrignò i denti per la propria infermità e si abbatté, rimanendo a terra a fissare il pavimento di fronte ai suoi occhi. << Fai piano… >> Disse l’uomo mettendole una mano sotto la testa e facendole scivolare di sotto qualcosa che Ib identificò come un cuscino. << Anche se la tua rosa è rifiorita non puoi sforzarti troppo. >> Spiegò allontanandosi un po’.
Ib alzò lo sguardo  incredula quando quello nominò la sua rosa; ebbe un fremito al solo sentire la parola e cominciò a chiedersi dove fosse, ricordandosi quanto fosse fragile e delicata. Forse sul suo viso si dipinse un’espressione di terrore, per questo lo sconosciuto si affrettò ad assicurarla. Mise una mano dietro la schiena e tirò fuori da una tasca una bellissima rosa rossa in fiore. Assunse un’espressione di disappunto, ma sorrise subito dopo dicendo:<< In realtà ho dovuto solo… Metterla in un vaso pieno d’acqua… >> Sembrò così innocente e sincero quando le sorrise posando la rosa accanto al suo viso. << Non preoccuparti: adesso siete entrambe al sicuro. >> Disse con voce rassicurante prima di tornarsene al suo posto davanti al fuoco scoppiettante.
Ib osservò la schiena di quell’uomo mentre se ne stava girato dall’altra parte, a fissare le fiamme danzanti; stranamente, le diede l’impressione di una brava persona, semplice e sincera: le sue parole l’avevano rassicurata in pochi minuti, e quel suo gesto di restituirle la sua rosa in quel modo, mettendola accanto a lei, la fece sentire meglio; in una situazione del genere, qualcuno avrebbe potuto prendere la rosa di un viandante come lei e tenerla per sé, come assicurazione per la vita, merce di scambio, o oggetto di minacce… Lui invece gliel’aveva restituita senza nessun problema. Che avesse qualche intenzione losca?
Ib non poté credere all’eventualità che quell’uomo fosse malvagio, e pensò che avrebbe dovuto ringraziarlo, come minimo, per il suo gesto. Nonostante lo avesse già fatto, un semplice “grazie” non sembrò sufficiente a Ib. << Signore… >> Mormorò debolmente alzando di poco la testa dal cuscino. L’uomo si voltò spalancando gli occhi. << Mi chiamo… Ib. >> Disse sorridendo grata; non voleva far credere che non le importasse quello che aveva fatto per lei, probabilmente sarebbe morta senza il suo aiuto… << La ringrazio per tutto quello che ha fatto per me… >> La sua voce flebile non sembrò molto convincente, ma l’uomo sorrise annuendo piano.
<< Non serve che tu mi ringrazi. Lo rifarei senza indugio. >> Rispose con calma quello, che non si mosse dalla sua posizione, intuendo che Ib avesse altro da dire. Prima però si volle presentare. Si girò verso di lei e si mise una mano sul petto. << Il mio nome è Elias Dawson, e come te ero un visitatore della mostra del maestro Guertena… >> Dunque era vero. Il viso di Ib si spense in desolazione; quello che aveva sperato fosse solo un malinteso era stato confermato da quell’uomo; erano stati visitatori della mostra di Guertena: adesso erano prigionieri del Mondo di Guertena.
Il signor Elias sembrò comprendere il dispiacere della ragazza e cercò di chiederle se sapesse già cosa fosse quel posto. Lei rispose trattenendo a stento le lacrime:<< Rimasi intrappolata qua… Tanto tempo fa… >> Mormorò tra un singhiozzo e l’altro.
Il signor Elias sembrò sconvolto. << Sei così giovane… Come hai fatto ad uscirne la prima volta? >> Chiese facendo scorrere lo sguardo dalla testa ai piedi della ragazza, anche se coperti dal lungo cappotto.
Ib piagnucolò qualcosa di incomprensibile. << Sono stata aiutata… Da una persona… >> Disse cercando di asciugarsi gli occhi, da cui ora sgorgavano lacrime di dolore. << Eravamo tornati per il mio compleanno… Ma sono stata una stupida! >> Diede un colpo al pavimento, causando un piccolo colpo secco. << Ora ci siamo divisi, e io non so cosa fare… >>
L’uomo guardò con compassione la povera ragazza che giaceva di fronte a lui; cosa sperava di ottenere piangendo come una bambina? Sperava forse che mosso dal suo dolore, quello sconosciuto avrebbe semplicemente risolto tutto? Doveva svegliarsi, e ricordare che ormai era un’adulta, non poteva più piangere! << Mi dispiace, Ib… >> Mormorò a testa bassa Elias Dawson. << Vago per queste sale da un po’, e tu sei l’unica persona che ho incontrato. >>
Ib non ci sperava nemmeno in una risposta diversa. Si sorprese di non aver ricevuto la notizia della morte del suo amico, piuttosto… << Non fa niente… >> Mormorò tristemente abbandonandosi al cuscino che le aveva dato l’uomo.
Lui la guardò con dispiacere mentre chiudeva gli occhi e si abbandonava al proprio dolore; sembrava che darle quell’informazione lo avesse scosso molto più di lei. Non era sicuro che Garry fosse morto, ma le possibilità di rincontrarsi quanto avrebbero potuto essere basse? Sicuramente quei pensieri attraversavano la mente del signor Elias, oltre che quella di Ib, che non voleva provare a dire altro.
L’uomo sospirò tristemente e tornò a girarsi verso il fuoco. Ib aprì gli occhi per vedere se si fosse girato di nuovo e lo scrutò di nascosto; era così strano, le dava una sensazione di fiducia e sincerità che poche volte aveva provato prima. Fissava il fuoco con un leggero broncio stampato in volto, e le mani pendevano dalle ginocchia inerti, dove stavano poggiate. Lo vide estrarre da una tasca una rosa bianca e fissarla con nostalgia, rigirandola con le dita. Quella doveva essere la sua “Incarnazione dello Spirito”, la rosa da proteggere a costo della vita per poter sopravvivere… Era così bella… I suoi petali bianchi si accostavano alla sua camicia, ma diversamente da questa erano immacolati, perfetti, ed era proprio questo loro contrasto che la rendeva ancora più bella. Davano un senso di purezza che Ib non aveva mai provato prima…
Ib aveva letto che ogni fiore avesse un proprio significato, e le rose ne avevano diversi a seconda del loro colore; aveva ipotizzato che la rosa che portasse con sé fosse colorata dal suo stesso animo, e quindi quello avrebbe potuto mostrare i tratti più profondi e nascosti di una persona; nel caso di quell’uomo, sarebbe stata appunto la purezza…
Avrebbe voluto sapere di più su quell’uomo, sul perché la sua rosa fosse bianca, cosa ci facesse lì… Ma era stanca. Non sapeva dove fosse e non aveva la più pallida idea di quando le sarebbe capitato di nuovo di poter riposare così, quindi i suoi occhi appesantiti dalla stanchezza la costrinsero a cedere a quella forza e a dormire, per recuperare le forze, per prepararsi a qualcosa di più duro, una prova che la attendeva in quel mondo. E lei ne aveva paura, ma avrebbe dovuto affrontarla per salvarsi.
Chiuse gli occhi respirando profondamente con serenità, permettendo a quel torpore che aveva invaso il suo corpo precedentemente di tornare a prenderla con sé… Ma non funzionava.
Non riusciva ad addormentarsi perché la sua mente era piena, era troppo concentrata per potersi rilassare e dormire; la paura l’aveva bloccata, non riusciva a distogliere l’attenzione da quella stanza, nonostante fosse al sicuro. A quel punto sarebbe stato meglio alzarsi e uscire da lì alla ricerca di Garry, ma il signor Elias non glielo avrebbe permesso. E inoltre la paura non se ne sarebbe andata, Ib non si sarebbe calmata…
Proprio quando pensava che non sarebbe riuscita ad addormentarsi e l’idea di alzarsi da lì stava per arrivare al suo cervello, un canto cominciò a riverberare nella stanza. Era il signor Elias, girato di spalle, che cantava una dolce melodia che fece sentire una insolita nostalgia a Ib.
<< Dormi serena, bambina mia… >> Cantava lentamente, senza mai staccare gli occhi dalla propria rosa. A Ib, quella melodia ricordò qualcosa, come se l’avesse già sentita. << Dormi tranquilla, non ti spaventar… >> Sembrava una ninna nanna cantata apposta per far calmare Ib, ma la ragazza sapeva che non era così semplice. << Chiudi gli occhi, non temere. Rimango qui con te, io veglierò sul tuo riposo… >> La voce dell’uomo risuonava nella stanza vuota, dandogli un tono ancora più solenne, nonostante stesse cantando a bassa voce, quasi sussurrando. Di certo non voleva farsi notare… << Stringiti a me, non devi temere; io veglierò su di te, rimarremo sempre insieme… >> Dopo quel verso, l’uomo si limitò a canticchiare a bocca chiusa il motivetto della ninna nanna, deludendo Ib, che avrebbe voluto conoscere il resto delle parole, ma anche facendola stare meglio; infatti con quella sua ninna nanna, l’uomo aveva fatto distogliere l’attenzione della ragazza dal problema principale
 la galleria in cui erano finiti  e le aveva dato quella serenità che le serviva per dormire.
Ib non sapeva se lo avesse fatto intenzionalmente, oppure si fosse trattato di un caso, ma fu grata a quello sconosciuto per averla aiutata ancora una volta. Adesso l’unica cosa su cui voleva concentrarsi era il motivetto della ninna nanna, che cominciava a suonare da solo nella sua testa, facendole canticchiare a sua volta la musica. E sotto quelle note dolci e familiari, la ragazza riuscì a ritrovare la serenità e si addormentò, senza temere i brutti sogni.
 
*
 
Ib si mosse un poco per stiracchiarsi, senza volersi realmente alzare. Pensava che quella posizione che aveva assunto fosse perfetta, sarebbe rimasta lì immobile per ore, se non fosse stata in pericolo; il pavimento era duro, ma non era un grosso problema: a lei era bastato un piccolo cuscino e un cappotto a coprirla per potersi addormentare.
La ragazza sbadigliò tenendo gli occhi chiusi; sapeva che doveva alzarsi, ma non le andava. Se fosse stata egoista, si sarebbe anche concessa qualche minuto in più, ma una volta che il pensiero di Garry disperso nella galleria le fu balenato in mente, spalancò gli occhi e si alzò con la schiena, facendo ricadere il cappotto sulle proprie gambe.
Si guardò intorno spaesata. << Ben svegliata. >> La salutò il signor Elias sorridendole con complicità. Era in piedi, accanto ai resti del fuoco che sembrava aver spento da poco, e si stava scrollando i vestiti con le mani.
Ib si stropicciò gli occhi e rivolse un sorriso assonnato all’uomo prima di alzarsi. Si guardò intorno un momento e poi si trascinò dietro il cappotto che l’aveva coperta per restituirlo al signor Elias. << Il suo cappotto, signore… >> Mormorò lei alzando il braccio che lo teneva, mentre l’uomo continuava a battersi i vestiti, forse per cacciare della cenere proveniente dal fuoco acceso in precedenza.
<< Non è mio. >> Rispose scuotendo la testa con un po’ di incertezza. Ib si sorprese. << L’ho trovato su una sedia, dopo aver trovato te, e ho pensato che sarebbe stato utile… >>
Ib guardò prima il cappotto che teneva in mano, poi il viso dell’uomo, e sorrise; apprezzava molto il gesto, anche se in fondo non gli fosse costato nulla. << Quindi… Che facciamo? >> Chiese guardandosi intorno, continuando a tendere il braccio con il cappotto.
Elias Dawson strinse le spalle sbuffando prima di rispondere. << Portiamolo con noi, intanto. Potrebbe tornarci utile… >> Propose rivolgendo uno sguardo alla porta di legno che faceva strada all’uscita.
Ib era d’accordo con lui: quel cappotto era stato utile a lei, e sarebbe stato utile a chiunque altro, se mai ci fosse stato qualcun altro lì dentro, e se lo avessero incontrato loro, allora sarebbero stati preparati. << Lo vuole lei? >> Chiese porgendoglielo di nuovo. Qualcuno lo avrebbe dovuto comunque portare.
Il signor Elias scosse piano la testa indietreggiando, però. << Non soffro il freddo… Preferisco rimanere a maniche corte. >> Detto questo sorrise. << Però puoi metterlo tu, se hai ancora freddo. >>
Ib non avrebbe detto di avere freddo; in una situazione come la sua, quasi in fin di vita, una coperta sarebbe stata molto utile anche per farla sentire più al sicuro, mentre la sua mente affaticata avrebbe cercato di respingere quel dolore che la opprimeva. Oltretutto, era troppo grande per lei, e avrebbe finito per inciampare di continuo. << Non serve. >> Rispose scuotendo la testa. Allora il signor Elias si offrì di portarlo da sé, per evitare di affaticare la ragazza, che si era appena ripresa.
Quando Elias Dawson si fu caricato il cappotto sulle spalle, Ib si rese conto che l’uomo non fosse a maniche corte. << Ma lei ha le maniche lunghe! >> Commentò; in effetti, le maniche della camicia di Dawson erano lunghe, ma le aveva tirate fin sopra ai  gomiti, forse per lo stesso motivo accennato prima. In ogni caso, al commento della ragazza, il signor Elias si voltò imbarazzato.
<< Bé, sì… Non proprio, ma… In ogni caso ho caldo! >> Esclamò ammiccando confuso. Ib non riusciva a capirlo; aveva anche acceso un fuoco nella stanza! Poteva essere che lo avesse fatto sempre per lei? Ma allora perché se n’era rimasto così vicino alle fiamme, mentre a lei l’aveva lasciata in disparte? Che razza di impressione poteva aver suscitato la ragazza, per ricevere tante cure da uno sconosciuto?
Gli occhi di Ib si posarono sul bivacco ancora caldo; la cenere si spargeva sul pavimento in modo omogeneo, mentre erano rari i tizzoni ancora ardenti in mezzo ai resti del fuoco. << Che cosa ha bruciato per accendere il fuoco? >> Chiese a voce un po’ troppo bassa per farsi sentire. In ogni caso, la domanda raggiunse il signor Elias, che sembrò voler rassicurare la ragazza.
<< Non ho usato opere della galleria, se è questo quello che vuoi sapere. >> Rispose alzando le mani in segno di difesa. Quello fece tirare un sospiro di sollievo a Ib, che per un attimo fu raggiunta da un ricordo spiacevole. Elias alzò un pollice e lo puntò alle proprie spalle. << C’era una stanza piena di sgabelli, e dopo averti portata al sicuro ho pensato che ti avrebbe fatto piacere il calore rassicurante di una fiamma… >> Ecco perché aveva acceso il fuoco, ed ecco perché non aveva tenuto Ib troppo vicina alle fiamme: evidentemente non aveva dato l’impressione di aver bisogno di calore, ma quello a cui mirava Dawson doveva essere l’atmosfera che era in grado di creare il fuoco; in effetti era stato molto utile, Ib lo aveva apprezzato.
<< La ringrazio infinitamente per tutte le sue cure, signor Elias. >> Fece la ragazza mimando un piccolo inchino. Non pensava che sarebbe stata in grado di fare lo stesso per qualcun altro, al posto suo.
Il signor Elias mosse avanti e indietro la mano. << Lo rifarei senza indugio! Non si lascia una ragazza così giovane in pericolo! >> Disse scuotendo la testa. Sembrava che fosse una cosa ovvia aiutare qualcuno in quel posto. Ma Ib non pensò che fosse poi così normale…
<< Non penso che una persona si preoccuperebbe di uno sconosciuto in un posto come questo… >> Mormorò a testa bassa, senza nascondere le proprie insicurezze all’uomo.
Elias sembrò non credere a quelle parole. << Ma che stai dicendo? >> Chiese voltandosi verso di lei. Le spostò una ciocca di capelli che le andava davanti agli occhi e sorrise. << La gente ha bisogno di restare unita per poter sopravvivere. La vita non si può affrontare da soli, e come quella, anche questa galleria! >> Si abbassò alla sua altezza per poterla guardare negli occhi, e Ib schivò il suo sguardo. << Io lo rifarei, come lo farebbe chiunque altro dotato di una coscienza. Non hai detto di essere sopravvissuta a questo posto dopo aver incontrato qualcuno che ti ha aiutata, la prima volta? >>
Dawson aveva ragione. Anche se Ib non voleva ammetterlo perché aveva paura di fidarsi, le sue parole erano profonde e giuste. Nove anni prima, quella piccola bambina incapace di parlare agli sconosciuti trovò naturale mettere nel vaso di vetro “Benedizione Eterna” la rosa blu di uno sconosciuto incontrato in mezzo a un corridoio, in fin di vita; e quello stesso sconosciuto l’aveva aiutata ad andare avanti nel suo cammino, per uscire di lì. Ed era diventato il suo più caro amico, dopo quella vicenda, e Ib non voleva perderlo.
E chi le diceva che, come Garry, anche quell’uomo non sarebbe potuto diventare qualcuno di importante nella vita della ragazza? In fondo, gli incontri più speciali si facevano per caso… << Ha ragione… >> Mormorò abbassando un po’ la testa imbarazzata. << Andiamo. >> Aggiunse mettendosi a camminare in direzione della porta.
Dawson sembrò confuso dalla reazione della ragazza, ma pensò che fosse solo un po’ timida. Quando la vide indugiare di fronte alla porta chiusa, si mise accanto a lei per darle quella spinta che le mancava. << Sai già come funzionano le cose, vedo… >> Commentò con un sorriso che la sapeva lunga su quel posto.
Ib annuì senza preoccuparsi di rispondere affermativamente. << Non si può fare altro che continuare a camminare e andare avanti. Non cambierà niente se rimarremo qui a piangerci addosso. >> La sua voce suonò decisa e sicura, nonostante la ragazza avesse paura di varcare la soglia della porta.
Elias annuì soddisfatto, e dato che la ragazza sembrava incerta se avanzare o no, decise di fare il primo passo e aprì la porta con il cappotto su una spalla. Ib sembrò destarsi dal sonno quando lo fece, e per un attimo pensò di seguirlo, poi si ricordò del cuscino che le aveva dato per farla stare comoda e tornò indietro per prenderlo; avrebbe potuto tornargli utile. Non appena si fu voltata per uscire, Elias Dawson non c’era più.
Non se ne preoccupò tanto, poiché era sicura che fosse dietro l’angolo, ma una volta fuori dalla stanza si rese conto di essere da sola. Cominciò ad ansimare e a guardarsi intorno freneticamente. << Signor Elias? >> Chiamò preoccupata. La sua voce rimbombò lontano nel corridoio dalle pareti grigie. Si sentì persa, e quell’eco non fece che aumentare la sua paura. << No! >> Esclamò abbattuta mettendosi a correre radente alla parete, quasi come se avesse paura di perdersi, o di cadere da un bordo inesistente. Era di nuovo da sola, come era potuto succedere?
In pochi minuti Ib si ritrovò in una sala ampia, sezionata da piccoli pilastri a cui stavano appesi dei quadri, a correre come una matta, chiamando il nome del nuovo incontrato. Ma era tutto inutile; nessuno poteva sentire la sua voce, a parte i quadri.
Mentre Ib si sporgeva da un pilastro per controllare che Dawson non fosse dietro ad esso, la ragazza sentì un forte rumore di vetri infranti e un seguente tonfo. Sentì poi qualcosa strisciare e quando si rese conto che quel rumore si faceva sempre più forte e vicino, cominciò a urlare.
In pochi istanti, la ragazza risvegliò diversi quadri di donna che saltarono fuori dalle pareti e si misero all’inseguimento. Lei teneva stretta la sua rosa; non voleva che le cadesse e quelle bestie la annientassero. Dove passava, le sue urla facevano risvegliare un nuovo dipinto, che schizzava via dal muro, accompagnato da vetri infranti che sembravano uscire dalla tela, e cominciava a strisciare dietro di lei.
C’erano diverse Donne in Giallo e in Verde, alcune di meno avevano un vestito blu, ma c’era una sola Donna in Rosso, e guidava quell’armata, che lentamente bloccava le vie di fuga della ragazza.
Ib girava dietro a un angolo e si ritrovava due o tre quadri a sbarrarle la strada; doveva tornare indietro, ma la strada che aveva appena preso non era più un’opzione, e quindi doveva trovare un’altra strada per sfuggire alle donne. Andò avanti così per poco, relativamente poco, finché i dipinti non ebbero la meglio su di lei e riuscirono a spingere Ib in un angolo.
Era in trappola, finita. Tanto valeva consegnargli la sua rosa e lasciare che la distruggessero, massacrando lei di conseguenza. E per un istante sentì l’impulso di farlo. Per fortuna si trattenne, e cercò invece di trovare una via di fuga. Ma quale via di fuga? I quadri erano a decine, si ammassavano l’uno sopra l’altro per avvicinarsi a Ib e neanche volando sarebbe riuscita a fuggire; sembravano però frenati da qualcosa… Era come se la Donna in Rosso – al centro, davanti a tutte le altre – stesse dicendo di attendere con i propri movimenti del corpo. E in effetti, le altre donne, pur mantenendo un’espressione folle, incontrollabile, sembrarono più calme, attesero il segnale della loro guida.
La Donna in Rosso strisciò lentamente verso Ib, quasi come se volesse farla morire dalla tensione. Si fermò a pochi centimetri dal suo viso e le sorrise in modo ammaliante. Era bellissima, come Ib aveva sempre pensato: i suoi occhi rossi si fissarono su quelli della ragazza umana; a differenza dei suoi, quelli del quadro erano opachi, sembravano essere dipinti su di una tela, appunto.
Le accarezzò una guancia, sfiorandole la pelle con le sue unghie lunghe e affilate, facendole provare dolore, come antipasto a quello che avrebbe sentito tra un attimo. Perché le stava mettendo tutta quella pressione? Non pensava che quei dipinti fossero in grado di pensare o provare piacere dal dolore altrui… Quel suo sorriso malefico la fece quasi svenire, ma quei due rubini sul suo viso le impedivano di distogliere lo sguardo: Ib era sotto il controllo della Donna in Rosso.
La vide ridere in silenzio, come se non avesse voce con cui riprodurre quei suoni, ma nonostante quel silenzio insolito riuscì a incutere una grande paura nella ragazza, tanto da cominciare a farle tremare le gambe; aveva visto i suoi denti bianchi quando aveva riso, aveva visto com’erano affilati, come le sue unghie lunghe, che sembravano poter fare a pezzi un essere umano con facilità. Ib non conosceva la forza della Donna in Rosso, ma immaginò che non sarebbe stato un grosso sforzo per lei, ucciderla.
Ib cominciò a piangere e chiuse gli occhi con questa scusa; non voleva più vedere quegli occhi così cattivi, quel viso tanto perfido da desiderare il suo dolore. Ormai la Donna in Rosso aveva raggiunto il suo scopo, era riuscita a umiliarla, e tutti gli altri quadri di donna si erano messi a ridere. Le loro erano risate vuote, silenziose; non avevano voce, come il loro capo, quindi le risate che sentiva Ib erano tutte nella sua testa. Ora l’avrebbe uccisa, e quell’incubo sarebbe finito, se non si fosse prolungato all'infinito

Con un ghigno malvagio, smanioso di versare il sangue della ragazza, la Donna in Rosso alzò il braccio destro, pronta ad abbassarlo con violenza sul corpo indifeso di Ib. La ragazza non riusciva più a trattenersi e piangeva con forza, terrorizzata, addolorata… Stava per conoscere la propria fine, era ovvio che piangesse.
Ma un urlo risuonò nella sala, facendo vibrare violentemente i timpani di Ib e destando l’attenzione delle donne nei quadri. Tutte si girarono da una parte, mentre quel grido continuava a graffiare le loro orecchie, simile a un rumore di vetri infranti, graffiante e metallico.
Ib, incapace di sopportare quella tensione, alzò lo sguardo, rendendosi conto che anche la Donna in Rosso di fronte a lei si era voltata. Guardava alla propria sinistra, dove arrivavano di corsa due figure alte: il signor Elias e… Uno specchio?
Uno specchio alto due metri arrivò muovendosi su delle rotelle. Era lui a produrre quel suono. Era davvero fastidioso, ma sembrava non piacere neanche alle donne, che dopo pochi istanti cominciarono a tapparsi le orecchie e a dimenarsi come se fossero sotto tortura.
<< Andate via, brutte stregacce! O vi farò saggiare ben più di questo misero stridore! >> Urlò Elias, che assieme allo specchio continuava ad avanzare di corsa.
Alcune delle donne cominciarono a dileguarsi, spalancando le bocche e sgranando gli occhi, senza voltarsi neanche un istante; altre invece esitarono qualche istante, prima di seguire le loro compagne. Solo la Donna in Rosso esitava a lasciare la sala, ancora con la mano levata pronta a colpire. Guardava con disappunto e sdegno lo specchio che avanzava rapidamente verso di lei, ormai l’unica rimasta. La sua espressione divenne di rabbia furente quando se lo trovò a un passo da sé, e quando poi si fermò istantaneamente davanti a lei, come se avesse avuto dei freni.
Quando la donna vide la propria immagine riflessa nello specchio, sembrò spaventarsi: la sua espressione cambiò drasticamente, e la Donna in Rosso digrignò i denti e piegò indietro la schiena, sbilanciandosi e rischiando di cadere di dietro. Produsse un suono simile al soffiare di un gatto, e mostrando i denti si allontanò velocemente, spingendosi con tutta la forza che aveva nelle braccia.
Che diavolo era successo? Ib era ancora frastornata quando si vide arrivare addosso il signor Elias, che la scosse nervosamente prendendola per le spalle. << IB! Stai bene? Pensavo che fossi con me, finché non ti ho vista più! Che diavolo è successo? >> Chiese a voce alta ansimando. Stava sudando e Ib riuscì a vedere le vene del collo gonfie quando fu abbastanza vicino. Si era davvero preoccupato per lei.
La ragazza abbassò lo sguardo, sperduta. Era rimasta indietro per prendere il cuscino che le aveva dato lui, e poi non lo aveva più rivisto; era semplice da spiegare, ma per qualche motivo la testa della ragazza si riempì di pensieri che non le piacquero per niente: aveva pensato che l’avesse abbandonata di proposito, ma fino a quel momento era stata troppo spaventata per elaborare un pensiero sensato. Da come era arrivato in suo soccorso, però, sembrava che ci tenesse molto a lei, nonostante si fossero appena incontrati.
Ib alzò piano la mano destra per mostrare quel piccolo cuscino rosso che le aveva dato Elias Dawson per riposare che stringeva ancora con forza dopo quello spavento, e mentre il suo corpo cominciava a tremare senza freni, le lacrime ricominciavano a scendere dagli occhi della ragazza. Un debole lamento spezzato da piccoli singhiozzi uscì dalla sua bocca e la ragazza non riuscì più a rimanere in piedi; scivolò lungo la parete a cui era appoggiata e si scontrò con il pavimento. Pensò di essersela fatta addosso dalla paura, ma preferì rimanere in silenzio e pensare che si trattasse del tessuto della gonna rossa che portava, a stuzzicarle le gambe.
Vedendola piangere a quel modo, il signor Elias prima rivolse uno sguardo incerto allo specchio, che si mosse verso di lui, quasi come se gli stesse mandando la stessa occhiata, e poi si abbassò accanto a lei, cercando di farla calmare. << Non piangere, Ib… E’ stato un incidente, ma… E’ andata bene, no? Forza… Non fare così… Ho avuto paura anche io, ma non possiamo lasciare che la paura prenda il controllo sul nostro corpo! >>
Le parole del signor Elias avevano senso, ma Ib era troppo spaventata e triste per potergli dare conto. Voleva solo piangere, perché non avrebbe dovuto trovarsi lì, non avrebbe dovuto rimanere da sola, Garry avrebbe dovuto proteggerla, non sarebbe mai dovuta andare lì.
<< Morirò qui… Morirò qui… Morirò qui… >> Continuava a ripetere con voce impercettibile. Non appena Elias sentì quelle parole, si sentì ferito.
<< Ib. >> Chiamò con serietà. Aspettò che la ragazza alzasse lo sguardo di sua spontanea volontà, e quando lo fece vide gli occhi azzurri di quell’uomo fissarla con rimprovero. << Tu non morirai qui. >> Scandì chiaramente per assicurarsi che la ragazza comprendesse pienamente ogni parola.
In un primo momento, Ib sembrò quasi non credere alle parole dell’uomo, confusa da quella frase; poi abbassò di nuovo la testa, e dopo aver fatto alcuni sospiri riuscì a calmarsi. Rialzò lo sguardo deglutendo, come se stesse rinchiudendo le proprie paure nel profondo del proprio corpo, e sbattendo le palpebre con rapidità per far asciugare le lacrime. << Oh mio Dio, sono una frana… >> Commentò sforzandosi di sorridere. La sua voce suonò un po’ lamentosa, ma il signor Elias si sollevò nel sentirla reagire; non potevano lasciarsi assalire dalle paure, o sarebbe stata la fine…
Dopo che Ib si fu calmata, Elias gli spiegò cosa fosse successo. Diceva di averla sentita camminare dietro di sé per tutto il tempo, finché non si fosse reso conto di essere da solo, una volta entrato in una stanza e guardatosi allo specchio; doveva essere stato un trucco della galleria, che voleva che rimanessero separati: per fortuna aveva trovato aiuto da un’opera di Guertena che aveva incontrato per strada, così aveva potuto salvare Ib. Stava parlando dello specchio con le rotelle, ed era stato lui a urlare alle donne nei quadri, al loro arrivo.
<< Elias mi ha trovato nella mia stanza e nel riflesso si è reso conto di averti persa. >> Spiegò lo specchio muovendosi un poco sulle sue rotelle. Aveva la stessa voce dell’uomo, il ché lasciò non poco stupita la ragazza. << Prima di potersi vedere, però, ha pensato molto gentilmente di pulirmi da tutte quelle scritte e macchie che altre opere mi avevano lasciato nel tempo, quegli idioti… >> Sembrò nascondere un certo rancore verso le altre opere della galleria quando parlò di quella cosa. << Grazie a lui sono tornato pulito! Volevo sdebitarmi in qualche modo, e quando l’ho visto andare in panico per trovarti, ho pensato che potessi fare qualcosa; ma ero bloccato in un muro! >>
Ib non perse tempo per fare una domanda. << Come ha fatto a renderti… Mobile? >> Voleva dimostrare di essere tornata nel pieno delle facoltà mentali, nonostante il suo corpo fosse ancora scosso da tremori. Voleva far capire di non essere debole come prima.
Lo specchio sembrò annuire mentre si dondolava avanti e indietro con le sue rotelle. << E’ stato mitico! Gli è bastato dare un’occhiata alle cianfrusaglie nella stanza per creare in un attimo questa tavola mobile, su cui mi ha messo dopo avermi tirato via dal muro. >> Ib guardò con curiosità la tavola su cui era fissato lo specchio. Era fatta di legno, aveva un aspetto rudimentale, ma solido. << Grazie a lui adesso posso muovermi e andare dove mi pare! >> Gongolò girando in cerchio contento, mentre Elias era visibilmente imbarazzato dal suo entusiasmo.
La ragazza scosse la testa confusa. << Ma come fai a parlare, tu? E perché hai la stessa voce del signor Elias? >> Chiese puntandogli un dito contro. Lo specchio si avvicinò piegandosi leggermente verso di lei. L’immagine della ragazza su fece vivida sulla sua superficie, e quell’immagine sembrò quasi staccarsi dalla realtà e agire di propria volontà. All’improvviso la vide parlare, e dallo specchio non uscì più la voce del signor Elias, ma quella di Ib stessa.
<< E’ semplice, tesoro: sono anch’io un’opera di Guertena, e anche io ho una mente mia… Solo che funziono in modo diverso dagli altri quadri e statue… >> Spiegò con calma, stupendo la ragazza che saltò indietro dalla sorpresa. << Vedi, posso assumere la voce e l’aspetto della persona che rifletto, e con questi posso comunicare al mondo. >> L’immagine di Ib si muoveva freneticamente, gesticolando in modo ampio per provare quella tesi; era così strano vedere la propria immagine riflessa su uno specchio muoversi per contro proprio, e sentire parole mai uscite dalla propria bocca, pronunciate con la stessa voce e lo stesso accento personali. Ib si chiese se non fosse realmente lei a parlare.
<< Una volta perso il contatto visivo con quella persona, non posso più assumere il suo aspetto… >> Mormorò voltandosi, facendo intendere che la figura della ragazza fosse sparita dallo specchio. << Ma la voce rimane, e così posso ancora parlare con gli altri! L’unico problema è che non posso imitare la voce e le sembianze di un’altra opera della galleria, e qui ci passa pochissima gente… >> Sembrò quasi deluso, quando disse quelle cose. Non poteva parlare con nessuno finché non incontrava qualche visitatore, dunque.
Ib non riusciva ancora a capire una cosa: come poteva aver messo in fuga quell’esercito di donne, uno specchio? << Perché la Donna in Rosso è scappata a quel modo, dopo averti visto? >>
Lo specchio, dopo aver assunto di nuovo la voce e le sembianze del signor Elias per richiesta della ragazza, che trovava troppo strano sentire la propria voce venire da un altro corpo, fece l’occhiolino a Ib e disse con tono furbo:<< In fondo, cosa spaventa una donna, più del proprio riflesso? >>
Ib forse non fu abbastanza sveglia per capire cosa intendesse, forse era ancora scossa e incapace di intendere bene quello che le si diceva, ma vide Elias sorridere divertito a quell’affermazione, e allora piegò un labbro in segno di consenso.
<< Grazie per avermi salvata un’altra volta, signor Elias… >> Mormorò lei facendo un piccolo inchino all’uomo. Lui scosse la testa indietreggiando e indicò lo specchio accanto a sé.
<< E’ Chan che devi ringraziare! >> Disse mettendosi una mano sul fianco.
<< Chan? >> Chiese lei girando la testa verso lo specchio, che ammiccò con il viso di Dawson.
<< Pur essendo un’opera di Guertena, non ho mai avuto un nome proprio. Elias è stato davvero gentile a darmene uno… >> Spiegò rapidamente, suscitando un sorrisetto sul viso della ragazza. Come poteva non sorridere a una situazione del genere? Uno specchio, sempre costretto a riflettere le immagini delle altre persone, a imitarli completamente in ogni minimo particolare, aveva qualcosa di personale, poteva dire di avere qualcosa di unico, adesso. Le fece tenerezza il modo in cui sorrise, nonostante fosse l’immagine riflessa e alterata del signor Elias.
Dopo aver salutato un’ultima volta Chan, che finalmente poteva vagare libero nel Mondo di Guertena, capace di difendersi dalle opere che lo avevano sempre maltrattato, Elias e Ib rimasero da soli, e ripresero il loro cammino senza meta.
<< Se devo essere sincero… >> Cominciò Elias girando piano la testa verso Ib. << Ho avuto davvero paura di perderti. >>
Era una cosa insolita da dire a una sconosciuta, ma Ib pensò che non fossero poi tanto diversi; erano nella stessa situazione, in pericolo, ed era normale affezionarsi l’uno all’altra in circostanze simili – o almeno questo era quello che avrebbe pensato lei… << Anche io ho avuto paura di perdermi… >> Sospirò Ib abbattuta. Era stata troppo imprudente e si era lasciata accerchiare senza nessuna difficoltà. Non sarebbe uscita da lì, continuando così… Si chiese come avesse fatto a mantenere la calma nove anni prima.
<< Ib, se dovessi perderti, sappi che io sarò pronto a ritrovarti per farti uscire da qui! >> Le disse l’uomo prendendole una mano. E quello che significava? Voleva dire che lui l’avrebbe fatta tornare in sé, se avesse perso la testa un’altra volta?
<< Grazie… >> Mormorò non sapendo cosa rispondere. << Ora sarà meglio andare avanti… >> Propose imbarazzata.
Elias Dawson annuì. << Sì, c’è ancora tanta strada da fare… >> Commentò mettendosi le mani ai fianchi. << In fondo, siamo ancora intrappolati in questo incubo… >>
   
 
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