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Autore: addict_with_a_pen    13/02/2016    4 recensioni
“Ah dimenticavo” disse girandosi nuovamente verso me “non devi avere paura di me Frank. Sono solo un grande perdente con un debole per i fumetti e un’ossessione compulsiva per la musica. Le uniche creature a cui posso far male sono le zanzare, non te di sicuro. Alla prossima”
Forse non era vero che non potevo cambiare...
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Piccola nota inutile*
Sono tornata con una long decisamente molto ma molto long... Dunque, ho tre piccoli avvertimenti da darvi prima di cominciare:
1- La storia comprende un bel... 30 capitoli!!! quindi, se non vi va di perdere e buttare via così tanto tempo della vostra vita, lo capisco e lo rispetto; a voi la scelta.
2- Il rating, come potete vedere, non è rosso, dunque... se cercate qualcosa di un po’ più sporco, questa storia non fa per voi, dato che comprende più pensieri-cosefluffose-disagi-baci-e-carezze e dato che il rating, secondo me, poteva benissimo essere pure giallo, ma per stare tranquilli ho scelto di metterlo comunque arancio.
3- Ho finito ieri di scrivere la storia per intero e ora devo ““solo”” ricopiarla tutta al pc, ma penso comunque che tra la pubblicazione di un capitolo e quella di un altro non passeranno lustri, decenni e secoli.
Bene!
Vi auguro buona lettura e, se siete nostalgici e facilmente rattristevoli (????), preparate i fazzoletti. Buon San Valentino (anticipato) a chi tra di voi che state leggendo ha la fortuna di avere un Gerard o un Frank al proprio fianco (sono così fangirl che mi faccio schifo :’) )
Baci :*

 


 

La prima volta in cui vidi Gerard Way, avevo vent’anni.

“Eravamo andati al mare, i-io non... non pensavo che... scusate.” E per la quarta volta consecutiva si bloccò e scoppiò a piangere. Se non fosse stato per mia madre, io non avrei mai messo piede in quel luogo, ma ero stufo di vederla triste ogni volta che provava ad abbracciarmi e io mi scansavo da lei terrorizzato. Le cose erano andate più meno così: avevo dodici anni quando successe, andavo alle medie e avevo una vita tutto sommato bella, fino a quando non arrivò lui, il mio professore di ginnastica. Giravano voci sul fatto che fosse pedofilo, drogato, violento e chi più ne ha più ne metta, ma non vi avevo mai creduto, insomma, mi fidavo più di un adulto che dei racconti di adolescenti brufolosi e pieni di ormoni fino alla testa, ma a quanto pareva mi sbagliavo... No, non ha abusato di me, che schifo, ma in più occasioni aveva deciso che il salto in alto non si faceva in quel modo e mi aveva dunque riempito di botte e insulti fino allo sfinimento. Mia madre, ogni volta che ero tornato a casa pieno di lividi, non aveva fatto altro che sgridarmi e mettermi in castigo, perchè “Smettila di picchiarti coi tuoi amici Frank!” Amici... non aveva capito proprio nulla. Fatto sta che per tutti i miei anni di medie sono stato riempito di pugni e calci, così da aver sviluppato una paura tremenda soltanto nel farmi fare una carezza da qualcuno e una totale sfiducia nei confronti del genere umano, poichè, provate a mettervi nei miei panni, dopo tre anni in cui avevo provato a dire a professori, preside, madre, padre, nonni e che cazzo ne so che il mio professore mi picchiava a sangue e loro mi avevano risposto con un “Non essere ridicolo Frank!”, avevo imparato a fidarmi solo di me e dei miei occhi.
“Va tutto bene Emily, tranquilla...” Roteai gli occhi al cielo perchè non ne potevo già più di quella pagliacciata che si ostinavano a chiamare “seduta di gruppo”... Mia madre, pensando di poter mettere a posto la situazione dopo aver capito che non le avevo mentito riguardo al mio professore, aveva deciso di farmi partecipare a questi incontri in cui chiunque fosse stato strattonato un po’ più forte dal padre durante l’infanzia o semplicemente dimenticato al supermercato per due ore, veniva a raccontare la sua “esperienza traumatica”, a condividerla per poter dimenticare più in fretta... Immaginate la rottura.
“E invece tu? Come ti chiami?” Pensai si stesse riferendo a me, insomma, avevo gli occhi di tutti puntati addosso, così che mi schiarii la voce e feci questo sforzo enorme.
“Frank.” Credetti fosse finita lì, insomma, non avevo di certo voglia di condividere la mia “esperienza traumatica” con loro, oh no!
“E come mai sei qui Frank?” Ecco, perfetto.
“Onestamente non lo so nemmeno io, cioè, mi ha obbligato mia madre perchè i sensi di colpa non la fanno più dormire la notte, ma io non so perchè sono qui.” Calò un silenzio di tomba in cui gli sguardi di tutti si incollarono a me, così che mi sentii, se possibile, peggio di quando qualcuno provava a toccarmi senza il mio consenso.
“P-Potete smettere di fissarmi...?” Mormorai nascondendo il viso tra le mani e portando le gambe sulla sedia, accucciandomi come un bambino.
“Ti infastidisce essere osservato?” Mi chiese lo psicologo.
“No. Mi infastidisce stare in mezzo alla gente, non mi fido di nessuno. Il solo fatto di essere uscito di casa oggi è stato uno sforzo enorme per me, okay!? Adesso piantatela di fissarmi e andate pure avanti a parlare delle vostre stronzate, io ho di meglio da fare.” Mi alzai di scatto e mi catapultai fuori dalla porta, fuori dalla visuale di quei sedici sguardi fissi su di me e fuori dal pericolo che uno di quei sedici sguardi sarebbe potuto appartenere a qualcuno di cattivo, qualcuno che mi avrebbe fatto male.
Mi accovacciai a terra e mi abbracciai le gambe al petto come facevo quando non mi sentivo al sicuro e quando ero spaventato, per poi cominciare a piangere piano. Io ero stufo di trattare così la gente, non era stata mia intenzione quella di trattare tutti come sacchi di merda, ma oramai era l’unica cosa che sapevo fare; era così che mi relazionavo con le persone, che non mi facevo amici e che spezzavo il cuore di mia madre, ed era così che mi aveva ridotto un uomo e il periodo speso alle superiori dopo “l’incidente”, in cui non appena qualcuno mi toccava la spalla per chiamarmi io cominciavo ad urlare e piangere. Le superiori erano state forse peggio da questo punto di vista, poichè prima che si venisse a sapere che quell’uomo era pazzo e che picchiava davvero i suoi alunni, nessuno mi aveva mai creduto e tutti mi avevano preso per pazzo e mi avevano preso in giro, pensando che avessi qualche disturbo mentale o che fossi autistico. Quante volte mi avevano preso di forza e chiuso nell’armadietto e quante volte avevo pianto come un dannato pregando mia madre di uccidermi... Pazzesco come una “piccola” cosa avesse distrutto la mia vita.
“Hey, tutto bene?” Alzai il volto di scatto e subito il mio sguardo si incollò a quello di un ragazzo seduto davanti a me nella mia stessa identica posizione e con la stessa identica paura nei suoi occhi. Mi chiesi da quanto tempo fosse lì e, soprattutto, quali fossero le sue intenzioni... Non risposi, mi abbracciai meglio le gambe al petto e lo fissai da dietro le ginocchia, con gli occhi spalancati.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” Mi chiese visibilmente preoccupato e colpito dalla mia reazione.
“Sto bene.” Risposi, per poi alzarmi in piedi con l’intento di scappare nel bagno più vicino per piangere tutte le mie lacrime in santa pace e anche vergognarmi per come mi stessi comportando da idiota con quel ragazzo dagli occhi dolci. Insomma, c’erano scarsissime probabilità che potesse essere un pericolo, ma oramai la mia sfiducia vinceva su tutto e tutti, me compreso.
“Sicuro...?” Detto questo, mi afferrò piano il polso e il mio cuore prese ad esplodermi nel petto per la paura. Contatto fisico con uno sconosciuto, indipendentemente da quanto i suoi occhi fossero dolci, era totalmente proibito.
Urlai, che potevo fare?
“Non toccarmi! Nessuno deve toccarmi!” Tutti uscirono dalla stanza e si affrettarono a sorreggermi e quindi a toccarmi e non fui mai così vicino a una crisi di panico come in quel momento.
“Lasciatemi stare, non toccatemi!” Ma nessuno pareva sentirmi... Finalmente lo psicologo capì cosa stava succedendo, così che scansò tutti e mi si avvicinò piano, senza sfiorarmi.
“Vieni Frank, andiamo a prendere un po’ d’aria.” E lo seguii, poichè tutto era meglio che stare in mezzo a quella gente.
“Mi dispiace...” Fu l’ultima cosa che sentii, la voce dolce quanto i suoi occhi mi arrivò piano ma ben chiara all’orecchio.
“Anche a me...” Bisbigliai in modo che nessuno a parte me sentisse.
Che dire? Una giornata decisamente di merda.

  
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