Winter 1534
Tra poco sarebbe giunto il giorno di Natale, ancora Enrico, ormai calvo come Cesare non aveva figli maschi..
Pochi mesi dopo la nascita della garse, ovvero la mocciosa, come l’ambasciatore spagnolo chiamava Elizabeth, Nan Bullen era di nuovo in presunta attesa tranne che nell’estate aveva perso il bambino.
Lei ne era stata lieta, in fondo al cuore era un segno che quelle non erano vere nozze e prima o poi lo avrebbe capito.
Forse ..
Giovanna vedeva segni dove altri non scorgevano nulla e si appellava quasi sempre alla sua volontà.
Tenera madre, chissà cosa rifletteva, a Tordesillas, nel perimetro angusto delle sue stanze di prigioniera.
Raccontavano che ormai avesse i capelli grigi, lo sguardo sparuto e vivesse nei silenzi, senza comodità, quello per colpa del suo carceriere, il marchese Denia, che le negava anche un fuoco acceso in più, una coperta, se non si voleva confessare ..
Ostinata come una capra, la definivano, mentre lei, Caterina trascorreva le giornate tra preghiere e penitenze, sperando che Enrico rinsavisse, dato che il 23 marzo 1534 il Papa aveva dichiarato che il matrimonio tra di loro era sempre stato valido ..
E l’atto di successione, per simbolica coincidenza, recava la data del 23 marzo 1534, stabiliva la validità delle nozze tra Enrico e Nan Bullen, e il diritto dei loro eredi alla successione.
Scemenze, riflettè, facendo scorrere i grani del rosario tra le mani, un raggio di sole che batteva sulla cuffia antiquata, di foggia spagnola, sotto cui erano raccolti i suoi capelli ormai venati di grigio e ferro, il suo corpo pesante era ormai un peso di fatica.
Lo pensava in latino, lingua che aveva appreso con scioltezza fin dall’infanzia, in cui parlava e scriveva, tra gli altri con il principe Arturo, suo primo marito, che all’epoca del fidanzamento le aveva scritto tenere lettere”..Alla Principessa Caterina .. me plurimi dilecte .. Invero le vostre lettere tracciate dalla vostra graziosa mano mi hanno sì deliziato e reso tanto lieto e felice che quasi m’è parso di vedere Vostra Altezza e conversare con voi e abbracciare la mia sposa diletta..”
Forse dettate, come quelle che Giovanna scambiava e riceveva da Filippo, sbuffando peraltro in modo indecoroso, preferiva stare all’aria aperta, nei giardini della rossa Alambra di Granada o correre a cavallo, libera almeno per qualche attimo nella foga della corsa.
Al momento delle nozze per procura, era una meraviglia, un gioiello di ineguagliabile splendore, solo il viso tradiva la sua ansietà.
Anche per lei era stato in quel modo, una delle ultime tappe in Spagna era stato il santuario di Santiago di Compostela, ove aveva passto una notte in preghiera, come un antico cavaliere, una pellegrina, umile viandante, come era adesso, come era Giovanna in prigione ..
Sconteremo vivendo i nostri peccati, in questa vita ..
Noi che veniamo da Hesperia, la terra occidentale, come i romani chiamavano la Spagna, ma siamo anche regine e stelle come Espero, la stella della sera..
Fredde ed eterne..
Tra poco sarebbe giunto il giorno di Natale, ancora Enrico, ormai calvo come Cesare non aveva figli maschi..
Pochi mesi dopo la nascita della garse, ovvero la mocciosa, come l’ambasciatore spagnolo chiamava Elizabeth, Nan Bullen era di nuovo in presunta attesa tranne che nell’estate aveva perso il bambino.
Lei ne era stata lieta, in fondo al cuore era un segno che quelle non erano vere nozze e prima o poi lo avrebbe capito.
Forse ..
Giovanna vedeva segni dove altri non scorgevano nulla e si appellava quasi sempre alla sua volontà.
Tenera madre, chissà cosa rifletteva, a Tordesillas, nel perimetro angusto delle sue stanze di prigioniera.
Raccontavano che ormai avesse i capelli grigi, lo sguardo sparuto e vivesse nei silenzi, senza comodità, quello per colpa del suo carceriere, il marchese Denia, che le negava anche un fuoco acceso in più, una coperta, se non si voleva confessare ..
Ostinata come una capra, la definivano, mentre lei, Caterina trascorreva le giornate tra preghiere e penitenze, sperando che Enrico rinsavisse, dato che il 23 marzo 1534 il Papa aveva dichiarato che il matrimonio tra di loro era sempre stato valido ..
E l’atto di successione, per simbolica coincidenza, recava la data del 23 marzo 1534, stabiliva la validità delle nozze tra Enrico e Nan Bullen, e il diritto dei loro eredi alla successione.
Scemenze, riflettè, facendo scorrere i grani del rosario tra le mani, un raggio di sole che batteva sulla cuffia antiquata, di foggia spagnola, sotto cui erano raccolti i suoi capelli ormai venati di grigio e ferro, il suo corpo pesante era ormai un peso di fatica.
Lo pensava in latino, lingua che aveva appreso con scioltezza fin dall’infanzia, in cui parlava e scriveva, tra gli altri con il principe Arturo, suo primo marito, che all’epoca del fidanzamento le aveva scritto tenere lettere”..Alla Principessa Caterina .. me plurimi dilecte .. Invero le vostre lettere tracciate dalla vostra graziosa mano mi hanno sì deliziato e reso tanto lieto e felice che quasi m’è parso di vedere Vostra Altezza e conversare con voi e abbracciare la mia sposa diletta..”
Forse dettate, come quelle che Giovanna scambiava e riceveva da Filippo, sbuffando peraltro in modo indecoroso, preferiva stare all’aria aperta, nei giardini della rossa Alambra di Granada o correre a cavallo, libera almeno per qualche attimo nella foga della corsa.
Al momento delle nozze per procura, era una meraviglia, un gioiello di ineguagliabile splendore, solo il viso tradiva la sua ansietà.
Anche per lei era stato in quel modo, una delle ultime tappe in Spagna era stato il santuario di Santiago di Compostela, ove aveva passto una notte in preghiera, come un antico cavaliere, una pellegrina, umile viandante, come era adesso, come era Giovanna in prigione ..
Sconteremo vivendo i nostri peccati, in questa vita ..
Noi che veniamo da Hesperia, la terra occidentale, come i romani chiamavano la Spagna, ma siamo anche regine e stelle come Espero, la stella della sera..
Fredde ed eterne..