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Autore: Adeia Di Elferas    15/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~“Dunque?” chiese Ludovico, con impazienza.
 Caterina finì di leggere nella mente la lettera, poi l'accartocciò con entrambe le mani e la buttò in terra dicendo: “Leggetela pure, se tanto ci tenete. Fosse per me la getterei subito nel fuoco. E ora, con permesso...”
 E senza aspettare nessun congedo, la Contessa Riario uscì dal salone seguita a ruota dai suoi uomini.
 Ludovico fece cenno a un servo affinché gli raccogliesse il prezioso incartamento. Quando finalmente lo ebbe tra le dita, cercò di appianare le increspature causate dalla stretta stizzosa della nipote e prese a leggere, sorvolando sui convenevoli iniziali, che, per altro, erano molto stringati e molto freddi.
 'Il nuovo aumento sulla tassa sul macinato – diceva la lettera – ha agitato oltremodo i cittadini di Forlì. Contestualmente a questa scomoda situazione che ha portato molti popolani a riversarsi nelle strade per dimostrare la propria ostilità nei confronti delle Signorie Vostre, il Conte Riario ha manifestato una singolare malattia che lo ha portato a essere impossibilitato a prendere una qualsivoglia decisione. Perciò, immediatamente, ha predisposto affinché la corte venisse traferita seduta stante a Imola.'
 Ludovico fece un fischio, intuendo come fosse quella la parte che per prima aveva fatto infuriare sua nipote.
 'Questa decisione – riprendeva a scrivere il mittente – è stata presa dal Conte in quanto a suo dire questa città è più tranquilla e più adatta a un convalescente quale lui è. Dall'arrivo nella città di Imola il Conte Riario è rimasto chiuso nelle proprie stanze, senza voler parlare con nessuno, né occuparsi dei figli, né degli affari dello Stato, rifiutandosi finanche di cambiarsi d'abito o mangiare altro che non fosse cibo portato da lui stesso direttamente da Forlì. Questa malattia gravissima e misteriosa sta impedendo al signor Conte di agire come di dovere. In Forlì resta come figura di polso unicamente Melchiorre Zaccheo, nostro fidatissimo uomo, Castellano della Rocca di Ravaldino. Tuttavia la situazione non può restare stabile ancora a lungo e con la lontananza delle Vostre Signorie da Forlì il peggior rischio è quello di arrivare a perdere la città. Dunque con questa mia imploro la Signoria Vostra di raggiungere Imola al più presto, senza porre ulteriore indugio, al fine di far rinsavire il signor Conte e riportare la corte a Forlì. La mia richiesta è urgentissima poiché le cose dello Stato stanno andando alla rovina e ognuno si approfitta della condizione del signor Conte.'
 Infine, in calce, stava in bella mostra la firma di un certo Matteo Menghi.
 Ludovico rilesse ancora un momento le parole che riguardavano la condotta del Conte Riario. Sembrava un affare molto serio...
 “Portatemi qui i due migliori medici di Milano!” ordinò, rivolgendosi a una delle guardie: “E dite loro che si preparino a partire alla volta di Imola, per curare un malato molto particolare.”

 Caterina entrò a Palazzo Landriani come una furia. Ignorò le domande che sua madre le faceva mentre la inseguiva su per le scale e, un volta arrivata nella sua stanza, vi si chiuse dentro a due mandate.
 Come aveva potuto quella peste di suo marito fare una cosa tanto stupida? Non capiva che l'unico modo per non perdere Forlì era non andarsene nemmeno per sbaglio?
 Appoggiò la fronte al muro, mentre fuori dalla porta sentiva la voce di Lucrezia e quella di Bianca che parlottavano concitate, chiedendosi cosa mai fosse successo. Dopo poco alla caciara si unirono anche le voci di Gian Piero e di Chiara.
 Anche se apparentemente cercavano di moderare i toni, facevano una confusione indibile, quando invece Caterina avrebbe voluto solo un po' di silenzio per pensare lucidamente.
 Si sentiva in colpa, anche se non avrebbe voluto, perchè sapeva che se non avesse lei per prima commesso la leggerezza di allontanarsi da Forlì, non l'avrebbe fatto nemmeno suo marito.
 Ma spostare la corte...! Come aveva potuto? Se proprio aveva paura, poteva ritirarsi a Imola, ma senza cambiare l'organizzazione dello Stato!
 Caterina tentò di normalizzare il respiro e di tornare a ragionare lucidamente.
 Un crampo improvviso all'addome le fece anche tornare in mente che con Girolamo c'erano i loro figli e loro più di tutti erano in pericolo... Nelle mani di un padre incapace, potevano diventare facilmente merce di scambio o oggetto di minaccia.
 Di certo Faenza sapeva già dello spostamento della corte, perchè era certo che Girolamo per andare a Imola fosse passato per le terre dei Manfredi, probabilmente pagando un pedaggio senza precedenti, magari addirittura indebitandosi...
 L'unica speranza che restava loro per tenere Forlì e per evitare che le città vicine alzassero la cresta era rimettere tutto a posto, disfare tutti i pasticci fatti da Girolamo in... Quanto? Nemmeno un mese?
 Caterina represse un grido di rabbia, dando un forte pugno contro il muro.
 “Caterina!” esclamò Lucrezia, al di là della porta, spaventata per quel suono repentino.
 “Aprite, per carità! Diteci che state bene!” fece eco Gian Piero, appena più controllato.
 Caterina si teneva la mano con cui aveva dato il pugno al muro. Si era solo fatta del male, con quel gesto.
 Deglutì e disse: “Sto bene.”
 A quelle parole, il piccolo gruppo che si accalcava fuori dalla sua porta si zittì.
 Caterina sentiva un nodo all'altezza dello stomaco e un grande desiderio di vomitare, all'idea di quello che stava per fare. Tuttavia non perse tempo, temendo in un ripensamento che avrebbe fatto crollare la sua determinazione.
 Prese il bagaglio – molto piccolo in effetti – con cui era arrivata a Milano e ci cacciò dentro alla rinfusa i pochi abiti che si era portata da Forlì e poi uscì dalla camera, sorprendendo tutti.
 Gli occhi chiari di Lucrezia corsero dal volto della figlia, che era rigido come una maschera, non dissimile da com'era quando Caterina era arrivata a Milano non molti giorni addietro, al bagaglio che teneva tra le braccia.
 “Devo recarmi immediatamente a Imola. Gian Piero, vi spiecerebbe avvertire gli uomini della mia scorta e dire loro che si preparino a partire in capo a un'ora al massimo?”
 Gian Piero, attonito, chinò appena il capo e si affrettò a eseguire l'ordine.
 Bianca e Lucrezia osservavano sconcertate Caterina, che faceva del suo meglio per sembrare calma.
 “Cos'è successo?” chiese Lucrezia, con apprensione.
 “Affari di Stato.” disse in fretta Caterina, cominciando ad avviarsi alle scale per andare a depositare al piano di sotto il suo bagaglio.
 “Cose gravi?” domandò ancora la madre, seguendola.
 “Se non lo fossero, non partirei, di questo puoi essere certa.” ribatté Caterina, non riuscendo a trattanersi.
 In fondo alle scale, Lucrezia la bloccò per un braccio e per un istante i loro sguardi si incrociarono: “Figlia mia, mi raccomando. Qualunque cosa succeda, pensa sempre ai tuoi figli.”
 “Certo.” soffiò Caterina, librandosi dalla stretta materna con delicatezza, ma anche con fermezza.
 Chiara seguiva quel piccolo corteo a qualche passo di distanza. Caterina la notò solo quando ebbe appoggiato il bagaglio in terra, vicino all'ingresso.
 “Potreste andare un momento a vedere se ho dimenticato di sopra qualcosa?” chiese improvvisamente Caterina, guardando la madre e Bianca.
 Annuirono entrambe, benché avessero trovato la richiesta un po' strana, e si avviarono di nuovo alle scale, seguite pure da Chiara.
 Caterina afferrò la sorella per la manica e le fece capire che voleva restare un momento sola con lei.
 Chiara non si oppose e dopo che le due si furono guardate per un lungo istante, Caterina le disse, con una serietà che fece venire la pelle d'oca alla sorella: “Dimmi esattamente come hai ucciso tuo marito.”
 Chiara restò a bocca aperta, ma visto che Caterina rimaneva in attesa, rispose, incerta: “Ho comprato dell'infuso di cicuta da uno speziale e dopo qualche tempo ho preparato la colazione a Pietro, mettendo il veleno nel vino.”
 Caterina abbassò gli occhi e annuì in silenzio. Dal modo in cui corrugava la fronte e dall'espressione pensierosa che aveva assunto, Chiara capì in fretta che stava pensando di emularla. E con le conoscenze alchemiche che aveva, non avrebbe nemmeno dovuto aspettare di incontrare uno speziale per procurarsi del veleno.
 Così, con urgenza, Chiara prese per le spalle la sorella e, quasi piangendo, la implorò: “Non farlo! Non farlo o te ne pentirai per tutta la vita! Non passa giorno che io non mi penta di aver ucciso mio marito. Ti prego, sorella mia, non fare il mio stesso errore!”
 Caterina la squadrò con occhi di ghiaccio e, proprio mentre Lucrezia e Bianca tornavano da loro, le sussurrò: “Ma tu amavi tuo marito, mentre io non ho mai amato il mio.”
 
 Appena prima che la piccola comitiva fosse pronta per partire, arrivarono, trafelatissimi e di corsa, due medici mandati espressamente da Ludovico.
 Dissero che il reggente del Duca li aveva personalmente scelti per quel compito in quanto erano molto esperti nelle malattie nervose e quindi avrebbero potuto trovare una cura per il singolare male che aveva colpito il Conte Riario.
 Caterina accettò la loro presenza, ma li avvertì che il viaggio sarebbe stato a tappe forzate, senza comodità e senza soste, eccezion fatta che qualche ora per riposare durante la notte.
 Quando arrivò il momento del congedo, Caterina lasciò che Gian Piero Landriani le stringesse con forza la mano nelle sue, mentre le diceva, accorato: “Mi spiace che mio figlio Piero sia fuori città, oggi. Di certo avrebbe voluto salutarvi. Vi è già molto affezionato.”
 Poi fu il turno di Chiara. Lei e Caterina si strinsero nel primo abbraccio sinceramente affettuoso che si erano scambiate da quando si erano riviste.
 “Non risposarti. Vieni a Forlì con me.” le propose in un bisbiglio Caterina.
 Chiara scosse il capo e bisbigliò di rimando: “Grazie, ma quello che voglio è farmi una famiglia. Scriviamoci spesso, va bene?”
 Poi Caterina abbracciò anche Bianca, che tratteneva a stento le lacrime, e infine fu il turno di Lucrezia.
 Avevano entrambe creduto di avere a disposizione molti giorni ancora per parlare, confidarsi e passare del tempo insieme e invece già dovevano separarsi...
 Colta da un irresistibile istinto, Caterina le disse, dopo che la madre l'ebbe baciata sulla guancia: “Appena avrò sistemato le cose nelle mie città, venite in visita a Forlì, tu e Chiara, tutt'e due. Anche Piero, se vorrà. Conoscerete i miei figli e potremo recuperare il tempo perduto.”
 Lucrezia le sorrise e parve improvvisamente impacciata. Al che Gian Piero sorrise pacato: “Certo che verranno.”
 Rincuorata da quelle parole, Lucrezia accarezzò la figlia: “Sì, appena ci scriverai, verremo da te.”
 Caterina diede un ultimo sguardo a tutti loro e uscì in strada, dove i cavalli già l'attendevano, pronti e impazienti di mettersi in marcia.

   
 
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