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Autore: marta_bilinski24    15/02/2016    5 recensioni
Tratto dal primo capitolo: “Derek non sapeva come fosse potuto accadere. […] si ritrovava prigioniero del suo stesso corpo, senza la più pallida idea di come recuperare le sue normali funzioni umane. […] Derek era diventato un lupo completo e non sapeva più come tornare un uomo.”
Se non vi bastasse un wolf!Derek aggiungeteci un dogsitter!Stiles e state a vedere cosa succederà!
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali: Sono tornata! :) Mi è mancato un sacco aggiornare ogni qualche giorno. Spero siate carichi dopo la pausa e pronti ad un capitolo bello tosto!

Questo capitolo segue parallelamente la giornata di Cora e quella di Derek e Stiles. Troverete i paragrafi dedicati a Cora con la scrittura normale e quelli dedicati a Derek e Stiles in corsivo.

 

 

 

CAPITOLO 6: Dimmi chi sei

 

Il sole aveva appena fatto capolino da dietro le montagne, a segnare l’inizio di una nuova giornata; i suoi raggi arrivarono a lambire la macchina di Cora, ancora rannicchiata sul sedile e immersa in un sonno abbastanza vigile. Si era fermata a tarda notte a lato della strada, aveva viaggiato parecchio verso nord e il paesaggio aveva cominciato a cambiare, insieme alla temperatura. La ragazza si stropicciò gli occhi stanchi, distese le braccia e chiudendosi il piumino scese dall’auto. Erano quasi le sette di mattina e soffiava già una brezza leggera, destinata a diventare più fredda una volta che il sole fosse sorto completamente e Cora avesse proseguito il viaggio verso nord, verso il confine dello stato. Aveva appuntamento con l’Alpha in mattinata, per cui la ragazza decise che poteva concedersi due passi per sgranchirsi le gambe. La strada che aveva percorso e a lato della quale si era fermata si insinuava in mezzo ad una estesa riserva naturale, dove gli alberi si susseguivano e si rincorrevano uno dietro l’altro. Cora camminò per qualche minuto, senza allontanarsi eccessivamente dal luogo dove aveva parcheggiato l’auto; voleva sentirsi ancora a casa, camminare nel bosco e sedersi ai piedi di un albero, respirare l’aria pungente a pieni polmoni. Si accovacciò per terra, su un tappeto di foglie secche, portandosi le ginocchia al petto: sarebbe stata una lunga giornata, pensò sospirando. Poi prese dalla tasca il suo telefono cellulare e osservò nuovamente la foto che faceva da sfondo al suo schermo: Stiles e Derek dormivano abbracciati. E Cora si sentiva a casa.

 

Derek aprì un occhio quando sentì il calore del primo raggio di sole mattutino scaldargli le zampe. Dovevano essere più o meno le sette, poteva dedurlo dalla quantità di luce che filtrava dalle tende della stanza di Cora…tende che Stiles si era dimenticato di chiudere, ecco perché ora il sole stava cominciando a inondare inesorabilmente la stanza. Ma Stiles sembrava non accorgersi di nulla, sembrava immerso in un sonno profondo e rilassato. Derek si prese tutto il tempo per ammirare il ragazzo che dormiva così vicino a lui: la pelle candida e liscia, i suoi caratteristici piccoli nei, la curvatura delle labbra che al centro sembravano formare un delizioso cuoricino, le lunghe ciglia che nascondevano al momento l’indescrivibile colore di occhi del ragazzo. Ma più di tutto, aveva un mezzo sorriso sulle labbra che faceva crollare ogni barriera di Derek, che lo faceva sentire allo stesso tempo così vulnerabile e così vivo. Poi quel sorriso si increspò per allargarsi in uno ancora più grande, mentre due occhi liquidi si aprivano per puntarsi in quelli blu mare del lupo. «Buongiorno Sourwolf! E così sei sveglio anche tu. Io senza il mio cuscino non so stare…anche se devo dire che sei stato un degno sostituto, grazie» e senza alcun preavviso gli sfiorò con le labbra il centro della fronte, proprio sopra gli occhi, lasciandogli sul pelo un casto e innocente bacio. Derek trasalì e non poté fare a meno di pensare che quello era il modo in cui avrebbe voluto svegliarsi ogni mattina per il resto della sua vita.

 

Cora aveva trovato un bar nella stessa cittadina dell’Alpha, poco distante dalla casa dove avrebbe dovuto incontrarlo. Aveva bisogno di una bella dose di caffè e qualcosa da mettere sotto i denti prima di incontrarlo. La porta della caffetteria si aprì, cigolando appena sui cardini arrugginiti, facendo entrare la ragazza in un ambiente semplice e ben sistemato. Non era un locale particolarmente grande, ma era arredato in maniera calda e accogliente, come una cucina domestica. I tavoli erano apparecchiati con delle tovaglie a scacchi bianchi e rossi e l’aroma di caffè nero si espandeva in tutto lo stabile: era così che sognava sarebbe stata la caffetteria del suo hotel, voleva che i suoi ospiti entrando si sentissero a casa. Si sedette al bancone, amava dondolare le gambe su quegli sgabelli altissimi, la faceva tornare indietro di anni e anni, quando Derek doveva aiutarla a salirci sopra mentre Talia preparava deliziosi pancakes per colazione. «Una porzione di pancakes con lo sciroppo e un caffè…fallo doppio, per piacere» chiese strizzando l’occhio al cameriere che stava pulendo il tavolo con uno straccio in attesa dell’ordinazione della ragazza. «Arrivano subito!» ribatté il ragazzo mettendosi subito al lavoro, non prima di averle ricambiato l’occhiolino. Cora abbassò lo sguardo, arrossendo appena e abbozzando un sorriso assonnato.

 

Derek entrò in cucina, mentre Stiles stava lavorando già da qualche minuto tra latte, cereali e tazze. Non avendo avuto tempo di ripassare da casa e prepararsi una borsa, Stiles aveva avuto l’ok da Cora per utilizzare il guardaroba di Derek. Il lupo lo trovò girato di spalle, di fronte al bancone della cucina, intento a gestire contemporaneamente il tostapane e la macchina del caffè. Aveva indossato i vecchi pantaloni della tuta di Derek che non poté fare a meno di notate che, nonostante gli stessero larghi, il sedere piccolo, tondo e sodo che si ritrovava ne usciva comunque esaltato, perché il tessuto gli cadeva perfettamente sopra e ne lasciava intravedere le giuste curve. I pantaloni erano però indubbiamente della taglia sbagliata, per cui in vita stavano troppo larghi al ragazzo, che continuava a cercare di tirarseli su ad ogni passo, rischiando di rovesciare scatole, tazze e posate. Se questo non fosse bastato a mandare già in ebollizione Derek, la maglia che Stiles aveva indossato si era appoggiata su un fianco e il continuo cadere dei pantaloni metteva in mostra quel lembo di pelle e l’elastico degli slip del ragazzo: se questa era solo la mattina del sabato, Derek pensò che non sarebbe arrivato vivo alla fine del weekend. In quello stesso momento Stiles si girò raggiante, tendando ancora goffamente di non far cadere né i piatti che teneva in mano né gli indumenti che teneva addosso. «Ed ecco la colazione, mio caro Derek!» esclamò eccitato posandogli davanti al muso un piatto di pancakes appena cucinati. Quello era il miglior profumo del mondo, dopo quello di Stiles.

 

Cora sorseggiò con calma il suo caffè, aspettando che la caffeina entrasse in circolo e le desse le forze che le sarebbero servite: sarebbe stata una giornata molto lunga. «…e così…sei qui di passaggio?» Il barista. Cora se n’era quasi completamente dimenticata, si era immersa nella marea di pensieri che le ingombravano la mente, lasciando che il suo sguardo si perdesse nel vuoto. Si riscosse improvvisamente, girandosi di scatto verso il suo interlocutore. «Oddio, scusa, sono stato indiscreto. Fai finta di non avermi sentito» si scusò subito il ragazzo. «No no, tranquillo. Ero solo ancora mezza addormentata. Comunque, beh, sono in città per degli affari di famiglia» e sorrise come per dire che non poteva aggiungere altro. «Mi piace un sacco l’arredamento di questo posto. Sei tu il proprietario?» chiese per cambiare argomento. Non voleva risultare sgarbata e preferiva spostare la conversazione su temi più leggeri. Inoltre era davvero interessata a quel posto, era solita fantasticare su come sarebbe stato un giorno un locale tutto suo, un hotel tutto suo. «In realtà è dei miei nonni, io aiuto in cucina solo da qualche anno» spiegò timidamente il barista. In effetti a prima vista poteva avere più o meno l’età di Cora mentre il posto, per quanto ben tenuto e sempre elegante, dimostrava abbastanza più anni. In quel momento a Cora suonò il cellulare: l’Alpha voleva confermare l’orario del loro incontro e la ragazza si rese conto che non mancava poi così tanto. Ringraziò calorosamente il barista per la colazione e per le chiacchiere e gli lasciò sul bancone una discreta mancia. Era stato un bell’incontro, la ragazza era riuscita a scaricare un po’ di tensione che si teneva dentro da quando era partita. Amava incontrare la gente e scambiare due parole, confrontarsi su un mondo in cui lei sognava un giorno di poter entrare.

 

Derek si avventò sul piatto immediatamente, non solo perché aveva parecchia fame ma anche perché sapeva delle doti culinarie di Stiles. Non capitava spesso che cucinasse per lui, ma quando lo faceva, soprattutto se si trattava di dolci, Derek andava fuori di testa: quel ragazzo sapeva come prenderlo per la gola. «Allora apprezzi i miei pancakes, eh lupastro?» scandì con una punta di soddisfazione Stiles. Derek alzò la testa dal piatto solo per dargli un piccolo abbaio, quasi a bocca chiusa; Stiles scoppiò a ridere per la situazione in cui si trovava il muso del lupo, completamente sporco e appiccicoso. «Fatti pulire un po’» provò a dirgli il ragazzo, posando la tazza di caffè che stava bevendo e girandosi sullo sgabello per prendere un paio di salviette. Ma Derek capì subito quello che stava per fare e afferrando coi denti l’ultimo pezzo di pancake saltò giù dalla sedia e schizzò sotto il tavolo. Stiles lo raggiunse in un attimo, tentando di afferrarlo per i fianchi; tuttavia il lupo riuscì a sfuggirgli, uscendo da sotto il tavolo e correndo dalla parte opposta della cucina. Stiles uscì goffamente passando in mezzo alle sedie e invece che rincorrere Derek si fiondò verso la porta della cucina: il lupo capì troppo tardi che gli stava togliendo ogni possibilità di fuga girando la chiave nella serratura e chiudendolo dentro la stanza. «E ora a noi due, Sourwolf!» e quello sembrava un vero e proprio grido di battaglia.

 

La casa dell’Alpha era poco fuori dalla città; Cora sapeva per esperienza personale che un branco di lupi mannari non ama vivere in centro, preferisce stabilirsi nella periferia, possibilmente più vicino alla natura che agli umani. Non fu difficile trovare l’abitazione, la strada sterrata che la ragazza aveva imboccato appena le ultime case avevano cominciato a diradarsi l’aveva portata direttamente di fronte al caseggiato. L’edificio si sviluppava più in lunghezza che in altezza, a giudicare dal numero di finestre possedeva un piano terra, un primo piano e un attico. Cora parcheggiò l’auto accanto alle altre tre vetture che erano poste accanto alla casa; poco più in là si estendeva un lungo steccato, oltre il quale solo la natura aveva potere. Il verde brillante dei prati e degli alberi stonava con il grigiore tetro dell’abitazione, che doveva essere parecchio vecchia o quantomeno mal tenuta. In diversi punti la vernice era scostata e si poteva intravedere il colore del legno che però nei punti scoperti si stava riempiendo di muschio o stava marcendo. Cora inspirò a fondo, il cuore le batteva forte nel petto e la cosa peggiore era che sapeva benissimo che l’Alpha sapeva che lei era lì e che era agitata: non poteva fare un’entrata in scena peggiore. Scrollò le spalle, cercando di togliersi quella sensazione di dosso e si concentrò sull’unica cosa che sapeva riusciva sempre a rimetterla in carreggiata: lo stava facendo per suo fratello, ogni cosa era per Derek. Non poteva fare altro che andare avanti a testa alta, esitare ancora sulla porta di casa non era contemplabile; si sistemò la giacca, sfilò il cappello di lana e passò rapida una mano tra i capelli mentre l’altra premeva forte e a lungo il campanello.

 

«Non hai via di scampo, sai cosa vuol dire Derek? Che ti prenderò e ti laverò, dovessi radere al suolo questa cucina!» La risata che seguì questa frase fu talmente perfida che Derek sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Ma non era uno dei soliti brividi che provava quando era con Stiles, quella era terrore puro, perché sapeva che in un modo o nell’altro quel maledetto ragazzino avrebbe vinto. L’unica cosa da fare era almeno non dargli la soddisfazione di vincere facile, aveva pur sempre sfidato un Hale e un Hale raccoglie sempre il guanto di sfida. Stiles si avventò senza preavviso su Derek, che scattò facilmente in direzione opposta, posizionandosi esattamente sotto il piano cottura, progettando in un attimo un piccolo piano di vendetta: se doveva essere costretto a fare un bagno, non sarebbe stato l’unico. Se avesse potuto avrebbe sorriso, anzi ghignato al ragazzo che stava per scaraventarglisi addosso, nel modo più goffo e più “alla Stilinski” che Derek avesse mai visto. Derek aveva intenzione di scartare all’ultimo secondo e Stiles si sarebbe trovato ad aggrapparsi al piano cottura e a rompere le uova che aveva lasciato lì. “Mai mettersi a mangiare senza aver risistemato gli ingredienti al loro posto” pensò soddisfatto e pronto a godersi la scena Derek. Quello che il lupo non aveva calcolato era che il ragazzo potesse, durante la corsa, scivolare su una salvietta (caduta a terra nella foga di rincorrersi intorno al tavolo) e appendersi alla terrina (piena di farina, immaginava) che aveva appoggiato sul bancone. Stiles scivolò direttamente disteso per terra, ai piedi di Derek, e fece catapultare il contenitore in faccia ai due. Derek dovette rettificare la sua ipotesi: la terrina era piena di farina e rossi d’uovo. Quella era decisamente una mossa “alla Stilinski”.

 

L’Alpha lasciò passare un po’ di tempo prima di raggiungere l’ingresso e aprire la porta, nonostante Cora sapesse che l’aveva sentita arrivare; questo dettaglio le ricordò molto sua madre: un Alpha che vive in mezzo agli umani non deve mai lasciar trasparire nulla di sovrannaturale nelle sue azioni. Cora aveva potuto solo immaginare, attraverso la voce al telefono, la fisionomia di quell’uomo, ma non era andata tanto lontana da quello che si trovava davanti: un uomo sui trentacinque anni, alto e piazzato. I capelli corvini erano sistemati perfettamente all’indietro e la barba era accuratamente rasata; i suoi occhi, neri e profondi come la notte, squadrarono con diffidenza Cora, che sostenne fiera lo sguardo: era sempre una Hale, non aveva nulla da nascondere o di cui vergognarsi. L’Alpha era vestito con un paio di pantaloni non troppo attillati neri e una maglia di lana color antracite, che lasciava intravedere la forte muscolatura; niente di cui Cora si meravigliasse, aveva conosciuto altri Alpha e sapeva che una volta acquisito il nuovo potere la muscolatura aumentava di conseguenza, soprattutto se il nuovo branco era numeroso e particolarmente legato. Non ne aveva ragione, ma alla piccola Cora, abituata ad un branco “familiare” e ad un Alpha disponibile e protettivo come Talia, quell’uomo incuteva più paura che rispetto. «Piacere, sono Cora Hale» esordì, sperando con tutta se stessa che non le tremasse la voce proprio in quel momento. «So chi sei. E tu sai chi sono io. Non ci servono presentazioni. Andiamo diretti al punto per cui mi hai contattato» rispose secco e tagliente l’Alpha, indicando l’interno dell’abitazione. Cora varcò la soglia e pregò di non essere appena entrata nella tana del lupo…metaforicamente, visto che letteralmente l’aveva appena fatto.

 

«Mi sa che questa volta ho combinato un bel casino…» balbettò Stiles, ancora disteso per terra, non sapendo nemmeno come rialzarsi in quel disastro di uova e farina. “Mi sa che questa è la volta buona che lo uccido” pensò furibondo Derek, aprendo un occhio e vedendo bianco e rosso ovunque. Stiles era a pochi centimetri dal suo viso e…e nonostante tutto Derek doveva ammettere che era ridicolmente divertente vederlo in quella condizione. I capelli che un volta erano castani erano ricoperti da una spessa coltre di polvere bianca, mentre i ciuffi che di solito gli ricadevano scomposti sulla fronte sembravano incollati alla pelle da coli viscosi che gli rigavano tutto il viso. Tuttavia la parte più impagabile della scena era l’espressione serafica e a tratti un po’ preoccupata che il ragazzo stava sfoggiando, come se si fosse trovato magicamente in quella situazione, come se non si rendesse conto che la sua goffaggine ce l’aveva cacciato dentro fino al collo. Quando finalmente Stiles si girò e incrociò lo sguardo di Derek, scoppiò in una risata scomposta, portando immediatamente le mani allo stomaco e strizzando gli occhi, incapace di fermarsi. Derek infatti non era per nulla messo meglio di Stiles: il lucido manto nero era quasi completamente ricoperto di un appiccicoso misto delle due sostanze, ma la cosa più divertente era lo schizzo di rosso d’uovo che campeggiava al centro della fronte del lupo. «Namasté, Derek, cosa può vedere il tuo potente terzo occhio?» farfugliò il ragazzo tra le lacrime, portando i palmi uno contro l’altro al centro del petto, imitando il tipico saluto indiano.

 

Cora aveva passato l’ultimo quarto d’ora seduta su un vecchio divano a raccontare ogni più piccolo particolare di quelle due settimane di allenamenti, fino a descrivere minuziosamente il giorno in cui Derek era rimasto prigioniero del suo stesso corpo. Aveva rivissuto l’accaduto con la stessa ansia e lo stesso senso di colpa che si portava dietro da quel momento: era stata lei a forzare la mano, a convincere uno scettico Derek a provare una cosa tanto difficile quanto poco conosciuta. L’Alpha aveva ascoltato in silenzio, con uno sguardo severo che non aveva mai staccato da Cora, mentre la ragazza ripercorreva quei giorni, torturandosi le mani, i vestiti e i ciuffi di capelli sfuggiti all’improvvisata coda che aveva legato appena seduta. Quello sguardo inquisitorio sicuramente non aiutava la sua agitazione, ma cercò in tutti i modi di darlo a vedere il meno possibile, rallentando i battiti ed evitando di far percepire la voce che in certi momenti calava e tremava. Dopo una lunga pausa, alla fine del racconto di Cora, finalmente l’Alpha prese la parola «Perché?» chiese, ma il suo tono era leggermente troppo alto perché la ragazza potesse pensare che fosse una domanda accorata. Cora optò per la sincerità totale, non aveva alcun senso mentire «Quest’anno divento maggiorenne, è finita la storia degli orfanelli Beta, diventiamo due Omega a questo punto e possiamo dimenticarci di avere un branco. Speravo che la trasformazione totale potesse far capire a chiunque avesse intenzione di attaccarci che non siamo due cani abbandonati a loro stessi. E magari avrebbe portato Derek ad ereditare lo status di Alpha, dopo mamma e Laura. Dobbiamo uscire dalla spirale di sensi di colpa per il fatto che noi non eravamo nella casa durante l’incendio e che non abbiamo potuto fare altro che guardare morire il nostro branco, la nostra intera famiglia!» Cora sputò le parole con rabbia, trovandosi ad ansimare, con gli occhi fissi su quelli inespressivi del suo interlocutore. «Perché siete venuti da me dopo tre anni di silenzio con tutta la comunità» sillabò piano l’uomo, senza staccare mai gli occhi da quelli di Cora. La ragazza boccheggiò: si aspettava una reazione diffidente ma non completamente ostile. «Qualcuno di voi si è mai preoccupato di sapere come ce la stavamo cavando, come un ragazzo appena maggiorenne potesse prendersi cura della sorella dopo che avevamo perso tutto quello che avevamo sulla faccia della terra?? Scusate se non vi abbiamo portato personalmente una torta per ringraziarvi dei vostri miseri telegrammi!» urlò Cora scattando in piedi. Decisamente questa era la mossa che non doveva fare. In un attimo l’Alpha le fu ad un soffio dal viso, la ragazza ne poteva sentire il respiro caldo sul viso; era terrorizzata ma l’orgoglio le impedì di chiudere gli occhi, continuò a puntarli dritti in quelli minacciosi del licantropo (che lampeggiavano di rosso) stringendo forte le labbra. «Chiariamo, sei in casa mia, ragazzina. Questo tono non è accettabile. Sei qui per chiedere aiuto o per dichiarare guerra? Sappi che siamo pronti ad entrambi» e detto ciò allentò la presa sul bordo della felpa di Cora, lasciandola ricadere inerte sul divano di pelle.

 

Stiles girò il rubinetto dell’acqua calda fino a fine corsa e chiuse il tappo della vasca, mentre cercava negli armadietti del bagno qualche genere di detergente da buttarci dentro. Derek era seduto sulla soglia della stanza, con una faccia che esprimeva un misto di disapprovazione e rassegnazione; il ragazzo lo aveva fatto sedere su un paio di giornali perché aveva detto “Se devo lavare la cucina da cima a fondo non ti farò certo sporcare il resto della casa”. “Come se fosse stata colpa di Derek!”, il lupo avrebbe voluto proprio dirglielo e invece doveva limitarsi a fissarlo con quello sguardo. Quando Stiles se ne accorse fece un balzò indietro, rischiando quasi di finire dentro la vasca. «Sei davvero inquietante, Sourwolf! Sei un pericoloso misto tra un Grumpy Cat e un gatto assassino! Mi fai venire i brividi» concluse con un’aria davvero terrorizzata. «Allora l’acqua è calda e piena di schiuma, chi vuole farsi un bagnetto??» chiese rivolto al suo unico interlocutore, che ora aveva cambiato il suo sguardo in uno che diceva chiaramente “Dog sitter, non baby sitter, Stiles. Ricordati che ho le zanne” e che era esattamente quello che stava passando nel cervello di Derek. Dieci minuti più tardi Stiles stava divertendosi come un pazzo a mettere tutta la schiuma che poteva sulla testa del lupo, canticchiando un’improvvisata canzoncina che recitava “Quanto sei sporco Sourwolf, Stiles lavanderino è qui per te!”. Derek stava già progettando di azzannarlo quando Stiles cominciò a sfilarsi la maglia con cui aveva dormito e il lupo si pietrificò. Era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato da quella situazione. «Questa è meglio buttarla nel lavandino prima che il proprietario sappia cosa le ho fatto passare» e strizzò l’occhio al lupo. Derek perse un battito e rimase ancora immobilizzato nella stessa posizione, finché Stiles pensò bene di togliersi anche i pantaloni della tuta e rimanere in aderenti boxer neri. Il lupo progettò di infilare la testa sott’acqua e non riemergere finché non fosse stato cadavere pur di togliersi dalla testa le immagini pornografiche che gli stavano venendo in mente una dopo l’altra. L’acqua era per caso diventata bollente? Se un lembo di pelle appena scoperto lo aveva sconvolto solo un’ora prima, questa situazione era decisamente molto peggiore. L’incarnato decisamente pallido del ragazzo era esaltato dal colore scuro dell’intimo, che data la sua aderenza lasciava ben poco all’immaginazione di Derek, che in quel momento non poteva che essere fervida. Quel ragazzo era paradiso e inferno fusi insieme e Derek non poteva esserne più innamorato.

 

Dopo quello sfogo la situazione sembrava essersi placata, Cora aveva smussato per il momento il suo carattere e optato per un basso profilo mentre l’Alpha sembrava soddisfatto dopo aver rivendicato ciò che era suo e sottolineato di avere il coltello dalla parte del manico. Cora iniziava ad odiare quella giornata, ma doveva proseguire a tutti i costi. «Sono qui per chiederti se hai mai avuto a che fare con casi del genere o se hai sentito parlare di situazioni simili a quella di mio fratello» riprese Cora, cercando di utilizzare il tono più umile che potesse conoscere. L’Alpha inspirò e si alzò dalla poltrona su cui era seduto, di fronte alla ragazza, raggiungendo la gigantesca libreria che si innalzava dietro di lei; scorse col dito i titoli sullo spessore degli antichi volumi, cercando un tomo in particolare. Una volta trovatolo lo fece uscire e lo aprì verso la fine: l’odore di carta antica raggiunse le narici di Cora, insieme ad una buona quantità di polvere, che la fece starnutire. «Conosci il mito di Licaone?» chiese, ancora rivolto verso l’immensa scaffalatura di libri. Senza lasciarla rispondere proseguì «Licaone è stato trasformato in lupo per la sua empietà, per aver sfidato gli dei e le leggi della natura. Per aver forzato ciò che doveva essere naturale» e qui puntò lo sguardo in quello di Cora, facendo scivolare sul tavolo il libro, aperto su una pagina che riproduceva un’incisione rappresentante il banchetto di carni umane e la trasformazione di Licaone. «Ti ricorda nulla? Anche tu e tuo fratello avete forzato le leggi naturali, o meglio, quelle sovrannaturali.» Cora ammutolì, incapace di replicare. «Sai cosa succedeva, a coloro che si cibavano delle viscere delle vittime umane sacrificate a Zeus Liceo in Arcadia? Venivano trasformati in lupi. Per otto anni. Otto lunghi anni. Questo secondo un’altra versione del mito: ma anche noi licantropi siamo un mito, non credi Cora?» concluse l’Alpha risedendosi al suo posto, con un enigmatico sorriso sul volto. «Otto anni…» sussurrò Cora, più a se stessa che altro. «E non c’è alcun modo di tornare indietro? Nulla che possiamo più fare? Nulla??» chiese disperata la ragazza, senza nemmeno rendersi conto che l’ultima domanda era stata come una disperata richiesta d’aiuto in uno scenario senza speranze.

 

Derek sopravvisse alla prova costume di Stiles. Non seppe come ma sopravvisse anche quando il ragazzo decise che non c’era niente di sconveniente a darsi una sciacquata a gambe, braccia e testa nella stessa vasca in cui c’era Derek, tanto non si spogliava del tutto e Derek era un lupo. Un lupo che trattenne il respiro per tutto il tempo in cui il ragazzo di cui si era innamorato un anno prima si lavava nella stessa vasca con lui, con un paio di boxer neri, attillati e bagnati davanti ai suoi occhi.

 

«Ho sentito di un licantropo, una volta, intrappolato nel suo stesso corpo di lupo, che è riuscito a invertire la trasformazione» a Cora si illuminarono gli occhi, ma l’Alpha mise subito le mani avanti. «Devi sapere che ha avuto dalla sua parte un tassello fondamentale della sua vita, senza il quale non avrebbe mai potuto sovvertire le regole del sovrannaturale. L’unica cosa che può farlo è l’amore: questo licantropo aveva la sua compagna.» Cora si infossò nella poltrona. «Deduco che tuo fratello non abbia ancora alcuna compagna…o compagno» le lesse nel pensiero l’Alpha. «Sappi solo che se Derek vuole tornare umano ha bisogno del suo “soulmate”. Quella persona che non solo lo attrae fisicamente…»

 

Derek pensò davvero che sarebbe morto. Una volta uscito da quella situazione seppe perfettamente che non avrebbe più dormito la notte, troppe immagini gli sarebbero passate davanti agli occhi una volta disteso a letto o rientrato in quel (porno) bagno.

 

«…ma che si prenda cura di lui in ogni situazione e che condivida con lui ogni gesto, per quanto piccolo o insignificante possa sembrare, anche nella quotidianità…»

 

Ancora sotto shock, Derek uscì dalla vasca insieme a Stiles che lo avvolse in un soffice asciugamano, intrufolandosi poi nella sua camera per rubargli altri vestiti puliti e ne uscì con una Henley bordeaux (che gli stava un po’ meno attillata rispetto a come stava al proprietario, ma che gli donava parecchio, si ritrovò a pensare Derek) e un paio di pantaloni della felpa, perché diceva che con quelli era comodo sempre, anche se gli cadevano da tutte le parti in continuazione.

 

«…che passi del tempo con lui, che lo incuriosisca e lo sorprenda, che lo faccia sentire amato anche se non è umano…»

 

Derek lo seguì in corridoio, curioso di sapere cosa frullava in quella testolina tutta spettinata; Stiles appoggiò la mano sulla porta della cucina, indeciso sul da farsi. «Naaah, andiamo fuori, qui sistemerò dopo!» propose girandosi verso Derek, a cui venne spontaneo scodinzolare, si sentiva di poter essere se stesso, il se stesso lupo, se Stiles era con lui.

 

«…di cui Derek si fidi senza nemmeno dover pensare a dove sta andando…»

 

Uscirono con la Jeep di Stiles come sempre e la lasciarono nel solito punto; quel giorno però Stiles voleva esplorare nuovi posti, per testare il suo neo sviluppato senso dell’orientamento e Derek era così assorto nei suoi pensieri che lo seguiva senza fare caso a dove stavano andando.

 

«…che sappia esserci per lui anche nei momenti peggiori, in quelli in cui tutto sembra crollargli addosso, senza alcuna logica…»

 

Fu solo quando si trovarono in un grande spazio verde in cui non erano mai stati, dove il bosco si diradava e gli arbusti crescevano bassi e radi, che Derek alzò lo sguardo e fu come se fosse stato colpito da un pugno nello stomaco: erano di fronte a ciò che restava di casa Hale.

 

«…una persona che sappia chi è il lupo e chi è Derek» concluse l’Alpha e il silenzio avvolse la stanza.

 

Derek si paralizzò, seduto di fronte alle macerie della sua infanzia, della sua vita. Stiles non se ne rese conto finché non lo vide più accanto a sé; corse indietro e lo chiamò, ma il lupo sembrava non sentire nulla. Solo un attimo dopo Stiles si rese conto che Derek non era solo pietrificato, no, Derek stava piangendo, stava piangendo lacrime vere, lacrime umane. In una frazione di secondo gli scorsero davanti tutte le immagini e i pensieri riguardo al fatto che tante cose in quel lupo sembravano umane, che aveva comportamenti strani, ambigui. Gli si inginocchiò di fronte, gli prese il muso tra le mani e lo fissò dritto negli occhi blu, riuscendo a specchiare i suoi dorati nelle lacrime che continuavano a solcare il muso del lupo. Sgorgavano una dietro l’altra, si rincorrevano senza sosta, scorrevano sulle mani di Stiles, che continuava a tenergli il muso a pochi centimetri dal suo viso. Avrebbe voluto chiedere a quello sguardo inerte perché ogni volta che si toccavano aveva un brivido, perché gli sembrava di averlo già conosciuto, perché il solo contatto coi suoi occhi gli aveva bloccato l’attacco di panico, perché sembrava sempre leggergli dentro ogni emozione, perché avevano instaurato in così poco tempo un collegamento così speciale, perché erano così legati, perché sentiva che non voleva nient’altro se non passare del tempo con lui, perché dovevano esserci tutti quei perché in sospeso. La frase che in quel tornado di domande uscì dalle labbra soffici di Stiles fu solamente una. E non era una domanda, non era nessuno degli interrogativi che da settimane lo facevano riflettere. Era un’affermazione che suonava come un imperativo, un ordine alla persona che gli stava davanti. «Dimmi chi sei» Stiles lo sillabò impercettibilmente e Derek sentì il suo respiro caldo addosso. «Dimmi chi sei» questa volta Stiles lo sussurrò, come se lo dicesse a se stesso, mentre le lacrime del lupo continuavano a bagnargli le mani. «Dimmi chi sei» questa volta Stiles lo disse a voce alta. Strinse le labbra aspettò in silenzio una risposta.

   
 
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