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Autore: Stella cadente    16/02/2016    5 recensioni
– Eliza – la chiamò, quasi in un sussurro. – Tu lo diresti se ci fosse qualcosa che non va, vero?
La piccola sollevò lo sguardo. Una lacrima le rotolò sulla guancia morbida.
– Cosa vuole sapere?
– Vorrei sapere... – non trovava le parole. Come si faceva a chiedere ad una bambina di sei anni se avesse assistito ad un omicidio?
– Vorrei sapere che cosa sai di quello che è successo – disse infine, mantenendosi sul vago.
[…]
– È stata lei. Lo so.
L’ispettore provò un brivido di inquietudine.
– Lei chi?
Ci fu un attimo di esitazione, poi la piccola rispose:
– Samara.
Pausa.
– Vuole ucciderci tutti. Me lo ha fatto vedere.
– Chi è Samara?
[…]
– Allora posso andare a parlarci – tentò.
La bambina si fece seria, poi disse:
– No. Le diranno che sta dormendo. Ma non è vero, signor McDoyle. Lei non dorme mai.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Samara Morgan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Ring - Samara Morgan'
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1976
Dicembre


 
 
 
– Allora, piccola, cosa ti piace fare di solito?
Una giovane donna si era chinata al suo livello, per guardarla negli occhi. Ma lei non si azzardava ad alzarli.
Non voleva.
– Samara?
La chiamava.
Anche il cerchio la chiamava.
– Mi piace stare sola – disse, per tutta risposta. – Non mi piacciono gli altri.
Il sorriso sul volto della donna si spense. Più la guardava, più aveva la sensazione che avesse cambiato opinione su di lei. Si chiamava Victoria Neal, ed aveva dei bei capelli rossi.
Samara la guardò. Si era allontanata un po’ sulla panchina, e la fissava come a volerla psicanalizzare.
– Però mi piace quando gli altri vengono a farmi visita.
Alzò per un attimo gli angoli della bocca, continuando a guardare Victoria, che adesso aveva un’espressione inquieta dipinta negli occhi.
– Ah – disse, dopo alcuni, interminabili secondi di silenzio. – E come mai?
La bambina fece spallucce. La donna notò che aveva uno sguardo triste, vuoto, eppure così tremendamente consapevole, come se fosse già cosciente di cose che una bambina di sei anni in realtà non dovrebbe sapere. C’era l’oscurità in quegli occhi, una profondità che non aveva mai visto da nessuna parte, in nessuna persona.
E la inquietava.
– Perché gli altri non possono capire quello che vedo io.
Ci fu un attimo di silenzio, un attimo insopportabile in cui Victoria sentì fischiarle le orecchie. Un sibilo fastidioso le si era annidato nei timpani, come se avesse un nido di vespe nel cervello.
Di colpo, non sentì più nulla. Il cuore cominciò a palpitarle in petto furiosamente, impazzito, pompandole la paura nelle vene.
Cadde a terra prima che potesse rendersene conto. Sentiva la fronte imperlarsi di sudore, gli arti formicolare, e ancora quel sibilo nella testa non lasciarle pace.
La bambina, invece, se ne stava lì, con i suoi occhi tristi e vuoti fissati in un punto inesistente.
 
 
****
 
 
– No, devo aver avuto un calo di pressione, tutto qui – disse Victoria al marito.
Nate la guardò, ansioso.
– Se vuoi vado a chiamare qualcuno.
– Sul serio Nate, sto bene.
– Vuoi tornare da lei? – le chiese lui.
Victoria sapeva a chi alludesse.
A Samara.
Ma non voleva tornarci. Solo a sentire quella frase le era venuta la pelle d’oca, anche se non sapeva perché. Aveva come la sensazione che fosse stata lei a farla sentire male, ma non aveva detto nulla al marito per non sembrare sciocca. Anche perché, obiettivamente, era una sciocchezza.
Non era possibile che una bambina di sei anni potesse far venire malori alle persone. Anche se, Victoria ne era convinta, doveva essere parecchio disturbata. Lo aveva visto dagli occhi, dall’espressione fissa, dal tono di voce basso, malinconico e troppo serio per poter appartenere ad una bambina così piccola.
– Senti Nate – si decise a dire. – Vorrei sapere di più su di lei, prima di parlarci di nuovo.
– Che vuoi dire?
Victoria sospirò.
– Voglio dire che Samara mi è sembrata molto... disturbata. Non ha un comportamento da normale bambina di sei anni; ha una consapevolezza così forte negli occhi... da un certo punto di vista, mi fa paura.
Nate sembrò accorgersi dell’angoscia crescente della moglie, mentre ne parlava.
Avevano guardato le sue foto da vari fascicoli che erano stati mandati loro direttamente dall’orfanotrofio, avevano parlato con le balie e si erano fatti mille filmini mentali su come avrebbero potuto essere felici con lei, con la loro figlia adottiva.
Sembrava che tutto non potesse che andare nel migliore dei modi. Ed invece qualcosa stava andando storto. Cos’era che le balie avevano omesso? Non avevano scritto niente nei fascicoli.
– Direi che in primis dobbiamo fare una bella chiacchierata con chi, nel plico di fogli che riguardano Samara, non ha scritto niente di tutto questo – disse, stizzito. – Non è possibile che non si venga informati del fatto che la bambina che stiamo per adottare abbia qualche disturbo mentale.
– Ma non ne sono sicura, Nate – provò lei. – È solo che secondo me dovremmo parlare con qualcuno seriamente, prima di giungere a conclusioni affrettate.
Il giovane uomo la guardò.
– Intanto potremmo cominciare dalla donna che si occupa di Samara – disse, deciso.
 
 
 
****
 
 
– Perché non ci avete detto che la bambina ha disturbi mentali?
Victoria si passò una mano sul viso; Nate non sembrava aver seguito il suo consiglio, decisamente.
La donna che stava dietro alla scrivania, infatti, li guardò con espressione stupita.
– Samara non ha problemi mentali – disse. – Che cosa state dicendo?
– Ecco, vede – intervenne Victoria. – Ci ho parlato prima; non è che mi sia sembrata aggressiva o altro, ma... credo che ci sia qualcosa che non va in lei – snocciolò.
La donna – si chiamava Nancy – li guardò perplessa, poi sospirò.
– Samara è molto particolare, è bene che lo sappiate. È una bambina difficile; non parla con i coetanei, né si avvicina a loro. È come se fosse prigioniera della sua mente, come se fosse chiusa in un suo mondo personale. E qualunque cosa ci sia in quel mondo, non è di alcuna attrattiva per gli altri bambini.
I coniugi la guardarono perplessi.
– Ma questo c’era nel fascicolo, no? – fece, un po’ stizzita.
– Certo – ribatté Nate. – C’era scritto che era introversa, non una specie di disadattata – disse, duro.
– Nate! – esclamò Victoria. – Non posso credere che tu abbia detto una cosa simile.
Il giovane uomo sbuffò.
– Victoria – disse – quello che volevo dire era che non possiamo prenderci una simile responsabilità. Non è per lei, è che... avevo immaginato solo una cosa un po’ diversa. Tutto qua.
– Ad ogni modo – proruppe Nancy. – Che volete fare? Volete comunque prendervela o no? Perché vi avverto: qui gli indecisi non sono graditi.
Nate vide che si era trasformata: da donna accomodante, gentile, sorridente, quasi entusiasta per la loro predilezione verso Samara, adesso era diventata cupa, quasi aggressiva.
Sentì un nodo in gola: ma perché gli sembrava che tutti, in quell’orfanotrofio, fossero strani?
– Voglio solo avere chiarezza – si decise a dire. – Voglio sapere la sua storia.
Nancy si schiarì la voce.
– Dunque – esordì. – Quando Samara giunse qui, capii subito che nella donna che la portò all’orfanotrofio c’era qualcosa che non andava per il verso giusto. Lo ricordo come se fosse ieri. Aveva tra le braccia questo piccolo esserino che mi guardava. Pensai subito che fosse dolcissima; era una bambina meravigliosa. Ma la donna sembrava scioccata.
Fece una pausa, mentre i due la guardavano attoniti, poi proseguì.
– Mi raccontò che la bambina era nata dopo una gestazione difficile, che la madre aveva avuto continue emicranie e visioni orribili. L’avevano ricoverata in ospedale... suppongo che ora si trovi sempre là. Le avevano strappato via la piccola; altrimenti l’avrebbe uccisa. Diceva che dentro di lei c’era un demone, che doveva essere uccisa per il suo bene, perché altrimenti avrebbe seminato orrore e distruzione ovunque andasse.
Nell’aria, un silenzio agghiacciante aveva preso forma. Nate e Victoria se ne stavano ammutoliti, come se anche loro cominciassero a credere che Samara avesse qualcosa di sovrannaturale.
– Comunque – proseguì – Samara è praticamente stata sempre qui. Non ha mai avuto una figura materna nella sua vita, e a causa del suo temperamento ha cambiato balie molto spesso. Io stessa posso dire che probabilmente è tra i soggetti più difficili, qua dentro, se non il più difficile.
Victoria non poté fare a meno di pensare agli occhi enormi della bambina, che la guardavano intensamente. Quegli occhi che sembravano studiarla con l’attenzione e l’esperienza di un adulto, quegli occhi fatti di terra scura, paranormali.
– Mi ha detto che le piace stare da sola, prima – disse a Nancy. – Ma che non le piacciono gli altri, perché non possono vedere quello che vede lei.
Silenzio.
– Che significa?
– Non lo so – rispose la donna. – Ma di una cosa sono certa: se cercate un bambino con cui andate sul sicuro, non guardate lei. Ve lo sconsiglio.
A Victoria sembrò che ci fosse un filo di inquietudine nella sua voce.
Inquietudine che, in qualche modo, si insinuò anche dentro di lei.
 
 
****
 
 
– Allora, che facciamo? – chiese Nate, quando uscirono dalla stanza.
Victoria guardò distrattamente verso la finestra che dava sul giardino. Tutti i bambini giocavano allegramente, dolci e vivaci nelle loro risate.
Ma non Samara.
Era sempre lì, su quella panchina, lo sguardo fisso e pervaso di una strana malinconia, come se fosse triste e arrabbiata insieme.
La angosciava.
– Non lo so – disse, girandosi verso il marito. – Non so se potremmo prenderci questa responsabilità.
Nate annuì con aria grave, senza proferire parola.
Quando Victoria tornò a guardare la finestra, Samara non c’era più.
Si sentì impallidire.
– Nate – disse, con la voce che tremava. – Samara non è più sulla panchina.
Lui la guardò con aria interrogativa.
– Era lì un momento fa – aggiunse, la voce ridotta ad un filo.
– Ciao – sentì dire da una vocina dietro di sé.
Sobbalzò, voltandosi, e si sentì morire.
La bambina era davanti a lei, piccola, quasi tenera mentre la guardava con quei suoi occhioni grandi.
Victoria rimase a guardarla, inebetita. Nate si raggelò.
– Ciao – disse suo marito.
– Devo farvi vedere una cosa – fece lei. – Venite con me? – chiese con voce innocente.
Victoria si sforzò di sorridere.
– Certo – disse, mentre un groppo di terrore le si stringeva in gola.
 
 
****
 
 
La stanza di Samara era piccola, spoglia, con una finestra che dava sul giardino. Era in alto, però, e i bambini che giocavano sembravano tante, minuscole formichine.
La bambina stava in silenzio.
– Cosa devi farci vedere, Samara? – esordì Nate, cercando di essere accomodante.
Lei si voltò lentamente. Li guardò; sembrava portare dentro di sé un risentimento immenso.
I due si guardarono, preoccupati.
– Ho visto cosa avete detto di me – fece, con voce atona.
Victoria avvertì un atroce senso di colpa gravarle sul petto. Allora aveva sentito tutto, era stata lì mentre parlavano? Ma la porta era chiusa...
Forse ha origliato da fuori.
Dio...
– Samara – iniziò Victoria. Le prese una mano con un gesto affettuoso. Rabbrividì quando sentì che la mano candida della bambina era gelida, ma mantenne il contatto. – Credo che noi non siamo la famiglia adatta a te. Non siamo quello che cerchi. Ma questo non vuol dire che noi non ti vogliamo. Giusto, Nate?
– Giusto – assentì il marito.
Samara li guardò per un attimo con occhi tristi.
– Hai origliato dalla porta?
La piccola scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli scuri.
– No. L’ho visto e basta.
Victoria, a quella frase, sentì come se qualcosa di freddo si stesse propagando in tutto il suo corpo. Cosa accidenti significava?
– Che vuoi dire? – chiese, sforzandosi di sembrare tranquilla.
– Vi ho visti – disse solo la bambina. – E ora anche voi vedrete.
Perché aveva quel tono così serio e triste?
Era così fragile, così piccola...
Non poteva essere così.
Victoria non fece in tempo a formulare un altro pensiero comunque.
La mano della bambina scivolò via dalla sua con uno scatto, e si piantò con decisione sul suo braccio.
Si sentì bruciare.
Una serie di immagini passarono come un film velocizzato nella sua testa, immagini inquietanti, insensate, nere come l’animo di quella bambina. Sentì  l’urlo di dolore di Nate, che però risuonò nella sua mente come un eco, come se non esistesse nemmeno.
Vide gli occhi scuri e consapevoli di Samara che la guardavano seri, e i bambini che, diversi metri più in basso, giocavano.
Mentre andava giù, sempre più giù, sentiva il vento sferzarle il corpo e ucciderla.
Nel suo ultimo istante, un cerchio le lampeggiò nella testa.
Poi un freddo lancinante, e dopo, il nulla.
 
 
****
 
 
Nel buio, quella notte, una bambina non dormiva.
Era circondata dal buio, e nel buio stava bene. Era sola nella sua stanza, ma non aveva paura. Aveva visto la morte, ma non aveva paura.
Anzi... era quello che voleva.
Voleva che quella coppia non la disturbasse più.
Lei aveva dato loro questa possibilità, e loro l’avevano fatto.
Aveva fatto la cosa giusta.
Sorrise, dentro al buio.
E quel sorriso era freddo come la morte che aveva causato.

 
 

L'aggiornamento non l'ho fatto dopo sette giorni precisi, ARGH.
Comunque.
Allora, prima di commentare il capitolo, un'informazione: questa storia sarà scritta in maniera un po' particolare. Ovverosia, sarà un alternarsi di capitoli dal 1976 in poi - l'anno di questo famoso "incidente" - e di flashback sulla vita di Samara prima di allora. Questo schema non è casuale: ci sono molte risposte e retroscena di cui si saprà soltanto a tempo debito.
Detto questo: che ne pensate del capitolo? Come vedete partiamo subito in quarta, e Samara si mostra per quello che è. E' un po' diversa dalla prima storia, perché non ha quella consapevolezza che ha in "Lei voleva solo essere ascoltata". E' solo una piccola bambina, e come tale le sembra quasi "normale" che lei faccia certe cose. Proprio questo, secondo me, la rende adorabile e inquietante allo stesso tempo, e spero che abbia reso bene l'idea.
Detto ciò, via libera alle recensioni!
Alla prossima,
Stella cadente
  
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