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Autore: Mirty_92    16/02/2016    1 recensioni
[Questa ff partecipa allo psycho!contest indetto da chia_3 sul forum di EFP]
"Severus rimase senza fiato. Lei era in piedi, in mezzo alla stanza, ritta di fronte ad un antico specchio a rimirarsi nel suo incantevole abito bianco. Sorrideva soddisfatta al proprio riflesso e lui, quando colse quel sorriso, sentì le farfalle fremere nello stomaco. Poi d’un tratto la magia scomparve. [...]
Un rumore sordo di una porta sbattuta con astio risuonò nel corridoio e Piton si svegliò di soprassalto.
[...]E ricorda, Severus, i sogni sono una finestra sempre aperta sul nostro inconscio. Sono il riflesso sbiadito della nostra anima."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: Lily/Severus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Nick EFP: Mirty_92                                                                                     
Prompt: sogno                                                                                                    
Titolo: Lei, riflessa nell’anima                                                                               
Rating: verde                                                                                                 
NdA:
Questa fanfic partecipa allo psycho!contest indetto da chia_3 sul forum di EFP

Lei, riflessa nell’anima

 

Una risata chiara, cristallina, eterea proveniva attutita da dietro il legno scuro di una porta massiccia e ruvida. Severus si avvicinò piano, un passo dopo l’altro, con cautela. Non voleva essere scoperto ad origliare o a spiare, ma la risata che sentiva lo attraeva come se fosse legato ad essa da sempre. Posò la guancia pallida e scarna al freddo uscio e premette l’orecchio contro il duro legno di noce per riuscire a coglierla con maggior chiarezza. 
Nulla
Dall’altra parte nessuno rideva più. Eppure c’era lei in quella stanza, ne era certo. Quella era la sua risata. Decise che avrebbe aspettato un momento e si convinse a contare fino a cinque, dopodiché sarebbe entrato. Severus era un uomo paziente, ma quando si trattava di lei, di vederla sorridere, di ascoltarla parlare… la sua pazienza si infrangeva come un’onda su scogli acuminati e scuri e, come bianca schiuma, svaniva in una miriade di goccioline salate.

Uno… Severus iniziò a contare mentalmente.

Due… il suo sguardo si posò sul pomolo dorato che luccicava appena alla fioca luce del corridoio.

Tre… la sua bianca mano lo accarezzò delicatamente come avrebbe fatto con la pelle di lei quando l’avrebbe finalmente stretta fra le braccia.

Quattro… le dita si chiusero silenziose e sicure attorno alla maniglia e, con una lieve pressione, la girarono verso destra.

Cinque… la serratura scattò senza il minimo rumore e la porta si aprì piano sotto il suo tocco leggero rivelando uno spiraglio di quanto stava accadendo all’interno.

Severus rimase senza fiato. 
Lei era in piedi, in mezzo alla stanza, ritta di fronte ad un antico specchio a rimirarsi nel suo incantevole abito bianco. Sorrideva soddisfatta al proprio riflesso e lui, quando colse quel sorriso, sentì le farfalle fremere nello stomaco. Poi d’un tratto la magia scomparve. Come se si fosse accorta degli occhi dell’uomo che indugiavano su di lei, Lily Evans intercettò il suo sguardo attraverso lo specchio. Improvvisamente il sorriso scomparve e l’espressione divenne dura. La sua voce si fece tagliente mentre, aspra, lo redarguì come si riprende un bambino sorpreso a combinare una marachella: “Severus, che ci fai qui? Vattene subito via!”

Un rumore sordo di una porta sbattuta con astio risuonò nel corridoio e Piton si svegliò di soprassalto.

Era disteso sul proprio letto, supino. Le braccia lungo i fianchi e le mani che stringevano convulsamente le lenzuola del materasso. Il respiro affannoso e il volto costellato di minuscole goccioline di sudore. Si mise a sedere prima di arrancare verso la scrivania dove teneva una brocca con dell’acqua. Avrebbe semplicemente potuto appellarla con la bacchetta, abbandonata sul comodino, ma in quel momento non ci aveva proprio pensato. La brocca gli tremò tra le mani e rischiò di infrangersi sul pavimento, vicino ai piedi nudi. Riuscì a controllarsi quel tanto che bastava per versarsi un dito di acqua nel calice d’argento che stringeva nella mano sinistra. Bevve avido quel liquido fresco che divenne ben presto sollievo per le sue labbra riarse. Riuscì a versarsene ancora. Questa volta l’acqua non solo gli finì giù per la gola ma andò anche ad inzuppargli la camicia del pigiama. Piton imprecò per quella sua inusuale goffaggine. Si asciugò la bocca con la manica e cercò di riprendersi: appoggiato con entrambe le mani alla scrivania, i lunghi capelli neri e unticci a coprirgli il volto, cercò di convincersi che si era trattato solo di un sogno. Una sorta di incubo ricorrente da quando Silente gli aveva parlato di quello Specchio, di quel maledetto Specchio che intendeva mettere a protezione della Pietra Filosofale.

Lui, Severus Piton, era uno dei pochi insegnanti ad aver avuto il privilegio di sapere dove si trovasse momentaneamente lo Specchio delle Brame e da allora erano cominciati gli incubi. Quasi tutte le notti sognava Lily Evans vestita con il suo abito bianco che rideva felice mentre si guardava allo specchio. Era strano quanto le sue giornate fossero ossessionate dalla presenza reale e tangibile dello Specchio delle Brame mentre le sue notti fossero popolate da uno specchio immaginario che diveniva la causa della furia di Lily. Chissà cosa vedeva la Lily dei suoi sogni mentre incrociava i suoi occhi neri riflessi. Erano ormai settimane che conviveva con quella domanda che gli rodeva il cervello come un tarlo. Voleva a tutti i costi capire perché Lily si arrabbiava così tanto alla vista di lui che, nel suo sogno almeno, sarebbe dovuto diventare suo marito. La frase che lei gli gridava contro non lo convinceva affatto. Non era pratico di matrimoni, lui, e, anche se conosceva il divieto per il fidanzato di vedere la futura sposa con l’abito bianco prima delle nozze, non gli sembrava un motivo sufficiente da giustificare la collera che sentiva nella voce di Lily, la quale era sempre stata una ragazza posata e tranquilla. 
Piton doveva venire a capo di quella situazione. Era tempo di spazzar via ogni indugio; così non poteva più andare avanti. Aveva bisogno di capire. 
Raccolse in fretta la vestaglia nera abbandonata malamente su di una logora poltrona nell’angolo della stanza, ai piedi del letto. La indossò veloce, prese la bacchetta dal comodino e, senza nemmeno curarsi di mettere le scarpe, uscì in tutta fretta dalla sua stanza.
Si mosse come un’ombra attraverso i corridoi bui del castello addormentato fino a raggiungere la stanza in disuso che ospitava lo Specchio delle Brame. Arrivato in prossimità della porta, si guardò furtivamente attorno prima di richiudersela alle spalle senza il minimo rumore.

Lo Specchio era lì, di fronte a lui. Alto e maestoso. Qualcuno avrebbe addirittura potuto pensare che emanasse un’aura malvagia, da far venire i brividi, dato che era decisamente fuori luogo in un posto simile. Piton non attese oltre e si avvicinò all’oggetto. Il suo doppio gli restituì lo sguardo solo per pochi secondi prima di svanire sostituito dall’immagine della sola Lily Evans.
Il suo cuore perse un battito. Un conto era sognare la donna della sua vita e un altro era ritrovarsela di fronte così vicina ma incredibilmente lontana, vacua e… semplicemente riflessa. Perché Piton sapeva esattamente che quella era solo un’illusione. La Lily vera, reale, in carne ed ossa, era morta. Assassinata, strappata alla vita nel modo più crudele possibile.
Un ululato rauco gli sfuggì dalla gola e squarciò l’atmosfera ovattata di polvere e silenzio. Mentre si accasciava in ginocchio di fronte allo Specchio cercando disperatamente un appiglio alla cornice elaborata, singhiozzi incontrollati lo scossero dalla testa ai piedi mentre copiose lacrime cominciarono a rigargli il volto. Nel disperato tentativo di non cedere a quel dolore che gli stava straziando l’anima e lacerando quel suo già malandato cuore, Piton cercò gli occhi della Lily nello Specchio. Gli occhi verdi della ragazza, poi diventata donna e destinata a rimanere tale per tutta l’eternità,  erano sempre stati la sua unica àncora di salvezza. I suoi occhi neri si aggrapparono con la forza della disperazione a quelle iridi color smeraldo così ridenti e fuggitive*. Ma, contrariamente al sogno, questa volta Lily continuò a guardarlo e a ridere. Spensierata e serena.

“Mi chiedevo quanto tempo ci avresti messo a venire qui, Severus.”
Il contatto visivo si interruppe non appena Piton voltò di scatto la testa verso la voce pacata e profonda che l’aveva interpellato. Poco distante da lui, appoggiato tranquillamente ad una colonna, c’era Albus Silente.
“Preside.” Si alzò in tutta fretta cercando di rendersi presentabile anche se sapeva benissimo di avere un aspetto orribile. Profonde occhiaie rimarcavano come da giorni stesse combattendo una battaglia contro i suoi incubi che, immancabilmente, perdeva miseramente. I suoi occhi arrossati e le profonde rughe sulla fronte gli conferivano un’aria da pazzo. “Io… io stavo solo…” Piton balbettava. Non riusciva ad articolare una frase che avesse un senso. I singhiozzi non accennavano a diminuire e gli spezzavano il respiro in gola. Una sola volta Silente l’aveva visto così: undici anni prima, nel suo studio, quando Piton aveva appreso della morte di Lily Evans. Quando si era reso conto di essere lui il vero responsabile della morte della giovane; quando aveva accettato il fatto di essere stato ancora lui a condannarla a morte certa rivelando a Voldemort parte di quella maledetta e veritiera profezia. 
Allora Silente aveva visto un Piton invecchiato improvvisamente, sconfitto dal suo stesso modo di agire, annegare nel proprio dolore. E fu proprio quella volta che aveva scorto in quei profondi pozzi neri qualcosa che non aveva mai visto prima di allora in nessun uomo. Aveva visto gli occhi spietati di chi aveva amato sopra ogni cosa**. Perché Severus Piton aveva amato Lily Evans più di tutto ma soprattutto più di sé stesso.
“Non hai un bell’aspetto, Severus. Dovresti riposare di più.”
Piton scosse il capo, sarcasticamente rassegnato.
“Lei dice, preside?”
Silente gli si avvicinò piano e prese il suo posto davanti allo Specchio. I minuti passarono senza che nessuno dei due dicesse o facesse nulla. Il preside rimirava incantato l’immagine che lo Specchio gli restituiva.
“Questo Specchio ci mostra ciò che desideriamo di più al mondo e te lo dissi la prima volta che ti portai qui. Ho riposto la mia fiducia in te, Severus, perché so che tu sei un uomo forte. Non farti traviare da ciò che vedi riflesso.”
Silente si voltò verso di lui e lo scrutò attraverso gli occhiali a mezzaluna.
Piton aveva a malapena la forza di incrociare lo sguardo del preside eppure fece uno sforzo. Lui non era un vigliacco!
“Lo so, preside. Non avrei dovuto venire qui stanotte.”
“Hai detto bene, Severus. Non avresti dovuto.” Il tono pacato ma deciso di Silente lo impressionò più di qualunque sfuriata avesse mai potuto rivolgergli. “Eppure l’hai fatto.”
Il silenzio sembrava attendere una giusta e nobile spiegazione o, almeno, questo era quello che ci si aspettava dallo zelante professor Severus Piton. 
“L’ho sognata ancora, preside. Da quando so dello Specchio non faccio altro che ritrovarla ogni notte. Forse sto impazzendo. La prego, mi aiuti!”
Silente lo guardò con una compassione così profonda che gli fece quasi venir voglia di fuggire. Come aveva potuto abbassarsi a tanto? Già una volta aveva chiesto aiuto a quell’anziano mago che stava di fronte a lui e si era ripromesso di non farlo mai più. Quando aveva perso Lily, e con essa tutta la propria vita, aveva giurato a sé stesso che, da quel giorno in poi, avrebbe sempre fatto tutto da solo. Che mai più avrebbe chiesto aiuto. E invece ora aveva infranto il proprio giuramento. Si diresse velocemente verso la porta: doveva andarsene da lì. Non avrebbe sopportato un minuto di più la pietà che gli veniva riservata. Lui non era un debole!
“Severus, aspetta.”
“Non si disturbi, preside. Dimentichi ciò che ho detto. È tardi, torno a dormire. Buonanotte.”
Ma Silente non si arrese. “Lei sarà sempre lì per te, Severus. Qualunque sia il modo in cui la vedi riflessa o la sogni. E ricorda, i sogni sono una finestra sempre aperta sul nostro inconscio. Sono il riflesso sbiadito della nostra anima. Inutile porsi troppe domande sui come e i perché di certi sogni. So che i Babbani hanno portato avanti e portano aventi tutt’ora degli studi su questo argomento. Pare che il mondo onirico sia davvero affascinante! Ah, quanto si potrebbe imparare da loro e quanto ancora non siamo in grado di aprirci al loro mondo!” 
Gli occhi azzurri di Silente scintillarono malinconici quando incontrarono quelli di Piton.
“Ma a parte questa mia ultima divagazione, Severus, voglio dirti che non devi lasciarti distruggere da ciò che sogni e da ciò che non può più essere. Tu sei un uomo forte. Andrai avanti fino alla fine.”
Senza aggiungere altro, Silente lo precedette nell’uscire dalla stanza dove, come un predatore pronto ad accogliere la sua prossima preda, riposava lo Specchio delle Brame. Piton rivolse un’ultima occhiata a quello Specchio prima di lasciarselo alle spalle per sempre.
Silente, ancora una volta, aveva avuto ragione: lui era un uomo forte. 

Da quel giorno non si mostrò più al cospetto di quello Specchio maledetto e, la notte seguente, tornò a sognare Lily Evans che, questa volta, non lo scacciò più in malo modo. Semplicemente lo guardò e rise, finalmente felice.

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* :  cit. A Silvia di Giacomo Leopardi

** : pseudo-cit. di Elias Canetti

  
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