Nick EFP: Mirty_92
Prompt: sogno
Titolo: Lei, riflessa nell’anima
Rating: verde
NdA: Questa fanfic partecipa allo psycho!contest indetto da chia_3 sul forum
di EFP
Lei, riflessa nell’anima
Una
risata chiara, cristallina, eterea proveniva attutita da dietro il
legno scuro di una porta massiccia e ruvida. Severus si avvicinò
piano, un passo dopo l’altro, con cautela. Non voleva essere
scoperto ad origliare o a spiare, ma la risata che sentiva lo attraeva
come se fosse legato ad essa da sempre. Posò la guancia pallida
e scarna al freddo uscio e premette l’orecchio contro il duro
legno di noce per riuscire a coglierla con maggior chiarezza.
Nulla.
Dall’altra parte nessuno rideva più. Eppure c’era lei in quella stanza, ne era certo. Quella era la sua risata.
Decise che avrebbe aspettato un momento e si convinse a contare fino a
cinque, dopodiché sarebbe entrato. Severus era un uomo paziente,
ma quando si trattava di lei,
di vederla sorridere, di ascoltarla parlare… la sua pazienza si
infrangeva come un’onda su scogli acuminati e scuri e, come
bianca schiuma, svaniva in una miriade di goccioline salate.
Uno… Severus iniziò a contare mentalmente.
Due… il suo sguardo si posò sul pomolo dorato che luccicava appena alla fioca luce del corridoio.
Tre…
la sua bianca mano lo accarezzò delicatamente come avrebbe fatto
con la pelle di lei quando l’avrebbe finalmente stretta fra le
braccia.
Quattro… le dita si chiusero silenziose e sicure attorno alla maniglia e, con una lieve pressione, la girarono verso destra.
Cinque…
la serratura scattò senza il minimo rumore e la porta si
aprì piano sotto il suo tocco leggero rivelando uno spiraglio di
quanto stava accadendo all’interno.
Severus rimase senza fiato.
Lei era in piedi, in mezzo alla stanza, ritta di fronte ad un antico
specchio a rimirarsi nel suo incantevole abito bianco. Sorrideva
soddisfatta al proprio riflesso e lui, quando colse quel sorriso,
sentì le farfalle fremere nello stomaco. Poi d’un tratto
la magia scomparve. Come se si fosse accorta degli occhi
dell’uomo che indugiavano su di lei, Lily Evans intercettò
il suo sguardo attraverso lo specchio. Improvvisamente il sorriso
scomparve e l’espressione divenne dura. La sua voce si fece
tagliente mentre, aspra, lo redarguì come si riprende un bambino
sorpreso a combinare una marachella: “Severus, che ci fai qui?
Vattene subito via!”
Un rumore sordo di una porta sbattuta con astio risuonò nel corridoio e Piton si svegliò di soprassalto.
Era
disteso sul proprio letto, supino. Le braccia lungo i fianchi e le mani
che stringevano convulsamente le lenzuola del materasso. Il respiro
affannoso e il volto costellato di minuscole goccioline di sudore. Si
mise a sedere prima di arrancare verso la scrivania dove teneva una
brocca con dell’acqua. Avrebbe semplicemente potuto appellarla
con la bacchetta, abbandonata sul comodino, ma in quel momento non ci
aveva proprio pensato. La brocca gli tremò tra le mani e
rischiò di infrangersi sul pavimento, vicino ai piedi nudi.
Riuscì a controllarsi quel tanto che bastava per versarsi un
dito di acqua nel calice d’argento che stringeva nella mano
sinistra. Bevve avido quel liquido fresco che divenne ben presto
sollievo per le sue labbra riarse. Riuscì a versarsene ancora.
Questa volta l’acqua non solo gli finì giù per la
gola ma andò anche ad inzuppargli la camicia del pigiama. Piton
imprecò per quella sua inusuale goffaggine. Si asciugò la
bocca con la manica e cercò di riprendersi: appoggiato con
entrambe le mani alla scrivania, i lunghi capelli neri e unticci a
coprirgli il volto, cercò di convincersi che si era trattato
solo di un sogno. Una sorta di incubo ricorrente da quando Silente gli
aveva parlato di quello Specchio, di quel maledetto Specchio che intendeva mettere a protezione della Pietra Filosofale.
Lui,
Severus Piton, era uno dei pochi insegnanti ad aver avuto il privilegio
di sapere dove si trovasse momentaneamente lo Specchio delle Brame e da
allora erano cominciati gli incubi. Quasi tutte le notti sognava Lily
Evans vestita con il suo abito bianco che rideva felice mentre si
guardava allo specchio. Era strano quanto le sue giornate fossero
ossessionate dalla presenza reale e tangibile dello Specchio delle
Brame mentre le sue notti fossero popolate da uno specchio immaginario
che diveniva la causa della furia di Lily. Chissà cosa vedeva la
Lily dei suoi sogni mentre incrociava i suoi occhi neri riflessi. Erano
ormai settimane che conviveva con quella domanda che gli rodeva il
cervello come un tarlo. Voleva a tutti i costi capire perché
Lily si arrabbiava così tanto alla vista di lui che, nel suo
sogno almeno, sarebbe dovuto diventare suo marito. La frase che lei gli
gridava contro non lo convinceva affatto. Non era pratico di matrimoni,
lui, e, anche se conosceva il divieto per
il fidanzato di vedere la futura sposa con l’abito bianco prima
delle nozze, non gli sembrava un motivo sufficiente da giustificare la collera che sentiva nella voce di Lily, la quale era sempre stata una ragazza posata e tranquilla.
Piton doveva venire a capo di quella situazione. Era tempo di spazzar
via ogni indugio; così non poteva più andare avanti.
Aveva bisogno di capire.
Raccolse in fretta la vestaglia nera abbandonata malamente su di una
logora poltrona nell’angolo della stanza, ai piedi del letto. La
indossò veloce, prese la bacchetta dal comodino e, senza nemmeno
curarsi di mettere le scarpe, uscì in tutta fretta dalla sua
stanza.
Si mosse come un’ombra attraverso i corridoi bui del castello
addormentato fino a raggiungere la stanza in disuso che ospitava lo
Specchio delle Brame. Arrivato in prossimità della porta, si
guardò furtivamente attorno prima di richiudersela alle spalle
senza il minimo rumore.
Lo
Specchio era lì, di fronte a lui. Alto e maestoso. Qualcuno
avrebbe addirittura potuto pensare che emanasse un’aura malvagia,
da far venire i brividi, dato che era decisamente fuori luogo in un
posto simile. Piton non attese oltre e si avvicinò
all’oggetto. Il suo doppio gli restituì lo sguardo solo
per pochi secondi prima di svanire sostituito dall’immagine della
sola Lily Evans.
Il suo cuore perse un battito. Un conto era sognare la donna della sua
vita e un altro era ritrovarsela di fronte così vicina ma
incredibilmente lontana, vacua e… semplicemente riflessa.
Perché Piton sapeva esattamente che quella era solo
un’illusione. La Lily vera, reale, in carne ed ossa, era morta.
Assassinata, strappata alla vita nel modo più crudele possibile.
Un ululato rauco gli sfuggì dalla gola e squarciò
l’atmosfera ovattata di polvere e silenzio. Mentre si accasciava
in ginocchio di fronte allo Specchio cercando disperatamente un
appiglio alla cornice elaborata, singhiozzi incontrollati lo scossero
dalla testa ai piedi mentre copiose lacrime cominciarono a rigargli il
volto. Nel disperato tentativo di non cedere a quel dolore che gli
stava straziando l’anima e lacerando quel suo già
malandato cuore, Piton cercò gli occhi della Lily nello
Specchio. Gli occhi verdi della ragazza, poi diventata donna e
destinata a rimanere tale per tutta l’eternità, erano
sempre stati la sua unica àncora di salvezza. I suoi occhi neri
si aggrapparono con la forza della disperazione a quelle iridi color
smeraldo così ridenti e fuggitive*. Ma, contrariamente al sogno,
questa volta Lily continuò a guardarlo e a ridere. Spensierata e
serena.
“Mi chiedevo quanto tempo ci avresti messo a venire qui, Severus.”
Il contatto visivo si interruppe non appena Piton voltò di
scatto la testa verso la voce pacata e profonda che l’aveva
interpellato. Poco distante da lui, appoggiato tranquillamente ad una
colonna, c’era Albus Silente.
“Preside.” Si alzò in tutta fretta cercando di
rendersi presentabile anche se sapeva benissimo di avere un aspetto
orribile. Profonde occhiaie rimarcavano come da giorni stesse
combattendo una battaglia contro i suoi incubi che, immancabilmente,
perdeva miseramente. I suoi occhi arrossati e le profonde rughe sulla
fronte gli conferivano un’aria da pazzo. “Io… io
stavo solo…” Piton balbettava. Non riusciva ad articolare
una frase che avesse un senso. I singhiozzi non accennavano a diminuire
e gli spezzavano il respiro in gola. Una sola volta Silente
l’aveva visto così: undici anni prima, nel suo studio,
quando Piton aveva appreso della morte di Lily Evans. Quando si era
reso conto di essere lui il vero responsabile della morte della giovane; quando aveva accettato il fatto di essere stato ancora lui a condannarla a morte certa rivelando a Voldemort parte di quella maledetta e veritiera profezia.
Allora Silente aveva visto un Piton invecchiato improvvisamente,
sconfitto dal suo stesso modo di agire, annegare nel proprio dolore. E
fu proprio quella volta che aveva scorto in quei profondi pozzi neri
qualcosa che non aveva mai visto prima di allora in nessun uomo. Aveva visto gli occhi spietati di chi aveva amato sopra ogni cosa**. Perché Severus Piton aveva amato Lily Evans più di tutto ma soprattutto più di sé stesso.
“Non hai un bell’aspetto, Severus. Dovresti riposare di più.”
Piton scosse il capo, sarcasticamente rassegnato.
“Lei dice, preside?”
Silente gli si avvicinò piano e prese il suo posto davanti allo
Specchio. I minuti passarono senza che nessuno dei due dicesse o
facesse nulla. Il preside rimirava incantato l’immagine che lo
Specchio gli restituiva.
“Questo Specchio ci mostra ciò che desideriamo di
più al mondo e te lo dissi la prima volta che ti portai qui. Ho
riposto la mia fiducia in te, Severus, perché so che tu sei un
uomo forte. Non farti traviare da ciò che vedi riflesso.”
Silente si voltò verso di lui e lo scrutò attraverso gli occhiali a mezzaluna.
Piton aveva a malapena la forza di incrociare lo sguardo del preside eppure fece uno sforzo. Lui non era un vigliacco!
“Lo so, preside. Non avrei dovuto venire qui stanotte.”
“Hai detto bene, Severus. Non avresti dovuto.” Il tono
pacato ma deciso di Silente lo impressionò più di
qualunque sfuriata avesse mai potuto rivolgergli. “Eppure
l’hai fatto.”
Il silenzio sembrava attendere una giusta e nobile spiegazione o,
almeno, questo era quello che ci si aspettava dallo zelante professor
Severus Piton.
“L’ho sognata ancora, preside. Da quando so dello Specchio
non faccio altro che ritrovarla ogni notte. Forse sto impazzendo. La
prego, mi aiuti!”
Silente lo guardò con una compassione così profonda che
gli fece quasi venir voglia di fuggire. Come aveva potuto abbassarsi a
tanto? Già una volta aveva chiesto aiuto a quell’anziano
mago che stava di fronte a lui e si era ripromesso di non farlo mai
più. Quando aveva perso Lily, e con essa tutta la propria vita,
aveva giurato a sé stesso che, da quel giorno in poi, avrebbe
sempre fatto tutto da solo. Che mai più avrebbe chiesto aiuto. E
invece ora aveva infranto il proprio giuramento. Si diresse velocemente
verso la porta: doveva andarsene da lì. Non avrebbe sopportato
un minuto di più la pietà che gli veniva riservata. Lui
non era un debole!
“Severus, aspetta.”
“Non si disturbi, preside. Dimentichi ciò che ho detto. È tardi, torno a dormire. Buonanotte.”
Ma Silente non si arrese. “Lei sarà sempre lì per
te, Severus. Qualunque sia il modo in cui la vedi riflessa o la sogni.
E ricorda, i sogni sono una finestra sempre aperta sul nostro
inconscio. Sono il riflesso sbiadito della nostra anima. Inutile porsi
troppe domande sui come e i perché di certi sogni. So che i
Babbani hanno portato avanti e portano aventi tutt’ora degli
studi su questo argomento. Pare che il mondo onirico sia davvero
affascinante! Ah, quanto si potrebbe imparare da loro e quanto ancora
non siamo in grado di aprirci al loro mondo!”
Gli occhi azzurri di Silente scintillarono malinconici quando incontrarono quelli di Piton.
“Ma a parte questa mia ultima divagazione, Severus, voglio dirti
che non devi lasciarti distruggere da ciò che sogni e da
ciò che non può più essere. Tu sei un uomo forte.
Andrai avanti fino alla fine.”
Senza aggiungere altro, Silente lo precedette nell’uscire dalla
stanza dove, come un predatore pronto ad accogliere la sua prossima
preda, riposava lo Specchio delle Brame. Piton rivolse un’ultima
occhiata a quello Specchio prima di lasciarselo alle spalle per sempre.
Silente, ancora una volta, aveva avuto ragione: lui era un uomo forte.
Da
quel giorno non si mostrò più al cospetto di quello
Specchio maledetto e, la notte seguente, tornò a sognare Lily
Evans che, questa volta, non lo scacciò più in malo modo.
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* : cit. A Silvia di Giacomo Leopardi
** : pseudo-cit. di Elias Canetti