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Autore: theuncommonreader    22/02/2016    1 recensioni
Richmond, 1879. Madeline Moon è una giovane di buona famiglia priva grandi mezzi, penosamente consapevole delle sue misere prospettive future. Per il compleanno, riceve uno splendido dono: un meraviglioso specchio intarsiato di rose, recuperato chissà da dove da quella volpe di sua zia. La superficie di vetro macchiata dal tempo finisce per mostrarle più di quanto abbia mai desiderato vedere. A lei e a chi le è caro.
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Ti mostro non quello che sei, ma quello che vuoi.
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Storia partecipante al contest "Malia" indetto da YUKO CHAN sul forum di EFP e betato dalla splendida Flora.
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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IV:

When it’s too hard to stand, kneel

 

 

 

“Sei una piccola sciocca.”

Le dita di Alice erano gentili tra i suoi capelli. Avvolta nella trapunta come potesse proteggerla dal mondo, Madeline soffocava i singhiozzi che le scuotevano le spalle nel cuscino.

Alice continuava a carezzarla rassicurante, la mano che scendeva sulla schiena in cerchi concentrici.

“Cosa devo fare?” mormorò Madeline con voce spezzata e implorante, sollevandosi appena dalla stoffa morbida per parlarle. “Se consulterà il dottore sarà la fine! Crederà che sono malata!” Non era affatto pazza, lei, no: solo speciale.

E tutto grazie allo specchio, lo aveva detto Alice: doveva essere magico – per questo le sue rose erano del viola dell’incanto [1], per questo nessuno l’aveva voluto. Madeline era come l’Alice di Mr. Carroll, intrappolata in un mondo a cui non apparteneva: che avrebbe dato per scivolare con la sua gemella oltre lo specchio, in una stanza speculare alla propria, ricoperta di splendidi fiori.

“Mi credi, adesso?” le domandò Alice. Pure se la stava confortando, nel suo tono c’era ancora una punta di tagliente freddezza. “Devi sempre fidarti di me poiché tutto ciò che dico è vero.”

Madeline la guardò con gli occhi gonfi di lacrime, tirando sul col naso. “Che cosa facciamo, Alice?” Gettò una rapida occhiata allo specchio. “Ci separeranno…”

Alice la osservava da sotto le ciglia lunghe e nel suo sguardo c’era qualcosa di torbido e sconosciuto che le fece passare un brivido lungo la schiena. Le rose fremettero.

“Non se la fermiamo prima che possa accadere.”

“Che… che cosa vuoi dire con questo?”

“La verità è che vuole liberarsi di te. Di noi.”

I brividi sulla pelle di Madeline divennero tremori mentre la voce di Alice si trasfigurava, divenendo quella di uno spirito maligno delle fiabe, gelida come pietra. “Non vede il tuo valore, e ora che è certa che non potrai mai sposarti e che sarai per sempre un peso sulle sue spalle, vuole mandarti via per poter tornare a essere libera come un tempo. Non ha passato l’età per prender marito, dopotutto. Riuscirebbe a trovare benissimo qualche vedovo attempato che la ritenga abbastanza piacente. Hai forse dimenticato quanto ami la compagnia maschile, fare vita sociale, viaggiare per il mondo?”

Non faceva una piega: il ritratto che Alice stava componendo era proprio quello della zia Martha. Forse sarebbe stato più facile illudersi ancora, se la zia non avesse mostrato la sua vera faccia, ma per loro oramai non aveva più nulla da nascondere.

Alice non aveva ancora terminato.

“Dunque, l’unica maniera perché sia certo che rimarremo insieme per sempre è che tu ottenga la tua libertà. Tra un anno sarà troppo tardi. [2]

Madeline si rannicchiò in posizione fetale, le mani sul viso mentre terribili scenari venivano evocati dalle parole di Alice. Si premette i palmi sugli occhi per non vedere, ma le immagini erano incise nelle palpebre, tentatrici.

Era così facile figurarsi finalmente libera, padrona di se stessa e di una casa propria, senza più dover sottostare alle richieste impossibili di una zia capricciosa – Alice al suo fianco di giorno e di notte, l’unica creatura che l’amasse per com’era senza riserve.

Affondò le dita nella pelle, strofinando i polpastrelli sulle sopracciglia sottili. Le labbra le fremevano, intrappolavano la domanda che prudeva sulla punta della lingua.

C’era un solo modo possibile perché tutto ciò si realizzasse – troppo terribile per pronunciarlo a voce alta.

“Chiaramente, dovresti farlo passare per un incidente.”

Madeline avrebbe potuto portarsi le mani alle orecchie e non sentire, ma la voce di Alice era fuori e dentro la testa e non era possibile sfuggirle.

“La zia non sarà forse così vecchia, ma non è neppure un fiore di primavera e la scalinata è alta e ripida…”

Basta, basta!

“Io non potrei mai,” mugolò, dondolandosi sul materasso. “Non potrei mai, dovresti farlo tu.”

Che cosa stava dicendo?

“Sai bene che non è fattibile.” Il cinismo nel tono di Alice si tagliava col coltello. “Non ho corpo fuori da questa stanza, e no, non posso prendere il tuo in prestito. Sono te, certo, ma non del tutto.”

A Madeline sfuggì un gemito riottoso – dietro le palpebre, vedeva l’immagine del volto della zia, non più rubizzo ma illividito dalla morte, gli occhi spalancati in un’espressione di sorpresa e tradimento.

La mano di Alice le sfiorò la nuca, amorevole. “Lei ha già vissuto la sua vita, Maddie. Deve lasciare che viviamo la nostra.”

 

 

 

 

“Non è proprio possibile, Kate. Non in questa situazione, sciocca ragazza.”

La voce della zia Martha era un sussurro aspro ma Madeline riusciva ugualmente a udirla, acquattata oltre la soglia del retrocucina col viso accostato alla porta socchiusa.

La pentola che bolliva rumorosa sulla stufa accanto a lei, spandendo nell’aria l’odore di fagioli, nulla poteva fare per coprire i mormorii cospiratori di Kate e della zia.

“Ma Madam, è la mia unica parente…”

“Ho bisogno di te qui, Kate. Con Madeline in queste condizioni, mi serve che mi aiuti a prendermi cura di lei. Nessuno deve sapere delle nostre disgrazie, non posso mettermi in casa qualcun altro in attesa che torni chissà da dove…”

“Belfast, Madam…”

“Ah, che importa. Mi servi qui, il discorso è chiuso.”

Kate si tormentava il grembiule ingiallito, spiegazzando la stoffa con le unghie mangiate. “Lasciate che ve lo dica, Madam. Secondo me quel dottorone della testa non servirà a niente. Miss Maddie è posseduta.”

“Che baggianate vai dicendo?”

Questa volta, zia Martha aveva alzato i toni e fu Kate a portarsi un dito alle labbra facendo rispettosamente cenno di abbassare la voce.

“Ne sono certa: è quello specchio che la sta facendo andare fuori di senno.” Kate si segnò rapida, indietreggiando intimorita dalle sue stesse parole. “Le sta avvelenando l’anima. Ci parla, lo carezza, lo abbraccia. Le sta rubando l’anima, vi dico!”

Madeline deglutì lentamente, gli occhi fissi sul cipiglio della zia – l’orrore che aumentava mentre il suo viso si faceva sempre più scuro, le sopracciglia vicine e un dito a tormentarsi il mento.

“Dunque, secondo te, facendo sparire quella maledetta specchiera potrei riavere mia nipote indietro. Che follia!”

“Sarà folle, Madam, ma avete visto Miss Maddie: lei ci crede, e la sta consumando! Casca dentro ai vestiti, ormai; un giorno è felice, un giorno vuole morire. Così non può andare e lo specchio non la aiuta, date retta a me. Bisogna che glielo togliamo.”

Fu in quell’attimo di silenzio sospeso in cui le due donne parevano star raccogliendo i pensieri che le sfuggì un singulto. Madeline si premette una mano sulla bocca traditrice, ma era troppo tardi. Le vide voltare i capi all’unisono verso la porta, i lineamenti composti in un’identica espressione di sorpresa.

L’avevano sentita.

“Madeline!” “Miss!”

Nel petto, il cuore stava per esploderle.

Madeline!

Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. Alice. ALICE.

Corri!

 

 

 

 

 

Madeline corse a perdifiato, inciampando nelle gonne che teneva raccolte nella presa spasmodica delle dita. Mentre si lanciava su per la scala, i gradini andarono a cozzare dolorosamente contro una caviglia, lacerando la calza sottile e facendola sanguinare; ignorò la sofferenza, il cuore che tambureggiava nel petto e il respiro che le doleva in gola.

Sentiva i loro passi dietro di sé: un paio di piedi che si muovevano a falcate concitate, attutite dalla moquette; altri, più lenti, che seguivano a ruota, accompagnati da un controcanto stonato di respiro affannoso.

Si gettò nella sua camera senza voltarsi indietro, chiudendosi la porta alle spalle e concedendosi solo una frazione di secondo per posarvi la schiena. Nelle orecchie, il grido di Alice perforava i timpani, sottraendole quella poca ragione che le rimaneva.

Gli occhi impazziti, Madeline si guardò attorno alla disperata ricerca di un peso da spingere contro il legno: era consapevole di essere in trappola, ma non si sarebbe arresa senza lottare. Lacrimando copiosamente, si staccò dalla porta girando attorno al letto e chinandosi – le stecche del busto che si conficcavano sotto i seni facendola gridare.

Digrignò i denti per lo sforzo, il sudore che colava dalla fronte, sul petto, sotto le ascelle. Le voci si facevano sempre più vicine – riusciva a sentire la parlata strascicata di Kate e il tono di comando della zia, rotto appena dalla fatica di salire per le scale.

Le sue braccia esili nulla poterono contro il pesante letto, che non si smosse dalla posizione originale. Con un gemito disperato, Madeline abbandonò quello sforzo vano, mordendosi le labbra e slanciandosi verso la porta per bloccarla col proprio corpo…

Si ritrovò riversa a terra, allungata sul pavimento; un ronzio copriva le grida di Alice e un rivolo di liquido caldo le colava dalla fronte, accecandole l’occhio destro. Con l’altro, socchiuso e umido, non poté che assistere impotente mentre la cameriera e la zia entravano nella stanza, infine – Kate che scavalcava il suo corpo e la zia che la afferrava per il polso, lacerando il pizzo consumato della manica e strappando via un bottone.

Imprigionata tra le braccia ferree della zia, emise un solo gemito mentre Kate premeva il corpo contro il legno della specchiera fino a sbilanciarla sulle zampe intarsiate – rovinando a terra con un agghiacciante frastuono di vetro spezzato.

 

 

 

 

La mano della zia sulla fronte era calda.

Le dita grassocce le carezzavano le tempie come a scacciare la sofferenza che la faceva martellare, pulsare sotto i polpastrelli.

Madeline fissava sul soffitto uno sguardo vuoto, morente come gli estremi raggi del sole al tramonto che penetravano dalla finestra.

La fascia attorno alla testa la stringeva troppo, ma lei non se ne curava granché. Sotto la coperta teneva un pugno chiuso mentre la destra tremava lievemente.

“Starai bene, piccola mia.”

La voce di zia Martha era quasi carezzevole, più dolce di quanto l’avesse sentita da anni.

Le dita risalirono fino alla sommità del capo, seguendo la piega dei riccioli ribelli in un tocco gentile e materno.

Madeline serrò il pugno con più decisione, incurante del sottile dolore della pelle che si lacerava, bruciando debolmente mentre la grossa scheggia di vetro penetrava a fondo nella carne.

 

 

 

NOTE

[1]: Nel linguaggio dei fiori, il significato dela rosa viola, introdotta in Europa nel XIX° secolo, è quello di “incantesimo”.

[2]: In Inghilterra, la maggiore età si raggiunge solo al compimento dei ventuno anni.

 

   
 
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