° Ti
Diverti? °
Atto.5
“Nella
sala dei Bugiardi”…
“solo
il verde dice la verità”
Le ultime ore erano
state un vero inferno per Ib,
un susseguirsi di scene terribili, fughe e battito cardiaco accelerato
degno di un cardiopatico, tanto
che alla fine per lo stordimento, non aveva capito per quale
misericordiosa grazia divina era
finita lì né, e di certo non le importava il
perché, per il momento era al
sicuro tra quegli scaffali e tanto le bastava.
La partenza di quel film horror vissuto a velocità
10x, era stata la foresta delle bambole sospese. Sebbene tutto non era
iniziato con
scene da cardio palma, ma c’era voluto del tempo, una sadica
messinscena
dell’organizzatore affinché la ragazza si
abituasse prima dell’alzarsi del vero
sipario. Per questo la scoperta dei primi due numeri era stata fin
troppo
semplice: uno in un quadro completamente bianco, dove c’era
voluto un po’ per
distinguere la macchiolina grigiastra dallo sfondo, poi quello stampato
sulla
maglietta di una delle bambole, cadute dal soffitto. Il manichino le
era
cascato esattamente difronte con gli occhi vitrei rivoltati
all’indietro in una
posa scomposta, facendole venire un colpo,
il primo di una lunga serie di spaventi. L’unico
locale non ancora
esplorato era stato un atrio chiassoso, anticipato da una targhetta
luccicante
come un’insegna al neon: “ La sala dei
Bugiardi”. Il nome ne aveva già annunciato
il tema, eppure l’invitante chiacchiericcio la convinse a
sorpassare l’arco
murario. Aveva una voglia insopprimibile di sentire delle voci, di
qualsiasi natura
esse fossero, prima che il silenzio la facesse impazzire del tutto.
Sei quadri in fila e divisi in due gruppi da tre
ai lati di una porta, avevano smesso immediatamente di cianciare per
voltarsi
con le loro teste bidimensionali verso la nuova arrivata.
<< Avete visto?! C’è un
ospite.>> aveva
detto un immagine maschile dalla maglietta verde.
<< Ti sei persa?>> aveva chiesto un
altro in giallo osservandola con occhi inesistenti, inghiottiti dal
nero che
gli caratterizzava la pelle.
<< Ma che peccato!>> aveva
sghignazzato un terzo in canotta blu, <<
Perché non ti unisci a noi
allora?>>
Ib aveva declinato il più cortesemente possibile, evitando
che la tensione le rendesse difficile qualsiasi forma di gentilezza.
Inoltre
era bene concedere meno confidenze possibili, perché sei
quadri che volevano
tenerla lì, non era stato di certo un bel presagio.
<< Vi ringrazio, ma devo trovare un numero
per aprire la porta in fondo al corridoio>> aveva detto
in fine, scegliendo
la verità. Non valeva la pena mentire e non aveva potuto
escludere che loro non
ne sapessero nulla.
<< Numero? Nascondiamo un numero?>>
<< Dove?!>>
<< C’era una porta e non lo
sapevamo?>>
Le chiacchiere si erano sovrapposte in uno
schiamazzo indefinito e irritante, finché una donna in
bianco non aveva detto
qualcosa di interessante, superando la cacofonia.
Ib, che non era una ragazzina sbadata, aveva
notato immediatamente la frase: “ ci hanno detto”,
e questo verbo al plurale
implicava che qualcosa o qualcuno li aveva messi lì e
istruiti su quello che
dovevano fare. “ perciò è vero che
qualcuno ne è l’autore” aveva pensato,
ma
non si era limitata solo a questo, aveva
trasformato i suoi pensieri in accurate parole capaci di ottenere
informazioni.
Purtroppo non era riuscita a cavare un ragno dal buco, anzi, era
riuscita solo
a far ricominciare il frastuono; al ché si era vista
costretta ad accettare,
non avendo nessun’alternativa o idea. Così uno per
volta le sagome in nero avevano
detto ciò che era stato loro riportato e alla fine Ib si
ritrovò con tre
individui che avevano insultato gli altri o li avevano indicati come
potenziali
sinceri, mentre solo la donna in marrone, quella in bianco e il tipo in
verde,
avevano dato veri e propri indizi. Uno aveva dichiarato la
verità, mentre gli
altri avevano mentito. A chi credere? Aveva più del sessanta
per cento di
possibilità d'errore e solo il trenta percento di successo,
come fare? Si era
chiesta per un minuto interminabile cosa sarebbe successo in caso di
fallimento
e quale sarebbe stato il prezzo da pagare, perché con
l’uomo nero se l’era
vista brutta, dunque non era da escludere che le sarebbe potuta
capitare una
sorte simile.
Già, i suoi genitori, chi sapeva dove si trovavano
in quei momenti e se la stessero cercando in preda alla preoccupazione
più
nera. Oppure erano finiti anche loro in un posto simile?
Accantonò i pensieri
per un momento più adatto, quando da sola senza pressioni
imminenti, avrebbe potuto
rammaricarsi quanto voleva in un angolino buio e possibilmente al
sicuro. Non pensando
a loro, altrimenti l’angoscia e la tristezza le avrebbero
impedito di andare
avanti, aveva messo in moto i neuroni ricordando le parole
apparentemente
inutili degli altri raffigurati.
Alla fine
dopo un’attenta analisi, e presupponendo che tutti mentivano,
scelse di
affidarsi alle parole della donna marrone: “ Stai davanti
alla statua, fai
quattro passi a est e poi due a nord. Ecco la risposta! ” e
seguite alla
lettera, aveva finalmente trovato quello che stava cercando, un quattro
inciso
dietro una mattonella del pavimento.
Mentre aveva contato mentalmente le mosse che
doveva eseguire, si era talmente concentrata che non si era resa conto
dei
suoni leggeri di sottofondo: strappi, risolini, un grido soffocato e
poi solo
il ticchettio di una rara goccia, come se un rubinetto non potesse
essere
chiuso del tutto. Perciò il suo sconcerto era stato
agghiacciante, nel momento in
cui era tornata trionfante difronte alle sei immagini. Il sorrisetto
compiaciuto le era svanito dalle labbra come i semi di un dente di
leone
attaccati dalla brezza, poi era subentrato l’orrore per le
risate degli ultimi
cinque rimasti. Infatti, la donna che l’aveva inconsciamente
aiutata, era stata
ridotta a un cumulo di brandelli attaccati tra loro da qualche filo
superstite,
mentre una scarlatta cascata morente imbrattava i piedi del muro. Non
la
cornice, non i superstiti e nemmeno le pareti erano state risparmiate
dalle dita
cremisi, che avevano lasciato schizzi, spruzzi e mezzelune create da un
insieme
eterogeneo di chiazze, ma la cosa peggiore erano stati i restanti
quadri, tutti
macchiati di rosso e con un arma in pugno.
<< A Morte il vero traditore!>>
urlavano nella loro distorta e malata visione della realtà.
Tuttavia la cosa che aveva turbato Ib nel profondo
era stata che, nonostante i presenti avessero le facce imbrattate e i
vestiti
zuppi, questi continuassero a ridere e sghignazzare come se non fosse
mai
accaduta una cosa più divertente.
Non si chiese perché l’avessero fatto, forse non
c’era nemmeno una ragione, ma si domandò,
“ Perché ridono?! ”, arretrando
sconvolta dai loro sorrisi bianchi e dai visi chiazzati di rosso.
Perché per
Ib, in quel momento, era più facile chiedersi come mai
avvenisse un atto tanto
semplice, piuttosto del motivo per cui avevano sbrindellato un loro
compagno.
Che motivo avrebbero avuto per farlo? Solo il fatto che aveva detto
qualcosa
diverso da loro? Un motivo probabilmente non c’era stato,
perché lì erano tutti
irrimediabilmente pazzi e forse anche lei si era messa sulla buona
strada.
Il resto era successo molto in fretta, al ritmo frenetico
di un rientro a casa nell’orario di punta, quando non si
vedeva l’ora di
lasciare tutto alle spalle e dire che era finalmente finita, anche se
per la
ragazza la “fine” era una meta mooooolto lontana.
Aveva impiegato qualche secondo per staccare gli
occhi da quel delirio rosso, argento scintillante e giallo delle
pareti, ed era
corsa a sbloccare la porta protetta dalla password. Nella nuova
stanzette
quadrata aveva trovato una mela di legno, l’unica cosa che
potesse essere
portata via per saziare una bocca famelica che le aveva chiesto
insistentemente
e ossessivamente del cibo da quando l’aveva notata in un
angolo della foresta
di bambole: “ Fame … dammi cibo. Quello cibo
… Dammelo! ”. Poi le fauci, una
volta assaggiato il finto frutto, si erano spalancate simili, ma non
troppo, a
quelle del gatto-parete, schiudendo un tunnel nero quanto una notte
senza luna.
Aveva Potuto entrarci, senza rischiare? No.
Aveva avuto altre possibilità valide e più
sicure? No. Quindi
la scelta era stata una sola, andare.
L’ennesimo lungo e interminabile corridoio di cui
la fine era sconosciuta a causa della fitta coltre di ombre dovute alla
poca
illuminazione e negli angoli erano così fitte che Ib,
nonostante si fosse
abituata ormai da tempo a quella scarsa quantità di luce,
aveva fatto lo stesso
fatica a distinguerne i dettagli, tranne per i primi tre poster
attaccati alle
pareti raffiguranti l’ascensione di una lama da ghigliottina.
Quello era stato il momento più terrificante di
tutti almeno fino a quel punto siccome, cosa poteva indicare una scure
che si
solleva una dozzina di centimetri alla volta?
La ragazza sapeva che dopo ogni salita, c’era
sempre una discesa, ma il nodo del problema era stato il
“quando”; in quale momento
avrebbe scelto di calare, sarebbe stato il fattore decisivo tra la sua
condanna
o una miracolosa fuga, e probabilmente, con le cattive, avrebbe trovato
la
risposta almeno a una delle sue domande: “Che fine
farò? ”
Il fattore che le mise più angoscia non era stata
la consapevolezza di
cosa la aspettasse
un passo più in là, ma era sapere esattamente
cosa sarebbe successo, e non aver
modo di prevederlo, nemmeno intuirlo, se non un millesimo di secondo
prima
dell’inevitabile. Per lo meno, l’ignoto le avrebbe
dato il vantaggio di poter
ancora sperare che il peggio le sarebbe passato accanto senza nemmeno
sfiorala,
proseguendo per la sua strada, invece Ib non aveva avuto nemmeno
quello, perciò
si era preparata come meglio aveva poteva e aveva affinati i sensi fino
allo
spasmo.
Se prima aveva giocato a nascondino e
acchiapparello, quella volta aveva giocato a guardie e ladri, dove il
colpevole
se catturato non avrebbe visto la prigione, ma un’esecuzione
sul posto. Così
passo dopo passo, piede davanti a piede, era avanzata con cautela come
un
topolino circondato da trappole a molla, laddove un passo falso avrebbe
condannato il roditore. La ragazzina aveva provato le medesime
sensazioni di
quel topolino: terrorizzata, guardinga e tremendamente titubante,
nonostante vi
fosse un’unica strada da seguire, scandita dai fotogrammi
della scure che
saliva sempre di più, fino al penultimo poster, dove la lama
era sparita oltre
le tenebre annidate sul soffitto.
“ Correre o aspettare?” aveva ponderato con il
cuore a mille ed i peli della nuca ritti per la paura, mentre era
rimasta
immobile ed ancorata al muro alla sua sinistra. Le era sembrato
più logico e
sicuro tenersi vicino ai poster, piuttosto che procedere lungo
l’altro capo del
corridoio, osservando poi lo spazio di appena sei metri quadrati che
l’avevano
separata dallo squarcio nero a strapiombo verso il basso, probabilmente
una
scala.
Dopo minuti lunghi ere, si era azzardata a fare un
passettino in avanti, per vedere oltre il bordo tagliente del primo
gradino
della rampa, segnando l’inizio della prospettata scena
finale.
Le ci era voluto un millesimo di secondo per
guardare in alto da dove era giunto un sibilo sinistro e, la ragazza
topolino era
diventata una lepre e il taglio affilato della lama, largo quanto il
passaggio
al piano di sotto, era diventato i fari abbaglianti di un camion. Ferma
come sempre accade
difronte a un pericolo
improvviso, era riuscita solo a guardare la lama che in frazioni di
secondo aveva
macinato ingorda manciate di centimetri. Era certa che avrebbe dovuto
far
correre i suoi impulsi nervosi più velocemente di quello che
le stava sopra la
testa, ma per quanto ci avesse provato, il suo corpo non le aveva
risposto,
come se si fosse ormai arreso al finale. Era stato impossibile dire se
era
intervenuto l’istinto primordiale di autoconservazione o
l’aiuto di uno
sconosciuto che l’aveva spinta nella direzione da prendere,
fatto stava che aveva
superato il primo gradino cadendo di peso, quando tutta la mole ferrosa
dell’arnese
si era conficcata pesantemente nel pavimento del pianerottolo, seguito
da un
botto simile a una detonazione, mentre lei era rotolava e aveva
sbattuto contro
tutti gli spigoli nella folle discesa.
Si era ripresa poi, quel tanto da capire dove
fosse e cosa fosse successo, in seguito si precipitata a controllare la
rosa
nella tasca, notando che aveva perso più della
metà della corolla. Si era
rassegnata e con sforzo sovrumano si era tirata su con il corpo
dolorante.
Purtroppo per Ib non era finita lì, poiché
un’ombra impazzita, correndo al capo
opposto del corridoio, le aveva fatto balzare il cuore contro la cassa
toracica,
con la paura folle che il misterioso regista di tutto si fosse
finalmente
deciso a venirle incontro. Invece l’ombra non si era fatta
più vedere e non
potendo che proseguire, era finita in una saletta nascosta, rischiando
un attacco
di panico per l’unico quadro appeso, intitolato
“CHE RUBA L’ANIMA”. Forse era
stato il quadro più inquietante che avesse visto,
perché rappresentava delle
ombre infantili dagli occhi rossi infossati rivolti verso lo
spettatore, raccolte
sotto un albero sfiorito scosso dal vento di tempesta. Si era data
immediatamente alla fuga, ma non era più riuscita a trovare
la porta,
mimetizzatasi con l’intonaco dello stesso colore scurissimo,
mentre suoni
raccapriccianti e canzoncine infantili avevano cercato di attirarla
verso la
tela. Non si era voltata nemmeno una volta a controllare cosa era
successo alle
sue spalle, continuando nella disperata ricerca del pomello. Poi una
volta
uscita di lì era stata rincorsa, o meglio inseguita, dalla
strisciante donna in
rosso per ottenere una schifosissima chiave per aprire
l’ennesima porta, dell’ennesimo
corridoio, dopo l’ennesimo ingresso.
Ed eccola lì in una specie di biblioteca
dimenticata piena di scaffali e librerie stracolme di volumi, intenta a
osservare la porta che subiva gli attacchi della donna-quadro e
pregando che
non la sfondasse a testate o con i pugni.
Quando finalmente i lamenti e le graffiate, si
attutirono quel tanto da far sentire Ib più al sicuro, si
concesse di voltarle
le spalle per controllare che la stanza fosse un luogo sicuro.
Vedeva solo colonne altissime di libri e una
porticina esattamente nel mezzo delle due file di scaffalature. Si
precipitò a passo
spedito barcollando e oscillando pericolosamente verso il quadrato
cremisi che
non la ringraziò per la sua veemenza
nell’abbassare la maniglia, schiudendosi.
Questo voleva dire solo una cosa, serviva un modo per aprirla e doveva
essere
cercato nella stanza.
Il solito bigliettino giallo, che spuntava tra due
libri nello scaffale di mezzo, attirò la sua attenzione come
una calamita, il
polo opposto, e due paoline scarabocchiate in fretta e tremolanti,
nella solita
scrittura, le chiedevano: “ T I
D I V E
R T I ?”.
<< Ma che razza di domande è?!>>
sbottò le ragazza senza pensare, a causa della stanchezza
opprimente che la
provava già da un po’. No che non si stava
divertendo! Aveva rischiato la vita
almeno una quindicina di volte, era stata terrorizzata a morte e per di
più non
sapeva nemmeno dov’era. Si sentiva peggio di Alice persa nel
Paese delle
Meraviglie, perché alla protagonista di quel libro non era
andata tanto male quanto
a Ib. In quel momento desiderò che lì vi fosse un
altro vaso pieno d’acqua per
rigenerare la sua rosa ormai ridotta a un ammasso spelacchiato di
petali e
anche se stessa, perché di certo non avrebbe retto a
qualsiasi cosa la
attendesse oltre la porta rossa. Purtroppo non vi era nulla del genere
nascosto
tra le librerie. Rimise a posto il cartoncino con frustrazione,
cercando di
nuovo il modo per sbloccare la serratura. Rovistava tra le letture, la
maggior
parte riportava stampe dei dipinti dell’autore Guertena,
scorgeva i titoli
delle copertine e più continuava nella sua ricerca
più cose scopriva,
soprattutto grazie ad un libro seminascosto dagli altri, “ Le
donne nella tela”.
Questo l’aveva avvertita che le ragazze dipinte diventavano
aggressive a causa
del continuo desiderare gli umani e che avrebbero inseguito qualsiasi
cosa
finché non sarebbero state soddisfatte, e se esisteva un
loro punto debole, era
proprio quello di non poter aprire le porte da sole.
<< Meno male, almeno qui dentro sarò al
sicuro per un po’>> aveva commentato Ib finito
di sfogliare le pagine.
Poi la ragazza aveva continuato a guardare i tomi finché un
libricino per
bambini, chiaramente fuori posto, non l’aveva incuriosita. Lo
tolse dallo
scaffale rigirandoselo tra le dita per capire cosa contenesse e come
avesse
fatto a finire lì, ma le lettere cicciottelle e in grassetto
non fecero altro
che confermare la sua impressione, si trattava di un libro per bambini
disegnato
con pastelli a cera nel classico modo inesperto dei bimbi nella prima
infanzia.
“ Storybook
animato, Carrie la sbadata e la gallette des rois”
rilesse mentalmente,
studiando le scritte e l’immagine di copertina che riportava
un sipario chiuso,
poi sfogliò le prime pagine in cerca di una chiave nascosta
in una pagina, o
qualsiasi oggetto o indizio che la aiutasse a uscire da lì.
Come si poteva
aspettare da un libricini del genere, non trovò nulla
d’interessante e, per
quanto la sua presenza fosse strana e fuori luogo tra quei volumi
artistici e
fotografici, si convinse a rimetterlo a posto e cercare altrove.
Tuttavia
quando tentò di richiuderlo o staccare una delle mani dal
volumetto, non riuscì
né nell’una, né nell’altra
cosa. Presa dal panico cercò di staccarsi dal libro,
di sollevare le braccia o anche solo muovere la testa alla ricerca di
un arnese
ma nessun movimento le fu permesso. Perciò con gli occhi
incollati alle pagine,
queste iniziarono a girare da sole raccontando la loro storia.
“ C’erano
una volta tre quattro amici che si erano ritrovati a casa di una delle
ragazzine del gruppo per festeggiare un compleanno.
- Buon
compleanno!- urlarono in coro i bambini rivolti alla loro amica.
- Grazie
ragazzi- replicò la festeggiata nel suo nuovo vestito
turchese.
- Per il tuo
compleanno abbiamo fatto una Galette des Rois!- disse la padrona di
casa con un
ampio sorriso, contenta che la sorpresa fosse riuscita.
- Che
cos’è?-
chiese la bimba.
-
C’è una
monetina in questa torta, e se mangi la fetta con la monetina, sarai
una
persona felice- continuò ignorando la sua amica e indicando
la torta di un
invitante color cioccolato.
-sembra
divertente!-
- E già- e la
padroncina di casa, impugnato un coltello a seghetto, la divise in
quattro
porzioni identiche, una per ogni invitato.
- Prendete la
fetta che volete-, disse la cuoca esortando i presenti e quando tutti
ne ebbero
una tra le mano, le addentarono la loro di gran gusto, facendo ancora
tanti
auguri alla festeggiata. Quest’ultima però
spezzò il religioso silenzio della
degustazione.
- Aaah!- urlò
spaventata.
- Cosa
succede?- disse un'altro dei presenti.
- Credo di
aver… ingoiato qualcosa di duro!- disse tra un bel respiro e
l’altro.
- Ah! O
Carrie, deve essere stata la monetina- disse un bambino palesemente
spaventato.
- Che cosa
faccio- disse Carrie la festeggiata, preoccupata che quello potesse
provocarle
seri danni.
- È tutto ok,
la moneta è piccola piccola! Bene e adesso puliamo tutto-
disse la bimba non curante,
spazzolando il tavolo, raccogliendo vassoio e coltello, mentre i suoi
amici
recuperavano i tovaglioli sporchi. Poi si avviò in cucina
per poggiare tutto
nel lavello.
- Cosa
c’è
mamma?- chiese incontrando sua madre nel corridoio davanti alla porta
rossa
dello studio del padre.
- Hai visto
la chiave dello studio? È sempre qui su questo tavolo- le
chiese la madre
perplessa e angosciata nel ricordare dove avesse lasciato
l’oggetto.
“ Huh! Oh,
no. È la monetina! La monetina che avrei dovuto…
mettere … nella torta. Non è
che …” pensò la bambina allarmata.
- Ma dove può
essere finita? Oh, il babbo si arrabbierà così
tanto- borbottò la mamma con una
faccia serissima.
“ Che devo
fare?” si disse. Poi la soluzione venne da se, quando il
coltello colpì il
pavimento, così tornò indietro coltello alla mano.
- Sembra che
io sia sbadata quanto Carrie- si disse ghignazzando, tornando dai suoi
amici. ”
Il sipario si chiuse,
mentre Ib inorridita cercava
di scrollarsi il libro di dosso e chiudere quella storia che di certo
non è per
bambini. Tra uno strattone e l’altro nel tentativo di
liberarsi, non poté fare
a meno di sentire i rumori raccapriccianti provenienti da dietro le
tende
rosse, con gli occhi inchiodati al libro e incapaci di sbattere le
palpebre.
Dopo non molto ebbe gli occhi che le pizzicavano e cercò
invano, con tutte le sue forze, di
staccare quell’affare dalle sue mani, quando la figurina
della bimba assassina,
sbucò dal bordo delle tende.
“
- Ho trovato
la chiave!... ora apro la porta.- sorrise, con il visino disegnato
sporco di
chiazze cremisi. “
E dette queste
parole con un click la porta si
spalancò, mentre il libro si richiuse di scatto, piombando a
terra tra
l’incredulità di Ib e le figure sghignazzanti dei
quattro bambini della festa.
Non poteva
crederci, la bambina aveva tagliato la
pancia dell’amica per recuperare l’oggetto che
aveva messo nella torta, ma come
aveva potuto, tra l’altro con quel sorriso smagliante dipinto
sul volto?
Iniziava ad odiare le persone che sorridevano e con la nausea crescente
per
l’omicidio in diretta di Carrie, se così si poteva
dire, non ci pensò nemmeno a
rimettere a posto quel libro dell’orrore e avanzò
verso la stanza successiva.
Lì
finalmente uno dei suoi desideri venne
realizzato: il vaso con l’acqua che l’aveva guarita
secoli prima. Lo
raggiunse immediatamente per posarvi la sua rosa torturata. I petali si
rigenerarono
a mano a mano che l’acqua spariva dal contenitore e allo
stesso modo si sentì
meno indolenzita e più vigile, grazie alla benedizione
eterna, come la indicava il
cartellone appeso sopra la sua testa e che raffigurava
un’ampolla di vetro con
dentro un misterioso liquido celeste e luccicante.
Non le
importò da che luogo o da chi fosse
stata prodotta, l’importante era che si trattasse di qualcosa
che la facesse stare
meglio, l’unico oggetto che non avrebbe tento di ucciderla.
Questa volta,
accadde una cosa bizzarra, il vaso
non si ruppe come l'ultima volta, ma rimase intatto senza nemmeno una
scalfittura
che indicasse il passaggio di qualcuno.
“
Davvero strano” costatò Ib, esaminando il vaso
più da vicino ed infilandosi la rosa al sicuro tra le pieghe
della gonna.
“ Quindi posso usarla ancora?”, purtroppo
però di acqua non ne era rimasta
nemmeno una goccia e così i pensieri felici ebbero vita
breve.
Lì
accanto su un altro tavolino, scorse un enorme
quaderno spalancato e, siccome la curiosità ebbe la meglio,
si avvicinò
senza toccarlo memore di quanto era successo pochi attimi prima. Adesso
che si
trovava più vicino, Ib poté vedere chiaramente
che si trattava di un libro per
le presenze, tipo quelli che si trovano nei musei per lasciare una
dedica
con la propria firma o un’impressione della visita. Infatti,
sulle due facciate
c’era un infinito elenco di nomi, alcuni talmente sbiaditi e
altri quasi illeggibili tanto che era difficile decifrarne le
lettere; però tra questi ne spiccavano due in vivido
inchiostro nero. Il primo, tutto sommato ancora leggibile, stava
diventando
sempre più chiaro come se una gomma, facendo avanti e
indietro, togliesse ad
ogni passata una mano di inchiostro, e riportava il nome
Garry, che la
ragazza non riconobbe affatto e neppure ebbe l’impressione di
conoscere, perciò
passo oltre. Il secondo invece era il suo nome, Ib, scritto a chiare
lettere
nere come se fosse stato appena impresso su quel foglio bianco.
“
Allora è vero!” urlò una vocina nella
sua testa,
“ Segna davvero i nomi di chi è stato qui,
perciò oltre a me c’è qualcun altro
o c’è stato qualcun altro”. Non poteva
dire se fosse più sconvolta per il suo
nome scritto sul registro o se per speranza di non essere
più da sola, che quel
nome aveva risvegliato in lei. Era talmente presa dalle sue ipotesi e
congetture quasi verosimili, che in un primo momento non si accorse del
rantolo
soffocato che la raggiuse dal corridoio scuro alla sua destra, solo un
secondo lamento mise i allarme i suoi sensi.
A questo punto
difronte a lei si aprivano nuovamente due
scelte, andare a controllare assecondando la vocina nella sua testa che
le
diceva di essere fiduciosa, o girarsi dal lato opposto e proseguire.
Questa
volta non perse tempo a valutare le opzioni e le
probabilità, non ebbe nemmeno
bisogno di quella gentile voce fuori campo che l’aveva
guidata qualche volta,
perché sapeva già che percorso prendere.