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Autore: Kaleido_illusion    25/02/2016    1 recensioni
Chi non conosce l'indie horror di Ib?
Ma tu lettore, se sei tra quelli che non lo conoscono o volgiono saperne di più, ti invito a leggere delle avventure di Ib, un adolescente, e Garry che per errore o un desiderio espresso e non mantenuto, entrano in un mondo artificiale fatto di pittura e tristezza, popolato da esseri che non dovrebbero esistere, ma che hanno trovato la vita grazie ad un eccellente pittore visionario, Weiss Guertena.
Immergetevi insieme ai protagonisti nell'arte!
Buon proseguimento ...
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
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° Ti Diverti? °

Atto.5

 

“Nella sala dei Bugiardi”…

“solo il verde dice la verità”

 

 

 

Le ultime ore erano state un vero inferno per Ib, un susseguirsi di scene terribili, fughe e battito cardiaco accelerato degno di un cardiopatico, tanto che alla fine per lo stordimento, non aveva capito per quale misericordiosa grazia divina era finita lì né, e di certo non le importava il perché, per il momento era al sicuro tra quegli scaffali e tanto le bastava.
La partenza di quel film horror vissuto a velocità 10x, era stata la foresta delle bambole sospese. Sebbene tutto non era iniziato con scene da cardio palma, ma c’era voluto del tempo, una sadica messinscena dell’organizzatore affinché la ragazza si abituasse prima dell’alzarsi del vero sipario. Per questo la scoperta dei primi due numeri era stata fin troppo semplice: uno in un quadro completamente bianco, dove c’era voluto un po’ per distinguere la macchiolina grigiastra dallo sfondo, poi quello stampato sulla maglietta di una delle bambole, cadute dal soffitto. Il manichino le era cascato esattamente difronte con gli occhi vitrei rivoltati all’indietro in una posa scomposta, facendole venire un colpo,  il primo di una lunga serie di spaventi. L’unico locale non ancora esplorato era stato un atrio chiassoso, anticipato da una targhetta luccicante come un’insegna al neon: “ La sala dei Bugiardi”. Il nome ne aveva già annunciato il tema, eppure l’invitante chiacchiericcio la convinse a sorpassare l’arco murario. Aveva una voglia insopprimibile di sentire delle voci, di qualsiasi natura esse fossero, prima che il silenzio la facesse impazzire del tutto.
Sei quadri in fila e divisi in due gruppi da tre ai lati di una porta, avevano smesso immediatamente di cianciare per voltarsi con le loro teste bidimensionali verso la nuova arrivata.
<< Avete visto?! C’è un ospite.>> aveva detto un immagine maschile dalla maglietta verde.
<< Ti sei persa?>> aveva chiesto un altro in giallo osservandola con occhi inesistenti, inghiottiti dal nero che gli caratterizzava la pelle.
<< Ma che peccato!>> aveva sghignazzato un terzo in canotta blu, << Perché non ti unisci a noi allora?>>
Ib aveva declinato il più cortesemente possibile, evitando che la tensione le rendesse difficile qualsiasi forma di gentilezza. Inoltre era bene concedere meno confidenze possibili, perché sei quadri che volevano tenerla lì, non era stato di certo un bel presagio.
<< Vi ringrazio, ma devo trovare un numero per aprire la porta in fondo al corridoio>> aveva detto in fine, scegliendo la verità. Non valeva la pena mentire e non aveva potuto escludere che loro non ne sapessero nulla.
<< Numero? Nascondiamo un numero?>>
<< Dove?!>>
<< C’era una porta e non lo sapevamo?>>
Le chiacchiere si erano sovrapposte in uno schiamazzo indefinito e irritante, finché una donna in bianco non aveva detto qualcosa di interessante, superando la cacofonia. << Allora devi per forza partecipare al nostro gioco! Cercavamo di stabilire chi di noi sa mentire. Sai ci hanno dato delle indicazioni per la sala alle nostre spalle, dicendoci che solo una serie di passi sono esatti per trovare un tesoro. Così, visto che noi non possiamo muoverci, tu puoi aiutarci a scoprire chi dice il vero e smascherarlo. Magari il tesoro è proprio il numero che cerchi. Allora?! Che ne dici affare fatto?>>.
Ib, che non era una ragazzina sbadata, aveva notato immediatamente la frase: “ ci hanno detto”, e questo verbo al plurale implicava che qualcosa o qualcuno li aveva messi lì e istruiti su quello che dovevano fare. “ perciò è vero che qualcuno ne è l’autore” aveva pensato, ma non si era limitata solo a questo,  aveva trasformato i suoi pensieri in accurate parole capaci di ottenere informazioni. Purtroppo non era riuscita a cavare un ragno dal buco, anzi, era riuscita solo a far ricominciare il frastuono; al ché si era vista costretta ad accettare, non avendo nessun’alternativa o idea. Così uno per volta le sagome in nero avevano detto ciò che era stato loro riportato e alla fine Ib si ritrovò con tre individui che avevano insultato gli altri o li avevano indicati come potenziali sinceri, mentre solo la donna in marrone, quella in bianco e il tipo in verde, avevano dato veri e propri indizi. Uno aveva dichiarato la verità, mentre gli altri avevano mentito. A chi credere? Aveva più del sessanta per cento di possibilità d'errore e solo il trenta percento di successo, come fare? Si era chiesta per un minuto interminabile cosa sarebbe successo in caso di fallimento e quale sarebbe stato il prezzo da pagare, perché con l’uomo nero se l’era vista brutta, dunque non era da escludere che le sarebbe potuta capitare una sorte simile. E se fosse morta? Che cosa sarebbe successo in quell’istante: si sarebbe ritrovata alla galleria o sarebbe finito tutto per sempre?Non valeva la pena di scoprirlo con una puntata così alta, e come il migliore giocatore di poker, decise di vedere lo sviluppo degli eventi e studiare gli avversari come le aveva insegnato suo padre nei pomeriggi in cui si esercitava per la partita mensile con gli amici. Non scommettevano soldi, perché la moglie non gliel’avrebbe permesso, ma poteva concedersi di puntare una birra o un sigaro della collezione del nonno che nessuno toccava. Quante cose le avevano insegnato i suoi genitori e che ora le tornavano utili, soprattutto l’avevano istruita ad usare il cervello, strumento dato in dotazione alla nascita, ma di cui pochi sapessero la vera funzione.
Già, i suoi genitori, chi sapeva dove si trovavano in quei momenti e se la stessero cercando in preda alla preoccupazione più nera. Oppure erano finiti anche loro in un posto simile? Accantonò i pensieri per un momento più adatto, quando da sola senza pressioni imminenti, avrebbe potuto rammaricarsi quanto voleva in un angolino buio e possibilmente al sicuro. Non pensando a loro, altrimenti l’angoscia e la tristezza le avrebbero impedito di andare avanti, aveva messo in moto i neuroni ricordando le parole apparentemente inutili degli altri raffigurati.
 Alla fine dopo un’attenta analisi, e presupponendo che tutti mentivano, scelse di affidarsi alle parole della donna marrone: “ Stai davanti alla statua, fai quattro passi a est e poi due a nord. Ecco la risposta! ” e seguite alla lettera, aveva finalmente trovato quello che stava cercando, un quattro inciso dietro una mattonella del pavimento.
Mentre aveva contato mentalmente le mosse che doveva eseguire, si era talmente concentrata che non si era resa conto dei suoni leggeri di sottofondo: strappi, risolini, un grido soffocato e poi solo il ticchettio di una rara goccia, come se un rubinetto non potesse essere chiuso del tutto. Perciò il suo sconcerto era stato agghiacciante, nel momento in cui era tornata trionfante difronte alle sei immagini. Il sorrisetto compiaciuto le era svanito dalle labbra come i semi di un dente di leone attaccati dalla brezza, poi era subentrato l’orrore per le risate degli ultimi cinque rimasti. Infatti, la donna che l’aveva inconsciamente aiutata, era stata ridotta a un cumulo di brandelli attaccati tra loro da qualche filo superstite, mentre una scarlatta cascata morente imbrattava i piedi del muro. Non la cornice, non i superstiti e nemmeno le pareti erano state risparmiate dalle dita cremisi, che avevano lasciato schizzi, spruzzi e mezzelune create da un insieme eterogeneo di chiazze, ma la cosa peggiore erano stati i restanti quadri, tutti macchiati di rosso e con un arma in pugno.
<< A Morte il vero traditore!>> urlavano nella loro distorta e malata visione della realtà.
Tuttavia la cosa che aveva turbato Ib nel profondo era stata che, nonostante i presenti avessero le facce imbrattate e i vestiti zuppi, questi continuassero a ridere e sghignazzare come se non fosse mai accaduta una cosa più divertente.
Non si chiese perché l’avessero fatto, forse non c’era nemmeno una ragione, ma si domandò, “ Perché ridono?! ”, arretrando sconvolta dai loro sorrisi bianchi e dai visi chiazzati di rosso. Perché per Ib, in quel momento, era più facile chiedersi come mai avvenisse un atto tanto semplice, piuttosto del motivo per cui avevano sbrindellato un loro compagno. Che motivo avrebbero avuto per farlo? Solo il fatto che aveva detto qualcosa diverso da loro? Un motivo probabilmente non c’era stato, perché lì erano tutti irrimediabilmente pazzi e forse anche lei si era messa sulla buona strada.
Il resto era successo molto in fretta, al ritmo frenetico di un rientro a casa nell’orario di punta, quando non si vedeva l’ora di lasciare tutto alle spalle e dire che era finalmente finita, anche se per la ragazza la “fine” era una meta mooooolto lontana.
Aveva impiegato qualche secondo per staccare gli occhi da quel delirio rosso, argento scintillante e giallo delle pareti, ed era corsa a sbloccare la porta protetta dalla password. Nella nuova stanzette quadrata aveva trovato una mela di legno, l’unica cosa che potesse essere portata via per saziare una bocca famelica che le aveva chiesto insistentemente e ossessivamente del cibo da quando l’aveva notata in un angolo della foresta di bambole: “ Fame … dammi cibo. Quello cibo … Dammelo! ”. Poi le fauci, una volta assaggiato il finto frutto, si erano spalancate simili, ma non troppo, a quelle del gatto-parete, schiudendo un tunnel nero quanto una notte senza luna.
Aveva Potuto entrarci, senza rischiare? No.
Aveva avuto altre possibilità valide e più sicure? No. Quindi la scelta era stata una sola, andare.
L’ennesimo lungo e interminabile corridoio di cui la fine era sconosciuta a causa della fitta coltre di ombre dovute alla poca illuminazione e negli angoli erano così fitte che Ib, nonostante si fosse abituata ormai da tempo a quella scarsa quantità di luce, aveva fatto lo stesso fatica a distinguerne i dettagli, tranne per i primi tre poster attaccati alle pareti raffiguranti l’ascensione di una lama da ghigliottina.
Quello era stato il momento più terrificante di tutti almeno fino a quel punto siccome, cosa poteva indicare una scure che si solleva una dozzina di centimetri alla volta?
La ragazza sapeva che dopo ogni salita, c’era sempre una discesa, ma il nodo del problema era stato il “quando”; in quale momento avrebbe scelto di calare, sarebbe stato il fattore decisivo tra la sua condanna o una miracolosa fuga, e probabilmente, con le cattive, avrebbe trovato la risposta almeno a una delle sue domande: “Che fine farò? ”
Il fattore che le mise più angoscia non era stata la consapevolezza  di cosa la aspettasse un passo più in là, ma era sapere esattamente cosa sarebbe successo, e non aver modo di prevederlo, nemmeno intuirlo, se non un millesimo di secondo prima dell’inevitabile. Per lo meno, l’ignoto le avrebbe dato il vantaggio di poter ancora sperare che il peggio le sarebbe passato accanto senza nemmeno sfiorala, proseguendo per la sua strada, invece Ib non aveva avuto nemmeno quello, perciò si era preparata come meglio aveva poteva e aveva affinati i sensi fino allo spasmo.
Se prima aveva giocato a nascondino e acchiapparello, quella volta aveva giocato a guardie e ladri, dove il colpevole se catturato non avrebbe visto la prigione, ma un’esecuzione sul posto. Così passo dopo passo, piede davanti a piede, era avanzata con cautela come un topolino circondato da trappole a molla, laddove un passo falso avrebbe condannato il roditore. La ragazzina aveva provato le medesime sensazioni di quel topolino: terrorizzata, guardinga e tremendamente titubante, nonostante vi fosse un’unica strada da seguire, scandita dai fotogrammi della scure che saliva sempre di più, fino al penultimo poster, dove la lama era sparita oltre le tenebre annidate sul soffitto.
“ Correre o aspettare?” aveva ponderato con il cuore a mille ed i peli della nuca ritti per la paura, mentre era rimasta immobile ed ancorata al muro alla sua sinistra. Le era sembrato più logico e sicuro tenersi vicino ai poster, piuttosto che procedere lungo l’altro capo del corridoio, osservando poi lo spazio di appena sei metri quadrati che l’avevano separata dallo squarcio nero a strapiombo verso il basso, probabilmente una scala.
Dopo minuti lunghi ere, si era azzardata a fare un passettino in avanti, per vedere oltre il bordo tagliente del primo gradino della rampa, segnando l’inizio della prospettata scena finale.
Le ci era voluto un millesimo di secondo per guardare in alto da dove era giunto un sibilo sinistro e, la ragazza topolino era diventata una lepre e il taglio affilato della lama, largo quanto il passaggio al piano di sotto, era diventato i fari abbaglianti di un camion. Ferma  come sempre accade difronte a un pericolo improvviso, era riuscita solo a guardare la lama che in frazioni di secondo aveva macinato ingorda manciate di centimetri. Era certa che avrebbe dovuto far correre i suoi impulsi nervosi più velocemente di quello che le stava sopra la testa, ma per quanto ci avesse provato, il suo corpo non le aveva risposto, come se si fosse ormai arreso al finale. Era stato impossibile dire se era intervenuto l’istinto primordiale di autoconservazione o l’aiuto di uno sconosciuto che l’aveva spinta nella direzione da prendere, fatto stava che aveva superato il primo gradino cadendo di peso, quando tutta la mole ferrosa dell’arnese si era conficcata pesantemente nel pavimento del pianerottolo, seguito da un botto simile a una detonazione, mentre lei era rotolava e aveva sbattuto contro tutti gli spigoli nella folle discesa.
Si era ripresa poi, quel tanto da capire dove fosse e cosa fosse successo, in seguito si precipitata a controllare la rosa nella tasca, notando che aveva perso più della metà della corolla. Si era rassegnata e con sforzo sovrumano si era tirata su con il corpo dolorante. Purtroppo per Ib non era finita lì, poiché un’ombra impazzita, correndo al capo opposto del corridoio, le aveva fatto balzare il cuore contro la cassa toracica, con la paura folle che il misterioso regista di tutto si fosse finalmente deciso a venirle incontro. Invece l’ombra non si era fatta più vedere e non potendo che proseguire, era finita in una saletta nascosta, rischiando un attacco di panico per l’unico quadro appeso, intitolato “CHE RUBA L’ANIMA”. Forse era stato il quadro più inquietante che avesse visto, perché rappresentava delle ombre infantili dagli occhi rossi infossati rivolti verso lo spettatore, raccolte sotto un albero sfiorito scosso dal vento di tempesta. Si era data immediatamente alla fuga, ma non era più riuscita a trovare la porta, mimetizzatasi con l’intonaco dello stesso colore scurissimo, mentre suoni raccapriccianti e canzoncine infantili avevano cercato di attirarla verso la tela. Non si era voltata nemmeno una volta a controllare cosa era successo alle sue spalle, continuando nella disperata ricerca del pomello. Poi una volta uscita di lì era stata rincorsa, o meglio inseguita, dalla strisciante donna in rosso per ottenere una schifosissima chiave per aprire l’ennesima porta, dell’ennesimo corridoio, dopo l’ennesimo ingresso.
Ed eccola lì in una specie di biblioteca dimenticata piena di scaffali e librerie stracolme di volumi, intenta a osservare la porta che subiva gli attacchi della donna-quadro e pregando che non la sfondasse a testate o con i pugni.
Quando finalmente i lamenti e le graffiate, si attutirono quel tanto da far sentire Ib più al sicuro, si concesse di voltarle le spalle per controllare che la stanza fosse un luogo sicuro.
Vedeva solo colonne altissime di libri e una porticina esattamente nel mezzo delle due file di scaffalature. Si precipitò a passo spedito barcollando e oscillando pericolosamente verso il quadrato cremisi che non la ringraziò per la sua veemenza nell’abbassare la maniglia, schiudendosi. Questo voleva dire solo una cosa, serviva un modo per aprirla e doveva essere cercato nella stanza.
Il solito bigliettino giallo, che spuntava tra due libri nello scaffale di mezzo, attirò la sua attenzione come una calamita, il polo opposto, e due paoline scarabocchiate in fretta e tremolanti, nella solita scrittura, le chiedevano: “ T I  D I V E R T I ?”.
<< Ma che razza di domande è?!>> sbottò le ragazza senza pensare, a causa della stanchezza opprimente che la provava già da un po’. No che non si stava divertendo! Aveva rischiato la vita almeno una quindicina di volte, era stata terrorizzata a morte e per di più non sapeva nemmeno dov’era. Si sentiva peggio di Alice persa nel Paese delle Meraviglie, perché alla protagonista di quel libro non era andata tanto male quanto a Ib. In quel momento desiderò che lì vi fosse un altro vaso pieno d’acqua per rigenerare la sua rosa ormai ridotta a un ammasso spelacchiato di petali e anche se stessa, perché di certo non avrebbe retto a qualsiasi cosa la attendesse oltre la porta rossa. Purtroppo non vi era nulla del genere nascosto tra le librerie. Rimise a posto il cartoncino con frustrazione, cercando di nuovo il modo per sbloccare la serratura. Rovistava tra le letture, la maggior parte riportava stampe dei dipinti dell’autore Guertena, scorgeva i titoli delle copertine e più continuava nella sua ricerca più cose scopriva, soprattutto grazie ad un libro seminascosto dagli altri, “ Le donne nella tela”. Questo l’aveva avvertita che le ragazze dipinte diventavano aggressive a causa del continuo desiderare gli umani e che avrebbero inseguito qualsiasi cosa finché non sarebbero state soddisfatte, e se esisteva un loro punto debole, era proprio quello di non poter aprire le porte da sole.
<< Meno male, almeno qui dentro sarò al sicuro per un po’>> aveva commentato Ib finito di sfogliare le pagine. Poi la ragazza aveva continuato a guardare i tomi finché un libricino per bambini, chiaramente fuori posto, non l’aveva incuriosita. Lo tolse dallo scaffale rigirandoselo tra le dita per capire cosa contenesse e come avesse fatto a finire lì, ma le lettere cicciottelle e in grassetto non fecero altro che confermare la sua impressione, si trattava di un libro per bambini disegnato con pastelli a cera nel classico modo inesperto dei bimbi nella prima infanzia.
Storybook animato, Carrie la sbadata e la gallette des rois” rilesse mentalmente, studiando le scritte e l’immagine di copertina che riportava un sipario chiuso, poi sfogliò le prime pagine in cerca di una chiave nascosta in una pagina, o qualsiasi oggetto o indizio che la aiutasse a uscire da lì. Come si poteva aspettare da un libricini del genere, non trovò nulla d’interessante e, per quanto la sua presenza fosse strana e fuori luogo tra quei volumi artistici e fotografici, si convinse a rimetterlo a posto e cercare altrove. Tuttavia quando tentò di richiuderlo o staccare una delle mani dal volumetto, non riuscì né nell’una, né nell’altra cosa. Presa dal panico cercò di staccarsi dal libro, di sollevare le braccia o anche solo muovere la testa alla ricerca di un arnese ma nessun movimento le fu permesso. Perciò con gli occhi incollati alle pagine, queste iniziarono a girare da sole raccontando la loro storia. 

“ C’erano una volta tre quattro amici che si erano ritrovati a casa di una delle ragazzine del gruppo per festeggiare un compleanno.
- Buon compleanno!- urlarono in coro i bambini rivolti alla loro amica.
- Grazie ragazzi- replicò la festeggiata nel suo nuovo vestito turchese.
- Per il tuo compleanno abbiamo fatto una Galette des Rois!- disse la padrona di casa con un ampio sorriso, contenta che la sorpresa fosse riuscita.
- Che cos’è?- chiese la bimba.
- C’è una monetina in questa torta, e se mangi la fetta con la monetina, sarai una persona felice- continuò ignorando la sua amica e indicando la torta di un invitante color cioccolato.
-sembra divertente!-
- E già- e la padroncina di casa, impugnato un coltello a seghetto, la divise in quattro porzioni identiche, una per ogni invitato.
- Prendete la fetta che volete-, disse la cuoca esortando i presenti e quando tutti ne ebbero una tra le mano, le addentarono la loro di gran gusto, facendo ancora tanti auguri alla festeggiata. Quest’ultima però spezzò il religioso silenzio della degustazione.
- Aaah!- urlò spaventata.
- Cosa succede?- disse un'altro dei presenti.
- Credo di aver… ingoiato qualcosa di duro!- disse tra un bel respiro e l’altro.
- Ah! O Carrie, deve essere stata la monetina- disse un bambino palesemente spaventato.
- Che cosa faccio- disse Carrie la festeggiata, preoccupata che quello potesse provocarle seri danni.
- È tutto ok, la moneta è piccola piccola! Bene e adesso puliamo tutto- disse la bimba non curante, spazzolando il tavolo, raccogliendo vassoio e coltello, mentre i suoi amici recuperavano i tovaglioli sporchi. Poi si avviò in cucina per poggiare tutto nel lavello.
- Cosa c’è mamma?- chiese incontrando sua madre nel corridoio davanti alla porta rossa dello studio del padre.
- Hai visto la chiave dello studio? È sempre qui su questo tavolo- le chiese la madre perplessa e angosciata nel ricordare dove avesse lasciato l’oggetto.
“ Huh! Oh, no. È la monetina! La monetina che avrei dovuto… mettere … nella torta. Non è che …” pensò la bambina allarmata.
- Ma dove può essere finita? Oh, il babbo si arrabbierà così tanto- borbottò la mamma con una faccia serissima.
“ Che devo fare?” si disse. Poi la soluzione venne da se, quando il coltello colpì il pavimento, così tornò indietro coltello alla mano.
- Sembra che io sia sbadata quanto Carrie- si disse ghignazzando, tornando dai suoi amici. ”

Il sipario si chiuse, mentre Ib inorridita cercava di scrollarsi il libro di dosso e chiudere quella storia che di certo non è per bambini. Tra uno strattone e l’altro nel tentativo di liberarsi, non poté fare a meno di sentire i rumori raccapriccianti provenienti da dietro le tende rosse, con gli occhi inchiodati al libro e incapaci di sbattere le palpebre. Dopo non molto ebbe gli occhi che le pizzicavano e cercò invano, con tutte le sue forze, di staccare quell’affare dalle sue mani, quando la figurina della bimba assassina, sbucò dal bordo delle tende.
“ - Ho trovato la chiave!... ora apro la porta.- sorrise, con il visino disegnato sporco di chiazze cremisi. “
E dette queste parole con un click la porta si spalancò, mentre il libro si richiuse di scatto, piombando a terra tra l’incredulità di Ib e le figure sghignazzanti dei quattro bambini della festa.
Non poteva crederci, la bambina aveva tagliato la pancia dell’amica per recuperare l’oggetto che aveva messo nella torta, ma come aveva potuto, tra l’altro con quel sorriso smagliante dipinto sul volto? Iniziava ad odiare le persone che sorridevano e con la nausea crescente per l’omicidio in diretta di Carrie, se così si poteva dire, non ci pensò nemmeno a rimettere a posto quel libro dell’orrore e avanzò verso la stanza successiva. 
Lì finalmente uno dei suoi desideri venne realizzato: il vaso con l’acqua che l’aveva guarita secoli prima. Lo raggiunse immediatamente per posarvi la sua rosa torturata. I petali si rigenerarono a mano a mano che l’acqua spariva dal contenitore e allo stesso modo si sentì meno indolenzita e più vigile, grazie alla benedizione eterna, come la indicava il cartellone appeso sopra la sua testa e che raffigurava un’ampolla di vetro con dentro un misterioso liquido celeste e luccicante.
Non le importò da che luogo o da chi fosse stata prodotta, l’importante era che si trattasse di qualcosa che la facesse stare meglio, l’unico oggetto che non avrebbe tento di ucciderla.
Questa volta, accadde una cosa bizzarra, il vaso non si ruppe come l'ultima volta, ma rimase intatto senza nemmeno una scalfittura che indicasse il passaggio di qualcuno.
“ Davvero strano” costatò Ib, esaminando il vaso più da vicino ed infilandosi la rosa al sicuro tra le pieghe della gonna. “ Quindi posso usarla ancora?”, purtroppo però di acqua non ne era rimasta nemmeno una goccia e così i pensieri felici ebbero vita breve.
Lì accanto su un altro tavolino, scorse un enorme quaderno spalancato e, siccome la curiosità ebbe la meglio, si avvicinò senza toccarlo memore di quanto era successo pochi attimi prima. Adesso che si trovava più vicino, Ib poté vedere chiaramente che si trattava di un libro per le presenze, tipo quelli che si trovano nei musei per lasciare una dedica con la propria firma o un’impressione della visita. Infatti, sulle due facciate c’era un infinito elenco di nomi, alcuni talmente sbiaditi e altri quasi illeggibili tanto che era difficile decifrarne le lettere; però tra questi ne spiccavano due in vivido inchiostro nero. Il primo, tutto sommato ancora leggibile, stava diventando sempre più chiaro come se una gomma, facendo avanti e indietro, togliesse ad ogni passata una mano di inchiostro, e riportava il nome  Garry, che la ragazza non riconobbe affatto e neppure ebbe l’impressione di conoscere, perciò passo oltre. Il secondo invece era il suo nome, Ib, scritto a chiare lettere nere come se fosse stato appena impresso su quel foglio bianco.
“ Allora è vero!” urlò una vocina nella sua testa, “ Segna davvero i nomi di chi è stato qui, perciò oltre a me c’è qualcun altro o c’è stato qualcun altro”. Non poteva dire se fosse più sconvolta per il suo nome scritto sul registro o se per speranza di non essere più da sola, che quel nome aveva risvegliato in lei. Era talmente presa dalle sue ipotesi e congetture quasi verosimili, che in un primo momento non si accorse del rantolo soffocato che la raggiuse dal corridoio scuro alla sua destra, solo un secondo lamento mise i allarme i suoi sensi.
A questo punto difronte a lei si aprivano nuovamente due scelte, andare a controllare assecondando la vocina nella sua testa che le diceva di essere fiduciosa, o girarsi dal lato opposto e proseguire. Questa volta non perse tempo a valutare le opzioni e le probabilità, non ebbe nemmeno bisogno di quella gentile voce fuori campo che l’aveva guidata qualche volta, perché sapeva già che percorso prendere.

   
 
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