Not the worst thing ever
Peggy lanciò infastidita uno sguardo dall’altra parte della sala e
istintivamente mandò giù un lungo sorso di whisky: la gola le bruciava, non era
più abituata, ma l’impulsività aveva avuto la meglio. Era sempre riuscita a simulare
una certa freddezza e, nonostante l’ira le montasse dentro, anche in quel
momento riusciva a nascondere le apparenze – ma aveva la netta sensazione di
essere in prossimità del limite.
« Un po’ tardi per un’uscita notturna, in particolare per una donna ».
« Oh, certo. Perché non mettiamo un bel cartello per vietarci l’entrata, vi sentireste
più sicuri? ».
Ecco, per l’appunto, l’agognato limite. Solo dopo qualche secondo si rese conto
di ciò che aveva appena detto, in concomitanza con un infastidito: “Carter. Dannazione!”,
un’imprecazione che rischiò di danneggiarle il sofisticato apparecchio adoperato
per la ricezione.
Per fortuna Peggy Carter aveva sempre un asso nella manica – e, in giorni
particolarmente fortunati, anche più –, ragion per cui agì d’impulso: « O forse
sono uscita di notte fonda proprio nel mio giorno fortunato ».
Sorrisi di cartapesta e un tocco fugace allo spolverino, proprio quel che
serviva per rasserenare l’ennesimo criminale in circolazione. Poteva avvertire
un certo dolore all’altezza delle mascelle, ma cercò di far fluire verso le
guance la stessa ira con cui era entrata nel locale, sino a far credere a quel
mercenario di essere appena arrossita.
« Hai il fuoco dentro… e fuori, mi piace », le sfiorò il naso. « Dimmi
che sarai ancora nei paraggi tra un’ora ».
« Esattamente dove mi ha appena trovata », obiettò Peggy, usando un tono
altisonante.
L’obiettivo della missione si allontanò di qualche passo – non prima di averle
sfoggiato il suo sorriso più viscido –, Peggy era già pronta a seguirlo, ma qualcuno
bloccò l’andamento della tabella di marcia precedentemente prefissata.
« Questa missione è già abbastanza compromessa, Carter. E poi ho già mandato qualcun
altro a seguirlo ».
« E questa è la seconda volta », rispose lei, liberandosi della presa. « Carter.
Dio solo sa da quante missioni vi ho tirato fuori ».
Jack si guardò attorno per qualche secondo, come a voler studiare il perimetro
della stanza: « Lo sai che siamo in missione. Seguo la procedura ».
Peggy lo berciò con lo sguardo, più o meno con la stessa espressione che usava
per ricordargli di non prendersi la briga di arrivare sino al letto – il che lo
spaventò più di qualsiasi missione, in tutta sincerità.
« A volte certi comportamenti mi ricordano terribilmente l’arrivista di un
tempo, Comandante Thompson ».
« Certi comportamenti? ».
Ma, prima che Jack avesse la possibilità di investigare oltre, le luci coprirono
con un manto oscuro qualunque espressione gli stesse rivolgendo Peggy e illuminarono
solo la pista centrale: un tripudio di colori, suoni e fragori investì l’intero
locale, una vera e propria bolgia di boati per le orecchie dell’Agente Carter.
« Non posso davvero credere che entreremo negli anni ’60 così », proruppe
Peggy, ma la sua voce non era altro che un sospiro in un conquasso generale.
Pur nell’opacità di quella sala, però, non poteva fare a meno di sentire gli
occhi di Jake Thompson incollati addosso e, dopo ben dieci anni, Peggy aveva
imparato a carpire i suoi segnali: quello era il suo modo di scusarsi per
qualsiasi cosa avesse fatto, dall’averla esclusa da una missione di primaria importanza
all’essersi comportato male – effettivamente vi era davvero l’imbarazzo della
scelta.
Quindi le luci tornarono nuovamente a invadere la sala e le note di un atteso
lento furono una benedizione per le orecchie di Peggy Carter, la quale non
rivolse mai tanto entusiasmo nella sua vita verso un pianoforte.
Jack le rivolse uno sguardo eloquente, al quale Peggy ribatté decisa: « Qui? ».
« Abbiamo tempo, Peg. E poi ricordo questa canzone ».
« Chissà a quale ragazza l’avrai dedicata », ammise Peggy, lasciandosi
trasportare al centro della sala.
« Veramente ho contato solo una moglie », Jack abbozzò un sorriso, portando una
mano dietro la schiena di Peggy. « Ad un certo matrimonio ».
Peggy si maledì mentalmente, a volte pensava che la sua vita sarebbe stata
molto più facile se lei e Jack Thompson potessero evitare qualsivoglia motivo
di litigio per almeno ventiquattro ore, ma alla fine della giornata frasi come
quella le stampavano un sorriso che celava orgogliosamente.
« E, a proposito, quali sarebbero questi comportamenti tanto abominevoli? ».
Era in procinto di poggiare il capo sulla sua spalla, ma quel tono saccente era
quanto più temeva di affrontare, poiché due caratteri impavidi come i loro non
potevano far altro che scontrarsi all’ordine del giorno. Ed era proprio quello,
a conti fatti, uno dei tanti motivi per i quali avevano deciso di convolare a
giuste nozze – se non altro non si sarebbero mai annoiati.
« Oh, quindi dedicarsi all’intrattenimento per hobby in una missione rientra
nella procedura? Immagino che sia una domanda retorica, non ci sono abbastanza
Agenti donne al momento », Peggy si guardò intorno, come a voler cercare
consensi.
« Indagavo. E cercavo di capire se ci fossero altri infiltrati. A tal
proposito, credo di averne scovate almeno due… non sei nella minoranza, sei
solo dalla parte giusta ».
Peggy roteò per qualche secondo, poi si trovarono ad una spanna di distanza dai
rispettivi volti e fu costretta a fare quel che le riusciva meglio: indagare
negli occhi del colpevole per testarne l’effettiva veridicità.
« Sarebbe stato gentile avvisarmi, perlomeno ».
Jack voltò lo sguardo in direzione del soffitto per qualche secondo, pensando
che entrambi fossero sin troppo decisi ad avere l’ultima parola e ciò li avrebbe
sempre condotti ad una vita scomoda e complicata.
« Ho cercato di mandarti il miglior whisky. Era il nostro segnale, ricordi? ».
« E io ho cercato di mandarti dello scotch per avvisarti, caro »,
dissero, quasi in simultanea, perdendosi l’un l’altro nei rispettivi piani.
Peggy lo guardò con occhi diversi, leggermente imbarazzata, mentre il lento si
avviava alle sue ultime note: « Decisamente, Alfabeto Morse la prossima volta ».
Quindi le affilate dita del pianista sospinsero un’ultima volta i tasti e si
udì un vigoroso coro di applausi, mentre Peggy Carter e Jack Thompson si
indagavano ancora con minuziosa meticolosità.
« A questo punto dovremmo andare ».
« Dove?! », esclamò Peggy, piuttosto contrita.
« Te l’avevo detto, Peg, era una missione compromessa in partenza. E temo che
due esperte tiratrici ci stiano accerchiando », le fece un cenno, portando
istintivamente una mano alle sue spalle.
Peggy si voltò da ambedue le parti, a malincuore fu costretta a dargli ragione:
« Io odio essere sposata con te ».
Jack si soffermò sulle sue parole con un sorriso: « È un piacere. E, per la
cronaca, il sentimento è reciproco ».
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Note.
Prima che mi arrivi un bel lancio di pomodori per la ship trattata, lasciate
che vi spieghi le mie ragioni: a mio parere Jack è il futuro marito di Peggy
Carter, è una cosa che sostengo dalla prima stagione. E proprio il fatto che si
sia comportato da sessista mi fa pensare che prima o poi vedremo una sua
evoluzione e io voglio credere più nel development character di Jack, unito
alla sua cotta per Peggy, che a qualsiasi altra cosa (che vi devo dire, mi sarò
vista troppi film).
Inoltre, il fatto che ci siano questi continui accenni Cartson (dalla prima
stagione, con “Non ho tempo per la tua cotta per l’Agent Carter”, all’ultimissimo
“Non potrebbe importarmene di meno di chi ti fidi”), insomma, anche in questa
seconda stagione giocano molto sulla chimica da botta e risposta tra i due. Mi
piace pensare che arriverà un punto in cui qualcosa cambierà nel loro rapporto,
che sarà proprio Peggy a render Thompson un uomo migliore (semi-cit. dell’ultimo
episodio, nella mia ottica non l’hanno detto a caso proprio per niente). Oltretutto
Peggy, nello speciale in versione integrale di Captain America 2, ha detto che è
stato proprio grazie al Cap (tra parentesi resterò sempre una Steggy shipper,
poco ma sicuro! çç) che ha conosciuto suo marito… Ciò mi fa pensare che si
tratti di uno dei suoi attuali colleghi. Anche perché nel 1953 Peggy è già
sposata e a questo punto della serie siamo nel ’47!
Poi ci sarebbero altri motivi, un po’ più futili: ad esempio, il fatto che nel
numero musicale Jack sia l’unico a non essere apparso (che vogliano dedicar
loro un arco più grande? Se deve essere suo marito dovrebbero realizzare una
storyline a parte, all’altezza della trama). Insomma, ci sono tante cose che mi
portano a pensare a questi due come futura ship e così oggi, vedendo la 02x09
(siamo quasi arrivati al season finale! ;;), mi è venuta questa ispirazione.
Ambientata a più di dieci anni dagli attuali eventi, l’ho ambientata a cavallo
tra il ’59 e gli anni ’60.
Conoscendoli entrambi come caratteri ci sarebbe del fuoco nel loro matrimonio,
oltretutto volevo incentrarla anche sul fatto che Jack è un Jack Thompson
diverso anche grazie a Peggy nel futuro.
So che tutti pensano che il suo futuro marito sia Sousa (e magari è così, eh!),
ma volevo dare la mia personalissima versione dei fatti, è una teoria che ho in
mente da un po’.
Prossima missione (per rimanere in tema. XD): scrivere una fan fiction
Ana/Edwin (che sono l’OTP di questo show. <3).
PS. Il titolo è una citazione da una canzone di Galavant, “Maybe you’re not the
worst thing ever”, le parole mi sembravano adatte ai Cartson!
Grazie per aver letto,
Kì.