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Autore: irene_alice    28/02/2016    1 recensioni
Elisa è una ragazza carina e intelligente ma è costretta a vivere una vita da schiava, trattata come un oggetto, costretta a lavorare ed esposta alle urla dei compratori. Ma cosa accadrebbe se qualcuno cominciasse, pur mantenendo la sua condizione di schiava, a trattarla con gentilezza e le facesse vivere una vita migliore e rispettabile?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Percorremmo il sentiero di campagna molto più lentamente e potei osservare più attentamente ciò che mi circondava. La campagna era un altro mondo rispetto alla città, c'era più pace e gli unici suoni che sentivo erano quelli dei nostri passi, il fruscio del vento tra le fronde di alberi lontani e il ronzio di qualche insetto di passaggio. Fin'ora nessuno di noi due aveva detto una parola, a me, come schiava, non era permesso parlare ma il suo silenzio, così prolungato suscitava in me due sensazioni opposte. Da una parte mi rassicurava, tra i mercanti di schiavi sembrava fosse d'obbligo urlare ordini e prezzi tutto il giorno e la folla faceva del suo meglio per peggiorare la situazione. Erano anni ormai che non sentivo un tale silenzio, se non di notte, e questo mi dava un enorme sollievo. Dall'altra parte però il suo mutismo non mi permetteva di capire chi potesse essere la persona che mi aveva cambiato la vita per sempre, non mi aveva rivolto nè parole di conforto nè di rimprovero, non potevo indovinare la sua età, anche se dalle sue mani, l'unica cosa che potevo vedere di lui, non sembrava vecchio. Spesso la voce di una persona può rivelare molte cose su di essa. Sarebbe cambiato molto se avesse avuto una voce dura e brusca o pacata. Avrei potuto anche solo supporre come avrebbe potuto essere il mio futuro.

La sua figura era terribilmente misteriosa, non potevo sentire la sua voce e non potevo vedere il suo viso. La trovavo una cosa insopportabile, nei lunghi anni del mio passato ero stata costretta a rimanere immobile per delle ore in attesa di qualcosa, questo mi aveva permesso di osservare con attenzione tutto ciò che mi circondava, soprattutto le persone, e cercavo di cogliere tutto il possibile su di loro soffermandomi ad osservarne i tratti. Era stato il mio passatempo per tutta una vita e ora non mi era permesso sapere nulla.

La solitudine non significa obbligatoriamente essere soli ma ci si può sentire soli anche in mezzo ad una folla, quando nessuno ti considera, o ti considera merce nel mio caso. Quando nessuno parla con te, ti passa davanti senza degnarti di uno sguardo, o ti passa di fianco urtandoti come se non ti avesse neanche visto e, senza scusarsi minimamente, va dritto per la sua strada come niente fosse. Quando qualcuno sorride, saluta o chiama nella tua direzione e tu non rispondi perché automaticamente sai che c'è qualcun altro dietro di te a cui è indirizzato il saluto. Allora la confusione intorno a te si fa omogenea, un forte ronzio continuo. E la nostra mente si chiude in se stessa e crea al proprio interno un altro mondo, un mondo creato dall'immaginazione, e quel mondo ti salva da tutto ciò che c'è fuori, la nostra mente diventa uno spettatore passivo del mondo esterno e si rifugia all'interno di se stessa. E ogni volta che vi ci si rifugia, quel mondo interno si allarga e si espande con nuove fantasie e nuovi sogni e in quei momenti il mondo reale diventa secondario.

Una volta che ci si abitua a questo stile di vita il pensiero soppianta completamente la parola e ci si ritrova invasi da discorsi, pensieri e domande mentali. In quel momento mi stava succedendo esattamente questo e la mia testa era invasa soprattutto da una miriade di domande e interrogativi. La sicurezza e il senso di protezione che l'uomo emanava sovrastavano però la mia soggezione e il mistero che lo circondava.

Immersa nei miei pensieri non avevo nemmeno fatto caso alla stanchezza e alla strada percorsa che in quel momento mi crollarono addosso e mi resi conto che esistevano anche le mie gambe indolenzite oltre alla moltitudine dei miei pensieri.

Eravamo nei pressi di un boschetto e il sentiero lo costeggiava. Sembrava che ci fosse ancora un bel pezzo di strada da fare ma per fortuna l'uomo cominciò a rallentare e, addentratosi un poco nel boschetto, mi fece segno di sedermi su una roccia lì accanto. Mentre io mi riposavo egli prese, con mia grande sorpresa, le chiavi che aprivano il lucchetto della catena e l'aprì lasciandola cadere alla base della roccia. Poi si allontanò un poco e guardò avanti, dandomi le spalle, una mano appoggiata ad un albero. Restò così, a guardare l'orizzonte, mentre io lo osservavo ancora stupita per ciò che aveva fatto. Non ero mai stata senza il peso della catena addosso e inoltre, se avessi voluto, avrei potuto fuggire quando volevo, ma evidentemente egli sapeva che non sarei fuggita dall'uomo che mi aveva appena liberata da un peso che mi aveva gravato addosso per tutta la vita. Si fidava di me. Mi sembrava impossibile.

   
 
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