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Autore: Cathy Earnshaw    28/02/2016    1 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 4
L’ombra del sospetto
 
 
Horlon firmò il verbale dell’ennesima riunione del Consiglio Ristretto, con un sospiro di frustrazione. Erano passati quattro giorni da quando Storr aveva preso in consegna Nastomer e i risultati iniziavano lentamente a vedersi. Naturalmente per quel rompiscatole di Kirik non era abbastanza. Impialla aveva addirittura insinuato che i risultati fossero stati gonfiati dallo stesso Horlon allo scopo di giustificare l’allungarsi dei tempi. Con un immenso sforzo di volontà, Horlon aveva sottolineato educatamente che se tanto Storr aveva quindici giorni di tempo per risolvere la situazione, non c’era alcuna necessità di truccare i dati con così largo anticipo. Si era dovuto fare violenza per sopprimere l’istinto di urlargli in faccia che da un botolo con un nome tanto ridicolo non era disposto ad accettare critiche di alcun genere. Al suo nervosismo, come sempre, aveva contribuito Erina, che guardava tutti dall’alto in basso con aria di superiorità – come se non fosse stata lei a fare il nome di Nastomer… Horlon scosse il capo, cercando di allontanare i cattivi pensieri. Non si poteva pretendere da Tom più di quanto stesse già dando.
Ad aggiungere cattivo umore al cattivo umore c’era Lantor. Dopo la convocazione ufficiale da parte di Glenn, l’elfo si era precipitato a Cyanor, ostentando il suo più totale sbigottimento davanti a quella improvvisa richiesta di lasciare la posizione, anche se solo temporaneamente. Era giunto quella mattina stessa, e Horlon non aveva ancora avuto modo di incontrarlo.
«Intendete procrastinare ancora a lungo, Sire?» domandò in un sussurro Frunn, ritirando il verbale per riporlo in una cartellina.
«A cosa ti riferisci?»
«Sapete a cosa mi riferisco, signore.»
Frunn arrossì sotto allo sguardo truce del Re, che sbuffò. Non stava procrastinando, semplicemente non aveva potuto schivare quella inutilissima riunione.
«Non eri così sfacciato una volta, ragazzo» commentò, ma lungi dal preoccuparsi del tono minaccioso di Horlon il suo segretario sorrise e si cacciò su gli occhiali.
«Non era mia intenzione esserlo. Tuttavia il Capitano Lantor sta facendo tutto il possibile per essere ricevuto dalla Vostra Maestà, e credo che se vostro fratello si presentasse all’appuntamento solo, potrebbe finire in strage… con tutto il rispetto, Sire.»
Horlon si mordicchiò il labbro, sempre più nervoso. Forse Frunn aveva ragione e lui stava solo temporeggiando. Sospirò e si trasse in piedi.
«Va bene, Frunn, messaggio ricevuto. Dove l’abbiamo parcheggiato?»
«Nel Salotto di Quarzo, Sire.»
Horlon si concesse un sorriso amaro.
«Molto bene, mio caro segretario. Visto che sembri così ben disposto nel confronti della quiete pubblica, verrai come me e con Glenn.»
Frunn sgranò gli occhi, deglutendo rumorosamente. Segretamente compiaciuto della sua piccola vendetta, Horlon cercò lo sguardo di Glenndois, intento a parlare fitto con Storr. Ad un cenno del fratello, si congedò e si portò sull’uscio.
 
Il Salotto di Quarzo. “Davvero molto opportuno”, si disse Horlon attraversando il Palazzo Reale di Storr. Era il posto più defilato che l’architettura avesse mai concepito, nascosto in un’ala della fortezza che poteva essere adibita a prigione in estrema tranquillità, mantenendo tuttavia un aspetto accogliente e raffinato. Storr doveva aver previsto l’eventualità che l’incontro finisse male. Per l’occasione il Re aveva indossato la corona e la spada lunga da cerimonia. Non era davvero convinto che Lantor potesse essere un doppiogiochista, ma era meglio essere previdenti e imporre la propria autorità sin da subito. Mentre avanzava lungo i corridoi via via meno frequentati, fiancheggiato da Glenndois e da Frunn, Horlon ripercorse il suo archivio mentale di informazioni.
Il padre di Lantor era stato cugino della madre di Horlon, e questo faceva di loro dei parenti, anche se non molto stretti. Quando suo padre era caduto in battaglia, durante l’ultima rivolta degli orchi, anche Lantor aveva subito ferite gravi, ma si era ripreso velocemente ed era subentrato nel grado del padre.
Non erano mai stati tanto uniti, lui ed Horlon, e nemmeno Glenn aveva mai legato troppo con il cugino. Era vissuto, come loro, a Lumia, ma aveva sempre avuto interessi diversi, frequentazioni diverse, ambizioni diverse. Erano cresciuti come quasi perfetti estranei, ma Horlon non poteva comunque non soffrire al pensiero che Lantor potesse tramare contro di loro. Non che ci fossero prove o indizi particolarmente evidenti di un suo possibile tradimento, ma l’inquietudine di Glenn era un campanello d’allarme che sarebbe stato meglio non ignorare.
 
Quando mise piede nel confortevole Salotto di Quarzo, come ogni volta il Re trattenne il respiro. Il fuoco che ardeva nel camino proiettava la sua luce irregolare sulle lucide colonnine di quarzo rosa che ornavano le pareti, dando alla pietra mille sfumature diverse. Anche la cornice del camino era ornata di quarzo rosa, e così le lampade, i pomelli delle cassettiere, persino l’intelaiatura della clessidra. Al centro di quell’arredo ai limiti della follia stava Lantor, che aveva interrotto il suo continuo su e giù per la stanza all’ingresso dei tre elfi.
«Capitano Lantor!» esordì Horlon. «Benarrivato!»
«Sono qui da ore, cugino» sbottò Lantor.
Horlon colse lo stupore contenuto di Frunn accanto a lui: il Capitano voleva giocarsela sul campo delle parentele. Non molto saggio davanti ad un elfo armato di corona. Il Re alzò un sopraciglio e sorrise.
«Avevo ordinato che ti fosse comunicato il mio ritardo. Come immaginerai, le riunioni del Consiglio Ristretto hanno la precedenza su tutto il resto. Forse non ti è stato trasmesso il mio messaggio?» disse lanciando un’occhiata a Glenndois, che non batté ciglio.
«Il messaggio mi è stato trasmesso, ma…»
«Ma?» domandò Horlon.
Lantor balbettò qualcosa di incomprensibile, infine capitolò.
«Beh, non ha molta importanza dal momento che ora siete qui.»
«Sagge parole» concluse il Re. «Sediamoci.»
Il Capitano si accomodò su una poltrona e Horlon si compiacque della sua rigidità.
«Ti starai chiedendo che cosa ci fai qui, immagino.»
«Infatti.»
Horlon annuì con aria assente, girandosi attorno al dito l’anello con inciso lo stemma di Lumia – una stella con uno smeraldo incastonato al centro.
«Maestà?» mormorò Lantor.
Il Re sorrise tra sé del tuffo nella formalità rassicurante.
«Suvvia, cugino, cosa sono questi appellativi onorifici? Non è certo una riunione formale, questa! Sei stato convocato per aiutarci a comprendere come sia potuto accadere che una notizia importante come quella dell’attacco compiuto nottetempo contro la città di Shiren abbia raggiunto Cyanor solo in tarda mattinata.»
Lantor si mosse, a disagio, spostando lo sguardo da Horlon a Glenndois e viceversa.
«Temo di non comprendere» disse infine.
Horlon fissò gli occhi blu nei suoi, ogni traccia di amichevolezza scomparsa repentinamente dal sul viso. Non gli era sfuggita l’arroganza velata del tono.
Glenndois intervenne prima che suo fratello mandasse tutto in fumo assecondando l’istinto omicida.
«Ciò che Horlon vuole sapere, cugino, è perché, nonostante il tuo plotone fosse di stanza a Lenada, a non più di sei miglia di distanza dallo scontro, la notizia gli sia giunta da fonti esterne al nostro esercito. Ci sono volute ore prima che ci fosse recapitato il tuo messaggio ufficiale.»
Horlon tenne gli occhi fissi su Lantor per essere certo di non perdersi nessuna delle sue reazioni. Il Capitano abbassò lo sguardo e si corrucciò, poi si sporse in avanti e piantò i gomiti sulle ginocchia.
«Mi insultate se pensate che me ne sia stato con le mani in mano, fregandomene beatamente, mentre Shiren bruciava. Se siete davvero convinti che io sia venuto meno ai miei doveri nei vostri confronti, provate a considerare una cosa: io e i miei uomini ci trovavamo in mezzo a quelle fiamme, impegnati a combattere i draghi! Ho perso alcuni dei miei migliori compagni, quella notte, e non certo per sentirmi accusare di non essere stato abbastanza tempestivo nel fare rapporto!»
Horlon respirò a fondo, facendo appello a tutto il proprio autocontrollo per non reagire con violenza davanti all’arroganza insopportabile di Lantor. Ma per quanto desiderasse picchiarlo con le proprie mani, sapeva che se voleva interpretare la parte del Re non poteva reagire ad una simile provocazione, doveva lasciare che si occupasse Glenndois di rimettere il Capitano al proprio posto. Glenn era il Generale del suo esercito, ed era sempre stato un diplomatico migliore di lui, sapeva istintivamente come gestire simili situazioni. Ma inaspettatamente ad intervenire fu Frunn, e Horlon sussultò.
«Fareste meglio a moderare il tono, Capitano. Vi ricordo che è con il nostro Re che state parlando.»
Sul viso sottile del segretario lo sguardo timido aveva ceduto il posto ad un cipiglio determinato e inflessibile che lasciò Horlon senza parole. Lantor rimase come congelato per un momento, poi sembrò sul punto di ribattere, ma prima che potesse farlo intervenne Glenndois.
«Frunn ha ragione, cugino. Forse questa convocazione non sarà ufficiale, ma hai dimenticato con chi stai parlando.»
Nonostante il tono fosse studiatamente accomodante, Lantor incassò le spalle e chinò il capo.
«Perdonami, Sire. Non era mia intenzione mancarti di rispetto.»
Horlon si sforzò di sorridere.
«Pace. Non è successo nulla di irreparabile. Ora ti prego di raccontarci che cosa sta accadendo nel Sud…»
 
Horlon si tolse il diadema e lo ripose nel suo cofanetto. La testa gli faceva un male cane, non era abituato a condurre interrogatori travestendoli da altro. E in più il pensiero che Lantor potesse essere davvero un traditore lo atterriva. Non erano mai stati in ottimi rapporti, d’accordo, ma era pur sempre suo cugino. Non che parlare con lui avesse evidenziato chissà quali anomalie… ne era venuto fuori alla grande, per così dire, ma Horlon aveva compreso che cosa intendesse dire Glenn quando affermava che Lantor fosse cambiato. Non si trattava solo degli occhi più infossati, in tempi come quelli era tutt’altro che improbabile, quanto piuttosto di un’asprezza inedita nel suo timbro di voce, di un’arroganza troppo accentuata, e di una remissività tanto improvvisa quanto fuori luogo.
«Va tutto bene?» domandò Frunn avvicinandosi di un passo.
Horlon sospirò. Non doveva avere un bell’aspetto se il ragazzo si era preso la libertà di omettere “Sire” o affini.
«Credo di sì» rispose massaggiandosi le tempie. «Che cosa ne pensi del Capitano?»
Frunn posò con cautela i documenti che portava tra le braccia e si cacciò su gli occhiali.
«Mi è sembrato a disagio» rispose semplicemente.
Horlon annuì.
«Anche a me. Certo, una convocazione improvvisa, e in un momento come questo deve mettere a disagio! Anche il Salotto di Quarzo dovrebbe avere una certa influenza, ma…»
«Ma sembrava un disagio diverso» concluse Frunn.
Horlon alzò gli occhi su di lui, e Frunn arrossì.
«Spiegati meglio.»
«Ecco… io in questo momento sono a disagio perché mi state fissando, ma è un tipo diverso di disagio, ne converrete. Voi siete pur sempre suo cugino, per quanto possiate non essere legati dal punto di vista affettivo, sarete comunque più in confidenza di voi ed io.»
Horlon socchiuse gli occhi, faticando a mettere a fuoco Frunn. Un disagio diverso, un disagio negativo, il disagio di chi sa di avere qualcosa da nascondere… ma che cosa?
«Horlon?»
L’elfo si riscosse, sentendosi chiamare per nome. Frunn lo guardava, preoccupato.
«Mi è venuto un mal di testa tremendo» mormorò.
«Vi faccio preparare una tisana» esitò. «Posso fidarmi a lasciarvi qui da solo?»
«Spero di non restarci secco per un mal di testa, Frunn!»
Frunn sorrise e gli volse le spalle. Horlon sospirò. Avrebbe voluto chiedergli quale spirito maligno si fosse impossessato di lui quando aveva deciso di zittire il Capitano Lantor, ma all’ultimo momento decise di non farlo. L’avrebbe messo in imbarazzo, si imbarazzava per qualunque cosa. E forse non gli avrebbe nemmeno detto la verità.
 
«Sei sicuro che funzionerà?» domandò Storr con aria affranta.
Horlon annuì, osservando Nastomer che tentava di acchiappare un coniglio con il solo uso della magia.
Al quinto giorno di addestramento, il ragazzo iniziava a capirci qualcosa di energie, elementi, incantesimi e via discorrendo, così Horlon aveva suggerito di metterlo ad inseguire conigli. Nel cortile interno del palazzo, i maghi di Storr avevano riprodotto un piccolo bosco che potesse offrire riparo all’animaletto, mentre lo stregone tentava di non radere al suolo la città.
«Ripetimi di nuovo perché stiamo facendo questa cosa ridicola» mormorò il mago.
«I conigli sono veloci e imprevedibili. Questo esercizio allena la concentrazione, la vista, l’udito, i riflessi e la precisione. Inoltre, obbliga a calcolare bene il quantitativo di energia impiegata, onde evitare di grigliarlo.»
Storr sospirò.
«Io non ho mai fatto cose tanto cretine.»
«Tu avevi solo l’Acqua da gestire. Non riesco ad immaginare che confusione possa avere nella testa quel povero ragazzo…»
Storr annuì.
«Ieri mi ha detto che quando soffia il vento gli sembra di avere una carovana di mercanti nelle orecchie. Anche se cerca di isolarsi, tutte le informazioni che l’Aria porta con sé finiscono per rimbalzargli addosso» esitò. «La verità è che io sono solo un mago. Potente, forse, ma comunque molto lontano da uno stregone. Il risveglio di un elemento è un processo naturale, e pertanto abbastanza intuitivo, ma questo? Che cosa c’è di naturale in questo?!»
Horlon era perfettamente d’accordo con ogni singola parola, ma era inutile infierire. La brillante idea di procurarsi uno stregone era stata sua, il resto del Consiglio si era limitato a seguirlo scodinzolando. Ma uno Storr scoraggiato poteva essere più dannoso di uno stregone immaturo, perciò Horlon gli assestò una pacca sulla spalla e sfoggiò il suo sorriso migliore.
«Vedila così: quella Cascata l’hanno messa lì gli Dei, e ci hanno addirittura messo un custode, perciò deve esserci un modo per controllare quel potere. Stai lavorando bene, Tom sta imparando in fretta, e io sono sicuro che presto sarà tutto più semplice!»
«Ho la netta sensazione che tu stia cercando di circuirmi. È il cattivo esempio di Frunn?»
«Frunn circuisce? Chi?» esclamò il Re.
«Posso interrompervi?»
Entrambi sobbalzarono e si volsero di scatto. Nastomer sorrideva, con un coniglio stretto tra le braccia. Il ragazzo aveva l’aria soddisfatta, il coniglio no.
«L’hai preso?» balbettò Storr.
«Evidentemente.»
Horlon scoppiò a ridere. Tutto sommato, forse la situazione non era così drammatica.
 
La riunione del Consiglio Ristretto fu particolarmente leggera la mattina del sesto giorno di addestramento di Nastomer. Forse perché gli sforzi congiunti del ragazzo, di Storr e dei maghi di Cyanor stavano iniziando a dare frutti più che evidenti, ma quella mattina Kirik non aveva ancora battuto i pugni, e addirittura Erina sembrava meno antipatica. Solo Frunn era più silenzioso del solito, ma Horlon non era sicuro che fosse il caso di indagare. Per il momento aveva deciso di godersi la pacchia, consapevole che non sarebbe durata abbastanza. Incrociò le braccia, sforzandosi di prestare attenzione a Storr.
«Insomma, dovreste vederlo! Fino a pochi giorni fa non sapeva nemmeno dove stesse di casa la magia, e ora gli riescono già alcuni incantesimi di media difficoltà. Capite che cosa intendo? È strabiliante! Ciò che temevo, cioè che trattandosi di una magia non risvegliata ma indotta, lo stregone non sarebbe riuscito ad entrare in confidenza con i propri poteri, come una persona che dovesse correre con le scarpe di qualcun altro, non si è verificato! Sì, va bene, è stata dura partire, ma ora che il processo di scoperta è stato innescato, sembra che non lo si possa fermare! In poche ore Tom ha fatto progressi impensabili!»
Kirik si protese sul tavolo.
«Quindi abbiamo ufficialmente la nostra arma?»
Storr fece una smorfia.
«Non essere così brutale, Tom è una persona, non un’arma.»
«Ciò che mi impensierisce» intervenne Glenndois «non è tanto il suo progresso “tecnico”, per così dire, ma la sua maturazione personale. Voglio dire: come sta prendendo tutti questi cambiamenti? Nastomer è soltanto un ragazzo…»
Storr scosse il capo.
«Tu lo vedi nell’ottica di un elfo, Glenn. Tom ha diciassette anni, è naturale che per te sia poco più che un infante, ma per un essere umano è già un’età accettabile. Il fatto che sembri così remissivo non significa che lo sia. È introverso, ma non è uno sciocco come può sembrare, e ha accettato il proprio ruolo con decente consapevolezza.»
Horlon congiunse le mani sotto il mento. Lanciò un’occhiata a Frunn, accanto a lui, ma il suo segretario non ricambiò.
«Se posso permettermi un appunto, Storr» disse allora «credo che tu abbia frainteso le parole di mio fratello. Noi siamo elfi, certo, vediamo le cose in una prospettiva meno precaria, ma tutti noi abbiamo, a un certo punto della nostra vita, dovuto fare i conti con il cambiamento. Prima eravamo bambini, poi non più; prima eravamo figli, poi abbiamo dovuto trovare la nostra strada; abbiamo scoperto attitudini, inclinazioni, desideri, pulsioni. Non è semplice per nessuno, nemmeno per gli immortali, scoprirsi diverso da ciò che si era fino a un attimo prima. Perciò la domanda è questa: in un momento già abbastanza complicato, in un momento in cui un giovane cerca di formare una identità propria e adulta, e di imparare a convivere con un nuovo sé stesso… in questo momento, come sta reagendo Nastomer al cambiamento sostanziale che la Cascata gli ha imposto?»
Il silenzio che seguì le parole di Horlon fece correre un brivido lungo la spina dorsale dell’elfo. L’imbarazzo divenne improvvisamente una presenza tangibile. Il Re fece scivolare lo sguardo sui tre nani e sui tre esseri umani, gli occhi blu spalancati per l’incredulità.
«Non ditemi che nessuno di voi si è posto il problema di indagare la salute mentale di una persona che potrebbe polverizzare Cyanor in pochi secondi…» mormorò.
Storr esitò.
«Non c’è stato molto tempo per parlare anche di questo.»
L’elfo si coprì il viso con le mani. Doveva cercare di controllarsi, di non manifestare la propria delusione. Aveva sempre considerato Storr una persona acuta e intelligente, ma improvvisamente il mare calmo delle sue certezze era stato attraversato da un’increspatura. Lo stesso uomo che aveva appena storto il naso di fronte all’accostamento terminologico “stregone-arma” aveva peccato di superficialità in modo imperdonabile.
«Non ti preoccupare, me ne occuperò oggi stesso» si affrettò ad aggiungere il mago.
Horlon si riscosse e raddrizzò la schiena.
«Se per nessuno di voi è un problema, vorrei passare il pomeriggio con Nastomer.»
Gli occhi di Storr si assottigliarono, manifestazione di disappunto che Horlon sperò essere l’unico a cogliere.
«Per me sta bene, ma non aspettatevi che faccia altrettanto!» sbottò Kirik.
A quel punto anche Storr si trovò costretto ad assentire e Horlon trasse un sospiro di sollievo. Un incidente diplomatico con i maghi davanti all’Imperatore dei nani non avrebbe certo aiutato il Reame Eterno.
   
 
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