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Autore: Read_This_Cookie_Dude    29/02/2016    1 recensioni
Erin Fitzgerald è un ragazzo molto pigro e svogliato nel fare qualsiasi cosa, per questo il padre lo costringe a cercare un lavoro estivo. E lo trova! Al nuovissimo e rimodernato Freddy Fazbear's Pizza, come guardia notturna! I sorridenti humanized animatronic, l'atmosfera gioviale, la pizza... il paradiso per Erin. Finché non scopre che la pizzeria nasconde un terribile segreto di cui il caro proprietario non gli aveva parlato (hehe... furbacchione...). Con un pizzico di comicità e thriller, dietro uno sfondo un po' demenziale, Erin racconta le sue spaventose cinque notti da Freddy. [TEMPORANEAMENTE SOSPESA/INCOMPLETA]
Genere: Comico, Demenziale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10
BIGLIETTAIO,  BENVENUTO A BORDO DEL
TRENINO DELL’ORRORE
 
La cosa che più odio dell’estate? Il caldo e i ventilatori rotti.
Cosa adoro dell’estate? La possibilità di restare a letto senza il pericolo della scuola che ti spia da dietro l’angolo anche quando dormi, assaporando le undici del mattino da sotto le lenzuola bianche e l’aria intrisa dell’odore di detergenti ecologici che ti penetra nei polmoni.
Ma, dico, da quando mia madre utilizza detergenti ecologici? E da quando le mie lenzuola sono bianche? Ogni singolo giorno mi sveglio investito dalla vista di cinquanta sfumature di blu, che, porca miseria, potrei benissimo aggiungere un libro alla saga, tutte mixate in un’orribile fantasia psichedelica, e non è una cosa che noti difficilmente, lo dimostra il fatto che stamattina non mi è venuto il mal di testa non appena ho schiuso gli occhi, subito richiusi a causa della luce fastidiosa.
Cerco di captare qualche rumore, una voce, qualcosa che, nonostante tutto, mi faccia riconoscere casa.

- Eccolo! – finalmente riconosco la voce di mia madre. – Vieni, caro! Erin, si sta riprendendo. –
- Eri? – mi chiama papà. Perché parlano così? mi chiedo, sembrano preoccupati. Poi ricordo… anzi, non ricordo di essere tornato a casa. Stavo a lavoro e… non lo so…
- Tesoro, - continua mia madre. – eravamo così preoccupati, sai? – 
E dopo qualche minuto passato ad occhi serrati nel tentativo di dare una spiegazione alla mia giugulare dolorante, mi ritorna tutto in mente! Davanti ai miei occhi: flash di luci fredde che si alternano a momenti di più totale buio e la faccia di Freddy Fazbear che mi fissa con una tale furia da riuscire a superare l’ostacolo della maschera allegra per i bambini, gli occhi di vetro spiritati, irati, e il grido di un bimbo morente! Solo ora mi accorgo che il cuore ha cominciato a battermi all’impazzata e, involontariamente, caccio un urlo.
 
Ore 12.00 PM Avanti veloce, è l’ora di pranzo. Mi ci è voluta un’ora per riprendermi dall’attacco di panico improvviso e inaspettato, ma in un certo senso ovvio, dopo tutte queste spaventose avventure che avrei preferito evitare. Ora, in cui, sdraiato sul mio lettino e mezzo stordito a causa di non so quanti litri di anestetico che mi scorreva nelle vene assieme ai globuli rossi, ho avuto il tempo di analizzare la stanza in cui mi trovavo (infatti le osservazioni più acute che in quel momento riuscivo a fare era il distinguere una mela da un’arancia), spaziosa, con le pareti colorate per metà di giallo paglierino, il resto era bianco, e la povera mobilia come due poltrone occupate dai miei genitori qualche scaffale qua e la, un televisore e una sedia bianca; cosa che ho realizzato dopo essere una sedia, perché, dato il mio stato in quel momento in aggiunta alla vista offuscata, l’avevo scambiato per un cesso messo lì a caso in mezzo alla stanza. Solo all’arrivo di un tipo in camice mi sono effettivamente reso conto di essere in un ospedale. Perché, no, quando mi hanno portato in una saletta a farmi le analisi del sangue, facendomi passare da un corridoio pieni di tizi col cartellino al bavero a quanto pare non avevo realizzato ciò.
Dopo il post sbornia da anestesia e altre varie analisi, sono arrivati Harvey e Lolita, il primo preoccupato come se fossi stato sul punto di morire, la seconda impaziente, nervosa e pronta a scaricare sugli infermieri tutta la sua rabbia.

- Quei pezzi di merda! – ha esclamato prima di entrare, il carro armato col reggiseno. – Ci hanno fatto aspettare nella hall dalle sei! Le SEI! Ti rendi conto! – non capivo nemmeno a chi era rivolta. Avevo buttato uno sguardo all’orologio ed effettivamente erano le undici, quindi immagino la noia.
I miei genitori sono rimasti scandalizzati dall’entrata in scena e credo che mio padre ci sia rimasto un tantino male, mentre la mamma ha preferito tacere mentre assumeva un colorito rosso, in violento con la pelle diafana e i capelli corvini. Il bello è che se io impreco buttando giù tutti i santi, rischio una denuncia per disturbo della quiete pubblica da parte dei miei stessi genitori, mentre se sono gli altri a farlo, o abbassano lo sguardo, o arrossiscono, o si dissestano un poco. A volte ho l’impressione di essere stato adottato, per poi ricordarmi della schiacciante somiglianza fisica: un frullato di entrambi, con gli occhi azzurri, i tratti del viso spigolosi e la carnagione giallastra di mio padre, assieme ai capelli nerissimi, il naso dritto e appuntito e l’altezza di mia madre, insomma, un mix che porta il vecchio a dare inevitabilmente la colpa del mio linguaggio allo zio Smith.
 
Ore 4.00 PM Tornato a casa verso le tre, dopo la conclusione dei dottori, cioè poche ore di sonno, non ho neanche fatto in tempo a mettere piede nella mia camera da letto che sento esplodere in vibrazioni dalla tasca dei miei pantaloni il cellulare e, sullo schermo, il nome di Scott.
Ma non mi dire...
Voglio dire, non è che sono sorpreso, eh! È stata la prima cosa che mi sono figurato quando sono tornato in me, che Scott o qualcun altro mi avrebbe chiamato per avere spiegazioni, però chi c’ha il coraggio di rispondere e beccarsi una tremenda ramanzina? O peggio… Cioè, gli abbiamo distrutto un animatronic, non l’intero locale, dopo tutto, ma non credo che non appena risponderò, mi saluterà contento come se fossimo amici da una vita, del tipo: “yo, com’è, coso?”. Ora come ora, sarò fortunato se potrò riattaccare dopo due secondi, preceduto da un assordante e alquanto infuriato “sei LI-CEN-ZIA-TO!”.
Ma a ripensarci, brutto sarebbe se il vecchio stesso venisse a sapere che io, Lolita e Harvey abbiamo fatto un gran casino ieri sera, avendo Scott anche il numero del telefono fisso, e manco a dire che posso giustificarmi! Non mi crederebbe nessuno, se raccontassi la storia dei robot assassini! Conseguenze: mi gioco la fiducia dei miei genitori, il Super Bowl, l’estate, gli amici e la libertà a vita.
Conclusione: meglio rispondere.

- Pronto? –
- Erin. – fa Scott dall’altro capo del telefono. Il suo tono è più freddo del solito, fermo, terribilmente serio. Mi sembra di vederlo davanti a me, rigido e con una vena pulsante dalla rabbia sul collo. Prima che io possa rispondere, mi precede: - Erin, cosa… umph! – sospira. – Come stai? So che ti hanno portato all’ospedale… -Immagino lo stia chiedendo solo per cortesia, infatti, dopo aver risposto: - Bene, grazie, solo un calo di pressione. –,  Scott mi rimbecca subito.
- Mi spieghi cos’è successo ieri notte? –
 S-Scott, se ti riferisci alla Chica, posso spiegare… - in realtà non posso, sto solo cercando di allungare il brodo.
- Erin, non mi riferisco solo a Chica! – ribatte. – Ma a tutti gli animatronic! E… non solo. –
- C-Che intendi dire? -
- Tutti i robot – continua. – sono stati trovati fuori dalle loro postazioni, Freddy, Bonnie, Foxy… bah! E in più… posso capire che di notte ti venga fame e tutto il resto, ma è proprio necessario che tu vada in cucina e metta in disordine la dispensa? Ti era anche stato espressamente vietato di allontanarti dall’ufficio! –La cucina?? – M-Ma Scott! Ci deve essere un errore: io non sono andato in cucina! –
- E allora chi è stato? Uno dei tuoi amici…? Argh! – ora sì che è incavolato. – Non posso credere di essermi reso complice di questa cosa! Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo! – lo sento mormorare. – Lo sapevo che non dovevo lasciarti lavorare con i tuoi amici! … Senti, ora tutti e tre venite immediatamente qui al Freddy’s e mi date una spiegazione a tutto questo casino! –
Subito dopo riattacca, senza darmi neanche il tempo di salutare.
 
Ore 4.49 PM Lolita e Harvey sono nervosissimi. Se prima avevano rimpianto di avermi seguito a lavoro, ora lo stanno facendo ancora di più. In macchina non abbiamo quasi spiccicato parola, ma meglio così, perché mi ha dato più tempo per pensare ad una scusa per giustificare tutto il casino che non si concluda nel peggiore dei modi, tra cui elenchiamo lo psicanalista o la prigione. Alla fine, sicuro del mio licenziamento imminente, e quasi lieto di ciò, ho pensato di addossare tutta la colpa su di me. Insomma, non mi sembra leale incolpare i ragazzi di tutto, non è da me e non è da amico, no? Potevo chiedere loro di aiutarmi e di condividere la terribile sorte assieme, non che loro non avrebbero accettato, ma poi mi sarei sentito una schifezza per tutta la vita. Sono arrivati a questo punto con me senza tirarsi indietro, è il minimo che posso fare per loro. Dirò a Scott di avergli mentito prima, che sono effettivamente andato in cucina e che involontariamente (pariamoci un po’ il culo, per quel che possiamo) ho rovesciato il contenuto della dispensa mentre cercavo dei… ehm… del… qualcosa da mangiare là dentro, che io ho acceso i robot per fare il grande davanti ai miei amici e, bla, bla, bla… tutto il resto.
Lolita mi carezza la spalla teneramente. – Non preoccuparti, - mi dice. – ne abbiamo passate di peggio. Ricordi quando, a tredici’anni, mio padre ci ha beccati tutti insieme ad armeggiare con la pistola che avevamo trovato nel suo armadio? Quello che si era dimenticato di chiudere a chiave? Non dirmi che le parole di quell’agnello Scott compenseranno le tirate d’orecchio di papà! –

- Seguite subito dopo dalla castigazione da parte dei nostri genitori. – aggiunge Harvey.
 
Ore 5.00 PM – Alla buon ora! – esclama Scott venendoci incontro dal retro del locale.

- Scusa, - rispondo. – Ma i nostri quartieri sono un po’ lontani da… -
- Vabbe’, non è questo che mi interessa. – dice interrompendomi. Posa le mani sui fianchi e tenta di ricavarsene un’aria seria e di rimprovero, o almeno ci prova, e ci farebbe ridere se non fosse che abbiamo ben altro in mente che giudicare il suo portamento effeminato. – Sono in attesa. –
In un attimo la pigrizia (o il senso d'onestà) mi attanaglia: tutto il discorso che mi ero preparato svanisce davanti ai miei occhi, parola dopo parola, una ad una. Penso “perché devo? Perché devo mentire, sprecare fiato? Perché così, una volta licenziato, un altro idiota come me potrà rischiare la sua vita qui? Quanto mi costa dire che ci sono degli animatronics assassini dentro quella pizzeria davanti a noi? Sicuramente molto meno di tutto quel pasticcio di spiegazioni plausibili, ma non vere e in certi casi imbarazzanti”. Sono pensieri da idiota, pigro e… no. Non avevo mai pensato a un eventuale successore, ma ora, di punto in bianco, mi sta a cuore la vita di quel probabile qualcuno che potrebbe benissimo essere un ragazzo della mia età, più del mio orgoglio e della mia credibilità stessa. So perfettamente che anche i miei amici vogliono che io tiri fuori la verità, nonostante la loro riluttanza, e anche loro sanno benissimo che c’è una probabilità su un miliardo che Scott o qualcun altro dotato di un minimo di sale in zucca possa credermi.
Sono così confuso. E stanco. E nervoso.
Per un momento mi sembra che tutto attorno a me sia sparito, sento il battito del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie. Ho anche l’impressione di non poter distinguere il caldo dal freddo. Ma poi realizzo, è solo un altro mio tentativo di evadere da quella realtà del lavoro che, da che concentravo la mia esistenza in pennichelle e uscite con Harvey e Lola, tutto d’un tratto mi ha travolto con il suo lato più oscuro, perfettamente nascosto in una pizzeria e dalle sembianze di lavoro più semplice del mondo, almeno secondo i miei standard.

- Oi! – Scott mi fa rinvenire schioccando le dita sotto i miei occhi, incantati al terreno. – Ebbene? –
- Sigh! Scott, se ti dicessi la verità non mi crederesti, quindi licenziami qui adesso e facciamola finita. Sappi solo che non è stato piacevole per me. –
- Vuoi spiegare? – replica lui.
Prendo un altro sospiro e comincio a raccontare tutto quanto, tutte e tre le notti passate, senza tralasciare dettagli. Lo vedo fare smorfie di derisione, seguite da sguardi increduli, spaventati e, infine, da chi ne ha abbastanza di sentir parlare.
 
Ore 5.15 PM – Oh, Signore! – esclama Scott alla fine. – Non vorrai mica mettermi nel sacco con tutte queste fandonie, vero? Lo sai perché ti ho fatto continuare fino al termine del racconto? Perché adoro le storie dell’orrore, e tu, Erin, le sai davvero raccontare, questa te la devo. Ma, dimmi, come cavolo ti è venuto in mente?! – continua gesticolando animatamente. - È vero, lavoro tutto il giorno con i bambini, ma non per questo sono disposto a ritenere vero tutto questo! Animatronics che prendono vita, Chica che mette a soqquadro la cucina, Freddy che tenta di ucciderti… COS’ALTRO?! Il Cupcake ti ha morso un piede?!?! – è decisamente fuori di se, così Harvey e Lolita provano a calmarlo. Io, invece, semplicemente guardo Scott, senza sapere cosa dire. Ma in fondo come biasimarlo: anch’io avrei reagito così se fossi stato al suo posto, ma… è la realtà. Che uno di noi tre provasse a negarlo.
Scott sospira e si asciuga la fronte scura imperlata di sudore. Quanti anni avrà su per giù? Forse una decina in più di noi.
Passandosi una mano sopra gli occhi mormora: - Miseriaccia! Sai che rischio di finirci io in mezzo a tutta ‘sta storia? Sono stato io a darvi il permesso di lavorare assieme! Se almeno riuscissi a contattare Mike… -

- Ancora non è tornato?? – chiede sorpreso Harvey.
- Si è fatto vedere pochissimo! – risponde Scott. – In fretta e furia la mattina, sistemava due cose e poi, via, in banca o a fare altro, bah! Ma stamattina mi ha chiamato sua moglie, Dolly, dicendomi che non poteva presentarsi in pizzeria a causa di una brutta influenza, poco prima del mio arrivo, ma quando sono entrato, diamine, e chi aveva più il coraggio di chiamarlo, Mike! In ogni caso, quello tiene il cellulare spento o in culo alla luna. –
- Non devi prenderti tu la colpa. – cerco di rassicurarlo. – Ci posso parlare io con lui, e risolverò tutto. O… no. –
- E come? Raccontandogli la storiella degli humanized animatronics assassini? Sigh! Sono rovinato! – deglutisce a fatica nascondendosi la faccia nella mano, esausto. Si vede che questa situazione fa più male a lui che a noi, sembra tenerci proprio a questo lavoro.
- Ho bisogno di un bicchiere d’acqua. – dice infine. 

Ore 5.20 PM Lo accompagniamo all’interno del locale, lungo il backstage, lo Show Stage, verso la cucina. Ci sono alcuni addetti la manutenzione che alla nostra entrata ci squadrano dall’alto in basso e molto irritati, sicuramente anche loro convinti che a fare tutta questa confusione siamo stati io e i miei amici. Alcuni di loro trasportano Foxy e Bonnie alle loro postazioni sui palchi, altri Mangle nel backstage, per le riparazioni suppongo, e altri ancora accerchiano Chica, scambiandosi occhiate interrogative e scuotendo la testa. Tra loro riconosco anche Joshua, Kevin e, a mio malgrado,Tiffany, la quale si sbraccia e si sgola pur di salutare Scott dall’altra parte della stanza. Nonostante queste attenzioni, lui non fa altro che farle un cenno con la testa, per poi continuare verso la cucina con noi al seguito. La sgualdrina torna a lavoro molto delusa.
 
Ore 5.21 PM  - Quindi, non ci credi? – sbotto ad un certo punto. La cucina è stata rimessa a posto ed è deserta. Solo una grande pentola d’alluminio ammaccata sembra non essere sopravvissuta all’…ira di Chica? Ancora mi chiedo se quei robot siamo in grado di provare emozioni. Ogni volta che mi capitava di vederli attraverso la telecamera era come se riuscissi a scorgere nascoste sotto le maschere emozioni e a volte anche qualcosa di più… più umano. Al solo pensiero mi sento un’idiota. Deve essere solo una mia sensazione, o una malfunzione degli animatronic.

- Quanto verrebbero le riparazioni di Chica? – chiede Lolita impassibile.
- Più di quanto costi ricomprare tutte le pentole della cucina, di sicuro. Ma se vuoi una cifra, sono più di cinquecento dollari. – risponde Scott, fisso sul contenuto del bicchiere di plastica.Il volto di Lolita si piega in una smorfia. – Non riuscirei a mettere su quella cifra neanche se andassi a pulire gli spogliatoi dell’accademia per un intero anno. – dice fra se e se, poi si rivolge a Scott: - E se ti dimostrassimo che Erin non sta mentendo estingueresti il conto? –
- In quel caso dovrei darvi ragione e, sì, i danni andrebbero a nome di Mike, ma… - sghignazzò silenziosamente, scuotendo la testa.
- Allora facciamo così: rinvierai il licenziamento di Erin a domani, stasera verrai con noi e vedrai gli humanized animatronics in azione con i tuoi stessi occhi. Accordato? –
Scott sembra sul punto di rifiutare, ma Lolita lo rimbecca subito. – Altrimenti puoi benissimo affrontare Mike da solo e accollarti tutta la colpa. –
Dopo momenti di esitazione, senza mancare di riluttanza Scott accetta. – Va bene, farò questa mattata, contenti? – dice guardando storto Lola. – Che poi non capisco perché dovresti accollarti tu il conto della manutenzione. –
Lolita assume uno sguardo stizzito e si raddrizza la schiena, come se avesse appena ricevuto l’insulto peggiore del mondo. - Perché si da il caso, caro mio, che Erin non ti abbia accennato che Chica l’ho ridotta io così! – in effetti è vero, non ho incolpato loro di nulla. – Ma non ho intenzione di lavorare durante l’estate per riparare al danno, quindi vedi di far trovare il tuo deretano tiepido qui fuori in tempo per mezzanotte. Sono stata chiara? -
   
 
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