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Autore: MySkyBlue182    01/03/2016    4 recensioni
Le persone che amava, Gerard le amava sul serio.
Seguito di Trust me
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bob Bryar, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ommioddio quante cose devo dire!!
Intanto l’educazione , quindi CIAO! Ben trovate C:
Seconda cosa: GRAZIE, scoppio d’amore e di soddisfazione per le vostre magnifiche recensioni. È una sensazione troppo bella, troppo gratificante. Mi eravate così mancate, ed è così fantastico tutto quello che mi avete detto e l’emozione e la voglia che mi avete trasmesso *___* mi avete detto che non vedevate l’ora che tornassi e beh… non immaginate la mia voglia di farlo!
Allora, questo è il primo vero capitolo della storia e qui sta la novità e la cosa importante che vi avevo anticipato avrei dovuto dirvi. La cosa nuova, quindi, è *rullo di tamburi* il punto di vista!
La storia non ve la racconterà più Frnk, non saranno più i suoi pensieri e le cose non le vedrete più dalla sua prospettiva, ma bensì in Prtgmoi sarà tutta roba di Gerard. Sarà lui a pensare, lui a parlare e tutto sarà analizzato dalla sua mente…
Dico, ve lo immaginate?!?! Ahahahah se in trstme certi ragionamenti erano contorti qui ci vorranno i sottotitoli! Ahahaha vabbè!
Cercando di essere seria vorrei spiegare anche il titolo della storia. È il titolo di una canzone dei Placebo (vabbè lo so che starete pensando che sono monotona!! Ahaha)a parte che è bellissima E QUESTO è UN FATTO, ce ne sono due versioni di cui una in francese, appunto ed un’altra in inglese. Il ritornello, che è in inglese per tutte e due le versioni, dice “proteggimi da ciò che voglio”, “proteggimi dai miei desideri”, non pensate che sia una di quelle frasi emblematiche, quelle che racchiudono dentro un mondo, o forse due? Ecco, io l’ho pensato e calza a pennello con la storia. VI LASCIO ALLE VOSTRE DEDUZIONI! Ahahah
Ovviamente avrei potuto usare la frase intera come titolo, ma come al solito non mi chiamo Gerard Way e quindi io accorcio, le cose lunghe lasciamole a lui! *faccia ambigua*
Dopodichè le banalità, ovvero:
-è il seguito di Trust me (non l’avevo precisato, magari non tutti l’hanno letta)
- questa roba è tutto frutto della mia fervida e tristissima immaginazione, ahahah, quindi non voglio offendere nessuno, non conosco nessuno dei personaggi e nessuno mi paga per le idiozie che scrivo!
Poi ringraziamenti speciali alla mia dolce amica\confidente\supportatrice\sOpportatrice\beta Rubina, a Francy che legge tutto in anteprima e mi fa salire l’autostima a bomba, mi fa morire dalle risate ed è pazza come me quindi ci capiamo che è una meraviglia. Cioè, qui ci vorrebbero valanghe di cuori, ma voi non volete sapere in che modo sto scrivendo e soprattutto DA DOVE, quindi diciamo che non posso fare cuori e basta!!
Un grazie con tutto il cuore anche al mio Arcobaleno che è sempre presente e mi aiuta in tutto, con cui non si parla d’altro che di supereroi e che mi capisce per mezzo di una sola emoction e quindi se non è amicizia questa io non so!
Poi boh, forse è il caso che la smetta e vi lasci leggere. Potrei fare sproloqui altrove, ma la verità è che non saprei dove farli! Ahahah cioè, diciamo che esisterebbe una pagina su fb, ma non l’ho ancora mai usata!
Bene, mi levo dai piedi davvero, vi auguro buona lettura e come al solito sarei felice di sapere che ne pensate.
Solo un’ultima cosa, vorrei dedicare un pensiero speciale alla mia gattina Blue con cui ho avuto l’opportunità di passare troppo poco tempo insieme. Mi manchi :C
Alla prossima
-SkyBlue-
 
 
 
PRTGMOI- Capitolo 1
 
 
 
 
Questione di sguardi
 
 
 
 
Gerard avrebbe saputo riconoscere quella voce ovunque.
Quella voce graffiante, un po’ rauca, un po’ rude.
Quella voce che aveva suonato sempre un po’ porno, nei suoi pensieri.
Frank era appena arrivato e Mikey era andato ad aprirgli la porta, Gerard evidentemente non era riuscito a cogliere il suono del campanello che aveva annunciato il suo arrivo, troppo occupato a salutare le persone presenti alla festa di bentornato che gli aveva organizzato la sua famiglia.
Era così inverosimile trovarsi lì, a casa, di nuovo insieme ai suoi genitori, a Mikey, ai suoi amici.
Aveva trascorso gli ultimi tre mesi esiliato – giustamente- dai suoi affetti, dai luoghi che sentiva appartenergli.
Aveva sognato e temuto quel momento per interi mesi, quando non poteva fare altro che immaginarli, ed ora, ora che aveva potuto finalmente tornare, si sentiva come un T-Rex approdato in una metropoli.
Non che fosse cambiato qualcosa, la casa era rimasta uguale, i visi dei suoi genitori erano uguali all’ultima volta che li aveva visti, quando erano andati a trovarlo al centro di riabilitazione, Mikey aveva lo stesso sorriso e pure Frank,  di cui riusciva a sentire al momento solo la voce, probabilmente sarebbe stato uguale. Intanto la voce lo era, perlomeno.
Quel che c’era di diverso, evidentemente, era lui.
Quei tre mesi l’avevano cambiato, lo avevano fatto ragionare e riflettere su molti aspetti riguardanti la sua vita, lo avevano costretto a conoscere se stesso.
Gerard non c’aveva mai tenuto, a fare conoscenza con se stesso.
Perlopiù si era sempre disprezzato, non si era mai trovato simpatico e a volte, nelle rare occasioni che gli erano capitate di analizzare qualche suo comportamento, aveva scoperto di starsi sul cazzo da solo.
Non si era mai considerato una gran persona, sotto nessun aspetto, e poi c’era il problema più grave: non riusciva a capirsi. Mai. Non c’era stata una sola volta in cui avesse compreso i propri sentimenti, che fosse stato certo realmente di quel che aveva deciso, che fosse stato in grado di sentirsi totalmente in pace con se stesso.
Creare e distruggere, questo era stato il credo su cui aveva basato la sua intera esistenza.
Creare: perché non avrebbe saputo non farlo, aveva sempre avuto bisogno di esprimersi, in un modo o nell’altro, sentiva di poter esplodere in alcuni momenti se non avesse scritto qualcosa o disegnato qualcos’altro.
E poi distruggere: puntualmente, tutto ciò che aveva creato faceva sempre schifo. A volte impiegava una manciata di secondi prima di accartocciare il foglio e gettarlo via, altre volte ci credeva per un po’, valutava ben riuscito un testo o un soggetto, ma poi arrivava sempre il momento in cui rimetteva ogni cosa in discussione e allora distruggeva, strappava pagine e scacciava idee, riduceva in brandelli album da disegno e si insultava mentalmente per l’orribile teoria che aveva osato elaborare.
Il vero problema era sempre stato solo e soltanto lui.
Fin dai tempi della scuola in cui non era mai soddisfatto dei propri voti – neanche di quelli più alti, in storia dell’arte -, al suo corpo che non era mai andato bene - prima troppo grasso e dopo troppo magro-, alla sua testa… il suo lato oscuro per eccellenza, la parte di sé con cui non era mai riuscito a venire a patti, mai riuscito ad apprezzare.
Lo psicologo al centro di riabilitazione gli aveva spiegato che bisognerebbe prendersi del tempo, a volte, ed analizzare i propri comportamenti e all’inizio Gerard l’aveva ritenuto inutile, quel consiglio.
Quando, una volta, durante una delle sedute di gruppo aveva detto con convinzione “bisognerebbe farla anche a scuola: un’ora di insegnamento alla solitudine. Imparare a bastarsi.” Gerard per poco non era scoppiato a ridere: che razza di teorie erano quelle, aveva pensato.
Poi il terapeuta aveva fatto degli esempi e aveva spiegato la differenza tra avere piacere di stare in compagnia ed avere bisogno di farlo.
E quando ne hai solo bisogno, aveva spiegato, non è mai un bene perché è il palese sintomo di voler scappare da se stessi.
“Non bisognerebbe mai scappare da se stessi” aveva proclamato deciso.
E non l’aveva detto facendo un’ipotesi, lo aveva presentato quasi come un dogma.
Scappare era sbagliato, scappare era da vigliacchi, lasciare le cose in sospeso non era un comportamento che faceva bene.
E Gerard c’aveva pensato, una volta rimasto solo-ogni argomento andava bene per concentrare i suoi pensieri, l’importante era che non si fossero condensati su se stesso-.
E così aveva riflettuto.
Aveva pensato agli innumerevoli casini che aveva combinato, soprattutto negli ultimi anni, aveva cercato di ricordare come aveva fatto a venirne fuori, era arrivato ad una conclusone: c’aveva pensato sempre qualcun altro a risolvere i suoi problemi, tutti quelli che immancabilmente aveva causato a se stesso o agli altri.
Lui aveva bisogno degli altri.
E se non fosse stato per la ferma convinzione che nutriva dei reali sentimenti verso i suoi amici, la sua famiglia, Frank, quell’illuminazione avrebbe potuto farlo sentire in colpa, avrebbe potuto farlo sentire egoista.
Eppure sapeva di non esserlo, non totalmente, almeno.
Le persone che amava, Gerard le amava sul serio.

Provò a riconnettere sguardo e cervello nella realtà, suo zio lo salutò calorosamente e lo abbracciò, gli disse in confidenza accanto all’orecchio che era orgoglioso di lui. Gerard sorrise e quando sciolsero la stretta lo ringraziò con uno sguardo che esprimeva gratitudine ed imbarazzo.
Gerard sapeva perché tutti erano lì e tutti conoscevano il motivo per il quale Gerard era stato per tutti quei mesi lontano da casa.
E non riusciva a far a meno di provare vergogna.
Quel suo zio comprensivo decise che avevano interagito abbastanza, senza neanche parlare, gli batté una pacca sulla spalla, come ad infondergli forza e si spostò, raggiungendo il fondo del salotto, verso il divano, dove era seduto suo padre.
Quello spostamento fu decisivo, perché gettò un’occhiata pensierosa intorno a sé e, inaspettatamente, lo vide.
I suoi bulbi oculari rimasero incastrati sulla sua figura, non avrebbero mai voluto saperne di spostarsi da lì. Rivederlo fu qualcosa a cui non sarebbe mai stato in grado di prepararsi, lo aveva immaginato per mesi, quel momento, eppure quando successe fu talmente travolgente che era quasi come se non avesse avuto la più pallida idea di poterlo rincontrare.
Era bellissimo.
Questo lo sapeva che non sarebbe mai cambiato.
I suoi capelli erano cresciuti ed erano più chiari del solito, l’occhio destro era coperto parzialmente dal ciuffo che comunque era rimasto più lungo rispetto al resto. Era nel punto in cui i raggi del sole potevano raggiungere il suo viso, attraverso la finestra che aveva accanto, e i suoi occhi rilucevano, sembrava fossero dorati.
La sua pelle liscia e giovane era un po’ arrossata, forse per il caldo, e le labbra rilassate e piene, ornate dal piercing, che Gerard non avrebbe mai avuto il coraggio di farsi, gli fecero scattare immediatamente un flash mentale di loro due che si baciavano.
Ingoiò i battiti del suo cuore impazzito e sospirò tremando, abbassando lo sguardo velocemente per poi riportarlo subito sulla sua figura, per poter ammirare il resto.
Ma Frank si era accorto a sua volta di lui e lo stava guardando, socchiuse le labbra istintivamente e affogò totalmente nei suoi occhi.
Continuò ad accarezzarlo con lo sguardo, notò la t-shirt rossa che si posava delicatamente sul suo busto. I tatuaggi in bella mostra sulle braccia che, con tutto quel rosso, sembrava che fossero abbinati alla maglia.
Gli guardò avidamente le mani, abbandonate sui fianchi, e le bramò su di sé, le sognò accarezzarlo così intensamente che socchiuse gli occhi, confuso dall’assordante rumore del proprio cuore che martellava, in preda a troppe emozioni.
Abbassò ancora lo sguardo prestando attenzione ai jeans grigio chiaro che gli fasciavano appena le gambe, le ginocchia immancabilmente visibili tramite gli strappi a cui sottoponeva ogni suo paio di pantaloni.
Era perfetto. Era meraviglioso.
Era così bello che dubitò della sua reale esistenza, come gli era capitato di pensare mille altre volte.
Troppo bello per essere vero.
E invece era lì, davanti ai suoi occhi, e se ne stupiva sempre, Gerard.
Frank era un concentrato di meraviglia.
Lo squadrò di nuovo, perso completamente nei suoi pensieri e lo vide voltarsi di scatto a fianco a sé. Anche Gerard scattò di conseguenza e cercò con urgenza il motivo per il quale aveva fatto quel movimento.
Beh… Non era un motivo, era una presenza, era una persona ed era l’ultima che Gerard potesse immaginare, l’ultima che avrebbe mai voluto vedere. Soprattutto accanto a Frank.
Era Jamia e gli teneva la mano.
Gli caddero gli occhi su quel gesto e sentì quel cuore, che avrebbe dovuto trovarsi nel suo petto, cadere fin sotto i piedi.
La sua espressione si allarmò all’istante, senza pensarci, puntò gli occhi verdi in quelli di Frank. Magari c’avrebbe trovato una spiegazione. Invece trovò preoccupazione in quelle iridi dorate, trovò agitazione.
Il senso di colpa che trasmetteva lo sguardo di Frank lo spinse a distogliere lo sguardo.
Abbassò la testa e poi finse indifferenza, iniziando a guardare intorno a sé, senza riuscire a cogliere nessuna figura, solo un ammasso informe di colori e forme che non riusciva ad identificare, proprio come quando si ha la vista appannata dalle lacrime.
Non stava piangendo, ma il suo cuore magari sì.
Respirò affannosamente mentre cercava di mantenere un’espressione neutra sul viso e non far scoprire a nessuno il subbuglio di emozioni che stava provando.
Si passò una mano sulla faccia e sentì un incendio divampare nel proprio stomaco: come cazzo aveva fatto a non pensarci? Era fin troppo ovvio che sarebbe successa una cosa del genere.
Frank non era un tipo che passava inosservato, Frank era adorabile, non aveva mai sentito nessuno parlare male di lui, ogni persona che faceva la sua conoscenza se ne innamorava. Alcuni in modo metaforico, altri in modo letterale.
Sprigionava felicità e voglia di vivere da ogni poro della sua meravigliosa pelle, era solare, era divertente, era profondo e sapeva ascoltare le persone, era un amico perfetto per Mikey e gli altri, era un punto fermo, stabile e sensibile, era pazzo e la sua allegria era contagiosa.
Gerard non avrebbe mai immaginato una persona più bella di Frank. Non esisteva, Frank era stato creato e ne era stato buttato via lo stampo, ecco perché era figlio unico.
Gerard non aveva mai davvero concepito come potesse piacere a Frank.
Lui era il suo esatto opposto; sempre depresso e disperso negli abissi della sua tetra personalità, debole di fronte ai vizi, impaurito dagli altri esseri umani tanto da arrivare a doversi sballare per riuscire a sostenere il peso psicologico del palcoscenico. Troppo chiuso, troppo triste, sempre perso nei suoi mondi paralleli che erano i soli in grado di farlo sentire al sicuro.
E Frank lo amava.
Era stato un onore ed una dannazione scoprirlo e rendersene palesemente conto. Lo aveva reso pazzo, pazzo dalla felicità e muto dallo stupore, aveva pensato che forse così schifo non faceva se Frank era riuscito ad innamorarsi di lui e poi c’aveva pensato e aveva capito che Frank non lo conosceva abbastanza e forse era solo affascinato dalla sua personalità, definita da tutti “sfuggente”.
Gerard non era sfuggente, Gerard fuggiva e questo era quanto.
Gerard non era in grado di spiegarsi e allora ammassava frasi e farfugliava discorsi, a volte stava in silenzio ché tanto era uguale.
Forse aveva la presunzione di non sentirsi capito, poi aveva capito che la colpa era la sua se nessuno lo capiva. E Frank era uno dei pochi che aveva provato a scavare più a fondo in lui, era uno dei pochi, se non l’unico, ad aver ignorato la superficie, l’ immagine orrenda che era Gerard. Aveva tentato di capirlo, aveva avuto la reale voglia e la giusta dose di curiosità di farsi largo tra i cespugli spinosi, che riparavano e tenevano al sicuro il vero Gerard.
E forse Frank aveva creduto di averli attraversati, di averne pure distrutti un po’ per mostrare anche al mondo le parti più belle che credeva avesse Gerard, ma la realtà era che Frank era semplicemente rimasto intrappolato. I suoi vestiti erano rimasti impigliati nelle spine e, attraverso i rami sovrapposti e fitti, aveva intravisto qualche spiraglio di luce. Magari neanche quello, magari aveva avuto addirittura un miraggio, perché quando tenti per tanto tempo di raggiungere uno scopo il tuo cervello è compassionevole e te lo fa almeno sognare. E Frank aveva probabilmente sognato e aveva immaginato che al di là di quel bosco oscuro ci fosse qualcosa per cui valesse la pena graffiarsi la pelle e lacerarsi le mani, qualcosa di prezioso per cui sacrificare la propria sicurezza e affrontare le proprie paure.
Frank aveva immaginato di trovare una spada lucente, scintillante e prodigiosa incastonata in una roccia dimenticata, credeva che ci fosse qualcosa di bello da scoprire.
Invece non era così.
Gerard era solo quel bosco. E dietro al bosco c’era altro bosco. Punto. Fine.
Anzi, non avrebbe escluso che oltre quella coltre di piantacce infestanti non ci fosse stato pure un bel mostro di quelli cazzuti, brutti e spaventosi.
Lo spirito avventuriero e amorevole di Frank lo aveva spinto ad infognarsi in quello schifo di posto, ma non ne avrebbe tratto nulla. Né scoperte eclatanti e positive né beneficio personale. Nesarebbe uscito con qualche osso rotto o non ne sarebbe mai più venuto fuori, tipo Triangolo delle Bermuda.
Allora era dovere di Gerard proteggerlo, aveva iniziato a capirlo subito questo punto fondamentale. E quando aveva scritto la lettera a Frank avrebbe voluto spiegarglielo, ma non aveva potuto parlare di boschi e spine e sperare che Frank lo avrebbe capito. Così gli aveva parlato di cieli blu e giornate assolate, belle come gli occhi e il cuore di Frank.
Gli aveva detto che non si sarebbe mai pentito di averlo lasciato andare. E questo l’aveva detto perché ci credeva davvero.
Perché le persone che amava, Gerard le amava sul serio.


E infatti aveva ben capito che stare fuori dalle vite delle persone che amava era la forma d’amore più forte che avrebbe mai potuto attuare. Tanto le distruggeva e basta. Ed erano strani questi discorsi, ambigui ed incoerenti, ma era ciò che sentiva.
Era una cazzo di piantaccia infestante.




 
Vide con la coda dell’occhio Mikey avvicinarsi, vide il rosso della t-shirt di Frank e per un attimo perse completamente il senso dell’orientamento.
Forse erano soltanto i suoi sensi amplificati dal malessere che si sentiva addosso, e così quando Mikey lo chiamò gli sembro che stesse urlando.
-Gerard!- gridò, appunto.
Si voltò cercando di mostrare disinvoltura, ma nutriva seri dubbi circa la sua bravura nella recitazione. Più che altro perché aveva troppe emozioni che rimbalzavano sulle pareti del proprio stomaco.
Poi scattò in piedi.
Scattò in piedi senza motivo, bruscamente come fosse stato un soldato abituato ad eseguire degli ordini meccanicamente. Si ritrovò Frank di fronte senza aver avuto tempo per prepararsi qualcosa da dire.
- Ciao!- gli disse Frank in evidente disagio.
Certo che era a disagio, pensò, lui era lì con Jamia. Jamia era probabilmente la sua fidanzata e Gerard quello di troppo, l’errore che provocava vergogna persino in Frank.
Pensò questo e non riuscì a metterlo in discussione nemmeno per un secondo. Frank trasudava agitazione, si muoveva impacciato e lo guardava imbambolato, Gerard aveva l’impressione che fosse pronto a vedergli spuntare dei tentacoli o delle chele al posto delle braccia.
Insomma, a giudicare dall’espressione con cui lo stava guardando era certo che pensasse che sarebbe successo qualcosa di grandioso. Gli dispiaceva deludere Frank, sorrise a se stesso.
- Ciao, Frank.- gli rispose.
Eppure ne aveva avuto, di tempo. Anche quei pochi secondi che aveva trascorso a studiarlo. Aveva pensato cazzate invece che parole giuste o comportamenti ipotetici.
Lo abbracciò.
Senza pensarci e senza metterci niente in quella stretta, niente sentimenti, zero emozioni. Lo fece e basta perché chiunque si sarebbe aspettato che lo facesse.
Frank, agli occhi di tutti, era un suo amico e gli amici si abbracciano. Anche se così freddamente non aveva abbracciato nemmeno suo zio Jeff, quello che a malapena conosceva e che era sicuro fosse lì solo per curiosità e per avere un argomento scabroso di cui parlare con gli amici e la propria famiglia.
Forse Frank non se lo sarebbe meritato, un abbraccio del genere, e Gerard era in conflitto con se stesso. Vari sentimenti in lui combattevano, prevaleva la rabbia di quello ne era certo, la rabbia scaturita dalla gelosia, quella che provava nei confronti di Jamia e del rapporto che probabilmente aveva con Frank.
Poi c’era il senso di colpa per come si stava comportando.
Frank non meritava la sua rabbia, non meritava il suo distacco e la sua freddezza. Frank non meritava nemmeno la sua gelosia.
La gelosia era un gran brutto sentimento.
Anche questo, lo aveva imparato in quei tre mesi alla clinica di riabilitazione: la gelosia non è un’emozione nobile, è un sentimento che si prova verso qualcosa che non ci appartiene, qualcosa o qualcuno che bramiamo. Se invece quella cosa o persona ci appartiene allora è ancora più grave provarne. È come voler sottrarre, togliere libertà a questa ipotetica persona, è come metterlo sempre sotto esame, caricarlo di pressione che è soltanto derivata dalla nostra insicurezza.
Insomma, c’entrava sempre l’autostima e Gerard era consapevole che esistevano un’infinità di persone migliori di lui.
L’aveva sempregiustificata così, Gerard, la gelosia che provava nei confronti di Frank. Aveva pensato di reagire così perché aveva paura di perderlo, in realtà non era semplicemente sicuro di se stesso, punto.
Poteva sembrare un discorso egocentrico, ma la verità era che la responsabilità di ciò che provava era la sua e di nessun altro, tanto meno di Frank e non poteva farglielo pesare.
Lo aveva caricato di pesi, gli aveva fatto pesare già fin troppe cose che non avrebbe dovuto.


In tutto quel tempo non aveva fatto altro che guardarsi intorno smarrito.
Mikey gli aveva fatto presente che c’era anche Jamia, quella stronza, e l’aveva salutata, le aveva parlato senza sapere nemmeno ciò che stava dicendo.
Magari le aveva detto che era una lurida troia e se  così fosse stato non se ne sarebbe pentito. Se Frank ci fosse rimasto male sì, però, se ne sarebbe pentito.
Continuava ad odiare quella ragazza, continuava a sentirsi in colpa per Frank.
Continuava ad amarlo, in effetti.
E si sentiva il cuore in gola, aveva l’impressione che presto le gambe avrebbero ceduto sotto al peso opprimente del suo corpo in fase di esplosione, colmo di troppe emozioni mal gestite.
Doveva andarsene.
Lo sguardo deluso che aveva visto sul viso del suo chitarrista, probabilmente a causa di quel suo abbraccio di merda, lo percepiva su di sé come un raggio laser invisibile che lo stava lacerando senza darlo a vedere.
Voleva scappare.
- Scusate.- singhiozzò senza essere certo che lo stessero ascoltando e sgattaiolò via dal centro di quel gruppo di persone.
Si diresse verso il corridoio, e poi su per le scale, i suoi piedi lo portavano via velocemente da quella situazione senza che Gerard riuscisse a controllarli.
Si fermò alla fine della prima rampa, lontano da occhi indiscreti, curiosi o indagatori, si piegò poggiando le mani sulle ginocchia e rilasciò il respiro, si lasciò andare a boccate d’aria piccole e veloci. Sembrava un attacco di panico.
Ma Gerard aveva imparato a gestirli, era in grado di rilassarsi, di respirare e calmarsi.
Per prima cosa respirò profondamente, infatti, tornò dritto con la schiena e, facendo finta di nulla, continuò a salire le scale, deciso ad andare a sciacquarsi la faccia.
Continuò ad espandere la cassa toracica e a concentrarsi sul lavoro meccanico che compivano i suoi polmoni. Sentiva che stava già andando meglio.
Arrivato in cima alle scale, si diresse verso la porta del bagno e posò una mano sullo stipite, deciso a costringersi ad ignorare il giramento di testa dovuto alla tachicardia che ancora non lo abbandonava.
Respirò ancora, ad occhi chiusi, e quando sentì dei passi alle sue spalle non li ascoltò davvero, il proprio cervello li registrò e basta.
Il training autogeno stava procedendo bene, sentiva il battito del proprio cuore che pian piano rallentava. Presto sarebbe passato tutto.
La mano sulla spalla però la percepì davvero, stavolta, il suo cervello reagì al tocco, al contrario della reazione che non aveva avuto per i passi uditi qualche secondo prima.
Immaginò che fosse Mikey, in quella frazione di secondo che la mano impiegò per far forza ed invitarlo a voltarsi, e si sentì ancora meglio.
Agli occhi di Frank nei suoi, però, non era preparato. Non lo aveva immaginato, non lo aveva ipotizzato, non aveva osato neppure sognarlo.
Lo sguardo del suo cielo blu era eloquente, c’erano così tante cose che esprimevano quegli occhi, gli urlavano così tante parole che non riusciva ad afferrarne neanche una.
Gerard non voleva fraintendere e non aveva intenzione di dare peso all’amore da cui si sentiva inondato con quello sguardo addosso.
Così continuò a scavare con i suoi occhi in quel colore meraviglioso di cui erano dipinti quelli di Frank. Forse stava chiedendo conferme, forse stava semplicemente catturando tutta la sua bellezza.
Lo aveva sognato per così tanto tempo, quel momento… non gli sembrava vero, non si sarebbe stupito se si fosse svegliato e si fosseritrovato nello scomodo letto della sua stanza, nella clinica di riabilitazione.
Frank camminò lentamente verso di lui, allungò una mano alle spalle di Gerard e quel movimento fece sfiorare i loro petti.
Gerard sussultò impercettibilmente, boccheggiò senza sapersi trattenere, poi sentì scattare la maniglia della porta dietro di lui.
Frank continuò ad avanzare senza staccare il contatto visivo dai suoi occhi, le labbra socchiuse e i loro petti uniti da più pressione, che spinse Gerard ad indietreggiare di conseguenza.
Continuarono a studiarsi mentre a piccoli passi procedevano oltre la porta.
Dell’attacco di panico non c’era più traccia, o forse era nel pieno di quella crisi d’ansia, magari era svenuto e stava vivendo quel sogno magnifico.
Frank non gli aveva rivolto la parola, Gerard non osava farlo, troppo preoccupato di risvegliarsi da quella proiezione che probabilmente la sua mente gli stava proponendo.
Ad un tratto Frank si fermò e allungò il braccio oltre le proprie spalle. Gerard sentì la porta chiudersi, poi vide lo sguardo fisso di Frank vacillare, spostarsi sulle sue labbra per poi tornare di nuovo ad incollarsi ai suoi occhi. Quei secondi in cui Frank alternava quelle occhiate dalla sua bocca ai suoi occhi increduli sembrarono durare in eterno. Istintivamente, anche Gerard portò la propria attenzione sulle labbra di Frank, vide scintillare il piercing, si perse nel ricordo, a pensare alla morbidezza di quelle labbra.
Gli venne in mente un bacio, uno preciso, una volta, durante un concerto, Frank aveva perfino smesso di suonare la chitarra e gli aveva posato le mani sui fianchi.
Chiuse gli occhi e li strizzò, sospirando forte, scosso da brividi che partirono dal centro della schiena e che si irradiarono rapidamente verso il resto del proprio corpo, fino alla punta di ogni capello che aveva attaccato sulla cute.
Aveva come l’impressione che Frank volesse dirgli qualcosa, aveva la tentazione di parlare, lui per primo, di esprimersi, ma era completamente confuso, non avrebbe mai saputo cosa dire.
La testa di Frank si spostò verso la sua, il viso si avvicinava come calamitato, stava per crollare sul suo, Gerard trattenne il respiro.
Quando la bocca di Frank si scontrò con la propria sussultò ancor più di come aveva fatto poco prima, ripensando a quel bacio.
Frank arpionò le mani sulla t-shirt che indossava Gerard, lo strinse e con le dita gli accarezzò, affamato, la pelle del fianco.
Gerard crollò davvero, rilassò le spalle e allungò in fretta le mani sul collo di Frank, ne spostò una sulla nuca, percorrendo un tragitto che aveva sempre amato tracciare. Prese delle ciocche di capelli tra le mani, le strinse e quasi percepì le ginocchia cedere quando la lingua di Frank gli scivolò in bocca in modo così naturale che sembrava essere esattamente quello il suo posto, intrecciata alla sua.
Una volta, uno di quei giornalisti troppo curiosi e molto sfacciati gli chiese a bruciapelo cosa aveva provato a baciare Frank, Gerard era stato preso in contropiede, non si aspettava una domanda del genere, eppure le parole gli scapparono dalla bocca come se si fosse preparato da mille anni quella risposta: magico, fuochi d’artificio, aveva detto con un sorriso che nessuno avrebbe mai potuto vedere, dato che erano a parlare per telefono.
Ed era stata l’unica e sola risposta che avrebbe mai potuto dare, era questo che provava ogni volta che gli si avvicinava: sentiva qualcosa accendersi in lui, come una fiamma improvvisa scattata da un accendino immaginario. Era piccola, sì, era anche blanda volendo, ma aveva lo stesso effetto della prima volta che un uomo primitivo aveva avuto a che fare con il fuoco. Era qualcosa di grandioso, quasi di magico, perché Gerard non aveva mai provato nella sua vita emozione del genere e poi “boom”, arrivava un botto, un’esplosione. Accanto alla fiammella c’era una miccia e quel calore si spandeva, quella luce si quintuplicava, si moltiplicava quasi infinitamente, creando scintille che, fino a che non le vedevi con i tuoi occhi, eri certo che non esistessero.
E poi ci sono quelle cose, nella vita, di cui resterai sempre stupito, pensava Gerard, come i fuochi d’artificio: sai della loro esistenza, sai come sono, sai cosa ti aspetta quando stai per vederli eppure, poi, quando il cielo buio viene squarciato da quelle luci guizzanti e colorate non puoi fare a meno che stare col naso all’insù, non riesci a staccare il contatto visivo da quello spettacolo magnifico che assomiglia sempre ad una piccola magia.
E Frank lo sarebbe sempre stato: quella piccola magia che lo avrebbe ogni volta fatto restare a bocca aperta, incredulo, con quelle luci colorate impresse nella retina che avrebbero continuato a riprodursi anche dietro le sue palpebre chiuse.


Il tocco di Frank si fece più audace, senza rendersene conto si ritrovò schiacciato contro le piastrelle del bagno con Frank completamente appoggiato su di sé. Ed era una sensazione magnifica, sentiva caldissimo, il corpo di Frank contro il proprio era stato il suo sogno proibito per gli interi tre mesi trascorsi alla clinica. Frank lo voleva, lo voleva ancora e Gerard era in estasi.
Rendersene conto era quanto di più appagante avrebbe mai potuto immaginare, le sensazioni che provava erano sconvolgenti, nemmeno rivivendo in un sogno qualche loro incontro sarebbero state così potenti e destabilizzanti. La realtà, in quel momento, superava di gran lunga l’immaginazione e sì, si sentiva quasi felice.
Quasi.
Frank era arrivato ad accarezzarlo con le mani aperte sui fianchi, saliva, fino ad arrivare al petto. Lo stava toccando con foga, sembrava che dovesse memorizzare, con il tocco delle sue mani, ogni minima parte del corpo di Gerard e intanto continuava a spingersi contro di lui, continuava a baciarlo.
Gerard tentava di respirare dal naso, ma tra l’impeto di passione e gli ansimi che gli sfuggivano incontrollati dalle labbra, premute contro quelle del suo chitarrista, era difficile anche fare le cose basilari per sopravvivere. Forse sarebbe soffocato, ma non riusciva a porre fine a quel bacio, che sembrava durare da ore.
Gli era così mancato… non si sentiva così desiderato da un mucchio di tempo, da tre mesi ovviamente, e gli incontri solitari con se stesso non erano certo paragonabili ad avere Frank addosso e le sue attenzioni reali, non soltanto immaginarie.
Frank era in grado di farlo entrare in un’altra dimensione, sapeva farlo volare pur restando con i piedi a terra perché lo coinvolgeva emotivamente, non solo a livello fisico. Frank gli sapeva donare tutto, ogni cosa di cui aveva bisogno e sarebbe stato davvero bello se anche Gerard fosse stato capace di dargli le stesse cose. Invece non aveva fatto altro, da tutto il tempo che si conoscevano e condividevano le loro vite, che dargli problemi e creargli preoccupazioni e disagi.
Era un’impresa ingestibile stare accanto a lui, Gerard ormai ne era consapevole.
Ma lo sognava anche ad occhi aperti, a volte, di poterlo rendere felice e di vivere quella vita insieme per cui tanto avevano lottato per tentare di ottenere.
Il fatto era che Gerard non si era impegnato abbastanza, a quei tempi, Frank si era affannato, si era preso cura di lui, lo aveva amato, glielo aveva detto anche a voce, un mucchio di volte e lui invece aveva ricorso anche a dei colori pur di non lasciarsi sfuggire quelle parole che avrebbero potuto mettere in pericolo Frank.
La sua unica preoccupazione era sempre stata quella: non mettere Frank nei guai.
Eppure ora era lì, tra le sue braccia a lasciarsi baciare e toccare mentre al piano di sotto la sua fidanzata lo stava aspettando.
Era così sbagliata, tutta quella situazione… non poteva permetterlo.
Frank doveva essere felice, doveva vivere in pace e avere a fianco persone che gli trasmettevano tranquillità.
Quella troia insistente sembrava davvero perfetta per lui. E se Frank aveva anche solo una possibilità di essere felice e di sentirsi completo con lei Gerard non voleva negargliela.
Posò i palmi aperti sul petto di Frank, allontanandolo senza essere brusco. Gli tremavano le braccia e compì uno sforzo immane per scostarselo di dosso.
Il suo chitarrista non oppose resistenza e Gerard trovò il suo viso dipinto di un’espressione estasiata quando riuscì a guardarlo da una distanza adeguata. Sembrava quasi appagato, quasi felice.
Gli riservò un sorriso e Gerard non riuscì a ricambiare, era troppo convinto di ciò che aveva appena finito di pensare.
Lui non era una buona alternativa a Jamia, lui non era un’alternativa e basta.

- Io credo che dovresti tornare al piano di sotto.- gli suggerì abbassando lo sguardo sui loro bacini ancora accostati l’uno all’altro.
Sospirò, prendendo grandi boccate d’aria, tutta quella di cui i suoi polmoni erano in deficit, tutta quella che gli mancava anche in quel momento, nonostante non avesse più le labbra di Frank premute sulle sue ad ostacolargli la respirazione.
Era così agitato, così confuso. E triste.
-Io… no! Perché dovrei tornare giù?- chiese corrugando la fronte, facendo una smorfia imbronciata e adorabile.
Gerard lo avrebbe rinchiuso in quel bagno con lui per tutta la vita, ma non poteva dirglielo, non poteva rischiare di indurlo ad impantanarsi di nuovo in quella relazione così dolorosa e sbagliata.
Gerard voleva vedere sorrisi sul suo viso, anche se non ne sarebbe stato lui l’artefice. Ma era difficile da spiegare e Frank non avrebbe capito, sarebbe stato accecato solo dai sentimenti che provava nei suoi confronti e non avrebbe ragionato verso la decisione giusta. Avrebbe agito d’istinto, di cuore, e Gerard pensava che era arrivato il momento di metterlo in un angolo, il cuore, almeno il proprio, e fare scelte pensate, senza sentimenti  imperfetti che prendevano il sopravvento.
Frank meritava la perfezione.
-Perché c’è qualcuno che ti aspetta, forse?!- ironizzò riferendosi alla ragazza che Frank aveva abbandonato, probabilmente con Mikey, per seguirlo fin lì.
- Non mi aspetta nessuno. Non mi interessa. Voglio stare con te.- sospirò tutte quelle frasi insieme, come se l’una dipendesse dall’altra, come se avessero senso. Tornò a baciarlo, o perlomeno ad accostare di nuovo le labbra alle sue, ma Gerard spostò la testa lateralmente, sfuggendo a quel contatto.
- Vai giù.- gli intimò di nuovo.
Frank lo guardò stralunato, confuso, quasi incazzato.
-No.- ribadì scavando negli occhi di Gerard con uno sguardo un po’ spaurito.
Il cuore di Gerard stava disperandosi nel vedere un’espressione del genere sulla faccia del ragazzo che amava, ma non poteva farci niente. Non aveva trascorso mesi interminabili via da casa per tornare e ricadere negli stessi errori, per tornare e comportarsi sempre nello stesso identico modo, facendo del male agli altri, fregandosene, dando importanza prima a se stesso e ai propri desideri.
Era arrivato il momento di essere altruista, di riparare ai suoi sbagli passati, di dimostrare che era veramente cambiato e che avrebbe messo a repentaglio il suo di benessere in favore di quello degli altri.
Era arrivato il momento di dimostrare alle persone che amava quanto le amava.
-Okay, se vuoi resta pure qui, io scendo, gli ospiti mi aspettano.- dichiarò scostandosi dal corpo di Frank e iniziando a muoversi per andarsene sul serio.
-Dove credi di andare?- Frank lo riafferrò al volo per un polso.
- Te l’ho detto, no?- chiese retoricamente, ma stava tremando. Forse l’attacco di panico non era ancora giunto al termine o forse stava spezzandosi qualcosa dentro di lui, nel fingere quell’indifferenza.
- No, non mi interessa. Che si fottano gli ospiti. Che si fottano tutti!- quasi gridò Frank, in preda ad una frustrazione visibile.
- Perché devi andartene, non lo capisci che ho sognato questo momento per talmente tanto tempo che sembra che ti abbia visto per la prima volta, qualche minuto fa?- gli domandò, il tono della voce che trasmetteva disperazione.
- Appunto. Fingi di avermi visto per la prima volta. Non puoi provare nulla per uno sconosciuto, non puoi chiuderlo in un bagno e baciarlo, non puoi… tu non hai il diritto—iniziò a dire, cercando di essere convincente e non tentando nemmeno di guardarlo negli occhi.
- Io ne ho tutto il diritto, invece.- sbraitò Frank interrompendo la valanga di idiozie che stava ammassando insieme per uscire da quella situazione nel modo che aveva pianificato.
- Io… tu… tu non sai quello che ho passato in questi mesi, non sai cos’avrei fatto… sarei stato disposto a diventare un fantasma se qualcuno mi avesse assicurato che avrei potuto venire da te e rivederti e ora tu… che cazzo dici? Che vuol dire che devo fingere di non averti mai conosciuto? Che c’è sotto, dove vuoi arrivare?- gridò davvero, stavolta e Gerard fu certo che, se non avesse avuto un salotto pieno di gente che chiacchierava amabilmente, chiunque avrebbe potuto sentirli.
- Non urlare.- gli suggerì.
- Non urlare?!- urlò ancora di più guardandolo con gli occhi sbarrati.
- Io urlo fino a farmi sanguinare la gola, se voglio!- si impuntò. Era davvero arrabbiato e Gerard aveva come l’impulso di fermare tutta quella discussione e dirgli che sì, aveva detto solo un mucchio di cazzate, che non doveva fingere niente, che doveva amarlo come aveva sempre fatto e che forse, stavolta, lui sarebbe stato pronto a ricambiare e ad impegnarsi, ma… purtroppo c’aveva riflettuto troppo per lasciar cadere tutta la teoria che aveva elaborato per renderlo felice e allontanarlo da se stesso.
Era la cosa giusta, ne aveva parlato anche con lo psicologo, e quello psicologo gli aveva insegnato molto.
- Io… io avevo immaginato che… cazzo, Gerard- Gerard si ripeté in mente, non Gee, Gerard.
- Avevo immaginato che ti fossi mancato, che anche tu non vedessi l’ora di rivedermi, che avessi trascorso quel tempo a pensarmi, a sognare di riabbracciarmi e di riavermi…- e quella parola, “riavermi” gli fece provare qualcosa di così intenso, di così forte che boccheggiò come se avesse appena ricevuto un pugno in pieno stomaco.
Frank era suo. Frank si sentiva ancora suo.
Percepì la potenziale possibilità di scoppiare in lacrime.
Piangeva spesso, ultimamente e ora sarebbe stato in grado di disperarsi per ore, avendo fatto conoscenza un po’ con se stesso, al centro di riabilitazione.
Doveva andarsene.
Non era ancora pronto, non aveva messo in conto quanto facesse male far del male a Frank, ma era per il suo bene.
E quella frase suonò talmente incoerente e contorta, addirittura nella propria testa che si sentì ancor più convinto che spiegarsi non sarebbe servito a niente.
Doveva indurre Frank ad odiarlo, doveva fargli vedere chi era, cosa era capace di fare, non doveva raccontargli di quel bosco immaginario che aveva dentro, doveva mostrarglielo.
Frank, prima o poi, se ne sarebbe accorto che era solo una piantaccia infestante.
Non una violetta delicata e colorata come lui.


Pansy… ci ripensò e sorrise.
-È divertente, per te, ascoltare quanto sono patetico, non è vero?- disse riferendosi a quel sorriso che aveva appena piegato le sue labbra. Morì di colpo perché non era così, Gerard non pensava questo, era incredibilmente romantico quello che aveva detto e, anche se non capiva come potesse esistere Jamia al suo fianco quando lui pensava e sognava certe cose, si sentì amato e non c’era nulla di patetico in quella sensazione.
Se ne convinse ancor di più della perfezione che costituiva Frank.
Ora doveva trovare un motivo valido e l’idea non tardò ad arrivare perché Frank gliela servì su un piatto d’argento, forse anche d’oro.
-Hai conosciuto qualcuno al centro, non è così?- domandò con rabbia. Quasi certo di quel che stava dicendo.
- Già.- sussurrò Gerard. Quello era un gran bel motivo per spingerlo ad odiarlo.
- Cosa?- avrebbe voluto domandare Frank, ma dalla sua gola non uscì altro che un sussurro sbigottito che non assomigliava nemmeno lontanamente ad una domanda.
Gerard si stava sentendo morire, quindi non riuscì a confermare di nuovo. Ci si sarebbe abituato. Forse.
- Non ci credo… non ci credo- iniziò ad imprecare Frank.
- Ed io come un fottuto illuso qui, a contare i giorni che ci separavano. Sono un coglione.- ragionò ad alta voce e se non stava piangendo era solo perché era troppo arrabbiato.
- E tu sei uno stronzo, un grandissimo bastardo stronzo.- gli sputò addosso. Gerard incassò, continuò a sfuggire dai suoi occhi, continuò a non affrontarlo.
- Nemmeno mi guardi, eh?!- gli domandò, infatti, con aria di sfida.
- Certo che è andata così, io dovevo perfino immaginarmelo che sarebbe andata a finire così. Non ci vuole un cazzo ad essere meglio di me, non è vero? È così facile essere migliore di Frank Iero, così facile.- si stava sfogando e gesticolava come suo solito, Gerard se ne stava fermo, ancora con la schiena appoggiata alle piastrelle del bagno, ancora senza guardarlo.
- Guardami e dimmi che non mi ami.- gli ordinò il suo chitarrista.
Gerard salì piano con lo sguardo e studiò ancora la sua figura, di nuovo, come se non lo avesse appena visto e appena toccato. Gli veniva da vomitare e voleva piangere, ma doveva essere forte, doveva affrontare la vita, le conseguenze delle sue azioni e comportarsi per la prima volta da uomo.
Puntò gli occhi nei suoi, finalmente e sentì il cuore esplodergli.
-Non ti amo, Frank.- si fece violenza nel pronunciare quelle parole, ma almeno Frank, il suo Frank, si sarebbe finalmente messo l’anima in pace e avrebbe capito, una buona volta, che era nei confronti di Gerard che valeva quella regola: tutti potevano essere migliori di lui. Chiunque. Anche la ragazza che lo adorava e lo stava aspettando al piano di sotto.
Il pugno che gli arrivò in pieno viso, beh, quello non lo aveva calcolato. Si portò la mano sullo zigomo che Frank gli aveva appena colpito con le nocche e lo guardò istintivamente.
Frank era pronto ad accogliere il suo sguardo, gli puntò gli occhi lucidi e colmi di lacrime nei suoi e si esibì in un sorriso falsissimo.
-Bentornato Gerard.- sputò sprezzante.
E poi se ne andò, lo lasciò in quel bagno addolorato e provato dagli effetti collaterali dei suoi comportamenti di merda.
Lo psicologo gli aveva spiegato che era essenziale fare i conti con il passato per poi tornare a vivere ed iniziare finalmente ad avere stima di sé. E forse in quel momento, con quelle parole, con quel pugno, il vecchio Gerard era definitivamente morto.
Ora sarebbe rinato da quelle ceneri, scartando la polvere nociva, e si sarebbe trasformato in qualcosa di migliore, proprio come una fenice.
  
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