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Autore: BowtiesAreCool    02/03/2016    3 recensioni
AU Clint/Phil - Accenni Stony - Universo Agent Of Shield - Post Avengers: AoU
Clint fece una smorfia. “Niente di buono viene dagli archeologici. Ti posso citare tre casi. Indiana Jones. Lara Croft. River Song.” E, per meglio chiarire il concetto, alzò le dita della mano destra per enumerarli.
Phil gli riservò un'occhiata accondiscendente -Da quando si era unito alla squadra, poco tempo prima, per farlo ritornare attivamente sul campo e dargli una mano a ricominciare dopo lo scioglimento degli Avengers, Phil tendeva ad essere troppo protettivo e condiscendente con lui -Che fosse scegliere il film da vedere tutti insieme il giovedì sera o durante una missione contro dei terroristi. "Stiamo solo andando a dare un'occhiata, Barton."
“Anche noi a Sokovia volevamo soltanto dare un'occhiata.”
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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When My Time Comes


 


Quando Clint Barton si decise ad alzare gli occhi dal fascicolo, il Bus era entrato nello spazio aereo francese da almeno quindici minuti. Appollaiato, non c'era altro modo per dirlo, su una delle poltrone del Jet -Ricostruito a seguito dell'attacco alla base HYDRA nell'artico quasi un anno e mezzo prima- aveva trascorso la durata del viaggio immerso nei dossier e a spiegare per l'ennesima volta sia a Skye che a Fitz-Simmons tutto quanto era riuscito a raccogliere circa le Gemme Dell'Infinito. Di tanto in tanto si passava la mano lì dove, la prima volta che era penetrato a Sokovia con i Vendicatori, era stato colpito da una pallottola laser, sul fianco destro; talvolta smozzicava un sorriso, tentava una battuta e tutti vedevano nei suoi occhi gli occhi senza vita di Pietro Maximoff. Al che, tutti tacevano. “Com'é che sei in rapporti con un'archeologa della Loira, Direttore?” Indagò Occhio Di Falco, restituendo il dossier a Coulson e tornando ad accomodarsi contro lo schienale di pelle. “Sei davvero convinto che ci sia qualcosa di grosso, là fuori, o vuoi soltanto farti una scorpacciata di escargots senza precedenti?”
Coulson si accomodò accanto a lui, riprendendo il dossier e sfogliandolo velocemente: “Dopo quello che é successo in Perù tre anni fa, ho deciso di tenermi in contatto con alcune associazioni che si occupano di archeologia o studio del territorio. Qualche 0-8-4 può spuntare dove meno ce lo aspettiamo.”
Clint fece una smorfia. “Niente di buono viene dagli archeologici. Ti posso citare tre casi. Indiana Jones. Lara Croft. River Song.” E, per meglio chiarire il concetto, alzò le dita della mano destra per enumerarli.
Phil gli riservò un'occhiata accondiscendente -Da quando si era unito alla squadra, poco tempo prima, per farlo ritornare attivamente sul campo e dargli una mano a ricominciare dopo lo scioglimento degli Avengers, Phil tendeva ad essere troppo protettivo e condiscendente con lui -Che fosse scegliere il film da vedere tutti insieme il giovedì sera o durante una missione contro dei terroristi. "Stiamo solo andando a dare un'occhiata, Barton."
“Anche noi a Sokovia volevamo soltanto dare un'occhiata.” Attento a che Skye non li stesse ascoltando e Fitz-Simmons fossero troppo occupati a cercare segnali e firme di qualche tipo, Clint si chinò in avanti per osservare il Direttore di sottecchi. “Se é davvero una Tu-Sai-Cosa, allora siamo nei guai.”
"Ho chiesto a Stark di contattare Thor e non toccheremo nulla finché non sarà arrivato. Prenderemo tutte le precauzioni possibili, sta tranquillo."
Barton sospirò e strofinò la mano tra i capelli corti, per poi appoggiare i polpastrelli gli uni contro gli altri e sbatacchiare impercettibilmente i palmi tra loro. “Che ne dici di un week-end a Parigi, dopo che la nostra missione si rivelerà l'ennesimo falso storico e niente di troppo pericoloso? Siamo in Francia, tanto vale approfittare.”
Phil sollevò un sopracciglio, guardandolo incuriosito: "Parigi? Cosa hai intenzione di fare, Barton?"
“Una cena sui tetti, una visita al Louvre. Non lo so, una capatina al Crazy Horse o al Moulin Rouge...”
"Mi stai proponendo una fuga romantica o una semplice vacanza in compagnia? No, perché in quel caso possiamo fare una gita tutti insieme."
Clint scrollò le spalle e si abbandonò ad un respiro lungo, che gli lasciò i polmoni con un che di stanco e spossato. E no, non potevano essere le ore di aereo: dacché avevano lottato contro Ultron, dacché Pietro era morto, dacché aveva ritrovato Phil vivo e vegeto -E a capo dello S.H.I.E.L.D., Occhio Di Falco appariva costantemente spossato, provato, come se, per quanto si sforzasse, non fosse in grado di sopportare il peso che gli gravava sulle spalle.
“Una gita romantica no, eh?” E un sorriso gli sorvolò rapido la bocca e subito scomparve.
Phil inclinò appena il viso, come se lo stesse studiando. “Quando tutto si sarà chiarito potremmo passare un paio di giorni da soli.”
"Ottimo." Clint reclinò la testa all'indietro, serrando le braccia al petto. "E smettila di guardarmi come se fossi un insetto in vitro. So di essere piacente." Lieve sogghigno. "Ma così mi metti in imbarazzo."
Phil piegò appena le labbra, "Ma non sei più quello di una volta."
"Neanche tu." Gli ricordò l'altro -Senza ombra di cattiveria, senza intenzione di essere velenoso, senza desiderio di fare del male. "Ne abbiamo passate parecchie e non ci siamo fatti mancare nulla, in quanto ad esperienze al limite della follia."
Il Direttore stava per rispondere quando giunse la voce di Melinda. "Atterraggio previsto fra cinque minuti." "Prepariamoci."
L'area di scavo era ampia, circondato da una recinzione non poi così alta come Clint si sarebbe aspettato, e posto nella verdeggiante campagna francese; poco distante, alcune casupole con comignoli e tegole rosse facevano mostra di sé con ridente chiarezza di terrazzi coperti di fiori e botteghe vinicole. Rimarcava, inoltre, il fatto di essere l'unico centro abitato nel raggio di kilometri. Lo scavo aveva messo alla luce una necropoli e aveva trovato, in una delle sepolture, un corredo dove -In teoria- non avrebbe dovuto esserci. Questo, insieme ad una foto di scarsa qualità ed un qualcosa che l'archeologa non aveva voluto rivelare, aveva fatto sì che Coulson mobilitasse la squadra in direzione del Paese dello champagne e delle lumache. Edith Cotillard, l'archeologa, li stava aspettando dinanzi al cancello d'entrata, dove campeggiava un grosso cartello che proibiva l'ingresso ai non addetti ai lavori e alle persone non autorizzate. Indossava una maglia lisa dai troppi lavaggi e le cui trame erano irrimediabilmente impregnate di sabbia, polvere, e quant'altro. Si era riparata la testa dal sole con una bandana giallo canarino, che faceva sembrare i suoi capelli ancora più sporchi e insozzati di sudore; i pantaloni da lavoro, sgualciti sulle ginocchia, erano verde militare con schizzi di fango sull'orlo e sui fianchi. Tolte le scarpe anti-infortunio, comunque, e i pratici vestiti da scavo, Edith sarebbe comunque apparsa con una graziosa quarantenne, coi capelli biondi, il naso affilato e labbra disposte al riso quanto al bacio. "Coulson." Fece, allungando la mano coperta da un guanto spesso e ruvido -E non riuscendo a non accentare la "o" del cognome dell'Agente. "Sono felice che sia arrivato."
L'uomo le strinse subito la mano, "Il piacere é tutto mio." Si guardò attentamente intorno, "Sono davvero incuriosito dalla sua scoperta e la ringrazio di avermi chiamato."
"Non sapevo a chi altro rivolgermi. Ho visto cosa é successo di recente a Sokovia e in Wakanda." la donna sollevò le sopracciglia chiare. "Preferirei davvero che niente di tutto quello capitasse qui."
"Siamo Vendicatori, non cavalieri dell'Apocalisse." Puntualizzò Occhio Di Falco -Che già s'era arrampicato sulla rete e da lì era balzato sul tetto della casupola degli attrezzi, in modo da avere un buon punto di osservazione. "Dov'é la causa di tutti i nostri problemi?" Edith assottigliò le labbra, col medesimo, altezzoso disprezzo che tanto faceva cliché quando si parlava dei francesi, e accennò a Coulson e Fitz -Dietro di lui col Padd stretto tra le mani- perché la seguissero. "Forse mi sono lasciata prendere dal panico." Concesse. "Ma mio nonno ha aiutato i Monuments Men durante la Seconda Guerra Mondiale e suo fratello, anche lui archeologo, ha aiutato dei vostri uomini per quanto riguardava la folle mania di Hitler per la magia, l'occulto e alcuni oggetti particolari dal presunto carattere mistico. Ha conosciuto Capitan America, ma non lo ha mai perdonato di aver rifiutato l'invito a mangiare rane."
Coulson piegò le labbra in un lieve sorriso. "Il Capitano ha gusti molto più semplici." La seguì, poi, richiamando Fitz-Simmons perché scandagliassero anche il terreno circostante. "Cosa avete trovato, di preciso?"
"Quello che all'inizio ritenevo fosse un gioiello. Il che sarebbe stato del tutto incompatibile col periodo cui appartiene la necropoli."
L'archeologa si fermò alla porta del casotto degli attrezzi e si girò, ad osservare i colleghi di lavoro nella piana poco più distante. Alcuni di loro erano piegati a scavare, chi con la pala, chi con una piccola cazzuola tagliata; altri prendevano punti di riferimento con un prisma piuttosto alto, alcuni lavoravano la terra con pala e piccone. Quando e se giravano gli occhi nella loro direzione, subito li abbassavano -Mormorando però qualcosa fra di loro.
"Ma non ci sono segni di lavorazione. E'... Perfettamente ovale, perfettamente liscio. Sembra oro, ma non lo é."
Un lieve /stump/ annunciò che Clint era saltato sull'erba. Infatti, Phil ne poté avvertire la presenza lieve contro la spalla, il corpo vibrante, concentrato e pronto all'azione.
"Possiede una propria luminescenza." Proseguì la donna e aprì la porta cigolante. Dall'interno delle lamiere eruppe un'ondata di aria calda, soffocante. "Nessuno di noi l'ha toccato. Sono riuscita a prenderlo chiudendolo fra le due parti di una scatola come si farebbe con una lucciola."
Phil scambiò un'occhiata con Clint, guardando, poi, gli altri archeologi. "Quanti di loro l'hanno vista?"
"Il ragazzo che l'ha scoperta." L'espressione della donna divenne improvvisamente seria, cupa e schiva. "Adesso é al seminario vescovile dove alloggiamo: ai colleghi ho detto che l'ho fatto rimanere lì a causa di una insolazione." Occhio Di Falco socchiuse le palpebre e rivolse uno sguardo eloquente al Direttore. "Per quale motivo l'ha allontanato?"
"...Ha detto che la Pietra gli stava parlando."
Phil corrucciò appena l'espressione, "E che cosa gli diceva?"
"Che doveva portarla via. Che doveva proteggerla ed altre insensataggini del genere." Clint appoggiò la mano sul braccio di Coulson e lo tirò impercettibilmente indietro. "Non é bene." Sussurrò. "Non é bene."
Il direttore inclinò appena il viso verso il suo, "Le altre non hanno mai parlato, o sbaglio?"
"Thor ha cercato di spiegare che in qualche maniera la Gemma dell'Aether comunicava con Jane. Riguardo quella della mente..." Clint si umettò a disagio il labbro superiore, scolorendo appena agli zigomi. "Non rivanghiamo."
Annuì, "E' stato l'unico a vederla oltre a lei?" Chiese, rivolgendosi di nuovo alla donna.
"Non ho fatto avvicinare nessuno." Fece Edith e si scostò dall'entrata per lasciarli passare. "Quando Raphael, il ragazzo, ha detto quello... Ho capito che non era qualcosa alla nostra portata. E che era qualcosa di dannatamente pericoloso."
"La ringrazio." Coulson entrò guardingo, rivolgendosi di nuovo a Clint, "Potremmo mandare Simmons a controllarlo, solo per essere sicuri che la Gemma non l'abbia posseduto o abbia creato problemi. Fitz sta scandendo il territorio ma non credo troverà nulla. Quello che mi chiedo é: come ci é arrivata qui?"
"Non ne ho idea. Se ti dovessi dire, il come le Gemme arrivano da qualche parte é una delle cose che meno ho capito di tutta la faccenda." Edith, intanto, si era avvicinata ad uno scatolone di plastica addossato al muro opposto all'entrata. Si avvicinò ad esso e lo aprì, estraendone un barattolo di vetro simili a quelli che si usano per tenere la marmellata: all'interno di essa un ovale prezioso, un gioiello liscio, splendido a vedersi, entro cui esplodeva e sospirava e rumoreggiava una luminescenza dorata, un impalpabile alone che a seconda della visuale sembrava quasi liquido.
Phil prese il barattolo e se lo rigirò tra le dita, "É bellissima..."
Ci fu un battito sotto i suoi polpastrelli, come il palpito cardiaco e sangue che scorre. "Fa' attenzione, Phil." Sussurrò Clint. "Cosa senti?"
"Come se avessi un cuore vivo tra le dita." Sussurrò, avvicinando il barattolo al viso, "É affascinante."
"Attento. Non farti prendere."
"Non credo possa controllare la mente..."
Ci fu un rapido barbaglio da parte della Gemma -E Clint, dietro le spalle di Coulson, emise una sottospecie di sbuffo. "Non so perché, ma mi é appena venuta in mente quella volta in cui hai preso una delle mie cocche esplosive in mano. Credevo non funzionasse, l'hai rigirata un po' tra le dita per vedere quale fosse il problema... Per fortuna che ti sono rimaste le sopracciglia."
Phil allontanò la Gemma dal viso, "Credo che se non la si tocca non sia pericolosa."
"Oh, sì, lo dicevi anche della cocca..."
"Allora?" Con un che di impaziente nella voce, Edith si accostò loro. "La porterete via, vero? Non può stare qui."
"La porteremo via." Phil richiamò Fitz, "Non si preoccupi, non vi causerà altri problemi. Il ragazzo che l'ha trovata ora come sta?"
"Ritengo che stare lontano dalla fonte primaria della sua confusione sia quanto di meglio. E' insieme al mio collega, il dottor Lanfuss. E---" Li interruppe un ronzio. Aggrottando la fronte, Clint spinse con due dita la trasmittente che portava all'orecchio -Ne aveva in dotazione un modello particolare, strutturato perché non facesse contatto con gli apparecchi acustici- e contrasse la mandibola. "Qui Occhio Di Falco."
"Uscite da lì." Fece la voce di May, metallica e affilata come lama. "Fitz é subito fuori dal capanno, ma c'é un ammasso di persone che vi sta accerchiando. Uscite da lì."
Phil guardò la donna e poi il compagno, "Via!" Strinse il barattolo tra le mani e si diresse di corsa verso la porta, ma si scontrò con Fitz che stava entrando, "Stanno arrivando degli uomini armati!" Nello scontro, il barattolo cadde e si ruppe. "Cazzo--" Coulson si chinò e raccolse la Gemma con un fazzoletto per non toccarla, poi si girò a guardare Clint, "Coprici. Dobbiamo portare la Gemma al bus!"
"Un giorno mi pentirò di essere il solo con il porto d'armi." Ma mentre si faceva uscire dai denti quella battuta, Clint aveva già estratto una freccia dalla faretra e l'aveva incoccata. Precedette Edith -Pallida e bianca, con una veletta di sudore a coprirle le labbra- e scostò Fitz, perché rimanesse dietro di lui. "Okay, gente." Barton tirò indietro il gomito, la corda tesa e le vene impresse sui muscoli dell'avambraccio. "Non facciamo idiozie e io non vi pianterò una cuspide in mezzo agli occhi."
Phil strinse la Gemma tra le dita e sentì l'aria vibrare intorno a se. Scuotendo la testa per scacciare quella sensazione, estrasse la pistola e fece segno a Fitz di seguirlo mentre usciva circospetto dal capanno.
E se non fossero stati dei semplici civili, forse farsi strada a suon di colpi sarebbe stata l'unica soluzione per uscire fuori da un problema decisamente spinoso. Tuttavia non erano che civili quelli li stavano circondando: gli archeologici, infatti, avevano abbandonato i loro posti alle fosse e si erano assiepati loro intorno, pale e picconi e qualunque cosa si potesse usare per offendere, tenuto stretto tra le dita. I loro occhi non vedevano nulla, dalle loro bocche uscivano borbotti e sussurri incomprensibili, che parlavano di torti da raddrizzare ed eventi da cambiare, chi il giorno in cui il padre era rimasto investito da un guidatore ubriaco, chi per il cambio di facoltà, chi aveva accettato un lavoro, chi aveva sbagliato a lasciare la persona cara, chi aveva sbagliato a sposarla. "Andiamo." Tentò Clint, conciliante, consapevole di non poter mettere in alcun modo a rischio le persone che gli stavano davanti. "Andiamo, coraggio. Datevi una svegliata."
"Come Raphael." Bisbigliò Edith. "Come Raphael."
Phil osservò gli astanti basito, "Dev'essere la Gemma, ma perché noi non ne risentiamo gli effetti?"
"Forse perché noi non ci siamo in contatto da così a lungo." Propose Clint.
"Come Raphael." Continuava a bisbigliare Edith. "Come Raphael..."
"Sono dei civili, non possiamo colpirli." Il Direttore continuò a guardarsi intorno, per poi premere la mano sull'orecchio, "May puoi venirci a prendere?"
"Sono da voi." Poi, i guanti di Edith artigliarono con rabbia la spalla di Coulson. "Devo impedire che Raphael la trovi!" Strillò la donna e gli occhi quasi esplodevano dalle orbite, la bocca ululava gemiti e dai denti sputava saliva acida e bile. Un sibilo, un fischio, una freccia si conficcò proprio nel terreno ai piedi dell'archeologa. Un ronzio, ed ecco!, la bocca si illuminò ed emise un fascio di luce tale da far retrocedere la donna di qualche passo, mentre si copriva la faccia e abbaiava imprecazioni in francese. "Vede, Direttore?" Sogghignò Clint, estraendo un'altra freccia. "Ero sicuro di avere ancora qualche cocca per le manovre di evasion---" Si bloccò sul nascere e spalancò gli occhi. Emise un singulto strozzato ed il dardo che teneva tra le dita cadde tra l'erba. Gocce rosse picchiettarono sul terreno e lo impregnarono di sangue. Occhio Di Falco si portò una mano allo sterno -D cui fuoriusciva la punta acuminata e ora porpora di un piccone.
"Clint!" L'urlo di Phil riecheggiò per tutto lo scavo, mentre si gettava in avanti per raggiungere il compagno, la pietra stretta convulsamente tra le dita e un solo pensiero. "Devo salvare Clint!"
Devo salvare Clint.
Clint é ferito.
Devo salvare Clint.
Clint.
Salvare.
Ferito.
Clint.
Salvare.
Salvare.
Ferito.
Salvare.
S a l v a r e f e r i t o fe ri to Cli i nt
ClintferitosalvareClint
ClintClintClint—
E fu come se quel nome, quei concetti, cominciassero a sciogliersi tra le dita di Coulson, avvolgerlo in un bozzolo appiccicoso, una tomba di ambra in cui i muscoli si atrofizzarono e finanche il respiro perse ogni significato, ogni ragion d'essere. Il mondo divenne una lavagna bianca dove le sole cose chiare erano il nome di Clint e i due punti chiave: ferito. Salvare. Risucchiato da un vortice di nausea e privo di punti cardinali, di maniere di orientarsi, appigli cui aggrapparsi per non cadere, Phil venne scaraventato nel nulla e il silenzio rombava intorno a lui, gli premeva addosso, lo soffocava, lo faceva affondare, gli chiudeva polmoni e narici, gli torceva le labbra, sbranava il cuore. Fu solo un tocco delicato sulla fronte, leggero come una farfalla, a farlo riemergere. Una lingua di luce che scivolò nell'intangibilità del proprio essere e lo rese corporeo, restituì il suono cantalenante di un ventilatore, l'ovattato ciancichìo di una radio. Presero di nuovo forma gli odori, i profumi, e un vociare allegro trasportato da un soffio di vento che sapeva di gas di scarico.
Quando Phil riaprì gli occhi la prima cosa che notò fu la morbidezza del materasso: troppo comodo per poter essere la sua brandina sul bus o alla base. Spalancò gli occhi e scattò a sedere, riconoscendo una camera da letto, vecchia, molto vecchia. "Dove diavolo sono?"
"Oh. Vedo che si é svegliato." Aveva parlato una donna alta, non più in là dei trent'anni, coi capelli biondi lunghi sino alle spalle e la frangia che creava una deliziosa onda sulla parte sinistra del volto. Indossava un vestito lungo di vecchia foggia, bianco, con tre bottoni rossi sul petto e colletto scuro, piuttosto rigido. Non aveva le spalline, sicché le lasciava scoperte le braccia ben modellate ed il polso sottile. Era bella, ma... Sfiorita. Appassita, stanca, di quella bellezza che sboccia il mattino e la sera già s'era ridotta, incartapecorita, sgualcita. La donna si avvicinò alla sponda del letto e si sedette con rispettoso riserbo -E rispettosa distanza- da Phil. Intrecciò le dita lunghe in grembo e piegò la testa, un quieto sorriso sulle labbra truccate di rosa antico. "Come si sente? Ha sete?"
Phil la fissò stranito, una strana sensazione familiare proveniva dalla donna ma non riusciva a ricordare dove l'avesse già vista. "Scusi ma... Ci conosciamo? E come sono arrivato qui?"
Un'espressione perplessa e dispiaciuta, rammaricata, scurì gli occhi della donna. "Dunque non si ricorda? L'ho trovata sul marciapiede: si reggeva a stento in piedi. Aveva la febbre molto alta. Purtroppo non abbiamo il telefono e la macchina l'ha mio marito, altrimenti avrei chiamato un'ambulanza. Cosa si ricorda?"
"Io ero..." L'uomo corrucciò l'espressione, pensieroso, prima che i ricordi lo investissero violentemente. "Un mio amico é stato ferito! Devo tornare subito da lui!" Si sollevò dal letto ma ricadde seduto per un giramento di testa.
"Fermo!" Le mani delicate della donna lo sospinsero sul materasso, il volto accigliato nella tipica espressione della madre che rimbrotti il figlio discolo e disobbediente. "Dov'é é successo? E' stato un incidente? Qualcuno vi ha aggredito?"
"Si, io--" is stese sul letto e si toccò la giacca alla ricerca della Gemma,  "Avevo una pietra con me, l'ha trovata?"
"Una pietra? No." La donna si fece sospettosa. "Hanno cercato di portarvela via? Bisogna rivolgersi alle autorità."
Phil la guardò come se fosse impazzita: autorità? Se avevano preso la pietra solo i Vendicatori potevano fare qualcosa. Ma prima doveva capire come era arrivato lì. "Scusi i miei modi bruschi, ma devo trovare i miei amici." Si sollevò di nuovo, questa volta più cauto, e riuscì a mettersi in piedi.
"Signore, la prego! Ragioni!" La donna gli strinse il polso tra le dita e si drizzò in piedi. "Neanche un'ora fa si aggirava per le strade di Waverly in preda alla più totale confusione. Dice di non ricordare nulla e si regge in piedi a stento: la prego, la prego, sia ragionevole!"
"Waverly?!?" Coulson si girò a guardarla quasi inorridito, "Ha detto-- Ha detto Waverly?"
Questa volta, sul volto della donna apparve un barlume di paura. "Dove credeva che...?"
"Non é possibile..." Sussurrò, avvicinandosi alla finestra e aprendola: il paesaggio urbano lo lasciò ancor più smarrito -Era in Francia neanche dieci minuti prima, aveva la Gemma dell'infinito e Clint era stato ferito. Doveva tornare da lui, ma prima doveva capire come era finito in quel posto. Che la Gemma l'avesse fatto arrivare fin lì? Serviva forse a coprire le distanze più velocemente? Pregò che May fosse arrivata in tempo per salvare il compagno e si girò a guardare di nuovo la donna. I suoi occhi azzurri erano troppo simili a quelli di una persona di sua conoscenza. "Scusi la domanda, ma lei chi é?"
"Mi chiamo Edith." Rispose lei, con tranquillità e pacatezza. "Ha qualcuno da chiamare? Purtroppo temo di poterle offrire ospitalità solo fino ad una certa ora. Mio marito..." Fece un sorriso che non era tale e sviliva gli occhi, invece di accenderli. "Non é una persona molto caritatevole."
"Edith? Edith..." La bocca e gli occhi di Phil si spalancarono, "Ma in che anno siamo?" Chiese, incredulo.
"Nel..." Ma l'attenzione di Edith fu d'un tratto attirata da un visetto di bambino spuntato dalla soglia della camera: il ragazzo, di non più sette anni, aveva capelli ramati sparati verso l'alto, occhi scuri e sguardo guardingo, tutto puntato sulla figura di Coulson. "Barney, tesoro." Fece la donna, con un sorriso. "Puoi entrare: é un amico di mamma."
Anche gli occhi dell'uomo si spostarono sul bambino, sempre più allibiti: "Barney?" Guardò gli occhi del bambino e fu come folgorato da un'illuminazione: la Gemma l'aveva mandato indietro nel tempo. Parecchio indietro se si trovava davvero al cospetto della madre e del fratello di Clint. Ma perché lì? Perché in quel momento? Ripensò alla punta del piccone nello sterno del ragazzo: aveva desiderato salvarlo e la Gemma l'aveva -In una maniera contorta- esaudito. Anche se non capiva cosa c'era da salvare in quel tempo. Poi, una vocetta simile a quella di Jemma, gli ricordò una vecchia storia letta sui viaggi nel tempo -Di fantasia, certo, ma poteva essere veritiera a suo modo: se avesse modificato qualcosa nel passato, avrebbe potuto cambiare il presente, in maniera disastrosa.
Phil si strofinò il viso, improvvisamente demoralizzato: doveva trovare la pietra e doveva farlo subito.
"Un amico tuo? Perché non l'ho mai visto?"
"Perché abita lontano da qui. Dov'é tuo fratello?" Barney si ritrasse appena dietro lo stipite, le dita artigliate al legno scheggiato. "Al sicuro. Metti che quello lì é un commie o peggio, uno di quelli che ronza attorno a papà..."
"Barney!" Edith si mise in piedi e lo fissò con sguardo di fuoco -In una posa parecchio simile a Clint, le volte in cui riprendeva o redarguiva qualcuno. "Ti ho forse insegnato a mancare di rispetto alle persone?" Il bambino contrasse la bocca e abbassò la fronte. "No."
"Bene. Ora, perché non portate il mio amico alla pensione della signora Arnot? Così avrà un posto per la notte finché non avrà risolto le sue..." Si giro verso Phil, squadrandolo con espressione indecifrabile. "Faccende."
Phil incontrò il suo sguardo e sorrise appena, "La ringrazio, ma non ce ne bisogno. Devo solo trovare il modo di raggiungere i miei amici. Potrebbe dirmi dove mi ha trovato?"
"Poco distante dalla macelleria."
"Sembravi uno di quei morti viventi dei film." Intervenne una vocina impertinente e minuscola.
A Barney si era affiancato il fratello ed era la versione talmente.... Microscopica di Clint da fare tenerezza. Abbrancato alla schiena del fratello, osservavano Phil di sottecchi col medesimo, sguardo beffardo che anni più in là gli avrebbe rivolto ogniqualvolta ne avesse incontrato gli occhi.
Le labbra di Phil si aprirono in un dolcissimo sorriso quando incontrò gli occhi di Clint. Fece qualche passo verso di lui e si abbassò sulle ginocchia per guardare entrambi i bambini. "Avevo una pietra con me, piccola, ma molto luminosa. Per caso l'avete vista?"
Clint si ritrasse di scatto, spalancando appena gli occhi e deglutendo per il movimento improvviso -Un gesto meno contenuto di quello che aveva compiuto quando Phil era riapparso nella sua vita: allora, o meglio in futuro, avrebbe retrocesso di un passo impercettibile e le iridi, solo, avrebbero sfolgorato di quel guizzo metallico, i muscoli in tensione, un riverbero di tremito attraverso le vene. Barney pose un braccio dinanzi al fratellino, in segno di protezione, e fulminò Coulson con lo sguardo. "Non abbiamo trovato niente." Sbottò, ma nell'incontrare gli occhi di Edith il suo atteggiamento scorbutico si ammansì un poco. "Possiamo darti una mano a cercarla, se sei un amico di mamma."
Phil non si sorprese del loro comportamento -Dovevano temere la figura maschile visto che Harold non era di certo un padre esemplare. "Ve ne sarei molto grato e non abbiate paura, non vi farò del male." Poi si sollevò e guardò Edith: era bella, e lo doveva essere stata ancor di più prima di incontrare il marito. La sua bellezza sfiorita gli ricordava molto quella del compagno dopo Sokovia, dopo essersi spezzato di nuovo. "Non so davvero come ringraziarla."
"Lei mi sembra un uomo di fiducia." Disse lei, avvicinandosi e prendendogli le mani fra le proprie -I bambini erano già corsi all'entrata e si sentiva il loro mormorare cicaleggiante riverberare nel corridoio. "Non so come spiegarlo, ma so che é così. So che lei é un uomo di cui potermi fidare e che ha bisogno di aiuto. Mi spiace solo non poter fare di più."
Coulson le strinse le mani di rimando, "Mi creda ha già fatto tantissimo." Una parte di lui bisbigliò che avrebbe potuto aiutarla, salvarla, avrebbe potuto cambiare le cose per regalare a Clint l'infanzia che aveva sempre desiderato, libero di poter essere un bambino spensierato, insieme a sua madre e suo fratello. Ma il terrore di cosa sarebbe successo al suo presente se avesse cambiato il passato lo fece tremare. "Ha due bambini meravigliosi e sono sicuro la renderanno molto fiera."
"Sono il mio orgoglio. La luce della mia vita, l'unica cosa..." Lì le parole sfumarono e un accenno di lacrima baluginò sulle ciglia di Edith. Si affrettò a ritrarre le mani e schiarirsi la gola, passando piano le dita sullo zigomo come a voler cancellare una striatura invisibile. Sorrise, poi, cercando di riprendere maggior contegno. "Vada pure. Clint e Barney conoscono bene la zona: la aiuteranno. E prenda una stanza alla pensione, dica che la mando io."
Phil annuì e le sorrise appena, "Stia attenta." Le strinse brevemente una spalla e raggiunse i bambini alla porta, "Barney e Clint, giusto?" Sorrise, "Quanti anni avete?"
"Io sette e lui cinque." Rispose il maggiore, aprendo la porta che dava sulla strada. Clint sgambettò oltre il corpo del fratello ed il piccolo giardino retrostante la palazzina dove abitavano. Un altro ingresso, direttamente sul marciapiede, immetteva alla macelleria di Harold: da essa proveniva l'odore metallico del sangue, misto a composti chimici per disinfettare e rendere puliti i banchi dove tranciare e tagliare la carne. La serranda era abbassata: segno che, almeno per quel giorno, l'uomo non sarebbe stato lì col suo grugno porcino ad insegnare l'educazione coi pugni. "Sei un commie?" Chiese il minore dei fratelli, scoccando la frase con la stessa velocità di una delle sue famose frecce. "Un esperimento del KGB? Sei comparso dal nulla. Ti ho visto. Prima non c'eri, poi sì."
"Davvero?" Quella situazione era assurda, ma le labbra di Coulson non riuscivano a non essere piegate in un sorriso. Clint da bambino era qualcosa di meraviglioso e gli riportò alla mente tutte le volte in cui, permettendosi di sognare almeno un po', aveva immaginato una famiglia con lui, dei figli. Un piccolo Clint che correva per casa e che lo chiamava quando aveva paura del buio. Scacciando quei pensieri dalla mente si guardò intorno e si affiancò a Barney, "E' molto lontano da qui?"
"No." A prendere la parola fu il minore, ora di nuovo accanto al fratello. "E non hai risposto alla mia domanda. Se non sei un commie e non sei del KGB, allora sei un alieno?"
"No, non sono un alieno, mi sono solo perso." Abbassò il viso per guardarlo, "E voi cosa facevate lì? Non siete troppo piccoli per andare in giro da soli?"
"Gli insegnavo a rompere le bottiglie con le monete." Barney guardò Phil con sussiego -Per quanto un bimbo fosse capace di tale espressione-, gonfiando orgoglioso il petto. "Io sono bravo e lui deve imparare." Clint riservò a Coulson un'occhiata sospettosa. "Come ti chiami? Da quanto conosci la mamma?"
"Mi chiamo Phil e... Diciamo che la conosco da un po'." Si fermò per guardarsi intorno. Se aveva fatto bene i conti doveva trovarsi nel 1988, quindi lui aveva quindici anni. Una parte di se era tentata di prendere un qualsiasi mezzo e andare a casa, per poter rivedere sua madre e suo padre, ma non poteva. Doveva tornare nel suo tempo e sperare di non aver combinato qualche guaio con quel viaggio nel tempo. Il che lo riportava alla Gemma. Era stato stupido, avrebbe dovuto aspettare Thor o chiamare il Capitano e Stark come rinforzi, anziché andare così allo sbaraglio. "Siamo arrivati?"
"Quasi." Clint ora apriva la via e li stava portando lungo il marciapiede, lontano dal raggruppamento maggiore di case di Waverly. Si vedeva il verdeggiare dell'erba accarezzata dal sole, i comignoli quasi brillanti, una cittadina quasi incantevole, da fiaba, se la verità non fosse stata ben diversa. "Perché lo guardi così?" Indagò Barney, osservando Phil di sbieco. "Mio fratello. Sei un tipo a cui piacciono i bambini?"
L’uomo abbassò lo sguardo su Barney, "Cosa? No!" Scosse veemente la testa a sottolineare il concetto, "No, no, assolutamente no!"
"Mh." Il bambino socchiuse le palpebre "Perché se gli fai male io mi vendico."
"Non gli farò del male, te lo prometto." Incontrò la schiena di Clint e si morse le labbra -Non ancora, almeno. Poi lo raggiunse e si guardò intorno. "E' qui?"
Era uno spiazzo anonimo, con alberi sparuti e grigi, asmatici e raggrinziti, sul ciglio della strada. "Sì." Fece Clint e corse ad arrampicarsi veloce sui rami dell'albero più vicino. Il suo corpo minuto spariva e riappariva tra le foglie con l'agilità di uno scoiattolo. "Ma non si vede niente da qui." Annunciò, spuntando in mezzo alle foglie. "Il campo é grande."
"Accidenti." Phil cominciò a camminare avanti e indietro, guardando in ogni cespuglio e sotto ogni foglia. Gli era anche balzato alla mente che, se non l'avesse trovato, avrebbe potuto andare allo S.H.I.E.L.D. e chiedere l'aiuto di Fury -L'unico, forse, che avrebbe potuto credere alla sua storia. Sbuffò e guardò l'immensità dell'aria -Gli ci sarebbero voluti giorni per setacciarlo tutto.
"Ma che ha di così importante?" Clint, dall'alto del ramo, piegò la testa, incuriosito.
"E' l'unica cosa che può riportarmi a casa."
Ci fu uno strusciare mormorante di foglie, quindi la figura del bambino cadde quieta e sinuosa dai rami. Un /tump/ ovattato sull'erba ed ecco che Clint era accanto a Coulson e lo fissava di sottecchi, dal basso dei suoi cinque anni. "E dov'é casa tua?"
Phil si riscosse dalla ricerca e abbassò gli occhi sul bambino: "Molto lontano da qui, purtroppo." Poi si abbassò alla sua altezza, "Hai visto se c'era qualcuno accanto a me quando mi avete trovato?"
Il piccolo scosse la testa con veemenza. "Eri da solo. Straparlavi, ma eri da solo."
Socchiuse appena gli occhi, "Cosa dicevo?"
"Ferito."
Phil corrucciò l'espressione, "Solo questo?"
Il bambino scrollò le spalle e stava per aggiungere altro, forse, quando gli occhi sgranarono al punto che la faccia parve rimpicciolirsi sotto la spinta delle orbite. Impallidì all'altezza degli zigomi e retrocedette, alla ricerca di Barney -Questi, però. era già al fianco del fratello minore e lo aveva preso per la spalla e per il braccio, traendolo indietro. "Ehi!" Abbaiò una voce grossa, pendula e sbiascicante, come se la lingua, invece che sui denti, stesse sdrucciolando su una lastra bagnata. "Ehi, tu! Cosa stai facendo ai miei figli, eh?"
Phil si sollevò subito e, istintivamente, vedendo l'espressione terrorizzata sul volto dei bambini, vi si mise davanti per proteggerli. "Nulla, signore, mi hanno visto in difficoltà e mi stavano aiutando."
"Ah, sì?" Harold Barton, con quel suo faccione mastodontico e le guance cadenti, piazzò un dito grassoccio contro lo sterno di Coulson. "Cosa ci facevi in casa mia? Eh? Insidi mia moglie e i miei figli, per caso? Cerchi di far passare Harold Barton per un pezzo di scemunito? Devo venire a saperlo al pub che mia moglie me la fa sotto il naso con un belloccio mai visto, eh? Eh?"
"La prego di calmarsi, signore. Sua moglie é una donna di tutto rispetto, una vera signora e se pensa il contrario vuol dire che é un idiota senza cervello." Phil mosse un passo in avanti, fronteggiandolo senza paura, "E ora abbassi il tono e moderi il linguaggio davanti ai bambini."
"Santa polenta---" Cominciò Clint, ma Barney lo trasse subito indietro e gli tappò la bocca con la mano perché non andasse oltre con le esclamazioni. La mano gigantesca di Harold s'artigliò al colletto di Phil ed il grugno arrivò ad un fiato appena dal volto -Fiato impuzzolentito dall'alcool e dallo sdegno, dal marcio, dai denti non lavati e dal fegato guasto. "Come ti permetti, bastardo? Come ti permetti di dirmi quello che devo fare e come devo pensare? Sei in combutta con lei, vero? Con quella cagna?"
Phil poggiò la mano su quella dell'uomo, con fermezza -Avrebbe potuto atterrarlo in due secondi, ma non voleva spaventare ulteriormente i bambini. "Sua moglie non ha fatto nulla e ora mi lasci e se ne torni al bar."
Harold abbaiò una bestemmia irripetibile ed abbandonò la presa unicamente per tirare indietro al gomito, caricando un destro al naso di Coulson. Non si diede neanche pena di controllare se avesse fatto centro o meno, né che effetto avesse prodotto quella sua azione. L'interesse di Harold era ora tutta per i bambini: agguantò Clint per la collottola, rispedendo Barney nell'erba e vanificando così il suo tentativo di proteggere il fratello minore. L'uomo colpì poi il più piccolo alla schiena e quando questi cadde per la forza della botta, gli prese l'orecchio e lo rimise in piedi con violenza animalesca.
Phil riuscì a deviare il pugno allo zigomo e anche se se lo aspettava, barcollò comunque all'indietro per la botta. Scattò poi verso l'uomo, facendogli lasciare il bambino e atterrandolo con una mossa calibrata tra mani sulle spalle dell'uomo e un gioco di gambe che portò la faccia di Harold dritto nell'erba. Gli bloccò un braccio dietro la schiena, "Ora sei disposto a ragionare?"
Harold mugugnò un suono insensato, nella bocca impastata di poltiglia fangosa. Clint, mentre Barney lo aiutava con tanto d'occhi a tirarsi in piedi, guardò Phil con la bocca spalancata ed un'espressione a metà tra il panico e la meraviglia, colmo di gratitudine e rispetto.
"Non costringermi a farti ancor più male. Ora ti lascio andare e tu te ne ritornerai al bar e affogherai l'umiliazione in un paio di bicchieri." Prese alcune banconote e gliele spinse nella tasca del pantalone, "Offro io."
Gli rispose un bofonchio striato d'ira -E poteva essere un'affermazione quanto un "fanculo" bello e buono. Clint si fece spazzolare la maglia sbiadita dal fratello e non riusciva a togliere gli occhi da Coulson. "...Wow." esalò.
"Barton!" Parve emergere dalle nebbie di un passato che era ancora futuro da realizzarsi "Quante volte ti ho detto che Wow non é un termine regolamentare dentro un rapporto?"
"Ma signore! Ci sono situazioni che non si possono descrivere in nessun altro modo!"
Phil sorrise appena ai bambini, sollevandosi, poi, per lasciare l'uomo libero. "E non alzare mai più neanche un dito sui bambini o su tua moglie."
Harold gli sputò ai piedi, andandosene poi con la coda tra le gambe. Per quanto il gesto di Phil fosse stato d'aiuto in prima battuta, aleggiava tra loro la fredda sicurezza che non sarebbe bastato per impedire ad Harold di continuare in quello che era il suo comportamento sconsiderato. L'occhiata gelida, iniettata di sangue che aveva lanciato ai figli era stato un segno inequivocabile delle sue intenzioni future. "Sei un tipo forte. Ma ora dobbiamo andare." Barney agguantò la manica del fratello. "Dobbiamo vedere mamma." Prima che Coulson potesse dire qualcosa, i due stavano già correndo sul ciglio del marciapiede, ad una velocità sorprendente per i loro corpicini tanto magri. Un istante, però, e Clint si era girato a guardare il Direttore da sopra la spalla: gli aveva sorriso, un sorriso luminoso, incredibile, fiamma pura e viva, vivida, da scaldare il cuore e sciogliere le membra. E i suoi occhi... Erano allegri, un guizzo di pace, un guizzo, finalmente!, appartenente alla felicità e serenità che ogni bambino avrebbe il diritto di possedere. In quell'attimo Clint non era più ferito.
Ferito.
Ftump.
F e r i t o
Ftump.
Non era il cuore di Phil a battere, non in quel momento. Il palmo della sua mano venne attraversato da una scossa e la carne corrosa da acido dorato: dal centro esatto delle vene divelte emerse la Gemma, bollente, splendida, terribile.
Neanche un attimo per godersi il viso di Clint, felice come non lo vedeva da un bel po' di tempo che Phil si ritrovò a gemere per un dolore lancinante alla mano. Quando vide la Gemma quasi gli venne un colpo. La strinse subito tra le dita, "Riportami a casa, stupida cosa. Clint ha bisogno di me!"
Un palpito bianco tale da accecarlo, quindi un fischio tremendo che il cervello quasi andò in ebollizione e le orecchie sanguinarono, colarono liquido caldo sulle guance e sul mento, picchiettando a terra e facendo sbocciare alti fili d'erba impregnati di rugiada. Il vento lo artigliò di nuovo, più freddo di quanto fosse successo la prima volta, e la palizzata che comparve davanti a lui non era più bianca e tenuta come l'aveva vista, bensì incrostata e sbeccata, rovinata in più punti. Una figura nera era raggomitolata al gelo della notte e dava la schiena a Phil. Sparuti ciuffi di capelli biondi spuntava da un bendaggio che gli copriva la nuca ed entrambe le orecchie. Se si fosse accorto o meno dell'apparizione di Phil alle proprie spalle, la sagoma curva non lo diede a vedere, né si girò o fece alcunché.
Phil si guardò intorno, spaesato. "Dove diavolo sono, ora?" Guardò la figura raggomitolata e si avvicinò cauto. "Scusa, potresti dirmi dove ci troviamo?" L'uomo si chinò davanti alla figura, "Ehi, mi senti?"
La sagoma balzò all'indietro per la sorpresa e gli occhi di Clint -Più grande almeno di un paio d'anni- si spalancarono ad inghiottire l'ombra di Phil come se non credesse a quanto stava vedendo. Serrò la bocca, però, non emise suono e si chiuse nelle spalle, conficcando lo sguardo a terra.
"Clint?" Coulson si chinò verso di lui, inclinando il viso per incontrare i suoi occhi, "Ehi." Allungò una mano verso di lui, "Stai bene?"
Una stilettata in pieno petto avrebbe fatto meno male del gesto di diniego del bambino -Se per rispondere alla domanda o rifiutare il gesto di aiuto, non era dato sapere.
Phil osservò il bendaggio intorno alla sua testa e allungò di nuovo la mano, "Non voglio farti nulla, sta tranquillo."
Clint si morse a sangue il labbro inferiore e scosse con veemenza il capo. "Non so cosa dici!" Strillò. "Non so cosa dici!"
Phil si ritrasse solo un attimo, per poi afferrarlo per le spalle e stringerselo al petto, passando le dita tra i capelli del bambino e cullandolo appena.
Un tremito lungo le spalle, il suo intero corpo scosso da brividi, tanto forti da rassomigliare a violenti singhiozzi senza voce, spasimi continui che era un miracolo non sentire il tintinnio vibrante delle vertebre.
Phil lo strinse più forte, cercando di rassicurarlo e nel frattempo fare mente locale di dove si trovasse: Clint sembrava avere qualche anno in più rispetto a prima, ma non avrebbe saputo dire quanti e lui non gli aveva mai detto quando aveva cominciato a non sentire più. Avrebbe potuto essere solo un anno avanti rispetto al passato precedente o molti di più. Si guardò la mano ma la Gemma non c'era. Respirò piano: se era finita dentro di lui avrebbe potuto semplicemente concentrarsi e vedere cosa sarebbe successo ma non se la sentiva di abbandonare Clint lì da solo. Non sapeva neanche se i suoi erano ancora vivi.
"Voglio andare via di qui..." Sussurrò il bambino. "Voglio andare via, non voglio più vivere in questa casa. Voglio andare via."
Phil gli sollevò il viso e gli asciugò le guance. "Dov'é tu madre?" Chiese, scandendo parola per parola lentamente perché Clint potesse leggergli le labbra.
L'altro socchiuse le palpebre, una fossetta di concentrazione che tagliava a metà la fronte e la radice del naso. "In casa." Disse. "Tu dov'eri?"
Phil lo guardò sorpreso. Se si ricordava di lui significa che aveva modificato il passato e questo non era affatto una buona cosa. "Non posso portarti via, mi dispiace." Gli lasciò un'altra carezza sul viso, "Devi andare da tua madre."
Clint si scostò con rabbia e sollevò le labbra in un ringhio -Lo stesso gesto che aveva fatto quando Phil aveva cercato un contatto più profondo, dopo anni di silenzio radio. "Dov'eri?" Gridò. "Dov'eri? E' stata colpa sua!" Si coprì le orecchie con le mani "E' colpa sua!"
Phil gli prese le mani minute tra le dita e gliele strinse, "Mi dispiace." Ingoiò e si morse le labbra -Aveva già modificato le cose ma forse il danno non era ancora così grande, ma se ora l'avesse aiutato ancora temeva le conseguenze per il suo presente. "Aspetta qui. Torno subito." Si alzò e fece il giro della casa, trovando un posto riparato da sguardi indiscreti. Si guardò la mano con cui aveva tenuto la Gemma. "Non so quali sono le tue intenzioni, ma io voglio tornare nel mio presente! Fammi ritornare!"
Ma non ci fu alcun segno di vita da parte della Gemma, nessun palpito o battito di cuore. La pelle rimase fredda, la pietra silente. "Che stai facendo?" Clint, il cui vizio di non obbedire agli ordini era una cosa radicata dall'infanzia, spuntò da dietro il muro. "Hai parlato troppo veloce, non ho capito nulla!"
Phil sobbalzò appena e nascose la mano dietro la schiena. Scosse la testa e si chinò di nuovo davanti al bambino, "Quanti anni hai ora?"
"Sette. Sei strano."
"Sette... Okay. Quindi sono passati due anni." Si sollevò e si guardò intorno, pensieroso: la Gemma si era attivata quando Clint era andato via, dopo che lo aveva aiutato, quindi forse era tutto collegato a lui e al suo desiderio di aiutarlo. "E' pazzesco!" Phil si strofinò il viso e si abbassò di nuovo a guardare il bambino, "Come posso aiutarti?"
"Non mi va di tornare in casa." Clint si sedette sull'erba che si allungava appena sul procinto del marciapiede. "Mi fai un po' di compagnia?"
Phil sorrise e si sedette accanto a lui, allungando una mano per prenderlo in braccio se avesse voluto. "Dov'é tuo fratello?"
A metà tra orgoglio e un'innegabile necessità di rassicurazione, il bambino gli si mise accanto quel che bastava ad appoggiargli la tempia al petto, appena sotto la spalla. "Abbiamo litigato."
Phil gli passò le dita tra i capelli con un dolcissimo sorriso a piegargli le labbra e un calore che gli avvolgeva il cuore, "Perché?"
"Dice che sono testardo come un mulo. Perché anche se riesco a leggere un po' le labbra e conosco qualche gesto dei segni, sto zitto e faccio finta di non capire nulla. Ma lui non sa com'é. Non sa cosa vuole dire."
"Mh." Si chinò e lo prese per i fianchi, sistemandolo sulle sue ginocchia. "So che può essere difficile, ma hai pensato che magari lui vuole solo aiutarti? Perché te ne stai in silenzio?"
Il minore dei Barton scartò con la testa -Lo faceva, lo avrebbe fatto, quando Phil, con tutta l'innocenza del mondo, gli faceva notare quanto il suo comportamento fosse insensato e lui, che ne era ben consapevole, si sentiva scoperto e messo a nudo. "Voglio essere freddo. Lui mi ha fatto male e mi ha ferito troppo. Voglio fargli capire che non lo potrà più fare. Che sono freddo. Che lo disprezzo. Che lo odio."
Phil sorrise dolcemente davanti a quel gesto -Era rassicurante vedere come le cose, nonostante gli anni non potessero cambiare e quei piccoli gesti di Clint lo tranquillizzavano. "Non credi, invece, che così tuo padre si arrabbia ancor di più? Credo che Barney abbia ragione: se lui si arrabbia ti fa ancora più male."
"Gli farò ancora più male. Imparerò a difendermi e non mi prenderà più a botte."
Sospirò, "Ascolta, non é imparando a fare a botte che risolverai la situazione. Tuo padre é così e non lo cambierai. Devi provare a non farlo arrabbiare così non farà del male a te o a Barney o a tua madre." Gli accarezzò la guancia, "Passa più tempo possibile con loro."
"Quindi non mi insegnerai neanche quella mossa che hai usato con lui due anni fa?"
Phil rise, "Magari quando sarai più grande." Gli pizzicò appena la punta del naso, "Mi prometti che ci proverai?"
Clint si scostò -Ma rise e quel suono riverberò nel silenzio della sera circostante. "Va bene, omaccione!" Poi, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno in giro, appoggiò la fronte contro la sua spalla "Perché lui non può essere più buono? Un po' più come te?"
"A volte le persone sono deluse da loro stesse e per non farsi del male preferiscono farlo agli altri. Oppure se si é conosciuti solo la cattiveria si tende a essere cattivi a sua volta per non rimanere feriti. Ogni caso é diverso. Ti prometto che starai bene." Phil inclinò il viso e lo guardò dritto negli occhi. "Ci vorrà molto, molto tempo. Ma alla fine starai bene."
"Come lo sai? Guardami! Mi ha rotto! Mi ha rotto come un giocattolo!"
"Ma tu non sei un giocattolo!" L'uomo gli fece sollevare il viso, "Diventerai un uomo molto, molto forte e aiuterai gli altri. Li proteggerai dalle persone come tuo padre. Fidati di me, io lo so. Ma dovrai passarne ancora un po'."
"Sei un angelo o cosa?"
L'uomo sorrise, "Diciamo che ho un dono." Gli lasciò un bacio sulla fronte, "Ora devi rientrare in casa. Chiedi scusa a tuo fratello e abbraccia tua madre. Vedrai che poi tutto si risolverà."
Clint annuì e apparve di nuovo quel sorriso, che lo trasformava da capo a piedi e ricreava l'immagine di lui, molti anni più grande, molte miglia più lontani, quando era lungo disteso sul pavimento, alla fine di un allenamento praticamente infinito, e aveva girato la testa per guardarlo dritto negli occhi -La prima volta, forse, in cui nel suo sguardo si era accesa una fiamma di affetto sincero, il principio di un legame ancora più saldo. "Non tardare troppo la prossima volta."
"Farò del mio meglio." Si alzò e lo salutò, aspettando di vederlo entrare in casa, poi guardò la sua mano. "Voglio tornare nel mio presente!"
La Gemma non palpitò, pur tuttavia una scossa sottopelle si propagò attraverso l'intero sistema nervoso del Direttore. Il mondo circostante si liquefece, poi si torse, infine divenne nebbia. Non c'era nulla di tangibile, ma come un fermo immagine -Grottesco, orrido, da mettere i brividi, da chiudere il respiro, da torcere lo stomaco, da gelare il sangue nelle vene- il corpo di Clint cristallizzato nell'attimo di piazzare una mano sul costato, a tastare la macchia rossa, quasi nera, che gli aveva impregnato la divisa.
"Clint!" Phil si gettò subito in avanti per raggiungere il compagno. "Sono qui, resisti, sto arrivando!"
Ma l'immagine dell'arciere si scompose in dieci, cento, mille frammenti e ogni frammento era un istante diverso, un Clint diverso, ragazzo e bambino, adulto e fanciullo. Una sola cosa avevano in comune: lo sguardo ferito, quella piega più cupa negli occhi che col tempo egli aveva imparato a ridurre di più, sempre di più, perché gli altri non se ne accorgessero, perché di lui e in lui vedessero soltanto il sorriso, perché in lui e di lui conoscessero unicamente lo scherzo.
Il Direttore strinse le mani a pugno, arrabbiato e frustrato: “Voglio tornare da lui! Maledizione!” Si guardò la mano, “Portami da Clint! Portami da lui!”
Un boato alle sue spalle lo investì con la potenza di un tornado. Un istante prima era nel vuoto assoluto, circondato da immagini illusorie di tempi intrecciati, dove non esisteva tempo ed il suo scorrere era cristallizzato in un presente che non aveva significato alcuno.
Quello dopo Phil Coulson si riscoprì bagnato fino al midollo da un acquazzone improvviso, dritto e solitario sotto il cielo plumbeo che gli vomitava addosso tutte le proprie angosce. La pioggia gli si conficcava sui vestiti e sulla pelle, minuscoli pugnali, lamelle metalliche che davano l'impressione di voler scavare dentro la carne e ben oltre.
Il mondo era impregnato dell'odore di terra ed erba bagnate e il gruppo di casupole che era Waverly si intravedeva appena al di lì del velo d'acqua, giù, in fondo alla collina grigia e nera, cuspidata di lapidi e croci.
Phil si strinse le braccia al petto e si guardò intorno. "Dove diavolo sono ora? Giuro che se riesco a tornare, Thor se ne sentirà dire parecchie!" Mosse qualche passo avvicinandosi ad una lapide, "Un cimitero?"
"Tu lo sapevi?" La voce arrivò vibrante di acciaio, rabbia e odio. Ci fu un lampo ed il bagliore bianco illuminò la figura fradicia di Clint, coi capelli incollati alla fronte, il vestito a lutto appiccicato alle braccia magre, la camicia aderente alla pelle pallida e al petto tremante, squassato dai brividi. "Tu lo sapevi?" Ripeté e gli occhi così freddi non appartenevano più ad un bambino, nonostante lui ne conservasse le apparenze. Qualcosa nel minore dei Barton si era spezzato, aveva creato una crepa insanabile nelle iridi grigio-ferro.
Phil spalancò gli occhi e spostò lo sguardo da lui alla pietra tombale alle sue spalle. "Mi dispiace." Disse solo, avvicinandosi di qualche passo.
"Tu lo sapevi!" Gridò Clint, arretrando in risposta al suo avanzare. "Tu lo sapevi! Sapevi che sarebbe successo!"
L'uomo si morse le labbra, "Non potevo dirtelo, mi dispiace."
"Ti odio! Ti odio! Ti detesto! Ti disprezzo! Mia madre é morta e tu lo sapevi! Ti odio! Perché non me l'hai detto? Perché?"
"Dire che non potevi non é una motivazione accettabile, Coulson!" Nel lampo che ruggì sui capelli scomposti del bambino si sollevò l'ombra, l'immagine di un Clint più avanti negli anni e con più dolore nel cuore. "Perché mi hai fatto questo?" Sembrava gridare la voce di Occhio Di Falco. "Perché?"
Phil rimase pietrificato spostando lo sguardo dal bambino all'ombra alla tomba. "Mi dispiace, io non potevo. Avrei modificato le cose, l'ho sto già facendo per aiutarti!"
"Aiutarmi?" Il bambino indicò con violenza le due croci che gli erano accanto e con quel movimento sollevò un tintinnare frusciante di gocce di pioggia. "Se volevi aiutarmi dovevi impedire tutto questo!"
"Non potevo!" Urlò, raggiungendolo e afferrandolo per le spalle, con forza. "Non potevo impedirlo! Avrei modificato il tuo futuro, il mio!"
"Io non ho un futuro!" Clint si ritrasse dalla presa dell'uomo e gli spinse le mani contro il petto, con tutta la forza che poteva mettere nelle piccole mani, con tutta la violenza che poteva riversare nei palmi e nei muscoli intirizziti dal freddo. "Io non ho un futuro per colpa tua!"
"Mi é stato tolto il futuro, quando te ne sei andato." L'ombra di quel Clint più vecchio, il ricordo di quella conversazione ancora da realizzarsi, cominciò a creparsi, a dividersi in minuscole fratture, frammenti lineari da cui il colore si disperdeva come lacrime. "Tutto per colpa tua."
"Non potevo dirtelo! Perché non capisci? Avrei rovinato tutto! Ti avrei rovinato, avresti avuto un futuro diverso e credimi, vale la pena di andare avanti." Cadde in ginocchio davanti a lui, "Non potevo, credimi, non potevo."
Un tremito attraversò da capo a piedi il corpo di Clint -Che fu di improvviso minuscolo, che fu di improvviso di nuovo bambino, che fu di improvviso di nuovo solo, fradicio, mingherlino, sotto la pioggia. "Che cosa ne sarà di me, adesso?" Bisbigliò. "Sono morti tutti e due. Divideranno me e Barney. Ho... Ho paura."
Phil allungò le mani e gliele poggiò sulle spalle. "Andrà bene, devi credimi. Andrà tutto bene."
"Perché dici questo?" Il bambino si succhiò le labbra. "Perché hai così fiducia in me?"
"Perché ti conosco." Si sollevò sulle ginocchia e avvicinò il viso al suo, "Diventerai grande, Clint, grande. Farai del bene e tutto quello che ti é successo e che ti succederà serve solo a farti adempiere al tuo destino. Sono lezioni che ti servono per crescere e imparare e maturare. Lo so che ora vedi solo il peggio ma devi fidarti di me."
"Mamma si fidava di te. Mamma non si fidava mai nessuno..." L'altro reclinò la testa. "Tu sarai con me?"
L'uomo lo strinse tra le braccia, "Finché non mi dimenticherai sarò con te. Anche se non potrai vedermi, ricordati sempre questo: abbi fiducia in te, sempre e non arrenderti mai."
"Non... Puoi prendermi tu? Sarebbe meglio se mi prendessi tu."
"Non posso, mi dispiace." Inclinò il viso, "Devi raggiungere Barney, ora."
"Promettimi che torni." Clint gli si aggrappò alle spalle. "Ti prego, promettimi che torni! Ti prego!"
Gli accarezzò il viso, spostandogli i capelli bagnati dalla fronte, "Ti prometto che ci rivedremo. D'accordo?"
Con sguardo serio e faccia compita, Clint annuì e alzò una mano, sollevando il mignolo.
Phil sollevò il mignolo a sua volta. "Passa più tempo che puoi con tuo fratello, d'accordo?"
Per un attimo, un'ombra di paura scivolò negli occhi ancora debilitati dal lutto del piccolo. "Non... Non gli succederà nulla, vero?"
Phil lo guardò dispiaciuto, ma non disse nulla. Gli lasciò un bacio sulla fronte, "Va da lui."
Il minore dei Barton rimase alcuni istanti di più ad osservarlo. Sembrava più che mai Occhio Di Falco, in quel momento, quando stava in bilico tra l'ingoiare un'emozione ed il cadere, sprofondare in essa.
Deglutì, segno che aveva fatto i conti con se stesso, e annuì piano, incamminandosi verso il gruppo di case di Waverly, quel gruppetto baluginante di luci nebbiose che Coulson sapeva l'altro non avrebbe più rivisto.
Phil sospirò e lo guardò andare via. Si sedette, poi, davanti le tombe, incurante della pioggia e del terreno bagnato. Guardò la foto di Edith e sentì una stretta al cuore. “Avrei potuto salvarti. Mi é stata data una possibilità e per vigliaccheria non ho fatto nulla. Avrei potuto salvare Barney, avrei potuto salvare Clint. Lo amo, immensamente e avrei potuto salvarlo e dargli la vita che ha sempre sognato. La vita che mi ha raccontato ogni volta che immaginava una fine diversa.” Si guardò la mano, “Perché sta succedendo tutto questo? Che senso ha? Forse dovrei davvero prendermi cura di loro. Potrei andare da Fury e salvarli, così potranno rimanere insieme. Così Clint potrà avere un po’ di pace, di tranquillità.”
Ci fu un lieve luccicare dorato tra le gocce di pioggia, sul palmo bagnato dell'uomo. La cortina d'acqua si divise e divenne una tenda di nebbia opalescente, su cui le immagini di Clint si rincorrevano senza freno, senza sosta, e c'erano i suoi sorrisi, i suoi occhi, le sue lacrime mai versate, era uomo e bambino, Agente e Civile, era Clint che, accanto al corpo di Coulson addormentato, si sollevava piano dal materasso e gli accarezzava il volto. Era Clint che rimaneva giorni nella medesima posa in cui era Phil ora, sull'erba, a vegliare la tomba dell'Agente Coulson, coraggioso Agente caduto in battaglia. Era Clint che impattava contro il pavimento dopo che suo padre, accusatolo di aver rubato dei soldi dalla casa, lo sbatteva a terra con un pugno. Era Clint che guardava due bambini giocare e sorrideva, con quella piega triste e malinconica che lo contraddistingueva ogni volta che si lasciava tentare dai ricordi e dalle speranze. Era un Clint più giovane, da una parte, che guardava fuori dalla finestra di un locale angusto e grigio, polveroso, decisamente triste e stantio. E oltre quei vetri sporchi, come una zoomata di tempo e spazio, un altro Clint, all'incirca di vent'anni, guardava la schiena di un uomo vestito elegante che abbandonava il tendone. Barton aggrottava la fronte, sembrava perplesso. "Eppure mi sembrava lui." Sussurrò e quel mormorio si dilatò nel luogo-non luogo in cui Coulson si trovava, si espanse come cerchio nell'acqua, divenne indefinito, si propagò in ogni dove.
A Phil si strinse il cuore davanti a quelle immagini e non seppe più se il suo viso era bagnato dalle lacrime o dalla pioggia. Abbassò lo sguardo sulla mano, "Cosa devo fare?"
Ci fu uno squarcio, come se qualcuno avesse preso in mano un foglio di carta e lo avesse stracciato a metà. Ora non c'era luce, né colore, in effetti non era davvero possibile dire se fosse ombra o se si potesse dare significato a qualunque cosa accadesse lì -Ovunque questo "lì" si trovasse, beninteso. Esisteva unicamente un puntolino, all'orizzonte, dove sorgeva un edificio sbiadito e grosso, tozzo, che metteva a disagio solo a vederlo.
Phil si guardò intorno, smarrito e col cuore in gola, stringendosi nelle spalle e cominciando a camminare verso la figura.
La scritta sul cartello d'entrata recitava "Sant Ignatius Home For Orphaned Boys" ed era circondato da un alto e possente muro di cinta, con grate alte e inferriate rugginose. Il mastodontico palazzo dietro di esse era antico, vecchio, da film dell'orrore -Sensazione resa ancor più forte dai rami rachitici che si protendevano come artigli oltre i mattoni spessi. Ci fu uno strano grattare, dietro il muro, quindi una voce maschile, di ragazzo che stava per diventare uomo. "Siamo rimasti qui per sei anni. Ammettilo, nessuno ci vuole. Vogliono giocattoli nuovi, non rovinati come noi." Uno sprazzo di capelli rossicci, il volto girato di tre quarti e gli occhi puntati verso qualcosa che era basso, sotto le sue spalle. Barney sogghignò, facendo leva per issarsi sopra il muro. "Ora smettila di piagnucolare e seguimi."
Phil rimase a fissare il cartello finché non udì la voce del ragazzo. Sporse appena il viso e vide i due bambini -Ragazzi, ormai- arrampicarsi sul muro per fuggire. L'uomo si guardò la mano, deciso, "Non farò come dici tu questa volta!" Fece un mezzo giro della struttura e si nascose dietro un albero. Non avrebbe interferito quella volta, così magari la Gemma l'avrebbe riportato a casa.
Clint s'appoggiò un istante al muro, mentre Barney correva giù per la discesa: più avanti, oltre il fogliame, un alone dorato sprizzava di balenii multicolori, lì dove il Carson Carnival urlava e gridava le proprie, mirabolanti meraviglie ai quattro venti e ai sette mari. Il giovane tentennò, chiudendosi nelle spalle aguzze e nella maglietta a maniche lunghe troppo larga -Che strano, vederlo in un abbigliamento simile!
“Come giocattoli rovinati...” Sussurrò, con aria mesta e i quindici anni che gli si leggevano addosso altalenavano dall'adulto al bambino, una traccia di ciò che era e ciò che sarebbe diventato. “Tu però mi hai detto che non sono un giocattolo...”
Phil spinse la testa contro l'albero e si morse le labbra a sangue per resistere alla tentazione di rivelarsi. Tentò di spostarsi appena per celarsi meglio ma calpestò un rametto che si spezzò sotto le sue suole. Pietrificò e sperò che non l'avesse sentito.
Forse non per il rumore, bensì per lo spostamento d'ombra -Quanto potente poteva già essere la sua vista, a quell'età?- Clint si voltò di scatto e sbatté le palpebre. “Chi é là?”
L’altro si spinse ancor di più alla corteccia, pregando internamente che non si avvicinasse. -"Va via, per l'amor di Dio, va via!"-
Il giovane aggrottò la fronte e mosse qualche passo in avanti: stava per scoprire l'Agente, quando la sagoma di Barney riapparve dietro la schiena del fratello ed agguantò questi alla spalla, costringendolo a girarsi. “Che fai? Ti muovi? Il circo ci aspetta!” Come riemergendo da un sogno ad occhi aperti, Clint annuì -Ma sul ciglio del sentiero, poco prima che esso affondasse nel fogliame, si voltò indietro. Un sorriso si profilò sulla sua bocca. “Tana per l'angelo.” Disse.
Phil tremò e sporse appena il viso, sorridendogli appena. "Buona fortuna." Sussurrò.
“Ci si vede.” Clint gli indirizzò un saluto portandosi due dita alla fronte. “E' questa la mia strada, vero?”
Annuì, "Ci rincontreremo e anche se non ti riconoscerò, abbi fiducia. É la strada giusta."
L'altro corrugò le sopracciglia. “Perché non dovresti riconoscermi?”
"Perché non ci siamo mai incontrati."
“Okay...Ora sono confuso.”
Phil scosse la testa, "É una storia talmente assurda che non ci crederesti e poi é tardi, devi andare!”
“Hai ragione. Ehi.” Fece poi, sogghignando. “Visto che mi unisco al circo, avrò bisogno di un nome d'arte oppure un colore portafortuna. Consigliami uno dei due!”
Phil ridacchiò, "Il viola. Anche se lo odio!"
“Allora lo indosserò per farti un dispetto!”
Coulson non poté far a meno di ridere, "Buona fortuna, Clint."
“Anche a te, angelo, o chiunque tu sia...”
Phil si poggiò alla corteccia e lo guardò andare via, "Ti amo." Sussurrò nel vento.
Quel bisbiglio prese forma e divenne una lastra di vetro, dietro cui la realtà si scioglieva in un tramestio confuso di colori.
Dietro di essa, la realtà questa volta non era più a portata di Phil e questi ne era in qualche modo escluso. Non era più protagonista, era spettatore e niente di più. Un omino che guardi la vita che scorre grazie alle lenti di un binocolo, senza prenderne effettivamente parte. Al di là del vetro, una bambina stava giocando: era piccola, di forse quattro anni, con le trecce rosse e le lentiggini spruzzate sulle guance piene. Teneva tra le manine un paio di pony, rosa e viola, e con le labbra modulava il loro galoppo, il trotto, il passo. Nitriva, di tanto in tanto, oppure accarezzava le setole brillanti col polpastrello. Era in un salone dai toni caldi, con mobili di legno -Innegabilmente costruiti a mano-, quadri alle pareti, persino un camino. Dalla porta a destra entrò Clint, che doveva avere ormai quarant'anni, i capelli appena grigi alle tempie, una cicatrice sullo zigomo destro, un tutore al polso destro e si muoveva cauto come ogni volta che riportava una ferita piuttosto seria all'addome. Piegò le ginocchia accanto alla bimba e piegò la testa. “I pony hanno bisogno di riposare e di essere impastoiati. Tu, invece, devi venire a tavola.”
Phil corrucciò le sopracciglia e si nascose per non farsi vedere. Riportò gli occhi su Clint e la sua aria matura lo mise subito in allarme -Dopo aver percorso la vita di Clint a ritroso, dove si trovava ora? Nel futuro?- Rabbrividì a quel pensiero e guardò la bambina. Che si fosse sposato e avesse avuto dei figli? E lui dov'era? Morto? O semplicemente era uscito dalla sua vita? Sentì una morsa allo stomaco e fu tentato di allontanarsi il più possibile: non voleva sapere cosa ne era stato di loro, di lui. Ma, al contempo, non riusciva a staccare gli occhi da Clint e dalla bambina.
Ma di essere visto, Coulson non doveva in alcun modo preoccuparsi, giacché la nebbia lattea che l'aveva accompagnato fino a lì non si era diradata e pareva schermarlo dal resto dell'azione. La bimba gonfiò le guance e sporse le labbra, stringendo le dita sui giocattoli. Clint allora le si sedette accanto e circondò le piccole spalle con un braccio, portandosela contro il torace. Lei finse un po' di riottosità, giusto per rendere noto a tutti quanto fosse arrabbiata e contrariata. “Ce l'hai con me?” La bimba annuì. “Perché sono stato via tanto?” Di nuovo, la bambina annuì. “E non sei contenta che sono tornato?” Un istante di silenzio e la bimba dondolò la bocca, corrugando appena la fronte, come se ci stesse davvero pensando. “E' una domanda difficile, adesso chiediamo aiuto, okay?” E qui Barton si girò verso la porta da cui era entrato. “Tutta la casa sia mobilitata, presto! Urgente bisogno di consiglio e suggerimento! Ripeto: urgente bisogno di consiglio e suggerimento!” Un accenno di risata, subito nascosta dall'orgoglio, spuntò sulle labbra della piccola.
Phil si avvicinò di più al vetro. Continuava a non voler sapere nulla ma fu più forte di lui: voleva vedere la persona che aveva preso il suo posto nel cuore del compagno.
“Allora? Phil! Abbiamo bisogno di questo suggerimento!”
"Phil?" Coulson spalancò gli occhi: non era possibile.
“Magari anche papà é arrabbiato.”
“Oh, Sophia, no, ma che dici? Se tuo padre fosse arrabbiato con me, non mi rivolgerebbe la parola e mi ignorerebbe.”
“Come sta facendo adesso?”
“...Come sta facendo adesso.”
Un Phil di qualche anno più vecchio, con i capelli spruzzati di grigio e delle piccole rughe intorno agli occhi, entrò nella stanza tenendo un bambino di non più di sei anni in braccio, seguito da una bimbetta uguale a quella che parlava con Clint. "Insomma volete venire a tavola?" Coulson guardò l'uomo davanti a lui: era innegabilmente lui anche se con qualche capello bianco in più.
“Sophia é pensierosa: non sa se essere arrabbiata con me perché sono stato via così tanto oppure felice perché sono tornato.”
Phil ridacchiò, "Puoi essere entrambe le cose tesoro." Poi si avvicinò e si sedette sul divano accanto a loro, sistemandosi il bambino sulle ginocchia, "Puoi essere arrabbiata perché papà é stato via e felice perché é tornato. L'importante é che tu non dimentichi mai che papà ti vuole bene. Vi vuole bene." Disse, includendo anche il maschietto e l'altra bimba, ora aggrappata al braccio di Clint.
Coulson guardava quella scena come se si trovasse nel più meraviglioso dei sogni: aveva fantasticato sul mettere su famiglia col compagno, ma non si era mai permesso di sperare, mai di aggrapparsi a quel pensiero che sarebbe stato si una dolce tortura, ma troppo doloroso. Poggiò le mani al vetro e inclinò il viso, sorridendo: avevano una famiglia, ancor più bella di quanto avrebbe mai potuto immaginare ed era amore pure quello che vedeva negli occhi di ognuno di loro. Accarezzò il vetro come se stesse davvero accarezzando ognuno di loro e una lacrima lasciò i suoi occhi. "Riportami da lui." Sussurrò.
Il vetro si crepò nell'esatto punto in cui il suo dito era appoggiato. Fratture arzigogolate si dipanarono dal polpastrello e fecero filtrare i raggi del sole, il lezzo metallico del sangue, lo sfiato caldo della pianura francese. La Gemma risucchiò la nebbia compatta e opalescente, la trattenne e sfolgorò ancora più luminosa -Ma ebbe vita breve, perché si udì un /clack/ metallico e poi la figura di May che balzava davanti agli occhi di Coulson, chiudeva la Gemma in una scatola protettiva, attutiva l'impatto dello slancio con una capriola in avanti e Clint crollava sulle ginocchia e gli archeologi si ritraevano con un salto e Edith si portava una mano alla fronte e ovunque il tempo era tornato a scorrere -E Barton era bianco, pallido, con gli occhi fuori dalle orbite.
Phil rimase bloccato sul posto giusto il tempo di riprendere coscienza di se. Poi, accorgendosi che la Gemma l'aveva riportato nel suo tempo, si precipitò dal compagno. "Clint!" Lo afferrò per i fianchi, "Tranquillo, andrà tutto bene." Le mani gli si riempirono subito di sangue, rosso come i capelli di Sophia, come le labbra di Clint mentre gli sorrideva sbarazzino dopo un bacio, come i fiori poggiati sulla tomba di Edith. "Simmons! Sbrigati!"
“Devi...” Ansimò Occhio Di Falco, tentando un sorriso. “Devi dirmi dove lo prendi tutto questo ottimismo, angelo.”
Phil spalancò gli occhi e impallidì. "Cosa?" Sussurrò.
“Ah. Neanche questa volta, eh? Ci sono rimasto...” Clint tossì e sputò un grumo di sangue, un tremito gli attraversò la colonna vertebrale. “Di merda, quando non te ne sei ricordato. Al circo, sai? Quando mi sei venuto... A prendere.”
"Ma di cosa stai parlando? Tu non dovresti saperlo... Non dovresti ricordarmi..."
“Sei apparso nei punti cardini della mia vita. Come non potrei...” Clint emise un singulto e la voce annaspò nella bocca macchiata di sangue appiccicoso. Il respiro quasi si fermò mentre le labbra perdevano colore e la pelle gelava all'improvviso.
"Clint!" Phil se lo strinse contro, "Simmons!" Urlò ancora, il panico e la paura che cominciavano a stringergli lo stomaco. "E' stata la Gemma." Sussurrò, "Perdonami, avrei potuto salvarti, ma non l'ho fatto. Temevo di sconvolgere il presente." Gli accarezzò il viso. "Andrà bene, te lo prometto."
“Non sarei... Non sarei qui. Con te.” Il corpo di Barton si appesantì, cascando senza più forza a sostenerlo tra le braccia di Coulson. Nel frattempo, gli archeologici -Che sembravano tornati in sé- si assiepavano attorno ai due, salvo poi correre nel casotto e ovunque potessero trovare aiuto, sotto gli ordini secchi, impartiti dal francese freddo e conciso di Edith; Melinda fu accanto a Phil, in modo da aiutarlo a sostenere Occhio Di Falco. Fitz, ritto davanti a loro, teneva la scatola nera al petto e respirava piano, forse col timore di spezzare quell'attimo cristallizzato che divideva Clint da morte certa. “La scatola---” Spiegò. “Contiene le radiazioni della Gemma. Ecco perché...” Ma fu interrotto da Jemma, volata da loro con velocità sorprendenti. Si inginocchiò di fronte a Occhio Di Falco e tempo di allungare le dita, che l'Agente emise un gemito roco. “Culla.” Sussurrò. “Avengers Tower. Stark.”
Phil lo sollevò di peso, "Simmons devi stabilizzarlo. Fitz avverti Stark, May, portaci alla Tower il più in fretta possibile!"
 

*****
 
 
“Come é successo?” Non che Capitan America fosse noto per perdersi in preamboli -Nemmeno quando si trattava della lecita domanda riguardante la sua presenza lì e non all'Avengers Facility: l'addestramento della nuova squadra composta da Visione, Wanda Maximoff, War Machine e Falcon non era ancora terminato e Natasha era fuori dall'America alla ricerca di Banner, quindi perché si trovasse lì, a Manhattan, era una vera incognita. Arrivati alla Tower, con Clint in condizioni che definire "gravi" sarebbe stato concedersi un inusitato eufemismo, c'era Steve Rogers ad accogliergli: li aveva aiutati a trasportare la barella fuori dal Bus e da lì fino all'Infermeria, cercando di mantenere Barton se non cosciente quantomeno "recettivo", assicurandosi che Jemma avesse fatto tutto quanto era d'obbligo da farsi per un soccorso di emergenza. Simmons, dando segni di palese nervosismo, si era trattenuta dal rispondergli con tono glaciale soltanto in virtù del fatto che si trattava sempre e comunque della fiamma di Peggy Carter. Ora, il Capitano e Coulson sostavano fuori dal vetro dell'Infermeria, gli occhi puntati sulla macchina che avrebbe permesso ai tessuti di Clint di ripararsi; Tony era chino sul lettino, una mano appoggiata all'arco che emetteva i raggi per la duplicazione cellulare. P.E.P.P.E.R., l'Intelligenza Artificiale che era andata a sostituire F.R.I.D.A.Y. faceva da supporto, un globo rosso vivo come i capelli della donna da cui prendeva il nome, il tono di voce altrettanto rassicurante.
Phil estrasse dalla tasca interna della giacca la scatola nera: "E' una delle gemme dell'infinito. Ha confuso le persone intorno che ci hanno attaccato." La voce gracchiò roca e Phil schiarì appena la gola -Non aveva parlato per tutto il viaggio, limitandosi a stringere la mano di Clint tra le proprie e a pregare che il compagno si salvasse. "Credo possa comandare anche il tempo."
Steve osservò la scatolina e la prese con la punta delle dita, guardandola poi alla luce asettica dei neon sopra le loro teste. “Da cosa lo deduci?”
Il Direttore non distolse neanche per un attimo gli occhi dalla culla. "L'ho sentito." Non poteva, voleva, raccontargli la verità. Sentiva che era una cosa sua, solo sua -E di Clint, gli ricordò una vocina. "Avete trovato Thor?"
“Abbiamo diramato il messaggio, attendiamo che risponda alla chiamata.” Il Capitano rilassò impercettibilmente le spalle e tanto bastò perché da Bandiera della Nazione assumesse una forma, un aspetto, una gentilezza più umani e si girasse nella sua direzione non con gli occhi della Sentinella Della Libertà, bensì con quelli di Steve Rogers. “Come ti senti?”
"Non lo so." Gli occhi dell’uomo guizzarono alla culla e poi al Capitano, "Te lo dirò quando si sarà svegliato." Strinse le mani al petto, "Tu cosa fai qui? Ti credevo alla base."
“Giorno di licenza.” Rispose Steve, con quel sorriso a mezza bocca che gli sollevava con semplice naturalezza l'angolo sinistro delle labbra.
Phil socchiuse appena gli occhi, ma non replicò, ritornando con gli occhi sulla culla, "Credi che si rimetterà?"
“Ne sono certo e ne ho speranza.” Steve sospirò, mentre con lo sguardo andava di nuovo ad accogliere le figure che si muovevano incessanti dietro al vetro. “L'Agente Barton... Clint, non é uomo che si arrenda facilmente. E' forte. Per citare Stark, "Non muore nemmeno se lo ammazzi."“
Fu il turno di Phil di sorridere a mezza bocca, "E' vero..." Rimase con lo sguardo fisso per alcuni minuti, "Sbaglio o Stark é di buon umore? Lo vedo molto più rilassato del solito."
“Dici? Non credo di averlo notato.” Steve si voltò di poco, per guardarlo di sbieco. “Phil, ti prego, accetta il mio consiglio: hai bisogno di riposare e mangiare qualcosa, di bere qualcosa di caldo.”
L'altro scosse la testa, "Non mi muoverò di qui finché non avrà riaperto gli occhi." Inclinò, poi, il viso nella sua direzione, "Faresti lo stesso anche tu."
“Questo é certo, ma, non é mia intenzione vantarmi, bensì dire le cose in maniera oggettiva, sono stato creato in modo e maniera da non subire così tanto stanchezza ed affaticamento. Posso farle vedere le mie credenziali, Direttore.” Smozzicò un sorriso -Non che Rogers fosse divenuto un asso nel fare battute, tuttavia si notava un certo qual impegno a spolverare il repertorio. E, soprattutto, il tentativo e la buona volontà.
Le labbra di Coulson si aprirono in un sorriso più convinto. "Grazie, ma credo di farcela. E poi Stark ha detto che non dovrebbe volerci molto, no?"
“Il processo é piuttosto veloce, sì. Non ho capito a fondo i dettagli -Troppe divagazioni scientifiche su nozioni di cui sono, ahimé, decisamente a digiuno-, ma il funzionamento risulta piuttosto chiaro. Sebbene bisogna ancora cercare di convincere Barton che non si trasformerà in una bambola di plastica.”
Phil ridacchiò, rilassando i muscoli in una posa molto meno rigida, "Però un po' la differenza si sente..."
In maniera del tutto involontaria, Steve passò la mano sulla spalla sinistra e corrugò la fronte. “Davvero?” Domandò, sinceramente curioso. “Sarò abituato ai medicamenti della mia epoca, eppure non mi é parso di avvertire questa diversità.”
L’altro tornò con gli occhi sul lettino e sorrise appena, "Io l'ho sentita..." Poi scosse la testa, "Si hanno notizie di Natasha?"
“Le ultime informazioni che ho su di lei la vedono in territorio austriaco, ma risalgono a due settimane fa. I suoi spostamenti sono difficili da monitorare. E temo che le sue ricerche siano tutte infruttuose e fallimentari.” Steve contrasse la bocca, poi un guizzo azzurro-bianco saettò nei suoi occhi nel momento in cui l'arco della Culla si sollevò dal torace di Barton e Stark diede una pacca amichevole al braccio del compagno di squadra. Il magnate si avvicinò ad un tavolino di plexiglass, ne recupererò un bicchiere di plastica ricolmo di uno strambo beverone verde e lo appoggiò su un ripiano proprio accanto al cuscino. Passò infine il dorso della mano sulla fronte, per poi uscire dall'Infermeria e torcere la bocca in uno stanco, ma soddisfatto, sorriso. “Chiamiamolo "Occhio Di Gatto", d'ora in poi.” Propose, sollevando le sopracciglia scure. “Quell'uomo ha nove vite.”
Phil si era avvicinato al vetro appena aveva notato il lettino muoversi, per poi staccarsi per avvicinarsi a Tony, "Sta bene?"
“Tornerà a dire idiozie a breve, concedigli qualche ora di sonno. Ma mi prendo il permesso di staccargli la lingua, se osa ripetere ancora quell'assurdità sulla pelle di plastica.” Stark si picchiettò la spalla destra. “Come nuova.” Disse, chiarendo il concetto del suo gesto. “Non si nota la differenza.”
Phil lo guardò incuriosito, voltandosi a guardare Steve per poi ritornare a Tony. Sorrise appena e scosse la testa, "Chi ti conosce dovrebbe sentirla, invece." Gli poggiò una mano sulla spalla, "Grazie." Poi scivolò silenzioso nella stanza e si avvicinò al lettino.
“E questo cosa voleva dire?”
“Che a quanto pare il tuo non essere riservato é una dote naturale, Stark.”
Clint dormiva, il volto disteso e gli occhi chiusi, il respiro regolare. Il colorito era sano, il battito cardiaco regolare a giudicare dal quieto pigolio delle macchine; la luce della Culla scivolava fra i capelli chiari, mettendo in mostra un primo accenno di bianco all'attaccatura delle tempie.
Phil si inginocchiò accanto a lui, scivolando con una mano tra la sua. Piegò il viso e lo guardò, la mente sgombra da qualsiasi pensiero, concentrato solo sul suo respiro.
Quando finalmente le palpebre di Clint tremolarono e si aprirono, erano passate un paio d'ore. Steve era venuto a far visita a Coulson, chiedendogli se volesse qualcosa da mangiare o da bere, e aveva portato, con la sua sola presenza, un retrogusto dolciastro -Ma piacevole- del tabacco per pipa che era solito fumare. A lui era seguita May, che lo aveva ragguagliato su come i Fitz-Simmons fossero partiti all'avventura con l'entusiasmo di un bambino di cinque anni a Disneyland, mentre Skye si era vista accusata da Stark di aver messo P.E.P.P.E.R. contro di lui per chissà quale faccenda riguardante Dio solo sapeva quale dettaglio della programmazione. “Fammi indovinare: non hai mangiato.” Sussurrò Occhio Di Falco, con un sorriso.
"Non avevo fame." Sussurrò l’altro, avvicinando il viso al suo, facendo sfiorare appena le punte dei nasi. "Come ti senti?"
“Come uno di quei manichini del Doctor Who. Presto mi dovrai chiamare Ken.“ Clint sporse appena la testa per incontrare le sue labbra. “Ora ti ricordi di me, angelo?”
"Sei tu che non dovresti ricordarti di me. Quando sei stato colpito la Gemma mi ha portato indietro, ma non credevo che avesse ripercussioni su di te. E poi avevo così tanta paura di sconvolgere gli eventi che mi sono trattenuto il più possibile dall'aiutarti. Mi dispiace."
“Phil, davvero non capisci? La mia storia non poteva avvenire senza di te. Tu dovevi essere lì, perché il mio futuro si realizzasse.”
L'uomo corrucciò le sopracciglia. "Ma prima che tu fossi colpito io non c'ero nella tua storia."
“Non c'era l'uomo che é venuto a prendermi al circo, l'Agente Coulson che é venuto a prelevarmi, in un momento della storia in cui non ero ancora stato colpito. Oh---” Clint si fece sfuggire un lamento e strinse la radice del naso tra le dita. “Facciamo che appena mi rimetto ti faccio fare indigestione di film di fantascienza a tema di viaggi temporali?”
Phil annuì -Anche se continuava ad avere sul viso una buffa espressione confusa- e si avvicinò per baciargli le labbra. "Potrai mai perdonarmi per non averla salvata?"
“Mi hai salvato tutte le volte che sei comparso.”
"Ma non ho salvato tua madre. Avrei potuto darti l'infanzia che hai sempre sognato e lei potrebbe essere ancora viva."
“Phil.” Clint alzò il braccio a sfiorargli lo zigomo con le nocche. “Molte cose potevano essere cambiate, ma per ogni vita salvata cento ne avresti distrutte. Il battito d'ali di una farfalla può provocare conseguenze inimmaginabili nel presente, cosa sarebbe successo se tu avessi modificato il passato? Hai ragione, avrebbe potuto essere ancora viva. Ed io morto, oppure tu. Il mio passato é ciò che ha fatto di me quello che sono. Lei mi manca, mi manca in maniera terribile, ma... Esattamente come quell'angelo che appariva nei momenti in cui mi sentivo sul ciglio del baratro, pronto a perdermi, lei sarà sempre con me. Anche se non potrò vederla. Anche se non potrò sentirla. Lei sarà con me.”
Phil sospirò tremulo e unì le labbra alle sue, "Ti amo." Gli accarezzò il viso, "E ti prometto che ti darò la vita che hai sempre sognato, farò di tutto per vederti felice."
“Ti amo anche io. Perdonami se...” Clint deviò appena gli occhi dai suoi. “Ti ho trattato con così tanta... Freddezza, dacché sei uscito allo scoperto.”
"Mi hai creduto morto per più di due anni, la tua é stata una reazione normale." Sorrise, "Riposa, ora. Ci sarà tempo per parlare."
“D'accordo. Ehi---” Clint lo fermò prima che potesse andarsene. “Guarda che quella mossa me la devi ancora insegnare.”
"Davvero? Vuoi farmi credere che, dopo anni di addestramento, ancora non l'hai capita?"
“Oh, io questo non te lo dico. Ma hai fatto una promessa e devi mantenerla.”
Rise, "D'accordo. Appena starai bene lo farò." Per un attimo ricordò il magnifico futuro che aveva visto e il sorriso gli si allargò, "E faremo molte altre cose, insieme."
A filo di polpastrello, Clint disegnò la curva delle sue labbra, “E' spoiler, dico bene?” Sorrise, di rimando.
Annuì, "Non posso raccontarti tutto ma fidati di me. Vale la pena di vivere il futuro." Poi si chinò a dargli un lungo bacio, "Ci vediamo dopo."
“A dopo, Direttore.”

 
*****
 
 
L'odore di arrosto riempì tutta la cucina e quando mise anche la ciotola di patate sul tavolo, si sentì chiamare dal compagno. Prese Nathaniel in braccio e vide anche Lily seguirlo. Phil entrò nella stanza, incuriosito. "Insomma volete venire a tavola?"
“Sophia é pensierosa: non sa se essere arrabbiata con me perché sono stato via così tanto oppure felice perché sono tornato.” Clint reclinò il collo all'indietro, per quanto permesso dalla scarica di dolore elettrico che dall'addome gli aveva percorso il petto -Dannato Barone Sangue, dannato, dannato, mille volte dannato.
Phil ridacchiò, "Puoi essere entrambe le cose tesoro." Poi si avvicinò e si sedette sul divano accanto a loro, sistemandosi il bambino sulle ginocchia, "Puoi essere arrabbiata perché papà é stato via e felice perché é tornato. L'importante é che tu non dimentichi mai che papà ti vuole bene. Vi vuole bene." Disse, includendo anche il maschietto e Lily, ora aggrappata al braccio di Clint. "Purtroppo é il nostro lavoro e davvero non vediamo l'ora di tornare da voi ogni volta che siamo lontani."
“Mh.” Sophia parve pensarci seriamente su, come se cercasse di coordinare ed equilibrare due sentimenti contrastanti che agitavano senza sosta il suo piccolo animo di bambina. Quando sembrò aver preso una decisione, si voltò verso Clint -Che le rispose con un quieto sorriso, come a dire "Ai suoi ordini."
“Anche se sono arrabbiata sai che non ti odio, vero?”
“Oh, principessa.” Barton se la prese in grembo, mentre con l'altro braccio stringeva Lily contro il fianco “Certo che lo so.”
“Anche io non ti odio.” Intervenne l'altra gemella, sporgendo il musettino di bimba verso di lui. “Ma non sono la tua principessa.”
“Lo so, tu sei il ranger-ninja, nonché prossimo allievo di Capitan America.” Lily si ringalluzzì tutta. “Così Nathaniel potrà vedere Maggie tutte le volte che vuole, senza rompere che mi deve seguire ovunque perché sono piccola e mi deve proteggere.” Sul volto di Occhio Di Falco comparve un sorrisetto mefistofelico. Inclinò la testa, per osservare il figlio di sbieco. “Ma davvero? Il nostro giovanotto sta facendo la corte alla rampolla di casa Rogers-Stark?” Nathaniel sbiancò, per poi divenire paonazzo tutto di un tratto e farfugliare qualcosa di indefinito.
Phil scoppiò a ridere, "Non sarebbe male unire le casate!"
“Quindi potrò chiedere a zio Tony di farmi usare l'armatura?!” Strillò immediatamente Lily, saltando via dall'abbraccio di Clint per aggrapparsi ai pantaloni di Coulson. “E io andare al ballo delle debuttanti con lo zio Steve?” Trillò Sophia, sbattendo le ciglia con fare sognante. Al che Barton, che aveva un istinto da Mamma Chioccia niente male, si voltò a guardare la bimba -Di non più di cinque anni, ricordiamo- con sguardo allucinato e allibito. “Ballo delle---Cosa? E poi sarò io ad accompagnarti!” Sophia buttò il labbro in fuori. “Ma tu sarai vecchio!”
“Rogers é un Matusa degli Anni Quaranta!”
Phil prese Lily in braccio, "Certo che potrai chiederglielo." Poi si rivolse alla gemella, "E sarà tuo padre ad accompagnarti, Sophia. Non vorrai dispiacerlo, vero?"
La bimba scrollò le spalle. “Però un ballo allo zio Steve glielo posso chiedere un giorno, sì?”
“Perché ha una cotta per Rogers? Perché tutte hanno una cotta per Rogers? Anche tu avevi una cotta per Rogers -Prima che ti accorgessi che ero il partito migliore, beninteso. C'erano anche dei feromoni, per caso, nella formula del Siero?”
"Chi ti dice che la mia cotta per lui sia passata?" Chiese Phil, piccato, "E' stato mio primo amore e continuerò ad amarlo in eterno!" Poi poggiò i bambini con i piedi a terra, "Forza, tutti a tavola!"
Lily, però, a questi punti, volse su di lui gli occhi. “...Ma sarà sempre Clint il nostro papà, vero?”
Phil inclinò il viso, guardando dolcemente la figlia. "Ma certo, tesoro, qualsiasi cosa accada saremo sempre e solo noi i vostri papà."
“E ora coraggio!” Clint piegò la testa perché Sophia potesse dargli un grosso bacio sulla guancia. “Andate a pulirvi le zampe e poi a cena!” Quando le tre pesti ebbero lasciato la sala -Con Nathaniel che guardava le gemelle con il medesimo sguardo, si accorse Occhio Di Falco, che Barney usava per vegliare su di lui da bambini- Barton reclinò appena la testa per guardare verso Phil. “Lo avevi visto? Tutto questo.”
Phil piegò appena le labbra e lo raggiunse. "Si. Dopo averti lasciato andare, fuori dall'orfanotrofio, mi sono ritrovato qui. All'inizio avevo pensato che io fossi morto o semplicemente fuori dalla tua vita, e che tu ti fossi sposato. Forse tu non te ne accorgi, ma Sophia e Lily ti somigliano."
“Dici?” L'altro reclinò la testa per appoggiarla contro la sua spalla. “Quando le hai viste per la prima volta...” Sussurrò. “La tua espressione in quel momento é stata... Indescrivibile. Mi concedi un "Wow", per una volta?”
"Concesso, agente." Ridacchiò e lo strinse tra le braccia. "Hanno i tuoi stessi occhi. Anche se non le avessi viste prima, avrei sempre scelto loro. Sono... Sono te, sotto tutti i punti di vista, credimi."
“In effetti sono molto avvenenti, sagaci e divertenti.”
"E hanno solo cinque anni!" Gli baciò le labbra, "Ci sono riuscito?" Chiese, d'un tratto. "Sono riuscito a mantenere la promessa?"
“Sì, Phil. Ci sei riuscito e non solo: la stai portando avanti ogni giorno, ogni ora della mia esistenza. Come non sarei potuto esistere senza di te, nel passato.” Occhio Di Falco si girò quel tanto che gli era reso possibile dal dolore intermittente al costato. “Non potrei vivere senza di te in questo presente e nemmeno nel futuro.”
L'uomo se lo strinse contro, godendo della sua sola vicinanza, prima che i bambini li richiamassero all'ordine con un sonoro "Abbiamo fame!"
“Davvero? Bhé, allora attenti, perché sono affamato anche io---” Clint balzò in piedi e ingobbì la schiena, flettendo le dita ad artiglio e snudando i denti. “Ucci ucci, sento odor di bambinucci!” Sophia strillò e Lily rise, il visetto arrossato dall'ilarità della scena. Nathaniel, accomodato sulla seggiola, roteò gli occhi al cielo e puntellò la fronte sul tavolo: aveva ragione lo zio Tony, doveva cominciare a mettere scorte di cibo negli angoli più disparati cui attingere ogni volta che Clint tornava da una missione, e l'ora del pranzo si dilatava più o meno fino a quello della merenda.
   
 
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