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Autore: AnyaTheThief    03/03/2016    4 recensioni
Si consiglia la lettura di "Crossed lives".
L’ho visto cadere.
Lo abbiamo subito soccorso.
Ha detto di dirti che ti amerà per sempre.
E poi…
Constance, mi dispiace.
D’Artagnan è morto.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Constance Bonacieux, D'Artagnan, Nuovo personaggio, Porthos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Tommy… Dai, svegliati…!”

Il ragazzino mugolò, rigirandosi nel letto infastidito.

Beatrice si guardò attorno per controllare che nessun altro si fosse svegliato. Il russare di Leonardo in fondo alla stanza rimbombava anche nel dormitorio delle ragazze. Storse il naso indispettita, poi tornò a scuotere il suo amico.

“Tommaso!” sibilò a voce un po’ più alta. Non poteva stare lì per molto, se l’avessero beccata i capi… E poi stava congelando: nel calduccio del suo sacco a pelo non si era pentita di aver portato soltanto il pigiama leggero, ma appena era scesa dal letto, si era accorta subito dell’errore. Aveva tirato le calze a righe fino al ginocchio ed in punta di piedi era uscita dal grande stanzone pieno di letti a castello; nessuno si era accorto di lei.
Dall’altra parte dell’atrio su cui si affacciavano i dormitori c’era la camera dei capi e dei cambusieri*: la luce era spenta e non si sentivano più le loro risate chiassose dal piano di sotto. Via libera! Ma ora il suo piano stava fallendo per colpa di quel pigrone!

Beatrice si guardò di nuovo attorno, poi con decisione gli infilzò il fianco con la mano tesa. Tommaso sussultò, spalancando gli occhi e trovandosela davanti, con i capelli castani lunghissimi raccolti in una coda scarmigliata ed un broncio ad incresparle le labbra.

“Be--” stava per esclamare ad alta voce, prima che lei gli tappasse la bocca con decisione.

“Stai zitto, vuoi svegliare tutti?!” sussurrò infastidita. Aspettarono alcuni secondi in silenzio. Leonardo continuava a russare come un trattore ed entrambi si chiesero come facevano a dormire con tutto quel chiasso. Giovanni borbottò nel sonno.

“Muoviti, andiamo!” lo esortò. Tommaso non sembrava avere molta voglia di uscire dal sacco a pelo; esitò per un attimo, ma non appena vide lo sguardo insistente di lei, non ebbe il coraggio di replicare.

Quando i suoi piedi toccarono il pavimento, un brivido gli percorse la schiena e la tentazione di tornare a letto fu forte, ma poi Beatrice lo prese per mano e tutti i suoi dubbi si dipanarono.

Sapeva essere prepotente come pochi ma poi, non appena lo sfiorava, lui si scioglieva. Lei si voltò ed un’ondata di profumo di shampoo gli pervase le narici. La seguì senza replicare, come se fosse sotto il controllo di un incantesimo.

Quando uscirono nell’atrio, si sentì più sicuro a parlare senza il timore di essere rimproverato di nuovo.

“Dove stiamo andando? Io…” avrebbe voluto dire di avere sonno, e parecchio, ma evitò di farla infuriare.

“Ho trovato una cosa!” tagliò corto Beatrice avviandosi verso le scale. Tommaso si bloccò in cima al primo gradino e lei che lo trascinava fu costretta a fare lo stesso.

“Non possiamo scendere! Se ci beccano…”

“Oh, andiamo! Perché sei sempre così fifone? Non ci beccheranno! Muoviti!”

Beatrice gli voltò le spalle. Sapeva che l’avrebbe seguita, non sarebbe mai rimasto lì, né sarebbe tornato indietro lasciandola sola. Difatti, dopo pochi secondi, sentì i suoi passi dietro di lei e si voltò con un sorrisetto furbo.

Lo convinceva sempre a fare tutto ciò che voleva. Qualche volta si era interrogata sulla moralità di tutto ciò, ma aveva concluso che poi lo ricompensava sempre in qualche modo, quindi non aveva motivo di lamentarsi!

Camminarono attraverso il refettorio buio, illuminato soltanto dal debole riflesso di un lampione in strada, poi Beatrice si avvicinò alle porte della cambusa.

“Puoi aspettare qui, se hai paura.” disse risoluta, mentre lui si era di nuovo bloccato con aria terrorizzata.

“Lo sai che questo è vietatissimo, perché lo fai?” chiese. Era impallidito. I cambusieri sapevano essere davvero crudeli con chi non rispettava le regole. Una volta gli avevano fatto lavare tutti i piatti da solo! Sempre per una delle idee stupide di Bea, che lo aveva convinto a prendere di nascosto un’altra fetta di torta per potersela dividere…

Beatrice non gli rispose e sparì dietro le porte a battenti della cambusa. Tommaso sussultò e strabuzzò gli occhi. Lo stava facendo davvero! Si guardò attorno. Cosa poteva fare? Non voleva entrare lì, si sarebbero cacciati nei guai ed era soltanto il primo giorno di campo, si sarebbero rovinati tutta la gita per colpa di quella scemenza!

“Bea!” sussurrò. Gli era sembrato di sentire un rumore al piano di sopra. E se fosse arrivato qualcuno? Fece rimbalzare gli occhi da una parte all’altra della stanza alla ricerca di un nascondiglio, ma sapeva che non poteva lasciarla lì da sola!

Quando si decise ad entrare, Beatrice aprì la porta all’improvviso rischiando di dargliela sul naso. Lui era ancora molto basso per i suoi dodici anni e lei non poteva vederlo dal’oblò della porta, posto troppo in alto persino per lei.

“Guarda qui!” esclamò mostrandogli un sacco pieno di cioccolatini assortiti e caramelle.

“Oh…” fece lui, incantato. Adorava i dolci e Bea lo sapeva benissimo. Lo aveva fatto più per lui che per se stessa. “Oh!!” esclamò poi in tono decisamente diverso. “Finiremo in grossi guai, i cambusieri odiano quando anche solo parliamo del loro cibo!!” la rimproverò cercando di darsi un tono. Ma riuscì soltanto a farla sghignazzare. Era un po’ più alta di lui e lo guardava sempre dall’alto al basso.

“Muoviti, prendine soltanto qualcuno, non se ne accorgeranno mai!” rispose ridacchiando ed iniziò a frugare nel sacchetto pescando tre, quattro, cinque caramelle delle sue preferite. Tommaso sospirò. Poi immerse la mano nei dolciumi fingendo poco entusiasmo, mentre in realtà aveva già l’acquolina in bocca.

La luce che si accese all’improvviso li colse con le mani nel sacco, letteralmente.

 

“Mmmhh… E’ la torta più buona che abbia mai mangiato!!”
Leonardo gustava la sua fetta di dolce esagerando ogni movimento ed espressione, mentre Tommaso lo guardava livido di rabbia dal suo angolino sulla panca: la gavetta** davanti a lui vuota gli ricordava perché non doveva mai ascoltare le idee di Beatrice.

“Non dargli retta.” disse lei ad alta voce, per farsi sentire da Leo. “Non è così buona. Ho visto che Mysa*** si limava le unghie sopra all’impasto.” aggiunse. Era una bugia bella e buona e Tommaso lo sapeva perché lei aveva sollevato le sopracciglia in quel modo… Come faceva sempre quando mentiva. Sotto il tavolo cercò di prendergli la mano, ma lui la scansò, ancora infuriato.

“Guarda che non è stata colpa mia!” bisbigliò, mentre con la coda dell’occhio notava Leonardo indugiare sulla sua fetta di torta. “Sei stato tu a fare troppo rumore!” lo rimproverò.

Ma Tommaso non voleva saperne. La torta di Mysa era la sua preferita, ed ora per colpa di Bea non potevano mangiarla e quello era l’unico giorno che la facevano! L’anno seguente poi non sarebbero più stati Lupetti, e Mysa non sarebbe stata più con loro, e quindi era la sua ultima occasione per mangiarla e Bea aveva rovinato tutto per qualche cioccolatino che potevano mangiare in qualunque momento… Gli salirono le lacrime agli occhi.

Guardò Akela sperando di impietosirlo. Era sempre il più buono con loro, ma non colse il suo sguardo. E poi da quando erano entrati a far parte del C.D.A.****, li consideravano tutti più grandi e responsabili e sapeva che erano rimasti molto delusi per il loro comportamento: lo aveva letto nello sguardo di Bagheera.

Beatrice lo fissò incredula. Davvero si era imbronciato per una cavolata del genere?

“Tommy!” lo richiamò, cercando nuovamente di prendergli la mano, ma ancora una volta lui la scansò bruscamente.

“Lasciami in pace!” sbottò. “E’ tutta colpa tua, io non volevo venire, ok?” non la stava guardando, ma seppe di aver fatto centro, perché Bea non parlò più finché tutti non si alzarono dai loro posti per andare a sbrigare le faccende.

“Bea, Tommy, a pulire le camere!” ordinò Bagheera. Quindi la punizione non era finita! Soltanto in due a pulire le camere, un vero e proprio accanimento! Bea fece per protestare, ma Tommaso si alzò senza dire una parola e si avviò a testa bassa e passo deciso verso le camere. Lei lo seguì, correndo per raggiungerlo.

“Aspettami!”

Lui accelerò il passo e Beatrice fu costretta a correre per stargli dietro, mentre continuava a richiamarlo. “Tommy, dai... Aspetta!”

Ma lui non voleva saperne. Riuscì a bloccarlo soltanto all’ingresso della camera dei ragazzi perché lo prese di forza per le spalle e gli si piazzò davanti.

“Mi dispiace, ok?” scandì. “Volevo soltanto fare qualcosa di carino per te. Non pensavo che ci avrebbero beccati. Ecco…” si torse le mani, mentre lui la guardava torvo e per niente ammorbidito dalle sue parole. “Prendi.” disse tentennante, sfilandosi dal collo e porgendogli il fazzolettone attorcigliato e pieno di spille. Era la cosa più preziosa che possedesse e i suoi gesti esitarono molto.

“Ma… Non puoi!” disse Tommaso, dimenticando tutto il resto.

“Io non sono degna!” esclamò lei, teatrale come sempre. “Finché tu non mi perdonerai, io non sarò degna di essere una scout, e quindi… Questo non mi serve.”

Beatrice deglutì e Tommaso sapeva bene che stava facendo tutto ciò solo per dimostrargli quanto fosse pentita. Anche lui si sfilò il fazzolettone, esitante. Il suo aveva più spille di quello di Bea, perché aveva partecipato a più campi.

Lo tese verso di lei, allargandolo per infilarglielo al collo. Beatrice lo guardò sorpresa. Sapeva che in quel foulard c’erano tutti i suoi ricordi, i campi a cui aveva partecipato, pupazzetti e spille che gli avevano regalato negli anni… Alcuni li aveva persi, alcuni erano piuttosto vecchi, altri glieli aveva appuntati lei stessa. Sorrise. Era felice di non dover rinunciare agli scout.

Anche lei sollevò il fazzolettone verso Tommaso e di tacito accordo se li scambiarono.

Fu in quel momento che accadde la cosa più pazzesca, persino più incredibile di quella volta che i Capi li avevano dimenticati in stazione.

Fu in quel momento che le loro vite cambiarono per sempre.











 

Constance era sveglia da un bel po’, ma non aveva ancora mosso un muscolo per paura di svegliarlo. Stava sdraiata con gli occhi spalancati a pensare. Rifletté così tanto che ad un certo punto credette di averlo svegliato con il rumore dei suoi pensieri.

Quando si sentì cingere la vita finalmente si mosse ed il suo viso si distese in un’espressione addolcita. D’Artagnan le baciò la spalla nuda e le accarezzò sensualmente il pancione, finché lei non si rigirò verso di lui.

“Qualcuno si è svegliato di buon umore…” sorrise, posandogli un bacio sulle labbra.

Lui la guardò con quella faccia, quella che la faceva sempre sciogliere di desiderio, quella che diceva “adesso ti prendo e non ti lascio più”, ma che in realtà aspettava il suo consenso.

Per quanto lo desiderasse, quella volta il consenso non giunse. Constance gli rivolgeva un sorriso strano. Sorrideva, ma i suoi occhi quasi piangevano mentre gli prendeva il viso tra le mani e lo baciava nuovamente sull’angolo della bocca.

“Cosa succede?” le chiese preoccupato affondando una mano nei suoi ricci ramati. Dopo i primi giorni di euforia per il suo ritorno, Constance si era rabbuiata, anche se cercava di non darlo a vedere. E lui sapeva bene che non si trattavano degli sbalzi d’umore dovuti alla gravidanza: conosceva già la risposta a quella domanda.

Lei scosse il capo, guardandolo negli occhi e tirò su con il naso. Gli occhi le si riempirono di lacrime.

“Non te ne andare.” mormorò con un fil di voce. Non era da lei, non era mai stata una donna del genere, ma l’idea di restare di nuovo sola, con il bambino che stava per nascere, l’aveva fatta sprofondare in un tunnel oscuro dal quale non vedeva via d’uscita se non quella di restare con D’Artagnan per sempre e non doversi lasciare mai più.

Ma sapeva che non era possibile.

“Constance… Guardami.” non poteva farle una promessa del genere e lo sapeva benissimo, ma cos’altro poteva dirle? “Tornerò.” le assicurò, guardandola negli occhi con determinazione. “Tornerò prima che nasca.” se la prima era un’ipotesi azzardata, questa era proprio un’utopia, ed anche Constance se ne accorse perché sorrise come se D’Artagnan le avesse appena fatto una battuta per farla stare meglio.

“Scusami. So che non avrei dovuto chiedertelo.” disse, più calma, scuotendo nuovamente il capo in segno di disappunto. Cosa le era preso? Certo che sarebbe tornato.  

Il loro amore era qualcosa che andava oltre alla guerra. Le aveva promesso che sarebbe tornato per il suo compleanno e lo aveva fatto; poi ancora, per vederla con il pancione ed eccolo lì.

Nonostante Constance avesse una brutta sensazione, sapeva che avrebbe tenuto fede anche a quell’ultima promessa. Voleva illudersi che sarebbe andato tutto bene. Non lo avrebbe aspettato per la nascita del bambino, ma sperava che entro un anno sarebbero potuto stare assieme, questa volta definitivamente. La guerra in Spagna stava volgendo a loro favore. Presto sarebbero stati una famiglia.

D’Artagnan fece di nuovo quella faccia, e poi si infilò sotto le lenzuola. Le baciò più volte il pancione, facendola sussultare ridacchiando per il solletico e per il piacere.

 

“D’Artagnan!” la voce di Porthos li interruppe bruscamente ed il suo bussare insistente gli fece venire voglia di replicare il gesto sui denti dell’amico. Perché doveva fare tutto quel chiasso?

“Oh, no…” mormorò Constance al suo fianco. “Non dirmi che…”

Nel momento in cui era tornato gli aveva detto di non voler sapere quanti giorni avessero a disposizione per stare assieme, prima che fosse dovuto ripartire di nuovo. Non voleva saperlo, sarebbe stata piena di ansie, facendo il conto alla rovescia. In quel modo si era goduta suo marito per cinque splendidi giorni, ma era giunto il momento che tanto temeva. Sperava di poterselo tenere al suo fianco per più tempo.

“Constance…” le sussurrò, affondando il viso nei suoi capelli ed inspirando profondamente il suo profumo. “Oh, vorrei non dover…”

“Vai.” gli ordinò lei cercando di mantenere un tono fermo, mentre le lacrime le stavano pizzicando di nuovo gli occhi. “Vai, ora.” ripeté, con voce tremula.

Sapeva che se si fosse fermato a salutarla, lei non avrebbe avuto il coraggio di lasciarlo andare e non voleva che D’Artagnan assistesse alla scena pietosa di lei che cercava di trattenerlo con tutte le sue forze, come una disperata.

Lui esitò per lunghissimi secondi, tra le sue braccia, i suoi capelli e le lenzuola. Prendeva respiri lenti e profondi, come se si stesse preparando a fare un salto di tre metri, e intanto la guardava negli occhi, deciso ad imprimersi nella memoria ogni istante, ogni ricciolo, ogni battito di ciglia, ogni sfumatura del suo profumo.

All’ennesima bussata di Porthos si alzò di scatto, si rivestì velocemente e se ne andò senza una parola, il cuore gonfio di emozioni. Passò davanti all’amico e scese le scale, poi si asciugò una lacrima di nascosto, mentre si sistemava lo scollo della camicia.

Constance fissò il vuoto per istanti interminabili. Il respiro che prima era regolare, iniziò ad accelerare incontrollato, fino a trasformarsi in singhiozzi, che poi esplosero in un urlo di frustrazione.

Porthos lo udì, guardò verso la stanza di D’Artagnan e con aria rassegnata si calcò il capello sulla fronte.

 

Constance gridava da almeno mezzora. Non poteva tenersi dentro tutto il dolore, fisico e mentale, che la stava spaccando in due. E se D’Artagnan non fosse entrato da quella porta prima di poter stringere suo figlio tra le braccia, sentiva che sarebbe potuta morire in quell’istante.

La Regina le aveva messo a disposizione i suoi migliori dottori e lei in persona attendeva fuori dalla porta. Constance aveva declinato la sua offerta di stringerle la mano, e si sarebbe scusata di questo più tardi, ma non poteva rischiare di rompere due dita a Gisela. E si sarebbe vergognata troppo di tutte quelle urla e quei pianti che non riusciva a trattenere.

“D’Artagnan… D’Artagnan…” mormorava nei momenti in cui le contrazioni la lasciavano libera di respirare. Ma nonostante il mantra, D’Artagnan non arrivò. Il dottore annunciò che era ora di iniziare a spingere, ma lei non voleva. Si sarebbe tenuta dentro il bambino finché non lo avrebbe visto tornare. Lo aveva promesso, sarebbe entrato da quella porta per abbracciare suo figlio!

“No!” urlò in preda ad un’altra contrazione. “Lui… Dov’è lui?!” domandò invano.

“Spingete, ora!” ordinò il dottore autoritario. Constance singhiozzò, stringendo forte il lenzuolo fino a quasi farsi male. Sapeva che doveva farlo, o avrebbe fatto del male al bambino.
Lo fece, ma solo per non dover dire a suo marito che il loro bambino era morto per colpa sua.

Nacque che era appena passata la mezzanotte. Lei lo prese, ma non sentì nessuna di quelle sensazioni che Anna le aveva descritto e che la vedeva provare quando cullava il suo piccolo. Teneva la vita tra le braccia ma si sentiva morta dentro.

D’Artagnan non era tornato.




 
Note:
*cambusieri: i ragazzi che stanno in cambusa, che sarebbe la cucina, ed ai campi scout preparano tutti i pasti.
**gavetta: la ciotola personale che gli scout portano ai campi per mangiare.
***gli scout con dei ruoli, e anche i cambusieri, hanno tutti un nome tratto da "il libro della Giungla". Akela e Bagheera di solito sono i Capi (in questa fanfiction, lo sono), gli altri nomi "strani" che vedete appartengono tutti ai cambusieri.
****C.D.A.: Comitato di Akela. E' formato dai Lupetti più grandi, è un gruppetto che organizza giochi per i piccoli e che in generale aiuta i Capi.
  
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