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Autore: CHAOSevangeline    06/03/2016    2 recensioni
{ Edmund/OC }
Improvvisamente le tornò in mente il dialogo tra Lucy e Susan, che non sapevano dove si fosse cacciato un certo Edmund.
« Sei la ragazza che è appena arrivata? » le chiese lui, inaspettatamente.
Avrebbe dovuto ringraziarlo: l'aveva appena sollevata dall'incarico di trovare qualcosa di dire.
« Sì, sono Eria, sorella di Caspian. Tu sei…? »
« Re Edmund. »
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo secondo



 
La notte non le aveva portato consiglio né riposo; era semplicemente stata un inferno di ombre nel quale Eria non era stata in grado di trovare alcun conforto.
Gli occhi erano gonfi, arrossati, il colorito e le labbra più pallide del solito. Era scossa da brividi per i nervi tesi, ma non si curava della propria situazione: non era quella l’importante.
Come le aveva consigliato il suo precettore, Eria non aveva parlato con nessuno di Caspian e anzi per evitare che le proprie condizioni insospettissero le varie ancelle, la giovane aveva preferito di gran lunga rimanere nella propria camera. Non era raro che non volesse uscire e quando una delle giovani serve del castello raggiunse la sua porta e bussò, Eria rispose semplicemente che quella mattina non aveva fame e voleva essere lasciata sola.
Le orecchie della principessa rimasero in tensione costantemente.
L’unica volta che Eria si era addormentata, sfinita dalla stanchezza, aveva sognato che suo zio mandava delle guardie ad ucciderla poco prima di quella che nel suo incubo era la sua partenza per raggiungere Caspian.
Le sembrava spesso di sentire i passi di qualcuno percorrere il corridoio. A quel punto si stringeva nelle spalle, fissava la porta e, quando finalmente riusciva a capire che era tutto frutto della sua immaginazione, chiudeva gli occhi e prendeva un profondo respiro per calmarsi.
Si alternavano momenti di terrore a momenti di estrema tranquillità, durante i quali Eria riusciva addirittura a convincersi che sarebbe andato tutto bene. Poi tornava lo sconforto e allora niente riusciva a rassicurarla.
Non era proprio in grado di essere oggettiva né tantomeno di pensare a come, secondo gli elementi che aveva, le cose sarebbero potute andare.
Rimase segregata nella propria stanza fino all’ora di cena, unico pasto davvero importante all’interno del castello: molte volte il pranzo era individuale e ognuno mangiava o nelle proprie stanze o dove si trovava, a seconda di ciò che stava facendo. Lei e Caspian, ad esempio, erano soliti mangiare con Cornelius nel suo studio, talvolta senza nemmeno chiudere i libri che stavano studiando.
Il pasto serale, invece, era sacro, ed Eria proprio non avrebbe potuto evitarlo a meno che qualcosa come un’incredibile febbre la costringesse a letto.
Per tutto il giorno aveva pensato, fra le altre cose, alla scusa da utilizzare per giustificare l’assenza di Caspian. Non aver fatto credere di essere stata colta da un febbrone per evitare la cena le avrebbe servito su un piatto d’argento la possibilità di coprire così l’assenza del fratello.
La totale mancanza di premurosità e di interesse da parte di Miraz e Lady Prunaprismia diede ad Eria non solo la certezza che non si sarebbero preoccupati di chiedere troppo del Caspian presunto malato e confinato nelle proprie stanze, ma che probabilmente non avrebbero nemmeno tentato di andare a controllarlo: la donna, dal canto suo, aveva da pensare al giovane nato e non di certo a Caspian, per cui aveva sempre nutrito un odio particolare; Miraz invece, stando a ciò che ora Eria sapeva, sarebbe andato a pregare affinché la febbre portasse via il ragazzo e, allora, lo liberasse dell’incombenza di dare l’ordine di ucciderlo.
Il pasto fu infinito per quanto poco Eria si intrattenne con i sovrani; li lasciò in fretta, come era solita fare sempre. Finì il proprio piatto e tornò nella sua camera, dove tentò di riposare.
La tensione fece finalmente la sua parte ed Eria cadde addormentata.
Il fatto che la scusa avesse attecchito le fece dormire sonni non proprio sereni, ma quanto meno senza sogni capaci di disturbarla.
Il giorno seguente fu addirittura quasi migliore di quello prima.
Eria scese per colazione, si aggirò nei dintorni della stanze di Caspian riferendo alla servitù la volontà del fratello di non essere disturbato e raggiunse lo studio del dottor Cornelius per aggiornarlo circa gli eventi della sera precedente.
Dal loro ultimo colloquio, la stessa notte della fuga di Caspian, precettore ed allieva non si erano nemmeno visti: avevano pensato che sospendere per un giorno le lezioni avrebbe dato meno nell’occhio che fingere di proseguirle, rischiando che qualcun altro si accorgesse dell’assenza di Caspian.
Fu questione di ore perché il palcoscenico costruito da Eria cominciasse a crollare.
Il cavallo di Caspian era tornato senza alcun cavaliere in groppa.
La visione del solo purosangue fece decisamente allarmare la ragazza, ma per i motivi sbagliati: pensò prima alle condizioni di Caspian piuttosto che al pericolo che quell’inaspettato ritorno avrebbe costituito per lei e il dottore.
Quando Re Miraz venne avvertito e il cavallo riconosciuto fu subito teorizzata una fuga; di certo rapimento non poteva essere, o gli aguzzini del principe si sarebbero ben guardati dal lasciare che la sua cavalcatura facesse ritorno.
La fuga a cui Cornelius l’aveva preparata si rivelò alle porte. Non giocarono tanto sulla scelta di un orario tardo per sfruttare il vantaggio che le ombre avrebbero offerto loro, quanto piuttosto sulla disinvoltura.
Preso il fagotto che il precettore aveva riempito con tutte le provviste che era riuscito a recuperare e indossati degli abiti più comodi – sotto la gonna di Eria vi erano infatti dei calzoni, decisamente più adatti per affrontare la foresta rispetto ad un abito –, entrambi si diressero verso le scuderie.
Indossavano un mantello pesante per ciascuno e questo rese possibile ad Eria trasportare una spada, ben nascosta sotto di esso. Non ne aveva mai avuta una che pendesse al proprio fianco e avrebbe quasi potuto ritenere l’emozione che provava degna di nota, se solo non avesse avuto ben altro a cui pensare.
Seguì Cornelius e insieme attraversarono la piazza di pietra, raggiungendo la grata che li divideva dal ponte levatoio.
Eria usciva sempre di nascosto grazie ad una serie di vie segrete che non avrebbero assolutamente potuto percorrere con i cavalli, necessari per attraversare più in fretta la foresta. La presenza del suo precettore tuttavia giustificava il fatto che dovessero allontanarsi dal forte: un giro per il paese e l’osservazione di qualche pianta che non avrebbero facilmente trovato in quell’ambiente spoglio erano due motivi plausibili.
Non ci fu nemmeno bisogno di convincere la guardia, perché non appena li vide insieme diede ordine di far alzare la grata e di abbassare il ponte.
Lo attraversarono galoppando.
L’unica differenza rispetto a quando uscivano per compiere qualche semplice studio di botanica, fu che dopo aver attraversato il ponte e raggiunto il paese non rallentarono.
Aggirarono la cittadina, passando per gli spiazzi erbosi che la circondavano e cominciando ad avviarsi verso la foresta che si scorgeva in lontananza come se fosse un’estesa macchia scura.
Qualsiasi sentiero era completamente nuovo per Eria: mentre suo fratello aveva frequentato qualche battuta di caccia, a lei era stato severamente vietato qualsiasi tipo di passatempo simile. Non che invidiasse Caspian, non per questo almeno. Le escursioni con Cornelius, però, a quelle sì che avrebbe voluto partecipare più spesso anche lei.
Con le gambe serrate intorno ai fianchi del cavallo, Eria si piegò leggermente in avanti, spronando l’animale a seguire in velocità quello del suo precettore.
Esitante com’era in groppa al destriero che non toccava da mesi, la ragazza poteva fare tutto fuorché deconcentrarsi. Occasionalmente, però, si concedeva qualche sguardo al panorama circostante per registrare l’ambiente. Compito arduo da svolgere: tutto ciò che aveva intorno le sembrava esattamente uguale a quel che aveva visto appena qualche metro prima.
Dopo aver percorso una distanza che le sembrò infinita, in silenzio e accompagnati solo dal rumore ripetitivo degli zoccoli dei cavalli sulla terra battuta, Cornelius ordinò di fermarsi un poco per lasciar bere gli animali.
Ripresero la marcia non appena i cavalli ebbero finito di dissetarsi, ma ad un’andatura che non ricordava più una fuga disperata da dei possibili inseguitori.
L’idea che qualcuno potesse seguirli si fece strada di nuovo nella mente di Eria solo a notte fatta, quando lei e Cornelius decisero di fermarsi, questa volta più a lungo.
La coltre di alberi della foresta era così fitta da rendere loro impossibile la vista della luna e delle stelle. Appena qualche contorno balzava fuori dal muro invisibile dell’oscurità, ma decisamente era troppo poco per intuire un percorso da seguire in sicurezza.
Un fuoco era fuori discussione: avrebbe lasciato tracce e attirato attenzioni indesiderate.
Per fortuna non faceva freddo e non dovettero nemmeno usare i mantelli come coperte.
« Cornelius, siete certo che riusciremo a trovare Caspian? La foresta è immensa e le probabilità sono bassissime…»
« Vostra maestà, dovete avere fede. Avevo consigliato a vostro fratello di raggiungere Archen, perciò almeno sappiamo dove sta cercando di andare. »
Eria si morse il labbro, con indecisione. Odiava piangere e farsi vedere mentre accadeva, ma la frustrazione l’avrebbe spinta a questo ed altro.
Era solo una ragazzina, lo sapeva. Una ragazzina finita in qualcosa di troppo grande. E suo fratello! Chissà dov’era e come stava.
« Sì, ma… se non dovessimo fare la stessa strada? »
« Fuggiamo dallo stesso nemico, vostra maestà, probabilmente questo ci spingerà a fare le stesse scelte. »

 

Eria aveva perso il conto degli insoliti gesti, quasi rituali, che aveva visto compiere al suo precettore mentre erano in viaggio. Sembrava che controllasse qualche cosa, ma tutte le volte che la giovane cercava di allungare il collo con discrezione per vedere e capire cosa cercasse, non ci riusciva.
Aveva giurato a sé stessa che se gliel’avesse visto fare ancora non si sarebbe trattenuta dal chiedere spiegazioni.
L’interesse non sarebbe stato tanto se solo il dottor Cornelius non le avesse ribadito più volte che senza un pizzico di magia avrebbero faticato molto di più nell’impresa di trovare Caspian.
A differenza delle due – o forse tre – sere precedenti, quella non si accamparono.
Cornelius le aveva detto che se avessero continuato a camminare sarebbero stati capaci di uscire dalla foresta prima che il sole calasse e aveva sottolineato quanto vantaggiosa sarebbe stata per loro una notte in meno da trascorrere lì.
Spuntarono in una vasta radura, attorniata su tre lati da alberi. Il rimanente, alla loro sinistra, era chiuso da un’imponente costruzione di pietra.
Ad Eria parve familiare, ma non riuscì proprio a ricordare dove l’avesse già vista.
Al momento la gioia di non dover più incespicare nel sottobosco, tra radici sporgenti e cespugli che la graffiavano in continuazione superò quasi l’interesse.
« Dove siamo? » chiese infine.
« È la Casa di Aslan, vostra altezza. »
La giovane era sul punto di chiedere che cosa avrebbero fatto, ora che si trovavano lì, ma venne interrotta da una voce concitata.
« Umani! » esclamò.
Quando allieva e precettore cercarono di identificare chiunque avesse parlato non senza una certa preoccupazione, videro che dalle mura a gradoni dell’imponente costruzione scendeva a salti un uomo con il petto scoperto. Non era quello, però, ciò che ad Eria saltò più all’occhio: la persona che si stava precipitando loro incontro saltava agilmente grazie alle proprie gambe irsute. Gambe che in realtà erano zampe di capra e facevano un baccano assurdo quando gli zoccoli picchiavano contro la pietra.
Non impiegò molto per arrivare fino al tappeto erboso e in quel preciso istante una seconda creatura comparve da uno degli angoli del monumento.
Un centauro galoppava verso di loro e il fauno che aveva dato l’allarme lo seguiva.
Eria arretrò d’istinto senza sapere cos’altro fare e rischiò di inciampare sugli arbusti del sottobosco al limitare della foresta.
Se non cadde fu solo perché Cornelius la trattenne per un braccio impedendole di fuggire.
Non era inorridita e benché stesse realizzando quanto l’esistenza di quelle creature le risultasse più strana ora che finalmente le vedeva, capì anche che la paura nata in lei sarebbe stata uguale se al posto di quei due le fosse corsa incontro una coppia di soldati armati: se la volevano morta, che fossero umani o narniani cambiava davvero poco.
« Non siamo ostili », annunciò Cornelius.
Il tono di voce era fermo, proprio come se si fosse già trovato in situazioni simili diverse volte e avesse ormai molta esperienza.
« Questo di certo non lo potete giudicare voi », rispose con irruenza il fauno. Si rivolse poi al suo compagno. « Dovremmo andare ad avvisare i sovrani. »
Con un cenno il centauro si preparò a raggiungere l’ingresso dell’edificio a cui facevano la guardia.
Pur essendo appena giunta la sera – era estate e le giornate erano lunghe, perciò non era ancora buio – le persone che si trovavano nella struttura di pietra erano già belle che addormentate; il fauno non aveva fatto abbastanza rumore da svegliarle, o almeno così credeva: una figura sbucò dall’ingresso proprio quando il centauro si girò in quella direzione e cominciò a camminare con ampie falcate sull’erba, verso il gruppetto.
« Cosa sta succedendo? » chiese il nuovo arrivato.
Aveva una voce familiare.
Eria alzò subito il capo, anche se non aveva bisogno di conferme.
« Caspian! »
La magia del professore era servita davvero, allora.
Le due creature si voltarono in direzione del ragazzo e, ad un rapido cenno di lui, smisero di serrarsi reciprocamente i fianchi per impedire ai due intrusi di fare un solo passo più avanti.
Eria scattò per raggiungere quanto più in fretta possibile il fratello, stringendolo poi in un abbraccio che venne ampiamente ricambiato.
« Stai bene? Sono così contenta di vederti! »
« Sto benissimo, e tu? Miraz non ha fatto in tempo a farvi nulla, vero? »
Con quelle parole, Caspian rivolse lo sguardo anche al proprio precettore, che scosse la testa come del resto fece Eria.
« Il tuo cavallo è tornato indietro. Siamo fuggiti per questo prima che Miraz potesse fare qualsiasi domanda. »
Quando la situazione venne spiegata anche al fauno e al centauro, che potevano solo ipotizzare cosa stesse accadendo, si mostrarono entrambi costernati e chinarono il capo verso Eria e il precettore. La ragazza non seppe cosa fare e poté soltanto imitare quel gesto, incerta su cosa sarebbe stato giusto dire per rassicurarli.
Subito dopo Caspian condusse i due nuovi arrivati fin nella grotta. Sfilarono tra i corpi addormentati di nani, fauni e altre creature che ora Eria riusciva ad osservare con stupore, la mente non più annebbiata da altre preoccupazioni.
Quando aveva visto per la prima volta quelle creature aveva quasi urlato, convinta che nulla del genere sarebbe mai potuto esistere al di fuori delle leggende. Da bambina aveva sperato a lungo che quelle non fossero solamente storie, ma pian piano, crescendo, aveva lasciato da parte quel desiderio per concentrarsi su ciò che era reale.
Caspian li guidò fino ad una sala che, come spiegò, fungeva da luogo di riunione. Non per niente era vastissima, anche se scarsamente illuminata com’era non se ne sarebbe vista la fine nemmeno se fosse stata ampia appena un metro.
« Quando sono scappato e ho raggiunto la foresta », cominciò Caspian, dopo aver indicato dei massi su cui sedersi. « Ho incontrato gli abitanti di Narnia. All’inizio non ci credevo e devo dire di aver temuto di essere finito in guai peggiori di quelli da cui ero appena fuggito. Alcuni di loro si sono mostrati un po’ ostili inizialmente, ma dopo aver spiegato la situazione, chi ero e perché mi trovavo lì, hanno deciso di appoggiare la mia causa. Abbiamo saccheggiato qualche forte di Miraz. Una mossa sciocca, sì, ma avevamo bisogno di provviste dato che siamo in abbastanza da formare un esercito. »
« Esercito? » incalzò Eria. « Siamo in guerra? »
« Non ancora, ma presto probabilmente sarà così. »
« E hai suonato il corno? » Questo era Cornelius.
Eria aggrottò le sopracciglia chiedendosi di che corno stessero parlando, ma almeno per il momento decise di non domandare nulla.
« Sì, l’ho fatto la stessa notte in cui sono fuggito. Mi è stato detto che avrei dovuto aspettare di più, ma non sapendo quanto tempo avrebbe impiegato per fare effetto ho preferito essere previdente. »
« E dunque? »
« Sono arrivati, gli antichi Re e Regine di Narnia. Appena stamattina. »
Improvvisamente nell’antro calò un silenzio di tomba che nessuno si azzardò a spezzare.
Per Eria era incredibile che il Re Supremo e i suoi fratelli, gli stessi su cui aveva fantasticato ascoltando le antiche leggende, si trovassero probabilmente ad appena qualche metro di distanza da lei, in quella stessa grotta.
Improvvisamente l’idea di conoscerli la oppresse. Come sarebbe stato conveniente comportarsi, con dei sovrani tanto importanti?
Era sempre stata abituata a rifiutare gli onori eccessivi dei sudditi, ora invece si ritrovava a non essere certa di saper essere abbastanza ossequiosa. Non tutti i sovrani odiavano essere riveriti, dopotutto.
Vennero scambiate poche altre parole prima che il dottor Cornelius chiedesse a Caspian dove andarsi a riposare. Non che la grotta fosse scandita da stanze, ovviamente: c’erano degli antri in cui più di qualcuno riposava, ma ogni giaciglio era semplicemente un ammasso di coperte gettato a terra e per questo facilmente spostabile.
Chi aveva fortuna magari era riuscito a trovare una pietra come cuscino, nulla di più.
Dopo il congedo del dottore, i due fratelli rimasero soli.
« Dovresti andarti a riposare anche tu », disse Caspian, controllando di sottecchi il volto provato di Eria: la pelle era più pallida del solito e occhiaie violacee avevano scavato a fondo sotto i suoi occhi.
« Lo farò certamente, ma non adesso. Tanto non riuscirei a dormire con tutto quello che è successo. In così poco tempo, poi. »
Caspian le si fece più vicino, sedendosi accanto a lei sulla stessa roccia.
« Mi dispiace essere fuggito senza di te, Eria. Volevo aspettarti, davvero, ma Cornelius non me l’ha permesso », si giustificò Caspian con tono mesto.
Eria lo guardò, gli occhi illuminati dalle poche torce accese spalancati per la sorpresa.
« Spero davvero che tu non mi creda arrabbiata con te, Caspian. » Poggiò la mano sulla sua, rivolgendogli un piccolo sorriso. « Mi sarei arrabbiata di più se pur di non lasciarmi lì non te ne fossi andato.. »
Caspian annuì, ora più leggero dopo essersi tolto quel peso.
« I sovrani come sono? »
Per un momento Eria si sentì sciocca a fare una domanda tanto superficiale nonostante la situazione. Caspian però parve gradire: anche se la sorella non lo sapeva, negli ultimi giorni nemmeno lui aveva avuto modo di pensare a cose che non fossero tentati assassinii e guerre imminenti, per cui una discussione più frivola non gli dispiacque affatto.
« Mi sembrava strano che non avessi già cominciato l’interrogatorio. » Caspian roteò gli occhi, prendendola in giro. « Molto diversi da come mi aspettavo. Sono estremamente giovani, ma sanno il fatto loro. Te li presenterò domattina. »
« Non ho mai avuto a che fare con dei veri sovrani. Gli unici che io abbia mai conosciuto sono nostro zio e nostra zia, ma… non penso che loro contino molto. Questi sono i sovrani di Narnia, Caspian! »
« Grazie per avermelo ricordato. »
Il ragazzo sorrise appena, con tenerezza. Non riusciva a deriderla troppo, vedendola così sinceramente entusiasta.
« E anche se contano di più pretendono molto meno rispetto ai nostri zii, davvero. Li conosco da poche ore, ma le formalità sono sparite dopo il primo saluto. »
Scambiarono ancora qualche parola, poi Eria non riuscì a trattenere uno sbadiglio che cercò di nascondere con una mano.
« Avanti, è ora di dormire », disse Caspian.
Eria sarebbe volentieri rimasta a parlare per ore e ore con il fratello, ma si convinse che dormire, al momento, fosse la cosa migliore che potesse fare.
Recuperarono una coperta e il fratello la guidò fino al luogo dove lui riposava. Il giaciglio non era altro che un pezzo di stoffa steso a terra, la cui unica funzione era non farlo sporcare troppo con la polvere che copriva il suolo della caverna. Una coperta non sarebbe mai riuscita a rendere più confortevole il suolo.
Per Eria fu come tornare bambini, quando alle volte sgattaiolavano l’uno nella stanza dell’altro per non dover affrontare soli i loro mostri immaginari.
Il letto dove avevano dormito da piccoli, però, era di gran lunga più morbido.
 
   
 
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