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Autore: AndThenWeKiss    06/03/2016    2 recensioni
Dawn è una sedicenne che si è trasferita in una delle scuola più prestigiose del Canada. Arrivata a scuola, fa conoscenza con Mike e Zoey, con cui stringe un rapporto d'amicizia, mentre proverà ad avvicinarsi ad un ragazzo di nome Scott.
La ragazza inizierà ad essere vittima di strani fenomeni-non paranormali- che metteranno a rischio la sua vita, e alla fine scoprirà il vero responsabile, che trama vendetta contro la sua famiglia da parecchi anni, servendosi di persone vicine a Dawn per i suoi scopi malvagi.
Note Autore: Hola! Intanto ci tenevo a precisare che il primo capitolo è principalmente di introduzione, le cose inizieranno a movimentarsi dal secondo.
La storia la scrissi tempo fa(2012, all'incirca) su una mia pagina ed è scritta in modo pessimo, quindi ho deciso di riprenderla, modificare la trama e di riscriverla in modo più corretto.
Spero vi piaccia, baci.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Capitolo 1

Ciao a tutti! Non so come iniziare questa storia, quindi vi parlerò di me.
Il mio nome è Dawn, Dawn Medrek. Ho venti anni, ma questa storia risale a quando ne avevo sedici; i miei capelli sono lunghi e biondi, ma non un biondo scuro, un biondo chiaro. I miei occhi sono celesti, come il cielo della Virginia, lo stato in cui sono nata e cresciuta, e che in questo momento sto abbandonando, ma vi spiegherò dopo.
Sono una ragazza bassa, di corporatura esile, il mio stile può essere definito casual.
Le mie passioni? Be' senza dubbio leggere, meditare, collezionare tè e scrivere.
Collezionare le bustine di tè è una delle cose più malate e strane che io abbia mai fatto, è una cosa iniziata da quando avevo sei anni: mia madre mi aveva dato del tè per curare il mio mal di pancia, e da allora rimasi affascinata da quella bevanda nervina, a tal punto da collezionare le bustine vuote, leggerne le foglie e berne a quantità industriali, sostituendolo spesso all'acqua.
Tornando a me, ho sedici anni, e come ho scritto precedentemente sono nata e cresciuta in Virginia, in particolare nei suoi boschi e con la sua cultura.
Purtroppo per ragioni lavorative mi sono ritrovata a dover abbandonare tutto e tutti, senza sapere che stavo andando in contro ad una delle più grandi avventure della mia vita.
Penso di aver detto tutto, ora vi lascio alla storia.

 

Aprii i miei occhi azzurri come il cielo e guardai fuori dal finestrino, tenevo il palmo della mano poggiato sotto il mento, mentre osservavo con sguardo stanco le file e file di automobili, immaginando da dove venissero, dove fossero dirette e soprattutto mi divertivo a guardare la targa delle automobili.
Ero letteralmente schiacciata sul sedile posteriore della chevrolet rossa dei miei genitori, accanto a me c'erano diversi bagagli, assicurati da delle corde.
Sul sedile davanti al mio era seduta mia madre, anche lei, come me, aveva i capelli biondo chiaro che teneva sempre raccolti con una crocchia elegante, mentre gli occhi celesti e stanchi erano incorniciati da due occhiali a mezzaluna. La sua pelle era pallida, esattamente come la mia, e in quel momento si stava dilettando nella sua attività preferita: la lettura.
Sull'altro sedile era seduto mio padre, anche lui aveva i capelli biondi, ma leggermente più scuri rispetto ai nostri; gli occhi erano blu notte, in contrasto con la sua pelle chiara, anche essi, però, incorniciati da due occhiali a mezzaluna. Teneva gli occhi fissi sulla strada, eravamo quasi arrivati ad Ottawa.
Avevo sentito parlare molto bene della mia nuova scuola, una delle migliori di tutto il Canada. Mi ero documentata su Internet, effettivamente sì: forniva una preparazione adeguata più o meno in tutte le materie e in tutti i settori, quindi era anche più costosa rispetto alla scuola dove andavo prima, ma mio padre e mia madre avevano trovato un posto di lavoro lì, ben retribuito, e quindi dovetti cambiare i miei programmi.
Nelle orecchie indossavo due auricolari, oltre ai miei orecchini a forma di ravanello fatti da me. In quel momento ascoltavo una rilassante canzoni dalle note orientali, non ricordo il titolo, però.
Mi lasciai cullare di nuovo da quel ritmo rilassante e chiusi gli occhi, poi poggiai i piedi sulla scatola ai miei piedi e mi riaddormentai.
Vi risparmio il resto del viaggio, dato che l'ho passato interamente a dormire e a parlare con mamma e papà della fine del libro che aveva finito di leggere mia madre, discutevamo sull'improbabilità dell'assassino che aveva ucciso la madre della protagonista: una delle ragazze più brave, belle ed intelligenti della scuola, ma che era stato in grado di compiere quel crimine. Inutile dire che i nostri sospetti ricadevano sull'inquietante vicino di casa o sulla sorella pazza, ma gli stereotipi ci avevano ingannato alla stragrande.
Mio padre parcheggiò l'auto davanti ad una villetta. Gli esterni erano decorati di un giallo crema, il tetto era marrone e le mattonelle ricordavano tanti pezzetti di cioccolato incastrati tra loro.
Ovviamente la prima che guardai fu il giardino, era ampio ed era pieno di piante rigogliose, aiuole e c'era persino un grande albero su cui avrei costruito la mia casa sull'albero, nonché la mia casa dello yoga.
Mi tolsi la cintura di sicurezza e con molta precipitazione uscii dalla macchina, sgranchendomi le gambe e guardando la nostra nuova casa, estasiata da tutto ciò.
Notai che nel retro della casa, quindi sul giardino sul retro, c'era anche una fontana, ma vi racconterò più tardi.
Mio padre aprì il cofano e mi passò le mie tre valige, tutte rigorosamente rosa e alcune mie scatole contenenti vecchie scartoffie.
-Dawn, andiamo a vedere com'è dentro, dai.
Mi disse mia madre, sottobraccio teneva alcune borse, nella mano sinistra stringeva un trolley nero, mentre nella destra impugnava le chiavi color rame.
Si avvicinò alla porta di casa, le andai dietro e aspettai che aprì. Fece tre giri, la porta bianca con il numero “11” scritto su una lastra di bronzo si aprì, permettendomi di guardare la casa.
Che dire? Era molto semplice. Le mattonelle erano “a scacchiera”, ossia bianche e nere alternate e c'era un corridoio che conduceva a delle scale che scendevano in giù che portavano verso uno sgabuzzino, mentre accanto c'erano le scale che portavano al piano di sopra.
Alla mia destra c'era un muretto con sopra un telefono fisso e una pianta di orchidee -che ben presto sarebbe diventata mia-, e dall'altra parte del piccolo muretto in marmo c'era il salotto: c'erano due poltrone in pelle marrone e un grande divano sempre in pelle-spero sintetica-, davanti un grazioso tavolinetto con un centrino bianco ricamato e dietro un termosifone incastrato nel muro con sopra il davanzale e la finestra, coperta da due tende color rosa salmone, che stonavano con il giallo crema delle pareti interne ed esterne. Alla destra del tavolino centrale, un po' più in basso, verso il muro, c'era un altro mobile con sopra una TV moderna.
Accanto alla poltrona a destra del vivano c'era un piccolo ripiano in marmo su cui erano poggiati gli attrezzi per il caminetto, che si trovava sullo stesso ripiano in marmo.
Guardai di sbieco la cucina, il bagno, la dispensa e mi avviai al piano di sopra, diretta verso la mia camera da letto.
C'era un altro corridoio, davanti a me c'era una portafinestra, mentre alla mia sinistra un altro muretto con accanto una porta finestra, e alla mia destra, ovviamente, la ringhiera.
Andai sempre dritta, poi svoltai verso destra, c'era una stanza con le pareti rosa e abbastanza grande, sarebbe stata la mia camera da letto.

 

Aprii i miei occhi udendo il rumore assordante della sveglia poggiata sul comodino e sorrisi alla vista del pianeta Rosso sopra il mio letto: avevo iniziato ad arredare la stanza seguendo i miei gusti, e dopo scuola avrei continuato, aggiungendo il mio tocco magico.
Nonostante il trasferimento mi avesse stancata, decisi comunque di andare a scuola, così mi sarei ambientata prima. Scesi in cucina, i miei erano già lì e indossavano i loro pigiami; papà era seduto su una sedia di legno con un comodo cuscino rosso e leggeva il giornale, mamma invece stava cucinando i pancackes, teneva i capelli ancora legati, sulla fronte invece c'era la sua maschera da notte rosa con il pizzo bianco. Li salutai con un cenno della mano, poi presi una mela e tornai nella mia camera da letto.
Il mio armadio era color lilla, lo aprì e presi dei vestiti: una camicia sul celestino, un maglione verde, una minigonna viola, calze dello stesso colore e scarpette nere. Indossai i vestiti con rapidità, poi presi la borsa a tracolla dentro la quale avevo messo dei libri la sera precedente e afferrai la mela che avevo appoggiato pigramente sulla scrivania.
-Io vado a scuola, a più tardi.
Dissi salutando i miei e uscendo dalla porta.
La mia scuola, la Moonchild High School, come ho detto prima, è una scuola un po' particolare: si tratta di un progetto dello Stato Canadese in cui vengono selezionati diversi alunni da scuole sparse nel territorio dello stato e professori molto qualificati, e nel mio caso è stata fatta un'eccezione, dato che non sono canadese. I docenti invece provenivano anche da altri stati.
Il progetto era iniziato da parecchi anni, dal 2007 e stava dando buoni risultati, preparando gli studenti ad ogni tipo di settore, dall'alberghiero, al linguistico, allo psicologico e persino al netturbino, anche se per quest'ultima non ne sono sicura: Nonciclopedia non è una fonte così affidabile, dopotutto.
La scuola era davvero grande ed era totalmente bianca, niente più, niente meno.
A separarla dal resto della strada c'era un grande cancello ben decorato e la serratura si trovava sopra un cuore grigio sorretto da degli angeli, dello stesso colore.
Il cancello era aperto, entrai e mi guardai intorno, mi sentivo osservata, ed era ovvia la ragione.
C'erano persone di tutti i tipi, di tutte le nazionalità. Mi soffermai davanti a due gemelle bionde vestite da cheerleader che si picchiavano, mentre una ragazza di colore molto alta cercava di fermarle.
La campanella suonò, indicando a noi studenti che era giunto il momento di entrare, quindi presi un respiro ed obbedii. Salì le scale in pietra, guardando male i ragazzi e le ragazze che mi spintonavano per entrare, poi udii un rumore familiare, mi voltai: la macchina dei miei genitori si parcheggiò davanti al muretto della scuola.
Essendo un membro della classe terza, terza B, per la precisione, mi avviai nel punto preciso in cui erano raccolti gli alunni delle terze: eravamo dentro una sala davvero enorme, c'erano molte sedie e su ogni sedia c'era scritto il numero e la sezione.
Sulla mia c'era scritto “3B”. Accanto a me si mise a sedere una ragazza con i capelli rossi raccolti in due piccole codine, indossava un top rosso che le faceva intravedere la pancia, di un colorito chiaro, ma non come il mio, dei pantaloni beige e zeppe dal tacco basso nere con la suola beige. Il particolare che più mi aveva colpito di lei, però, fu il grande fiore di pesco che teneva in testa: emanava un odore buonissimo e i suoi petali rosa mi ipnotizzavano.
Ovviamente, la ragazza se ne accorse.
-Ehi. Io mi chiamo Zoey, tu devi essere la ragazza nuova.
Disse tendendomi la mano e rivelando un bracciale nero che prima non avevo notato. La strinsi e sorrisi, ma prima di pronunciare il mio nome, la guardai negli occhi. Era sola, non aveva molti amici per via del suo carattere introverso, provava amore per un ragazzo della classe, ma non aveva il coraggio di dirglielo. La guardai meglio, eccelleva in ogni materia e le persone la stimavano per questo, le chiedevano anche di poter copiare i compiti, cosa che lei accettava di buon cuore, convinta che fossero gesti di amicizia.
Smisi di guardarla notando il suo sguardo tra l'imbarazzato e lo spaventato.
-Io sono Dawn, piacere mio.
Prima di voltarmi, la guardai di nuovo: aveva un animale domestico, un criceto, con il quale passava i suoi pomeriggi.
Alla mia sinistra si sedette un ragazzo: aveva i capelli marroni e un po' spettinati e indossava una t-shirt verde acqua, dei pantaloni di jeans e delle scarpe blu e bianche. La sua pelle era abbastanza scura, non era di colore, molto probabilmente era semplicemente abbronzato. Notò il mio sguardo.
-Ehilà! Io sono Mike, tu sei?
Anche lui mi tese la sua mano, era molto più grossa rispetto a quella di Zoey, strinsi anche questa e lo guardai.
Era un ragazzo abbastanza bravo a scuola, di carattere mite e abbastanza espansivo, aveva una cotta per una ragazza della classe, ma non aveva il coraggio di dirglielo. Non eccelleva molto nelle discipline sportive, ma soprattutto, dentro di sé, aveva un grande segreto. Spalancai gli occhi: non avevo avvertito una sola aura, ma ben cinque auree, tutte con sfaccettature diverse: quel ragazzo aveva sei personalità.
Notò il mio sguardo stupito.
-Tutto ok?
Mi domandò agitandomi la mano davanti al viso, mi ripresi subito.
-Certo, pensavo. Il mio nome è Dawn, piacere di conoscerti.
Lui sorrise e si voltò, mentre con la coda dell'occhio notai che guardava me, o forse Zoey? Guardai Zoey, faceva lo stesso, i loro sguardi si stavano incrociando.
Stavo per combinare il loro fidanzamento, quando il preside picchiettò il dito sul microfono-producendo un rumore basso- e ci fece tacere.
-Buongiorno a tutti, miei studenti. Per chi non lo sapesse, il mio nome è Chris McLean e sono il Preside di questa scuola, nonché fondatore di questo progetto. Alo sviluppo hanno contribuito diversi professori, e alla fine è stato approvato. Vorrei ringraziare quindi questi professori, e soprattutto voi studenti, che rendete possibile il continuo di questo progetto-scusate la ripetizione-.
Continuò a spiegare le regole, io incrociai i suoi occhi neri, come i suoi capelli.
Chris era un uomo vanitoso, avido, e quelle parole erano sicuramente false, ma dietro al suo comportamento c'era una ragione ben più profonda. Divorzio? Insicurezza? Repressione?
In quel momento non potevo affermarlo con certezza, quindi mi limitai a guardare altri studenti.
Leggere le auree è uno dei miei passatempi preferiti, prima non l'ho nemmeno menzionato: mi piace vedere cosa nascondono le persone, ma evito di abusare perché so che mancherei la loro privacy. Ok, questa è una contraddizione. Diciamo che vorrei trattenermi, ma è più forte di me e alla fine finisco sempre per sapere che dietro quella maschera di perfezione si nasconde in realtà tristezza, a volte unita anche con la rabbia.
Una volta lessi l'aura di una ragazza di nome RoseMary, non era proprio una mia amica, diciamo più una conoscente; scoprii che in realtà nel suo corpo c'era solo falsità, ma non caratteriale, anzi, ma esteriore. I capelli arrivavano fino al didietro, erano allungati da delle extensions, il trucco copriva diversi brufoli e utilizzava un reggiseno imbottito per aumentare le sue forme. Insomma, voleva dare l'idea di essere la perfezione fatta donna, quando in realtà era solo insicura del suo aspetto.

 

Dopo una lunga ed interminabile ora in cui Chris aveva fatto visitare la scuola a tutti i primini-che avevamo dovuto seguire- e aveva fatto un altro discorso, ci ritrovavamo inchiodati nell'aula di inglese.
Dietro la cattedra era seduta una donna, aveva i capelli biondi e lunghi fino alla schiena, occhi celesti. Indossava due orecchini rossi e un completino con tanto di scarpe dello stesso colore, sembrava un pomodoro.
La guardai, era un po' come RoseMary, niente di più da dire su di lei. Ok, non aveva brufoli e capelli chilometrici, ma anche lei era molto truccata ed utilizzava delle extensions.
Non vedo il senso di nascondere il proprio aspetto; nulla contro queste cose o chi ricorre alla chirurgia, ma secondo me non serve a niente.
La professoressa prese il registro di classe color blu e lo aprì, poi iniziò a leggere l'elenco di studenti.
-Beverly Brown.
Disse, e uno studente di colore dalla corporatura in carne alzò la mano. Indossava un berretto arancione, una giacca grigia, maglia rossa, pantaloni corti e scarpe da ginnastica, sull'orecchio un orecchino d'oro. Aveva i capelli marroni, un pizzetto e occhi celesti.
-Mike Doran.
Il ragazzo di prima alzò la mano, esibendo un sorriso a trentadue denti.
-Cameron Duhaney.
Accanto a lui, un ragazzino di colore dalla corporatura e dall'altezza simile ai suoi alzò la mano. I suoi capelli erano marroni e rasati, gli occhi dello stesso colore. Indossava degli occhiali da vista con le lenti quadrate, una felpa rossa, pantaloncini arancioni e scarpe da ginnastica arancioni.
-Jo Elliott.
Stavolta fu una ragazza ad alzare la mano, eppure Dawn era convinta che fosse un uomo. Aveva i capelli biondi corti e scompigliati alla base, i suoi occhi erano di color Indaco, davvero belli e particolari. Indossava una banale tuta grigia, scarpe sul verdino e suola bianca.
-Sam Froud.
Di nuovo un ragazzo, aveva i capelli ricci color castano dorato, indossava gli occhiali e aveva gli occhi neri, qualche peletto sul mento. Riguardo al suo vestiario, maglia a maniche lunghe di un giallo chiaro, simile a quello dei suoi capelli con il colletto arancione; dello stesso colore, erano due strisce presenti sulla maglietta, e tra le due arancioni ce n'era una gialla. Aveva i pantaloni corti e scarpe da ginnastica arancioni.
-Anne Maria Karkanis.
Di nuovo una ragazza, seduta accanto a Zoey. I suoi capelli erano neri, così come i suoi occhi. La pelle era scura, quasi color caramello, ma probabilmente usava molto autoabbronzante.
Indossava un top viola che faceva vedere la pancia e la scollatura, pantaloncini fino al polpaccio di tessuto jeans con una cinta rosa e zeppe viola.
-Zoey Mamabolo.
Ora fu Zoey ad alzare la mano, vi risparmio la descrizione: la sapete già.
-Brick McArthur.
Ora fu un ragazzo quello seduto accanto a Jo. I suoi capelli erano a spazzola, neri, idem i suoi occhi-riguardo al colore-. Indossava una maglia a maniche corte verde militare, intorno al collo aveva le tipiche piastrine. Pantaloni corti di jeans e scarponi sulla parte inferiore.
-Dawn Medrek.
Alzai la mano e sorrisi alla prof.
-Ah tu devi essere la ragazza di nuova.
Disse con finto entusiasmo, giocherellando con una ciocca di capelli. Mi resi conto solo ora che stava masticando un chewing gum, probabilmente alla fragola.
Comunque sia, annui convinta.
-Ma dove sono le altre due?
Feci spallucce.
-Prego?
La prof ridacchiò.
-Intendo dire, erano in tre le ragazze nuove, o sbaglio?
Domandò sorridendo.
Mi strinsi nelle spalle, passò al prossimo nome.
-Dakota Milton.
Ora fu la ragazza accanto a me ad alzare la mano. Aveva i capelli biondi e lunghi fino alla schiena, gli occhi verdi. Indossava un top rosa confetto, pantaloni fucsia e ballerine rosa confetto.
In quel momento giocava con il suo cellulare, ma la prof sembrò non accorgersene, o almeno fece finta.
-Staci Peters.
Un'altra ragazza alzò la mano. Aveva i capelli a caschetto di color marrone, adornati da una fascia con un fiocchetto, davvero carini. Gli occhi erano blu notte, come quelli di papà. Indossava una felpa rosa che la ingrassava molto, pantaloni viola e scarpe da ginnastica gialle.
-Lightning Savage.
Un altro ragazzo, era di colore anche lui. I capelli erano a spazzola di colore marrone, così come gli occhi. Intorno al collo aveva una catenina con un fulmine, mentre indossava una maglia a maniche corte blu con strisce bianche e biondo chiaro sulle maniche; pantaloncini marroni e scarpe celesti.
-Scott Wallis.
Ancora un ragazzo. Questo in particolare catturò la mia attenzione, ancora non sapevo il perché. La sua aura era nera e in costante movimento, sembrava ribollire di rabbia e di odio, mascherati da un sorriso furbetto.
I suoi capelli erano rossi, gli occhi blu. Indossava una canottiera bianca che aveva qualche macchia di olio-almeno speravo- sulla schiena, dei jeans con una cintura e delle scarpe da ginnastica nere; aveva delle lentiggini qua e là su tutto il corpo.
L'appello era finito, la professoressa richiuse il registro e tirò fuori il cellulare.
Una delle scuole più prestigiose di tutto il Canada e la prof si prendeva il lusso di non spiegare per parlare al telefono?
D'un tratto ebbi una strana sensazione, mi sentivo turbata, quasi in pericolo. Mi morsi il labbro per la tensione, poi guardai Dakota per vedere il suo viso. Ridacchiava mentre chattava con il suo cellulare; guardai il resto della classe: ero l'unica che sembrava preoccupata da qualcosa, qualcosa che si era avvicinato.
La porta si aprì d'un tratto. 

   
 
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