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Autore: eringad    28/03/2009    1 recensioni
Paesino sperduto in Campania, 7 Maggio 1945, ultimo giorno della guerra. Una famiglia problematica, composta da soli tre bambini, una piccola combina guai bionda di sei anni, nello scenario della Seconda Guerra mondiale, una storia di piccoli eroi, eroi di tutti i giorni, o eroi speciali, sopravvissuti alla durezza dei tempi di carestia, alle esperienze dolorose. La storia di tre piccoli eroi, Kankuro, Ino e Temari. Basata su una storia vera!
{Partecipante al contest "Ino & Temari Tribute" indetto da Mimi-chan e Bambi88}
Genere: Generale, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Sabaku no Gaara , Temari, Ino Yamanaka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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{Night [Part Two] – Gaara}

Temari stringeva forte la mano del bambino accanto a sé, pregava a mezza voce per la loro salvezza, perché tutti si salvassero, perché Kankuro stesse bene.
Aveva sentito dai vicini che i tedeschi avevano fatto un’incursione nel villaggio cercando i partigiani.
Gaara, accanto a lei, non parlava, si accucciò su se stesso guardando il terreno calpestato. La tensione in quel tunnel era gravida di paura e di speranza.
A un tratto delle urla, il rumore di una corsa disperata.
Temari guardò dal fondo del condotto le persone scappare verso l’altra estremità. ‘Il carro armato! Il carro armato!’ era l’unica parola che riusciva a sentire, poi altre urla, le madri che prendevano i loro bambini in braccio scappando, le altre che lasciavano tutto a sé stesso fuggendo.
La bambina ci mise qualche attimo per capire cosa stava accadendo, balzò in piedi e tirò il fratello per mano, prese la sua bambola e cominciò a trascinarlo nella direzione dove fiume di persone correva.
Ma la folla era grande, prepotente ed egoista.
Nessuno si curava di chi rimaneva indietro, di chi veniva calpestato.
Sentì la stretta sulla mano del fratello sciogliersi, lentamente, urlò il suo nome, ma la sua vocina era coperta dal rumore della gente.
Si fermò per un secondo guardando l’uscita, la sua salvezza.
Lei sarebbe rimasta in vita fuggendo, ma Gaara sarebbe morto.
Batté le palpebre lasciando cadere la sua preziosissima bambolina e corse contro corrente, fino a raggiungere il fratellino rannicchiato a terra, tremante. Si gettò su di lui coprendolo con il suo stesso corpo.
Sentiva i passi pesanti gravare su di lei che si teneva con le piccole manine al terreno facendo leva per non schiacciare il fratellino.
D’un tratto si fece il silenzio, le urla cessarono, i passi sopra di lei anche.
Trattenne il fiato chinandosi di più sopra Gaara.
Un boato fece tremare le pareti e il pavimento. Chiuse gli occhi stordita da quel rumore.
È la fine…

La mamma urlava, gridava stringendo i denti sdraiata sul tavolo con le mani che tenevano le gambe sollevate.
Una vicina tra le sue gambe, sozza di sangue le diceva di respirare, ma lei non lo faceva.
Urlava, urlava e basta.
Stringeva con le mani ossute le assi del tavolo. Temari affacciata sulla porta vedeva il suo volto pieno di dolore.
La signora urlava alla figlia quattordicenne di portarle l’acqua calda, ma non avevamo più legna, non poteva scaldarla. Di solito la portava papà, ma papà era partito.
La mamma smise di urlare ansimando. La vicina gridava forte ‘È nato! È nato!’ stringendo una cosa rossa e sporca.
La mamma si distese sul tavolo poggiando le spalle e il capo sulle assi marce. Girò lo sguardo verso la bambina muovendo stancamente una mano per chiamarla, lei intimorita annuì e con il passo incerto dei suoi quattro anni le afferrò la mano.

“Temari… Tuo fratello… Stringilo, stringilo più forte che puoi…”

La guardava sorridendo di un sorriso stanco, rassegnato.
Chiuse gli occhi lentamente, Temari provò a chiamarla ma lei non rispondeva.
La vicina la scostò malamente sciogliendo la presa sulla mano della madre.

“Da dove viene tutto questo sangue? Cerca di fermarlo figlia!”

La mamma pian piano appassiva, la vedeva con i suoi occhi, come una bella rosa arrivata alla fine della sua vita.
Corse fuori, fuggendo da quella visione, si aggrappò a uno stipite ansimando, gemendo, tremando.
La mamma non c’era più. Se n’era andata per sempre.
Dopo quattro mesi da quando la mamma era morta, lei si sedette vicino alla cesta ovale in cui il bambino rosso per lo sforzo, piangeva. Lo guardò con odio.
Lo odiava.

“Tu hai portato via la mia mamma.”

Scandì le parole con odio allungando le piccole manine verso la gola del bambino.
Le aveva portato via la cosa più preziosa che aveva. Meritava di morire.
A un centimetro dalla sua gola si fermò.
‘Temari… Tuo fratello… Stringilo, stringilo più forte che puoi…’
Lo raccolse facendo passare le manine intorno alle spalle e alle gambe fasciate. Lo portò al suo petto rannicchiandosi su di lui. La mamma avrebbe voluto che lo amasse come lei amava tutti loro…
Il neonato aveva smesso di piangere.

“Stringilo, stringilo più forte che puoi…”

Sussurrò la bambina ricalcando le parole della madre. Chiuse le braccia attorno alla testa del fratello stringendolo in un abbraccio protettivo.
La mamma avrebbe voluto così.
Sentì la sua pelle bruciare viva sotto l’esplosione, ma era completamente concentrata sulla salvezza del fratello per sentire alcun dolore.
Alcune lacrime scivolarono piano lungo il suo naso.

“Gaara… Ti voglio bene…”

  
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