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Autore: Cathy Earnshaw    10/03/2016    1 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 5
Nastomer
 
 
Non è che non gli facesse piacere quella visita, ma la presenza dell’immortale Re degli elfi nella propria stanza da letto inquietava Nastomer oltre ogni ragionevole limite. Nonostante Horlon fosse sempre stato gentile e premuroso nei suoi confronti, restava comunque il fatto che quello che si guardava intorno con aria curiosa aveva più di mille anni, ed era il Re degli elfi, pur con quella faccia da ventenne! Giovava sempre ricordarlo. E parlava… quanto chiacchierava quell’elfo! Di assurdità, del tempo, della collezione di conchiglie che Nastomer aveva sistemato sulla mensola, del libro che gli aveva prestato Storr, della sacca da viaggio vuota appesa alla sedia… gli faceva girare la testa.
«C’è un motivo particolare per cui sei qui, Sire?» domandò improvvisamente, interrompendo il flusso di parole.
Horlon lo guardò sbattendo le ciglia – forse uno come lui non era abituato ad essere interrotto. Il ragazzo si chiese se stesse valutando che tipo di risposta fornirgli, se essere onesto oppure no. Chissà perché quell’elfo era l’unica persona in tutta la Terra dei Tuoni che sembrasse avere una qualche considerazione delle sue facoltà intellettive. Perfino Storr lo trattava come si tratta un mentecatto, ma la cosa non lo disturbava troppo, così lo lasciava fare. Tutto sommato era comodo non essere tenuti in troppa considerazione: consentiva di guardare tutto dall’esterno e di avere una prospettiva più pulita.
«Il motivo per cui sono qui?» mormorò l’elfo passandosi una mano tra i capelli.
Poi gli sorrise, e Nastomer si sentì mancare come ogni volta che un elfo sorrideva. Non ci si sarebbe mai abituato, ne era certo.
«Ti dispiace se mi siedo?»
Il ragazzo osservò il leggendario sovrano del Reame Eterno che si lasciava cadere con leggerezza sulla sedia accanto alla scrivania e trattenne a stento una risatina isterica.
«Stamattina si è riunito il Consiglio» esordì. «Di nuovo…»
Nastomer si sedette sul bordo del letto e annuì meccanicamente.
«Il principale argomento, ovviamente, sei stato tu e le cose che stai imparando a fare.»
Il ragazzo si irrigidì. Immaginava di essere sotto attento esame, ma fino a quel momento nessuno aveva avuto la sfrontatezza di spiattellarglielo in faccia.
«Storr è molto orgoglioso di te e anche i nani iniziano a vedere qualche possibilità di vittoria, quindi siamo tutti concordi nel ringraziarti ancora una volta per esserti preso sulle spalle un fardello del genere.»
«Non avevo niente da perdere» disse Nastomer stringendosi nelle spalle.
«Tutti hanno qualcosa da perdere. La vita, per esempio.»
«La vita è un guadagno se sai che cosa farne» mormorò, poi si morsicò la lingua.
Aveva osato troppo? A giudicare dallo sguardo improvvisamente attento dell’elfo sì.
«Vorrei che tu esprimessi i tuoi pensieri liberamente con maggiore frequenza, Tom.»
Nastomer arrossì, punto sul vivo.
«Mi madre mi ha insegnato che davanti ai potenti è meglio tacere.»
Horlon sorrise, ma questa volta il suo sorriso si fermò alle labbra, non scaldò anche i suoi occhi.
«In linea di massima è un saggio insegnamento. Ma c’è una cosa che continui a dimenticare: tu ora sei uno stregone, e il più potente sei proprio tu! Come ti suona?»
Nastomer scosse il capo.
«Non è così. Io dipendo da voi per ogni minima cosa, e questa è la dimostrazione che non basta avere delle potenzialità se non le si sa mettere a frutto.»
Horlon si morse il labbro.
«Stiamo migliorando» disse. «Ma non sono d’accordo. Ciò che serve è la consapevolezza
Nastomer sospirò. Quella situazione stava diventando sempre più assurda. Che cosa voleva il Re degli elfi da lui? Che cosa lo portava a discutere di massimi sistemi seduto a una spanna dai suoi calzini sporchi? Voleva i suoi poteri? Prego, era il benvenuto, non c’era bisogno di tutte quelle cerimonie.
«Mi sembri confuso» disse Horlon.
«In realtà non capisco dove stiamo andando a parare. Perché mi stai dicendo questa cose?»
«Mio caro ragazzo, io sono un elfo, e di magia non me ne intendo molto, ma in tutti questi anni credo di aver imparato qualcosa che potrebbe tornarti utile.»
“Fantastico, altre lezioni”, si disse Nastomer, ma Horlon aggiunse:
«Noi tutti tendiamo a tirare l’acqua ciascuno al proprio mulino, ma sarebbe un bene per te riuscire a resistere alle correnti. E guarda che te lo dico contro il mio interesse, sai?»
Il ragazzo soppesò le parole del Re, poco persuaso.
«Per esempio, che cosa mi consigli di fare?»
Horlon si strinse nelle spalle.
«Prima di tutto sforzati di prendere consapevolezza della tua posizione. Smettila di chiamarmi “Sire”, di trattarmi in modo tanto formale. Mostra di essere un pari del Re del Reame Eterno, e anche gli altri ti prenderanno sul serio.»
«Fingermi in confidenza con te, insomma?»
Horlon sospirò.
«No, Tom, non hai afferrato. Non devi fingere niente, devi essere convinto di quello che fai.»
Nastomer si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro.
«Ma come faccio ad essere convinto di quello che faccio se non so neanche che cosa sono diventato?» sbottò. «Faccio cose che non avrei mai immaginato, se mi ferisco guarisco in pochi minuti, riesco a malapena a tenere insieme tutti i pezzi! Come faccio a sapere che non perderò il controllo da un momento all’altro, uccidendo Storr? E come faccio a sapere che Nastomer non scomparirà, fagocitato dallo stregone?»
Horlon notò, con una punta di apprensione, che l’aria si era fatta elettrica.
«Nastomer e lo stregone sono la stessa persona, ora.»
Il Re si alzò e posò le mani sulle spalle del ragazzo.
«Avere paura non è una cosa negativa. Non devi per forza essere indistruttibile, Tom. Basta che tu sia te stesso.»
Nastomer abbassò lo sguardo, a metà tra l’imbarazzato e il confortato. Avrebbe voluto ringraziarlo, dirgli quanto quelle parole significassero per lui, ma non ci riuscì.
 
Nel buio della sua stanza, lo stregone fissava il soffitto già da un po’ senza riuscire a prendere sonno. Aveva passato il pomeriggio in compagnia di Horlon parlando del viaggio che l’aveva portato a Cyanor e ascoltando i racconti dell’elfo su quanto fosse bella Lumia. Avrebbe voluto vederla, Lumia, accidenti quanto l’avrebbe voluto! Ma aveva legato il suo destino all’esito della guerra e non c’era tempo per i viaggi di piacere. A Cyanor tutti lo consideravano un sempliciotto, e probabilmente lo era davvero. Ma Horlon era diverso, e nel breve lasso di tempo che Nastomer aveva passato in sua compagnia si era sentito meno solo. Ma ora, nel buio della sera, non era più così certo di potersi fidare di lui. I consigli che gli aveva dato sembravano saggi, sembravano detti con il cuore, ma come poteva essere certo che non ci fosse un secondo fine che la sua mente non allenata agli intrighi non riusciva a cogliere?
Nastomer rabbrividì. Da quando aveva acconsentito a bagnarsi in quella Cascata i suoi sensi si erano acutizzati in modo fastidioso, e la pioggia che ora scrosciava contro al vetro gli sembrava una presenza viva che lo spiasse dalla finestra.
“Nastomer e lo stregone sono la stessa persona” aveva detto Horlon. Solo pochi giorni prima non gli avrebbe creduto, ma da quando aveva iniziato a padroneggiare quella nuova energia aveva iniziato a sentirsi meno sdoppiato. In sei giorni aveva fatto grandi progressi, e ne aveva altri sette a disposizione. Chiuse gli occhi cercando di isolarsi dal marasma di impulsi che lo assalivano a ondate: il ticchettare ritmico della pioggia, il vento che ululava nelle feritoie, i passi degli uomini di ronda… tutti rumori che prima avrebbe a stento percepito. Nonostante questi disagi non rimpiangeva la sua scelta, anche se probabilmente l’avrebbe trascinato in un inarrestabile vortice di sangue. Eppure non poteva fare a meno di domandarsi che cosa avrebbe pensato sua madre di lui, se solo fosse stata ancora in vita.
«Se lei fosse viva, io non sarei qui» mormorò a sé stesso.
La sua morte era il principale motivo per cui Nastomer aveva lasciato la vecchia fattoria e si era messo in viaggio. Anche se spesso si ripeteva che non c’era proprio più nulla da perdere, che quel viaggio serviva a fuggire la solitudine, una piccola parte di lui continuava a pensarla in modo radicalmente diverso. Da qualche parte di quel vasto mondo c’era quel padre che non vedeva da tredici anni, ma l’immagine del quale era ancora impressa a fuoco nei suoi occhi. Sapeva che aveva scelto di abbandonarli, sapeva che se n’era andato con la ferma intenzione di non rivedere mai più sua moglie e suo figlio, con la ferma intenzione di rifuggire la responsabilità che una famiglia comportava. Nastomer sapeva che non avrebbe dovuto desiderarlo di nuovo accanto dopo ciò che aveva fatto loro, ma non poteva fare a meno di pensare che, chissà, ora che era stregone e che aveva dei poteri incredibili, forse avrebbe anche potuto ritrovarlo…
 
Un lampo illuminò per un secondo la stanza di Horlon. Le candele che l’elfo aveva acceso non erano abbastanza, ma non aveva intenzione di servirsi di quelle simpatiche lanterne create dai maghi di elemento Fuoco. E poi la penombra non gli dispiaceva, gli facilitava il ragionamento.
Tutto sommato, Tom gli aveva fatto una buona impressione. Era preoccupato, spaventato, intimorito, e tante altre cose, ma Horlon non aveva trovato traccia dell’instabilità che temeva di dover placare. Il che era una vera fortuna, perché lui non avrebbe di certo saputo come fare.
Aveva apprezzato in modo particolare la sua diffidenza: anche se si era mostrato accondiscendente, il ragazzo non aveva mai abbassato la guardia. Insomma, la prima impressione che Horlon aveva avuto di lui si stava rivelando completamente sbagliata, perché aveva scambiato l’ignoranza dovuta alla sua origine umile e probabilmente all’istruzione superficiale che aveva ricevuto con semplicità intellettiva. Ma Tom non era affatto uno stupido, e di certo Storr doveva essersene reso conto da un pezzo. Perché non aveva detto niente? Se conosceva la testaccia di quel mago, aveva cercato di tenere il Consiglio fuori dalle faccende del ragazzo per dargli il tempo di ambientarsi, per tutelarlo.
Frunn entrò silenziosamente e si richiuse la porta alle spalle.
«Mi avete fatto chiamare, Sire?» disse.
Horlon si alzò dalla poltrona in cui era sprofondato e accese un’altra candela.
«Qualcosa ti preoccupa? Oggi sei strano.»
Frunn non rispose. Horlon lo guardò con attenzione. La penombra nascondeva il rossore che di certo gli aveva scaldato il viso, ma quell’espressione seria e corrucciata era una novità. In quella posa rigida, con lo sguardo fisso su qualcosa che solo lui poteva vedere e la mascella contratta sembrava un’altra persona rispetto al ragazzino adorabile che il Re conosceva, sembrava effettivamente un adulto. Horlon scosse il capo.
«Va tutto bene, Frunn?»
Frunn annuì rigidamente.
«Sì, Signore» si schiarì la voce. «Come posso aiutarvi?»
Horlon rinunciò a capirci qualcosa.
«Vorrei che tu mi aiutassi a mettere ordine nelle idee. In questo sei imbattibile.»
Il giovane sorrise lievemente e sembrò ammorbidirsi un po’.
«Avete parlato con lo stregone?»
Horlon annuì.
«Sarebbe opportuno che tutto il Consiglio lo facesse. Prima della riunione, stamattina, ero certo di aver a che fare con un bambino, ma ora mi rendo conto che lo stiamo trattando come si trattano i cretini, solo che lui non lo è! Di questo passo ce lo faremo nemico. Non si può prendere una persona, imporgli l’altrui volontà, renderlo un concentrato di contraddizioni e pretendere di trattarlo come un animaletto domestico…»
Gli occhiali di Frunn scivolarono sulla punta del naso con lentezza estenuante. Li ricacciò su, poi spalancò gli occhi, colto da un improvviso lampo di consapevolezza.
«Volete ammetterlo al Consiglio Ristretto?!» esclamò.
Horlon non sapeva bene come e perché il suo segretario sapesse sempre che cosa gli passasse per la testa quasi prima che lui stesso se ne rendesse conto, ma di certo questo facilitava di molto la comunicazione.
«Esattamente» rispose senza riuscire a trattenere un sorriso.
Frunn sgranò ancora di più gli occhi.
«Dei misericordiosi! La cosa vi diverte! Vi diverte da matti!» farfugliò. «Voi state pensando a quanto batterà i pugni Sire Kirik quando glielo direte!»
Horlon scoppiò a ridere.
«Non proprio, mio caro ragazzo! In verità sto pensando a che cosa dirà quel botolo peloso quando se lo troverà seduto accanto!»
Frunn si mise le mani nei capelli, rinunciando a qualunque contegno – e dimenticando anche di averli legati.
«Non glielo direte nemmeno?! Impazzirà» gemette.
Horlon rise ancora più forte. Lo sgomento di Frunn gli aveva confermato quanto quella mossa sarebbe stata folle. Ed era esattamente ciò che desiderava: scuotere i suoi colleghi.
«Fammi un piacere, ragazzo. Vai da Storr e informalo che domani Tom presenzierà alla riunione del Consiglio. E vai anche da Nastomer. Se non sa come raggiungerci lo passeremo a prendere noi.»
Frunn sospirò sonoramente.
«Sarà fatto, Signore. Ma promettetemi che piangerete sulla mia tomba qualora Re Storr non dovesse condividere la vostra iniziativa.»
«Piangerò tutte le mie lacrime, hai la mia parola.»
Frunn annuì gravemente, poi si avviò alla porta.
«Ehi!»
Il giovane si volse.
«Posso chiederti un’altra cortesia?»
«Ditemi.»
«Oggi ho avuto modo di riflettere su quanto danno facciamo cercando di proteggere le persone che ci sono care. Guarda Storr, per esempio, che per non esporre Tom in pubblica piazza gli fa fare la figura dell’idiota… Promettimi che se, per qualunque ragione, ti dovessi sentire offeso dal mio modo di prendermi cura di te, me lo dirai.»
Frunn esitò. Horlon avrebbe voluto vederlo in faccia, ma il segretario teneva lo sguardo basso.
«Ho già fatto dei danni, vero?» aggiunse.
«Veramente credevo di… essere io a prendermi cura di voi… e non il contrario» farfugliò.
«Non deve necessariamente essere univoco. Allora? Prometti?»
Frunn prese un breve sospiro.
«Certo. Certo, lo prometto. Ma non dovete preoccuparvi troppo: siete un bravo Re e una brava persona. Non credo che mi sentirò mai offeso da voi.»
Aprì la porta e si trascinò fuori con passo strascicato. Prima di richiudersela alle spalle si riaffacciò alla sua stanza e sorrise.
«Comunque grazie!» aggiunse, prima di scomparire nella notte che calava.
 




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Hareth, only for you :3
   
 
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