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Autore: The DogAndWolf    13/03/2016    3 recensioni
Il mondo di Batman, e in genere della DC, è pieno di continue lotte epiche tra bene e male, di eroi e supercattivi.
Ma chi ci pensa agli scagnozzi?
John Dawson è uno sfigato dalla vita ordinaria. Batman gli ha rotto il naso e un paio di altre ossa più volte di quanto abbia voglia di ammettere.
Ma per gli scagnozzi di Joker, Batman è solo il minore dei problemi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Joker
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi caricai in spalla l’ennesimo sacco di soldi. Dopo solo una mezza dozzina di sacchi avevo già il fiato corto. Pensai allegramente che avrei avuto tutto il tempo per rimettermi in forma dopo quella rapina.
Il mio umore era decisamente migliorato dal monologo che avevo avuto con la segreteria di Rose. Non potevo prevedere cosa mi avrebbe risposto o persino se mi avrebbe risposto, ma il solo sfogarmi mi era bastato a sentirmi meglio. Sorrisi ad un mio collega di malefatte e quando lui mi rivolse un cenno contento mi accorsi che qualcosa non andava.
Una sagoma scura si stava ingrandendo sempre di più sulla vetrata superiore della banca. Sfiorai il mitra che avevo a tracolla, non avendo nemmeno la più remota intenzione di usarlo, nemmeno su qualche pazzo mascherato che mi avrebbe pestato a sangue.
Invece presi un respiro e urlai con tutta la forza dei miei polmoni da fumatore accanito: «È Batman!»
Il panico dilagò tra tutti quanti.
Mentre io buttavo l’arma automatica a terra, non volendone avere nulla a che fare, l’avanzo di galera che mi aveva salutato poco prima, afferrò il proprio mitra e, nella foga, si sparò al piede, lanciando un urlo disumano. Il frastuono degli spari coprì il rumore dei vetri infranti, ma i frammenti mi piovvero accanto. Fu allora che vidi Batman atterrare sul mio collega che ormai stava piangendo dal dolore e metterlo al tappeto in un gesto di pietà. Poi mi guardò dritto negli occhi.
Alzai le mani, mostrandogli di essere completamente disarmato e di non volerlo attaccare per nulla al mondo, ma quel bastardo mascherato fece comunque un passo verso di me.
Persi completamente la testa, gli diedi le spalle con uno scatto impressionante per uno della mia taglia e uno dei suoi dannati batarang mi sfiorò la testa, rimbalzando sul muro davanti a me.
Non ricordo di aver mai corso tanto in tutta la mia vita.
Forse fu la paura del carcere a ridosso di una decisione così importante della mia vita. O, più probabilmente, l’immagine del mio amico che mi rivolgeva un sorriso con quei suoi denti tutti rotti e inutili. Mi piace pensare che fu il mio affetto per mia figlia e per la mia nipotina di pochi anni a darmi la forza durante quella corsa a rotta di collo.
Superai quattro o cinque criminali, tutti intenti a prendere la mira contro il Pipistrello che era sparito da qualche parte dietro di me. Li spinsi via senza troppe cerimonie, fregandomene della rapina, di quello che urlavano e persino del Joker.
Mi buttai sulle porte della banca, volevo solo fuggire di lì, ma scoprii con orrore che il sistema di allarme aveva bloccato automaticamente tutte le uscite. Eravamo intrappolati come topi tra Batman e Joker. Non riuscivo a pensare una situazione peggiore di quella.
Con il cuore in gola mi guardai attorno cercando una via di fuga, perché sarebbe stato stupido sperare che qualcuno riuscisse ad abbattere il Pipistrello. Non ci sarebbe mai riuscito nemmeno il Joker e se un tempo l’avevo pensato ora mi pareva lampante l’impossibilità di quella situazione.
Nascondermi. La mia unica opzione era nascondermi e sperare con tutto il cuore che tutti i costosissimi sensori di Batman non potessero vedermi.
Localizzai una scrivania di un piccolo ufficio contabile, uno di quelli che sembravano inscatolati nel proprio cabinato, tanto che provocavano claustrofobia. Mi infilai lì sotto tra la polvere e la sporcizia, cercando di fare il meno rumore possibile.
Le urla e gli spari continuarono, ma mi sembrava di percepire sempre meno persone coscienti nella stanza, in una situazione che avevo vissuto fin troppe volte. E per la prima volta tenevo per Batman, perché se Joker mi avesse scoperto lì sotto per me sarebbe stata la fine.
Analizzando la mia paura per il vigilante mascherato compresi per la prima volta nella mia vita la sua essenza e il bisogno che aveva Gotham di lui.
Quella città era così sporca e corrotta che l’unico modo per epurarla era instillare il terrore in quelli che la rendevano tale e una calda speranza in quelli che volevano un cambiamento. Quel terrore e quella speranza erano Batman. E sotto quella scrivania troppo stretta mi ritrovai a sperimentare entrambe le emozioni in un curioso miscuglio mai sentito prima.
Batman era l’unica cura possibile per Gotham. L’unica redenzione che quella città si meritava.
Istintivamente fui sicuro che alla fine quel pazzo ce l’avrebbe fatta a ripulire Gotham una volta per tutte.
Nei miei ragionamenti persi completamente la cognizione del tempo e mi accorsi improvvisamente che l’unica voce che si sentiva ormai era quella alta e furiosa del Joker. Poi non sentii più nulla.
Mi chiesi come avrei riconosciuto il momento più opportuno per scappare da lì e tesi l’orecchio per percepire qualcos’altro oltre il mio respiro pesante e il mio cuore martellante. Un improvviso rumore di passi mi fece sobbalzare e rischiai di sbattere la testa sulla scrivania.
Erano passi lenti e misurati, anche se non troppo silenziosi.
Inizia a ripassare ogni possibile scusa e preghiera per convincere Batman a lasciarmi andare, sperando di riuscire a commuoverlo e a convincerlo che non avrei mai più preso parte a nessuna attività criminosa in tutta la mia vita. Con il discorso che mi preparai mentalmente avrei convinto Pinguino a fare beneficenza, probabilmente.
Una mano mi afferrò il colletto, tirandomi su in piedi con una forza sovraumana e una velocità fulminea. Tutte le cose che mi ero studiato da dire furono strozzate in gola da quella presa ferrea e l’unica cosa che riuscii a balbettare tra le lacrime fu un: «Ti prego…»
«Pregarmi? Sei veramente il verme più patetico che io abbia mai visto.»
Riconobbi la voce, ma non ci volli credere. La risata folle che sentii mi confermò la mia incredibile sfortuna e il sorriso deformato fu l’ultima cosa che vidi, più terribile di tutti gli incubi in cui l’avessi mai visto, a pochi centimetri dal mio volto. Il rumore dello sparo che mi esplose nei timpani coprì il grido risentito e infuriato di Batman mentre le mie cervella si sparsero sulla scrivania dietro di me.
 
«Ciao Rose. Sono io.»
La giovane donna fissò inorridita la segreteria telefonica mentre un basso sospiro malfermo si propagò con un sottofondo metallico del rumore bianco.
«Mi sei mancata tantissimo in questi anni.»
La voce roca sembrava ad un passo dal pianto.
Rose era ancora immobile, incapace di reagire, sola in salotto.
«So che hai messo su famiglia e mi dispiace così tanto non esserti stato accanto in questi anni importantissimi per te.»
Le parole uscivano a fatica, non soffocate dall’orgoglio come si era aspettata, ma dalla vergogna così grande da risultare inesprimibile in una sola vita, figuriamoci in un monologo fatto ad una segreteria telefonica.
«Amore? Stai sentendo i messaggi?»
Rose trasalì brutalmente e una serie di passaggi veloci nel suo cervello le mostrarono come quella fosse la sua unica possibilità di ignorare il messaggio, altrimenti Monica l’avrebbe costretta a darle l’ennesima inutile possibilità a quell’uomo che non considerava più suo padre da molti anni.
«Volevo solo dirti che…»
Interruppe in fretta il messaggio vocale e una bambina con un gelato allo zoo la guardò male, tenendo la mano di un uomo che aveva amato con tutta se stessa. Il senso di colpa non fu meno impietoso quando cancellò senza esitazioni il messaggio, anche se Rose era convinta che quell’uomo non sarebbe mai cambiato.
Sorrise felice a sua moglie appena spuntò dalla porta della cucina, con un’espressione interrogativa.
«Avevano sbagliato numero» le mentì sollevando le spalle e abbassando lo sguardo su Jade, la sua bellissima figlia. Si alzò in fretta e la prese in braccio, stringendola e pregando con tutta se stessa di non fare mai a lei quello che suo padre le aveva fatto.
 
Gordon osservò il corpo dell’uomo steso a terra senza più una faccia.
«Quindi non aveva documenti su di se?»
Posò gli occhi stanchi su quello che in tanti anni era diventato uno dei suoi migliori amici, anche se non ne conosceva nemmeno l’identità. Si chiese distrattamente perché gli interessasse quel criminale tra tutti gli altri.
«No, spesso lo fanno per dare poi un nominativo falso quando vengono presi. Sono un branco di idioti: basta semplicemente qualche ora di ricerca nel database della polizia di solito.»
Batman rispose alla domanda inespressa nello sguardo di Gordon: «Lui era diverso. Appena mi ha visto ha gettato il fucile a terra senza attaccarmi.»
Il commissario fissò di nuovo lo spettacolo orribile ai suoi piedi, considerando che quell’uomo sembrava essere uno scagnozzo del Joker da troppo tempo per essersi preso male durante una delle sue prime missioni. Alzò le spalle concludendo: «Conciato così non è possibile avere un riscontro facciale e la Scientifica è piena di lavoro. Ci vorranno settimane prima di saperne qualcosa.»
Batman prese una provetta dalla sua cintura super attrezzata e con un tampone raccolse delicatamente del sangue dal pavimento, assicurando Gordon: «Ci penso io. Anche ad avvisare i familiari.»
Detto questo sparì nella notte, senza lasciare il tempo a Jim Gordon di dirgli che non doveva ritenersi responsabile per quella morte. Il commissario sospirò guardando di nuovo i resti dell’uomo a terra, ricordandosi quanto fosse impossibile convincere Batman di una cosa del genere.
Quando riempì il rapporto fu costretto a segnare un “John Doe" nello spazio apposito per il nome della vittima.

 
*****
Scusate per il ritardo ma ho avuto una settimana impegnativa tra contest, università e mal di testa.
Eccoci al capitolo finale della storia di John Dawson, il povero scagnozzo del Joker. Spero che la storia vi sia piaciuta quanto è piaciuto a me scrivere di questo personaggio.
Appunto riguardo il titolo del capitolo: John Doe è il nome che in America
 danno alle vittime con identità sconosciuta e, come avrete notato, ha un'ironica somiglianza con il nome e cognome veri del personaggio.
Ringrazio tutti quelli che hanno seguito fedelmente questa fanfiction e commentato; vi invito a leggere altri miei lavori se questo vi è piaciuto.
Buona serata a tutti voi e fatemi sapere cosa ne pensate.
   
 
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