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Autore: MySkyBlue182    15/03/2016    2 recensioni
Le persone che amava, Gerard le amava sul serio.
Seguito di Trust me
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bob Bryar, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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EEEEECCOMI DI NUOVO! C:
Sono qui con il nuovo capitolo (ma va?!) con un bel titolo trovato dalla mia amata honey-beta. È una canzone di Neil Young e L’HANNO SUONATA ANCHE I PLACEBO alla fine di english summer rain, una volta e… vi farò odiare i Placebo, prima o poi!! :°°°°D
Comunque. Calza molto ad una parte del cap e spero vi piaccia (il cap, intendo!)
Voglio ringraziare tantissimo le persone che preferiscono, seguono e chi si prende la briga di recensire (anche chi lo fa in privato, eh!), sono banale, lo so, ma è importantissimo per me sapere ciò che pensate.
Quindi, ecco, vi aspetto dopo la lettura e… avevo pensato che avrei dovuto dire delle cose, ma non le ricordo. Boh! Vuol dire che siete fortunate, per questa volta, e vi risparmiate le mie settordicimila righe di sproloqui pre-capitolo! C:
VIBLU
-la vostra SkyBlue-
 
 
 
 
PRTGMOIcap 2
 
 
 
 
Like a hurricane
 
 
 
Gerard guardava con aria assorta l’albero di limoni che, maestoso, aveva preso possesso dell’angolo più tranquillo del giardino di casa sua. Si diramava verso l’alto e aveva allargato la sua chioma indisturbato, come fosse l’unico padrone di quel pezzo di verde.
Era bella, quella pianta, con il passare degli anni aveva proteso i suoi rami abbastanza in alto da arrivare ad essere visibile da oltre il muro di recinzione.
Era una pianta molto impertinente. Era nata da sola, per mezzo di qualche seme caduto accidentalmente per terra dal secchio dell’immondizia e, da un giorno all’altro, c’era questo piccolo arbusto proprio accanto al secchione della spazzatura, a dimostrazione del fatto che anche dagli scarti ci si può ricavare qualcosa di buono.
Quando Elena l’aveva scoperta, anni prima, ne era stata entusiasta.
Stava chiacchierando con Gerard, mentre vagavano senza motivo nel giardino, e lei l’aveva notata. Aveva detto che la potenza delle piante era qualcosa di sbalorditivo, sapevano mettere radici in luoghi impervi e creare crepe nell’asfalto per uscire fuori ed aprirsi al mondo. Erano delle piccole eroine, le piante.
“Hanno più voglia di vivere di certi esseri umani” aveva osservato sua nonna e poi l’aveva convinto ad aiutarla a spostare quel piccolo germoglio, posizionandolo in un luogo più consono ad una pianta che sarebbe divenuta un albero e sarebbe cresciuta e diventata bella e forte.
Gerard l’osservava, mentre prendeva dei tiri dalla sigaretta che aveva tra le dita, e si sentiva molto come quei “certi esseri umani” a cui sua nonna aveva paragonato il lontano ricordo del germoglio di quell’albero.
Aveva davvero più voglia di vivere di lui, quel limone. Davvero.
E questo faceva schifo, okay, ma la realtà era quella. Forse aveva ancora molto da lavorare su se stesso, molto più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Quella pianta, da quel giorno di anni e anni prima, era diventata la piccola creatura di cui lui e sua nonna si erano presi cura insieme.
L’avevano cresciuta, l’avevano innaffiata e le avevano addirittura creato una piccola aiuola con dei sassi, per delimitare i suoi spazi, per dotarla della giusta importanza in mezzo all’altra vegetazione sparsa per il giardino. L’avevano raccolta come un randagio e l’avevano amata come fosse stata un germoglio di qualche pianta rara.
In realtà era soltanto un limone, un comunissimo limone che soffriva anche moltissimo il clima del New Jersey, che aveva bisogno di essere addirittura coperto quando le prime nevicate iniziavano ad imbiancare e a gelare ogni cosa e forma di vita che trovavano nel loro percorso dal cielo alla terra, ma lo avevano trovato insieme, ne erano rimasti entusiasti come fosse stato un piccolo miracolo e quell’alberello sarebbe rimasto per sempre il loro albero. Qualcosa che avevano in comune.

Gerard non se n’era più preso cura, da quando sua nonna lo aveva lasciato.
Sopravviveva grazie alle cure di suo padre o sua madre, loro si occupavano di potarlo ed innaffiarlo, loro lo coprivano con il telo di nylon quando le temperature si abbassavano drasticamente. E questo non perché Gerard mancasse da casa, no, anche quando era in casa non lo faceva e se gli capitava di vedere qualcuno che prestava attenzione a quell’albero distoglieva lo sguardo, perché lui quell’albero ora lo odiava.
Lo odiava come aveva iniziato ad odiare un mucchio di cose da quando Elena era morta. Odiava la casa sotto la propria, dove prima abitava lei. Odiava respirare l’odore che c’era all’interno di quelle quattro mura, tanto che, quando era stato obbligato ad entrarci per prendere qualcosa che serviva a sua madre, aveva respirato con la bocca, perché quel fottuto odore lo nauseava.
Lì dentro, prima, c’era il profumo di casa, quell’odore che sapeva di sicurezza e famiglia, se chiudeva gli occhi e si concentrava sarebbe stato anche in grado di ricordarlo, quel profumo, di prendere quella boccata d’ossigeno che conteneva anche particelle di felicità.
Invece ora l’aria di quella fottuta casa sapeva di desolazione, di morte e di abbandono.
Ed era passato un anno e mezzo e Gerard non era ancora riuscito a venire a patti con la mancanza di sua nonna. Le aveva dedicato una canzone dell’album precedente, quel fiume di parole che aveva vomitato su un foglio non appena aveva appreso la notizia della sua morte, seduto sull’altalena, proprio accanto al limone.
Non era stato ancora in grado di elaborare il lutto, si era semplicemente abbandonato, si era sballato cercando di offuscare certi pensieri e determinati ricordi, aveva iniziato a lasciarsi andare, a concedersi qualunque scappatoia pur di non dover affrontare il suo dolore. E questo, aveva capito, non era stato affatto un bene.
In molti, tra cui Mikey, gli avevano detto che la colpa di tutti i suoi errori, dei casini combinati, dei problemi causati a se stesso e agli altri, il motivo per cui non era stato in grado di sopportare il peso di certe responsabilità e del suo ruolo di frontman era stata la sua dipendenza. L’alcool, la droga, i vizi a cui aveva ceduto quasi con naturalezza.
Ma ora, ora si era ripulito, era sobrio da oltre tre mesi, non prendeva più droghe dallo stesso tempo eppure i problemi erano ancora lì. Eppure, quella paura di vivere e di sbagliare, la sentiva ancora battergli nel petto insieme alle stesse pulsazioni che lo tenevano in vita.
Il dolore… la disperazione della perdita ancora non lo abbandonavano.
Nonostante tutto, non riusciva a liberarsene, non riusciva a separarli da ciò che era e che faceva nella sua vita, anzi, condizionava tutto, dai testi ai disegni, ai comportamenti con cui affrontava la quotidianità.
Era arrabbiato, principalmente.
Non sapeva bene con chi o per quale motivo, ma sentiva ondate di rabbia muoversi dentro il suo petto e, allo stesso tempo, la ragione riusciva ad ostacolare quegli attacchi d’ira a cui, a volte, si sarebbe abbandonato volentieri.
Si odiava un po’ per questo, sapeva che era sbagliato e, soprattutto, il fatto di non riuscire a decifrarne le cause lo mandava fuori di testa. Quindi: altra rabbia.
La questione lampante era che la droga e l’alcool non c’erano più nel suo corpo eppure lui si sentiva lo stesso di sempre: il depresso cronico, il paranoico, il ragazzo con la personalità tetra e il disagio e l’imbarazzo che vincolavano il suo modo d’essere.
Non si piaceva, ecco tutto. Come al solito.
In ogni caso, aveva finito di disegnare il limone, era venuto abbastanza bene e tra poco sarebbe stato giorno e la sua famiglia si sarebbe svegliata e avrebbe fatto colazione. Erano di nuovo insieme, tutti e quattro, certi di aver superato ogni difficoltà.
L’unica nota stonata, al solito, era Gerard.
Schiacciò la sigaretta nel portacenere che aveva a fianco e sbuffò l’ultima nuvola di fumo.
Prese il disegno del limone e lo staccò dall’album, poi lo strappò in quattro parti, come se avesse dovuto buttarlo, ma non lo avrebbe buttato. Lo mise sotto a tutti i fogli dell’album, pensando che non ce la faceva proprio a buttare le cose, riusciva ad affezionarsi a tutto, anche ad un pezzo di carta.
Se ne tornò in camera, a quel punto, perché sua madre era felicissima di riavere entrambi i suoi figli a casa ed adorava svegliarli e Gerard voleva renderla felice, così, per la quarta mattina di fila, avrebbe finto di dormire, quando lei sarebbe andata a svegliarlo con un bacio.
 
 
 
-Dio, quanto mi mancava essere a casa e fare cose… normali?! Sì, normali, in un certo senso…-  sbuffò Mikey rivolgendogli uno sguardo soddisfatto, sperando che Gerard lo avrebbe capito.
Gerard aveva capito benissimo, soltanto, lo guardò stralunato lo stesso.
- Mik, sono già tre mesi che sei a casa, dovresti essertene riabituato già da un pezzo!- gli spiegò alzando le sopracciglia, facendogli notare quel piccolo particolare.
Mikey sorrise, lasciandosi andare ad un sospiro, poi tornò a guardarlo serio.
-Non è stata la stessa cosa senza di te.- mise in chiaro.
Gerard batté le ciglia, pensando che avrebbe dovuto immaginare una risposta del genere.
-Abbiamo fatto sempre tutto insieme, è come se mi mancasse un braccio quando sono senza di te nei paraggi!- scherzò Mikey, ma neanche troppo.
Gerard scoppiò a ridere per il paragone e portò un braccio sulla sua spalla istintivamente, non avrebbe mai saputo spiegare quanto adorava suo fratello. Era stato tra le persone che gli erano mancate di più in quel periodo e, per un motivo o per un altro, ogni qual volta gli era capitata qualcosa diversa dal solito aveva pensato che avrebbe tanto voluto che Mikey fosse stato lì con lui, ne avrebbero riso insieme, si sarebbero guardati negli occhi e senza parlare si sarebbero capiti perfettamente.
Era così che funzionava con suo fratello. Erano quasi telepatici.
Anche se, pure su questo punto, Gerard si sentiva molto spesso in difetto per la sua inclinazione al silenzio, al tenere certi pensieri per sé. Mikey era così trasparente con lui… era come una fonte d’acqua cristallina, potevi vedere anche il fondo, se ti concentravi, e Gerard il solito pozzo: buio, scuro e troppo profondo.
Mikey ogni tanto buttava dei sassi in quel pozzo, almeno per farsi un’idea della sua profondità, ma non ne percepiva altro che un rumore lontano ed ovattato. La cosa stupefacente era che non si stancava mai di buttarci sassi, lui voleva sul serio sapere quanto fosse profondo. Aveva addirittura ingaggiato una squadra di soccorso, mandandolo nella clinica riabilitativa, e forse era rimasto anche deluso quando anche le persone che avevano provato, al suo posto, a sondare quel pozzo, gli avevano comunicato che era difficilissimo, se non impossibile, sapere cosa ci fosse sotto.
Gerard era certo che Mikey non si sarebbe mai stancato di provarci ancora. Lo avrebbe fatto per sempre.
- Beh, dai, sei stato bene lo stesso, no?- gli domandò Gerard tornando seduto composto sul divano dove stavano guardando distrattamente la tv.
- Ma sì, sono uscito con gli amici di sempre, con Ray, con Frank… ma sai, senza di te è tutto diverso.- gli spiegò gesticolando un po’ per enfatizzare ciò che stava dicendo.
Gerard sussultò impercettibilmente al nome di Frank, ma tentò di non darlo a vedere. Mikey sapeva che era successo qualcosa, tra loro, quattro giorni fa, quando era tornato a casa, ma ancora non gli aveva chiesto nulla e Gerard gliene era silenziosamente grato.
- Sì, capisco. Anche a me capitava di pensarti spesso. Tipo c’era il tizio che lavorava nelle cucine che era buffissimo e l’ho conosciuto per caso un giorno, mentre ero fuori a fumare, e lui mi aveva raccontato che avrebbe tanto voluto scappare a casa per andare a giocare alla play. Non sai quanto avrei voluto che ci fossi! Ogni tanto scendevo in cucina solo per chiacchierare con lui.- gli raccontò quell’aneddoto, ma ce ne sarebbero stati miliardi da menzionare, anche quando guardava qualcosa alla tv e sapeva che sarebbe piaciuta anche a Mikey.
Se fossero nati gemelli non avrebbero avuto le stesse affinità, non sarebbero stati così uniti. Era qualcosa di unico ed indescrivibile, quel loro rapporto.
- Ma dai!- esclamò Mikey.
- Ecco, pensa che non ho disegnato per tutti questi tre mesi…- gli disse pensieroso.
-Non avrebbe avuto senso farlo senza di te.- aggiunse poi, il più piccolo.
Gerard si sentiva in colpa.
Non poteva immaginare, senza soffocare tra i suoi stessi respiri, di aver fatto star così tanto male suo fratello. La colpa era stata unicamente sua per quella separazione forzata, forse anche Mikey provava le stesse cose che provava Gerard, forse anche lui era arrabbiato e avrebbe avuto voglia di sfogarsi.
Sospirò per scaricare la tensione.
Mikey, come al solito, sembrò leggergli nei pensieri ed esaminare la natura delle sue elucubrazioni.
-Tu so che hai disegnato…- alluse giocosamente facendo passare la chiacchierata ad altri toni. Gerard si era reso pienamente conto della consapevolezza di Mikey riguardo i suoi pensieri. La loro telepatia risiedeva in quello, quelle erano le situazioni che ne dimostravano l’esistenza.
Gerard tossì un po’ a disagio. Lui non aveva semplicemente disegnato, no, lui aveva passato ogni singolo secondo libero lì dentro a farlo. E suo fratello aveva smesso, invece. Non seppe come sentirsi a riguardo.
- Sì, in effetti…- lasciò in sospeso sentendosi di nuovo in colpa. Come aveva fatto a farlo mentre suo fratello aveva abbandonato ogni sua idea, per colpa della lontananza da lui?
- Beh, cosa aspetti, fa’ vedere!- chiese felice. Era in un’attesa così felice che quasi avrebbe voluto rimangiarsi quello che aveva appena detto. Magari si aspettava rappresentazioni vitali e disegni positivi…
- No, ma sai…- provò a fargli cambiare idea.
- Ah no, niente ma, vai a prendere il fottuto album, Gee!- lo sollecitò.
- Anzi, ci vado io!- e corse al piano di sopra prima ancora che Gerard riuscisse a pensare a delle parole da dire. Mikey era sempre stato entusiasta dei suoi lavori, che fossero state canzoni o disegni, concetti o teorie. Era sempre al settimo cielo quando Gerard gli raccontava quello che aveva in mente e, onestamente, gli dispiaceva farlo così di rado, ma la maggior parte delle volte non sapeva neanche lui stesso che cazzo significassero certe idee che gli frullavano per la testa e allora ci rinunciava in partenza a spiegarle. Era difficile anche per lui stesso capirsi, figurarsi spiegarsi agli altri, sì, perfino a Mikey che era suo fratello.
- Non l’ho aperto!- tornò con il suo sorriso e sventolando il suo album da disegno.
- A te l’onore!- glielo posò tra le mani mentre tornava seduto sul divano, al suo fianco.
- Ecco, prima che tu lo apra…- iniziò titubante. Voleva spiegargli che non avrebbe trovato, in quelle pagine, cose che si aspettava. Forse. O che comunque non raccontavano pezzi di vita felici, non era ciò che avrebbe voluto, Gerard lo sapeva e voleva quantomeno prepararlo.
- Cosa c’è?- domandò Mikey con un sorriso cercando di minimizzare la preoccupazione di Gerard.
- Lo so che non troverò disegni di pascoli incontaminati o di gente allegra che si tiene per mano mentre fa una passeggiata.- iniziò ad elencare completamente tranquillo.
- Gee, sei tu…- sussurrò lasciando intendere più cose. Ovviamente Gerard lo prese come una critica, un modo come un altro per ricordargli che era sempre il solito tristissimo ragazzo, prevedibile e noioso.
- La tua vita non è stata un percorso in discesa, ne hai dovute affrontare molte e ancora adesso sei segnato da alcune di quelle esperienze che hanno reso brutta la tua visione del mondo.- parlò spiegandogli aspetti della sua vita, come se Gerard non li sapesse o, molto probabilmente, come se Mikey sentisse il bisogno di ricordarglieli.
- Io credo che molti traumi te li porti ancora dentro. Dentro e tutti interi, non li hai mai affrontati e sconfitti, non li hai mai nemmeno indeboliti. E i tuoi disegni non fanno altro che parlare per te…- gli disse pienamente certo e convinto delle sue parole. Aveva parecchio ragione, comunque.
- Già.- sussurrò comprendendo appieno ciò che suo fratello gli stava dicendo.
- Comunque dimmi, se c’è qualche premessa che vuoi fare. Magari capirò meglio, poi!- lo sollecitò entusiasta.
- Okay.- ne prese coscienza Gerard.
Ingoiò l’ansia che gli stava a poco a poco salendo e decise che avrebbe voluto parlargliene. Gli era mancato troppo in quei mesi per permettersi di perdere quell’occasione perfetta.
- Non so se ricordi quell’idea della parata funebre che mi era venuta in mente durante il tour…- cercò di ricordargli.
- Oh, sì, certo! Quei disegni fighissimi di scheletri in divisa da parata. E chi se li scorda!- esclamò adorante e rivolgendogli la sua completa attenzione.
- Ecco, beh… ho scritto dei testi, anche. Ho… ecco, io…- sospirò cercando di riordinare le proprie idee e non andare in confusione. Ci teneva a raccontargli ciò che aveva elaborato.
- Allora, dicevo, ho scritto dei testi. Cazzo, a pensarci ne verrebbe fuori un album completo se fossero tutti buoni!- si rese conto mentre lo diceva a suo fratello.
- Sono partito da una parola… non che sia felice, ma ecco, la parola è “morte”.- ammise abbassando lo sguardo, come se si vergognasse di quel che stava dicendo.
Mikey non lo interruppe e questo infuse tranquillità in Gerard, convincendolo a continuare senza farsi ostacolare dalle proprie paranoie.
-Quindi ho immaginato questo ipotetico ragazzo, un paziente, che sta per morire e ripercorre la sua vita col pensiero, nelle sue varie parti…- spiegò incerto.
- A lui resta poco da vivere, quindi ripensa a tutto. Alla sua adolescenza, alla sua famiglia, al suo primo amore che poi l’ha anche deluso… pensa alla sua morte come uno scherzo, anche.- riassunse sommariamente sperando nell’intuizione e nell’interpretazione di Mikey.
- Perché come uno scherzo?- chiese il più piccolo completamente perso nell’immaginazione che Gerard gli stava favorendo con quei racconti.
- Perché… beh, che muoia una persona anziana, grande, che ha fatto e vissuto la maggior parte delle sue esperienze sarebbe scontato. Tutti direbbero che si nasce e si muore, che prima o poi arriva quel momento per tutti e che, a maggior ragione, data l’età, questa persona dovrebbe comunque ritenersi soddisfatta di aver vissuto così a lungo. Non ti sembra uno scherzo?!- gli chiese animato dallo spirito che lo aveva spinto a fare certe considerazioni.
Avrebbe tanto voluto che stessero scherzando tutte quelle persone che, quando era morta sua nonna, gli avevano detto che comunque doveva essere fiero dei tanti anni che lei era stata al mondo. Che doveva sentirsi soddisfatto per le esperienze che aveva vissuto: il matrimonio, i figli, i nipoti… avrebbe tanto desiderato che facessero finta, che non pensassero davvero certe idiozie perché, purtroppo, dal suo punto di vista, quei discorsi non erano altro che cazzate. Non lo avrebbero mai consolato, non lo avrebbero mai fatto sentire meno solo di quanto percepiva la sua assenza. Erano parole buttate al vento.
Gerard avrebbe preferito che non gli dicessero nulla, certe persone, che si fossero limitate a dirgli che gli dispiaceva e che avevano un buon ricordo di lei. Ma no, le persone avevano questa irrefrenabile voglia di aggiungere considerazioni da quattro soldi, illudendosi di poter essere d’aiuto a chi stava soffrendo. Non ci credevano neanche loro a simili stronzate.
Gerard avrebbe voluto urlare in certi momenti, avrebbe voluto farsi bruciare la gola e chiedere a tutti: non sarebbe bello, allora, che morissimo tutti? Era quello, in fin dei conti, il loro stupido ragionamento.
Allora lo avrebbero preso per pazzo e avrebbero cambiato versione.
Meglio starsene zitti che dire idiozie, ecco cosa pensava Gerard.
-Non capiscono che l’età non c’entra nulla, che le esperienze possono essere tante, ma insignificanti oppure poche, ma significative. Una perdita resta comunque una perdita, a qualsiasi età. Il dolore è lo stesso. Quei numeri che spiegano il tempo vissuto di chi ora ci ha lasciato non ci renderà più leggeri, non allevierà la disperazione e il vuoto che lasceranno. Sarà la stessa cosa, infatti pensavo di non dare un’età a questo paziente, perché tanto, alla fine, dopo che avranno ripercorso la sua vita insieme a lui tutti piangeranno e sentiranno la sua mancanza. E a quel punto, se tu rivelassi loro che aveva 90 anni sentirebbero comunque lo stesso dolore e lo stesso vuoto. E proverebbero le stesse sensazioni a riguardo.- sospirò fortissimo concludendo quello che sperava fosse stato un bel discorso, chiaro perlomeno.
Si voltò a guardare suo fratello, portò di nuovo lo sguardo sul suo, dopo averlo fatto vagare incessantemente su ogni parte del salotto, mentre tentava di spiegarsi. Mikey aveva gli occhi lucidi, anzi, lo guardò bene e vide una lacrima silenziosa scivolare dalla guancia e cadere sulla t-shirt verde che indossava.
Si fermò a vedere come la gocciolina salata si spandeva sul tessuto rendendola più grande di quel che sembrava in realtà e capì che, anche se Mikey sembrava aver superato tutto e anche alla svelta, evidentemente non era così. Il suo malessere era come quella lacrima: quasi invisibile, eppure così tanto visibile.
E lui non  aveva neanche avuto tutte le scappatoie che si era concesso Gerard, anzi, aveva dovuto affrontare anche tutti i problemi derivati da lui e dalle sue azioni.
Era un fratello pessimo.
Lo abbracciò perché non avrebbe saputo immaginare cos’altro fare, lo abbracciò perché era il gesto più naturale ed istintivo che avrebbe saputo fare. Era il suo fratellino e lo aveva costretto fin troppe volte a rivestire il ruolo di quello maggiore, Mikey si era preso più cura di lui di quanto Gerard non avesse mai fatto per lui in tutta la loro vita insieme.
Si sentì così misero che gli occhi gli si gonfiarono istintivamente di lacrime, quelle che assomigliavano a quelle di suo fratello, che avevano lo stesso sapore, gli stessi ricordi e lo stesso dolore che non sarebbe mai passato.
-Scusa.- sentì di dirgli, non avrebbe voluto rattristarlo.
Mikey tirò su con il naso e lo abbracciò più forte.
-Scusa tu. Scusa se non riesco mai a capirti a fondo, se ti lascio solo in momenti in cui penso che tu dia semplicemente troppa importanza a cose futili. Scusa se capisco di rado cosa hai veramente dentro.- farfugliò parlando contro la sua spalla.
E a Gerard si strinse il cuore perché quelle cose non erano vere, perché Mikey era il fratello più perfetto che ci fosse al mondo, perché lo comprendeva sempre, in un modo o nell’altro, perché lo amava con tutto se stesso, perché avrebbe messo da parte l’intero universo per dare attenzioni a lui e Gerard… lo aveva trattato male fin troppe volte, lo aveva escluso dalla sua vita in così tante occasioni che aveva stentato a credere alle sue orecchie quando poi Mikey era andato a parlargli e gli aveva chiaramente spiegato tutto quello che esattamente stazionava nella sua testa.
- Tu sei perfetto, hai capito?- disse convinto e si scostò per prendergli il viso tra le mani e guardarlo negli stessi occhi liquidi che percepiva anche lui.
-Non potrei desiderare di meglio di un fratello come te.- espresse ancora i propri pensieri, baciandogli una guancia e tornando a stringerlo.
-Ehi, ragazzi, che succede?!- domandò preoccupata Donna sbucando in salotto senza che nessuno dei due se ne accorgesse.
Sciolsero quella stretta e si guardarono negli occhi, sorrisero entrambi nello stesso momento, tra le lacrime, e si parlarono mentalmente: “non facciamola preoccupare” si dissero.
Gerard si voltò verso il televisore per trovare ispirazione e sentendo la sigla di Doraemon affrontò lo sguardo interrogativo di sua madre.
-Ma tu hai idea di che significhi seguire un cartone per anni e poi scoprire che era soltanto un sogno e che Doraemon non è mai esistito?!- disse con la voce ancora rotta dalla commozione di poco prima.
Percepì il soffio di risata mal trattenuta di Mikey, sintomo che pensava che Gerard non avrebbe potuto trovare una scusa più ridicola, e poi ascoltò la voce melodiosa di sua madre prorompere in una più rumorosa.
- Dio mio, pensavo che queste problematiche le aveste superate all’incirca dieci o più anni fa!- esclamò divertita.
-Queste delusioni non le superi mai, in realtà.- fece più o meno serio Mikey.
-Va bene, ho preparato i biscotti e il caffè… facciamo merenda, bambini?- li prese ancora in giro e i due fratelli si rivolsero ancora quello sguardo d’intesa, si abbracciarono ancora con lo sguardo.
Poi seguirono la loro madre in cucina, ridendo con lei e lasciandosi alle spalle parate nere e morti.
 
 
Frank gli mancava moltissimo.
Erano ben quattro giorni che non lo vedeva, che era chiuso in casa come un malato in quarantena.
Aveva percorso mentalmente la strada che separava casa sua da quella di Frank così tante volte che se avesse controllato le sue converse ed avesse scoperto le suole completamente consumate non se ne sarebbe stupito.
Si stiracchiò sul letto e sospirò chiudendo gli occhi.
Le note di “Daydream” degli Smashing Pumpkins accarezzavano indiscretamente i suoi pensieri e, quando provò a ricordare Frank, la sua immagine, i suoi occhi, percepì la stessa fitta allo stomaco che aveva provato quando lo aveva effettivamente rivisto, dopo tre mesi.
Frank era entrato nella sua vita come un pazzesco uragano.
Era venuto fuori dal nulla, come certi fenomeni naturali lo aveva sorpreso mentre trascorreva la sua solita vita, passando il tempo dentro la sua triste casa, sognando un futuro migliore. Era squallida a quel tempo, la sua vita, ma era confortevole, era sicura.
Ma lui, di tutto ciò, non ne aveva tenuto conto.
Un uragano arriva per cause di forza maggiore, per fenomeni atmosferici del tutto naturali, senza che nessuno possa fare nulla per ostacolarlo. E così era accaduto.
Era piombato in pieno nella sua vita senza nemmeno degnarsi di chiedere il permesso, aveva cambiato le cose, compreso il sound della band che era nata da pochissimo tempo.
Aveva sconvolto la vita di Gerard sotto il suo sguardo impotente, aveva travolto tutto e, come ogni uragano che si rispetti, aveva distrutto tutto.
La comfort zone di Gerard era stata spazzata via, il rifugio sicuro in casa sua non c’era più, erano iniziate le serate e poi i tour, tutti i pensieri che lo tranquillizzavano non esistevano più nella sua testa, perché nella sua testa aveva iniziato ad esserci solo Frank e la sua voce, nei suoi occhi la vitalità che sprigionava.
Gerard aveva avuto delle grandi passioni per certi uomini, frontman di band che amava o attori di film che adorava, ma certamente non aveva mai sospettato di poterne essere attratto anche a livello fisico, fisico sul serio… attratto a tal punto da arrivare a desiderare di baciarlo e di usare ogni più piccola scusa per poterlo fare.
Frank aveva messo a soqquadro tutto.
Gerard aveva iniziato a non riconoscersi nemmeno più.
Lui era quel concentrato di vitalità e leggerezza di cui avrebbe avuto bisogno da tutta la vita e, quando era finalmente arrivato, forse, non era ancora preparato.
Aveva avuto paura tantissime volte.
Aveva guardato dietro di sé, le macerie della sua vita precedente e spesso si era chiesto se non avrebbe fatto meglio ad andare a ricostruire tutto e riprendere tutto da dove aveva lasciato prima del suo arrivo. Almeno lì c’erano certezze, certezze che con Frank generalmente mancavano, c’era tranquillità, c’era la rassicurante routine che faceva in modo di farlo sentire “giusto”, in un certo qual modo.
Frank lo aveva fatto sentire sbagliato fin dall’inizio.
Gerard ammirava la spensieratezza con cui lui affrontava e viveva la sua vita, i pochi problemi che si creava, il fatto che, in fondo, si era accettato anche quando aveva scoperto di essere attratto da lui.
Gerard non c’era mai riuscito, sentiva di star sbagliando, aveva timore di poter deludere chi amava, Mikey per primo, aveva avuto continuamente la fottuta tentazione di scappare a gambe levate, ovunque. Ovunque, purché fosse stato lontano da Frank.
Ma poi, puntualmente, non ce l’aveva fatta, non ce la faceva mai perché, pian piano, aveva iniziato ad apprezzare i lati positivi che quell’uragano gli aveva donato.
C’era stato un momento in cui aveva creduto di aver perso tutto, anche se stesso, perché si ostinava a guardare indietro, a compiangere quelle macerie desiderando che non fosse mai successo nulla e fosse stato solo un incubo.
Poi, un bel giorno, si era voltato.
Aveva dato le spalle a quel mucchio di detriti e rovine e si era accorto che quello che aveva perso non era nemmeno un quarto di quanto, insieme a Frank, aveva ricostruito senza nemmeno rendersene conto.
Forse Frank gli era stato davvero donato, lo aveva sconvolto e sconcertato all’inizio, okay, ma lo aveva spinto a cambiare, a ricostruirsi daccapo, secondo le sue preferenze, secondo i suoi gusti, come una casa completamente progettata su misura, e Frank ne era stato l’architetto e il geometra, l’arredatore e, soprattutto, quello che lo aveva accolto all’ingresso, facendogli cenno di entrare ed ammirare con i suoi occhi se era tutto di suo gradimento. E Frank aveva iniziato ad abitare in quella casa prima di Gerard stesso perché quella struttura non era stata concepita per essere un’abitazione per una sola persona, non era un monolocale, aveva così tante stanze che avrebbe potuto contenere decine di persone.
Stava soltanto a Gerard permettere alle persone di entrarvi.
Chissà se sarebbe mai stato capace di sentirsene padrone, di quella casa e di ospitarci qualcuno.
Questa era una delle tante cose a cui non sapeva ancora rispondere, questo era uno di quei pensieri che quando lo prendeva in considerazione gli faceva salire ansia e preferiva soffocarlo, fingere con convinzione che non esistesse perché era più semplice non affrontarlo.
Frank si sarebbe comportato diversamente e questo lo faceva sentire ancora più in colpa.
Frank… si toccò la mascella con la mano, prima l’accarezzò e poi la tastò con decisione, come aveva fatto anche nei giorni precedenti, forzò con la punta delle dita alcune parti ben precise, quelle ancora livide ed indolenzite dal pugno che gli aveva dato Frank.
Gerard sbuffò una risata triste. Era patetico.
Si mise a pensare a certe adolescenti, quelle che davano per la prima volta il primo bacio o che passavano il pomeriggio con il ragazzo dei propri sogni al primo appuntamento. Quelle a cui batteva il cuore all’impazzata e che notavano i piccoli dettagli che rendevano magnifico il ragazzo che avevano davanti agli occhi. Le stesse che, una volta tornate a casa, si concentravano sui ricordi fantastici che avevano appena vissuto, quelle che poi si odoravano la sciarpa o la maglietta che indossavano per assicurarsi che l’odore di quel ragazzo gli avesse impregnato il tessuto e loro avrebbero potuto annusarlo, chiudere gli occhi e rassicurarsi che sì, quel momento indimenticabile era accaduto davvero.
Gerard si sentiva così, in quel modo.
Ma era in una posizione differente, lui non cercava odori, non chiudeva gli occhi pensando all’ultimo bacio, l’ultimo degli ultimi, che si era scambiato con la sua persona speciale, no, lui tastava un livido che non era nemmeno superficiale e visibile. Un dolore che, nonostante tutto, lo faceva sentire vivo perché significava che era esistito seriamente quel momento in cui Frank lo aveva chiuso nel bagno di casa sua, che lo aveva baciato e toccato e che poi l’aveva colpito, esprimendo il suo bentornato.
In fondo era stata tutta colpa sua, se ne rendeva conto, ma non avrebbe potuto fare altrimenti.
La sua vita era stata da sempre un totale caos, sin da quando era bambino, sin da quando, per colpa dell’istruzione scolastica, aveva iniziato ad essere ossessionato dal pensiero della morte.
La morte e il male. Il diavolo che era nascosto in ogni angolo ed era sempre pronto a prendere il sopravvento e a farlo cadere nel peccato.
Le sue prime paranoie erano basate su concetti come quelli. Poi era cresciuto e tutto ciò non aveva fatto altro che amplificarsi. Non importava quanto provasse a ribellarsi a quei pensieri, non importava quanto avesse capito che era stato soltanto plagiato e deviato, non importava che avesse provato con tutte le sue forze a cercare di cambiare il suo modo di reagire alla vita, non importava perché lui, quando pensava a se stesso, vedeva ancora quel ragazzino impaurito e troppo pensieroso per la sua età, quello strano che non riusciva mai a godersi nulla perché dietro ad ogni esperienza poteva esserci il lato oscuro che lo avrebbe fottuto e fregato.
E così, l’unica difesa che era riuscito ad attuare contro quel suo irrefrenabile modo di fare era stato allontanarsi. Chiudere i suoi pensieri in una bolla e confinarla lontana dai suoi affetti perché era l’unico modo per tenerli al sicuro.
Gerard stesso aveva provato a scappare, ma da se stessi purtroppo non si riesce a scappare mai realmente.
Lui era obbligato a vivere con se stesso, gli altri no.
E Frank faceva parte di quegli “altri”, di quegli affetti da proteggere e salvaguardare. Gliene aveva fatte passare anche troppe. Lo aveva confuso, lo aveva attratto a sé e poi allontanato, lo aveva sentito suo e poi cacciato. Lo aveva disintegrato e quei mesi di disintossicazione e solitudine non avevano fatto altro che aiutarlo a rimettere insieme i pezzi, le parti di ricordi sparpagliati in giro per la sua mente, e gli avevano reso chiaro che non aveva portato altro che sofferenza e preoccupazione in Frank.
E questo non era amore, questo era demolizione.
E forse lo aveva capito fin dall’inizio, forse avrebbe dovuto trattenersi e non lasciarsi andare ai suoi desideri, tenere Frank lontano da sé, ma dagli uragani non si può scappare e forse Gerard, in quel momento, era stato proprio nell’occhio del ciclone.
 
 
 
-Ha chiamato Ray, Gee.- lo informò Mikey mentre fece irruzione in camera sua senza nemmeno bussare.
Gerard alzò lo sguardo dal foglio su cui stava disegnando e scrivendo quasi contemporaneamente e gli rivolse l’attenzione.
- Grande! E cosa dice?- chiese curioso stiracchiandosi un po’. Erano ore che era chiuso in camera, chino sulla scrivania, intento a sfogarsi. Erano quei momenti che arrivavano prepotentemente, come raptus.
- Dice che ha voglia di suonare. Tutti insieme, intendo.- si spiegò sedendosi sul letto alle sue spalle.
- Davvero?- chiese per dire qualcosa. Era un po’ sconcertato, ma, forse, era soltanto lui che aveva perso certe abitudini e stava ostinandosi a non pensare a nulla, nemmeno al suo lavoro con la band.
- Beh, direi…- sbuffò Mikey con un sorriso.
- Sono mesi che non ci riuniamo a suonare tutti insieme. Sai… abbiamo provato un paio di volte a farlo senza di te, in questi tre mesi, ma ci siamo accorti che era inutile. Mancava qualcosa.- gli raccontò orgoglioso. E lo era perché Gerard conosceva a memoria tutte le sue espressioni e Mikey era quel tipo di fratello che, se si accorgeva che Gerard era fondamentale, non riusciva a non vantarsene. Neanche si fosse trattato di se stesso o di suo figlio.
Mikey era sempre così dolce e protettivo con lui.
Provò ad immaginare loro quattro chiusi in una stanza a suonare, con il microfono abbandonato in un angolo, lontano. Lontano come era stato Gerard in quei mesi. Forse era stato un bene per loro? E invece Mikey gli aveva appena detto che avevano sentito la sua mancanza. Com’erano diverse le visioni di certe situazioni, se era lui stesso a pensarle o gli altri.
Non sapeva precisamente il motivo, ma non aveva pensato al fatto che qualcuno avesse potuto sentire la sua mancanza. Non lo credeva possibile, ecco tutto.
Aveva immaginato di regalare a tutti una boccata d’aria fresca, con la sua assenza, un sospiro di quelli grossi di sollievo, invece loro credevano il contrario… si sentiva strano riguardo ciò.
- Allora?- lo sollecitò suo fratello.
- Non ti manca cantare?- gli domandò curioso e ansioso.
- Beh,sì!- rispose senza pensarci, in realtà non lo sapeva.
Per quanto non se ne fosse preoccupato minimamente, poteva anche essere verosimile che non fosse più in grado di farlo. Che avesse perso il dono, che tutti gli avevano confermato di avere nel corso degli anni, di far emozionare le persone con la sua voce, cantando.
- E allora domani ci vediamo nella vecchia sala prove che usavamo l’anno scorso, prima di partire per il tour, ricordi?- gli comunicò raggiante, spiegandogli i dettagli che avevano messo a punto senza sapere nemmeno se Gerard avesse risposto affermativamente.
- Io… Mikey, non lo so.- farfugliò confusamente. Lo aveva colto l’agitazione, la paura che non fosse all’altezza di riprendere le cose dal punto in cui le aveva lasciate.
Gerard non aveva mai affrontato il palco scenico lucidamente, mai, nemmeno una volta.
E, okay, le prove con i suoi compagni non erano la stessa cosa, ne era consapevole, ma non riusciva ugualmente ad immaginarsi di nuovo con il microfono in mano.
Sarebbe stato presente anche Frank e Gerard non aveva completamente idea di come avrebbe potuto comportarsi. Ecco, questa forse era la sua maggior preoccupazione.
- Gee, che significa che non lo sai? Certo che lo sai!- Mikey tentò di confortarlo.
- Devi soltanto riprendere l’abitudine. Sarà strano, lo capisco, ma devi farlo. È la tua vita.- gli spiegò.
- Non ci hai mai pensato negli ultimi mesi?- indagò un po’ agitato.
- No.- rispose sinceramente.
Aveva pensato a tante cose, aveva riflettuto lungamente sui suoi rapporti interpersonali, sui propri errori, sulle cose per le quali avrebbe desiderato avere una seconda occasione e cambiarle e a quelle che, invece, avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per rivivere tali e quali a com’erano state.
Aveva pensato alla sua famiglia, alla band, certo, anche la band faceva parte della sua vita, ma non aveva pensato al canto. Non aveva più cantato. Neanche sotto la doccia.
E forse quello voleva dire molto, oppure significava semplicemente che era stato concentrato su altro. Che aveva scritto e disegnato per sfogarsi, eppure non si era mai sentito del tutto scarico.
Ecco, forse gli mancava davvero, ma non era in grado di esserne consapevole. E rendersi conto di non riuscire a capirsi, al solito, lo faceva infuriare. Delle volte gli sembrava che non fosse lui a vivere nel suo corpo, che non fosse responsabile delle decisioni che prendeva, cazzo, un sacco di volte si era domandato se per caso non fosse bipolare o avesse una doppia personalità.
- Gee…- Mikey sospirò, restò in silenzio per un po’ e Gerard lo compatì. Immaginò la confusione di parole tra le quali doveva scegliere quelle più giuste per dirgli quel che pensava, quello che sapeva per certo, ma che voleva esporre nel modo più tranquillo possibile, senza creare equivoci e senza essere brusco. Era sempre così paziente che Gerard, a volte, non si capacitava di quanto meraviglioso riuscisse ad essere.
- Gerard, tu devi provarci. Certe cose non sai quanto ti sono mancate e quanto ti servono finché non le fai. Ti prego, dammi retta. Domani vieni e non pensarci, non agitarti e fai finta che anche ieri hai fatto le stesse cose, che non è nulla che devi riprendere, ma che è dentro di te e non se n’è mai andata.- cercò di spiegargli tutto e di dargli i suoi consigli e forse, Gerard pensò, aveva ragione.
- Va bene.- acconsentì sospirando.
Domani sarebbe stato come tante altre volte. Domani non sarebbe cambiato niente. Domani avrebbe preso il microfono in mano e si sarebbe goduto tutte le sensazioni che solo la musica riusciva a donargli.
 
 
 
 
Domani arrivò troppo presto.
Arrivò senza che Gerard avesse avuto il tempo neanche di dormire. Arrivò in modo tranquillo col suo bel sole alto nel cielo, con l’aria tiepida di fine estate, arrivò sorprendendolo, come se non avesse dovuto, come se avesse potuto essere altrimenti.
In tarda mattinata le forze lo abbandonarono e si concesse qualche ora di sonno che si era negato durante la notte.
Non è che non avesse voluto dormire di proposito, ma non aveva fatto altro che pensare e pensare.
Non era riuscito a fare a meno di riflettere su quello che sarebbe accaduto. Ma non su cosa sarebbe accaduto a lui, no, ma a come sarebbe stato rivedere Frank.
Gerard non riusciva mai a preoccuparsi per se stesso. Era uno di quei difetti belli grossi che aveva e a cui non riusciva a porre rimedio.
Avrebbe tanto voluto vedere tutti felici, tutti appagati, tutti spensierati.
Almeno le persone che amava, ecco.
E Frank lo amava, dio se lo amava… non riusciva a pensare ad altro che a quella schifosa espressione di cui si era dipinto il suo viso per mano sua, per colpa della merdosissima bugia che gli aveva raccontato.
Sperò che Frank fosse arrivato già al punto di odiarlo, sperò che non lo avrebbe degnato nemmeno di un saluto, sperò che lo avesse eliminato, sradicato a forza dal suo cuore. Il problema risiedeva nel fatto che Gerard conosceva Frank, che era pienamente consapevole di come reagiva, di come si comportava, di quanto era buono e comprensivo. Di quanto si batteva per i sentimenti in cui credeva.
Avrebbe voluto che in un batter d’occhio fosse arrivato il momento in cui sarebbe andato alla sala prove, per togliersi il pensiero e vivere anziché immaginare e, allo stesso tempo, che fosse esistita una scusa plausibile con la quale scappare da tutto e non rivederlo mai più.
Alla fine, le lancette sull’orologio fecero il loro inesorabile percorso e, quando Mikey lo scosse per svegliarlo, aprì gli occhi e lo stomaco fece strani movimenti inconsulti nonostante non avesse ancora avuto il tempo di realizzare e pensare a nulla.
Il suo corpo reagiva alla vita e alle sue emozioni molto più di quanto avrebbe mai voluto.


 
 
Si concentrò attentamente sulla guida, senza riuscire a prestare attenzione a Mikey che metteva musica dall’autoradio e di tanto in tanto chiacchierava del più e del meno.
Pensava alle marce dell’auto e al loro funzionamento, alla frizione e ai freni.
Cose meccaniche e senza sentimenti.
Ad un tratto, accelerò di colpo, in un punto in cui la strada e il traffico glielo permettevano e pensò che, se non ci fosse stato anche suo fratello, nella macchina, avrebbe continuato ad accelerare e basta, senza mai girare e senza mai frenare… fino a che, in un modo o nell’altro, qualcosa lo avrebbe fermato.
E non sarebbe stato il suo piede destro.
 
 
Arrivati alla sala prove, Gerard visse un attimo in cui pensò che avrebbe potuto sciogliersi.
Vampate di calore si spandevano dalle spalle e sentiva una forza trascinarlo verso il basso. Sentiva gocce di sudore colargli dal retro del collo e pensò di non essersi mai sentito tanto male.
Sentiva un fastidio allo stomaco, qualcosa che si attorcigliava dolorosamente e vuoti d’aria che risalivano verso il petto e si bloccavano nella gola, proprio come se dovesse vomitare.
Il cuore, nemmeno a parlarne… non sapeva ricondurre a dove lo percepiva battere.
Tentò di fare un respiro profondo per calmarsi, per ricacciare indietro la nausea, e cercò con tutte le sue forze di apparire normale, di mostrarsi tranquillo, per non far preoccupare Mikey.
Era un obiettivo arduo, ma doveva farcela, doveva impegnarsi.
 
Quando vide Frank, da lontano e di sfuggita, comparire nel suo campo visivo la situazione precipitò a picco. Percepì le gambe tremare e rallentò il passo, poggiandosi di peso, con un braccio, su un’automobile parcheggiata che si trovò a fianco.
Ray e Bob lo raggiunsero velocemente non appena lo videro e andarono a salutarlo calorosamente.
-Ehi, Gee, come stai?- chiese Ray buttandogli le braccia al collo, mentre Gerard non riusciva ancora a sostenere il proprio peso senza aiuto di appigli improvvisati.
- Bene, tu?- rispose sospirando.
-Tutto bene?- domandò Ray insospettito, sciogliendo l’abbraccio e tornando a guardarlo in viso.
- Certo!- controbatté al volo accompagnando quell’affermazione con un sorriso tirato.
Ray sembrò crederci e gli sorrise di rimando, spostandosi poi lateralmente e lasciando la possibilità a Bob di salutarlo a sua volta.
Scambiò un paio di parole anche con lui e cercò di concentrarsi nel farlo, ma forse si impegnò così intensamente su ciò che doveva fare che finì per non afferrare una sola parola.
Era in condizioni pietose, forse neanche quando era drogato si era sentito tanto confuso, ma forse quando era inebriato da tutta la roba che prendeva e tracannava non poteva rendersi conto di come si sentiva realmente.
Poi Bob si spostò da di fronte a lui e il suo sguardo inciampò rovinosamente nella figura di Frank.
Era appoggiato con le spalle alla colonna che sosteneva il piccolo portico che precedeva l’entrata alla sala prove. Aveva una t-shirt nera con un disegno che al momento non riusciva ad identificare, fumava guardando di fronte a sé, senza accennare a prestare interesse a dove si trovava Gerard con gli altri ragazzi. Sembrava avere un’aria assorta, il viso senza espressioni particolari, ma Gerard lo conosceva e sentiva ondate della sua tristezza arrivargli fin lì dove si trovava.
Si sarebbe disperato.
La differenza tra ciò che doveva fare e ciò che avrebbe voluto fare era abissale, non avrebbe voluto assolutamente essere lì, tanto per cominciare, non essere costretto a vivere quella situazione.
Si voltò a guardare Ray che parlava con Bob e Mikey, suo fratello sembrava star aspettando i suoi occhi e quando li incontrò gli rivolse un sorriso. Era indecifrabile, quel sorriso, forse era un incoraggiamento o forse gli faceva solo tenerezza e provava pena per lui. Gerard lo fissò per un attimo, poi tornò a rivolgere la sua attenzione a Frank che, inaspettatamente, si stava dirigendo verso di loro.
Quando si avvicinò Gerard provò più impulsi contemporaneamente che lo avrebbero stretto a lui, ma strinse i pugni e si trattenne.
-Ciao.- sussurrò stupidamente.
Frank lo guardò e basta. Alzò velocemente lo sguardo sul suo viso e i suoi occhi non gridavano altro che ingiurie ed insulti rivolti a lui. Era quasi stupito, il suo sguardo, come se non concepisse nemmeno un saluto da parte sua.
Poi arrivò Mikey a toglierli dall’impaccio del momento di stallo che si era creato e Frank cambiò totalmente registro. Fece uno di quei sorrisi che Gerard amava con ogni particella di se stesso e in quel momento capì che Frank avrebbe continuato a sorridere anche senza la sua presenza nella propria vita.
E, per Gerard, era quello l’importante.
Si sentì per un attimo un po’ misero considerando che Frank avrebbe continuato a sorridere in quel modo fantastico e che lui non ne sarebbe stato l’artefice, ma poi capì che semplicemente era giusto così, la sua vita doveva continuare e Gerard era felicissimo che continuasse.
Aveva letto da qualche parte che quando si ama veramente una persona, si deve essere pronti a lasciarla andare nel momento in cui se ne presenti la necessità. Gli era parsa una cazzata inizialmente, poi, come gli capitava spesso nella sua vita, era arrivato il tempo in cui era stato illuminato dal reale valore di quelle parole e aveva capito.
Doveva lasciare in pace Frank, doveva lasciargli vivere la sua vita. Doveva renderlo libero dalla sua presenza.
Sarebbe andata bene, lui avrebbe sorriso e Gerard avrebbe continuato ad amare quell’espressione.
Da lontano, ma nessuno avrebbe potuto impedirgli di amarlo.
 
 
 
Sentire di nuovo la sua voce filtrata dal microfono, udirla scivolare negli amplificatori per poi sentirsela risuonare forte nelle orecchie, dalle casse, fu qualcosa di indescrivibile.
Non sentiva quell’adrenalina scorrergli nelle vene da così tanto tempo che sembrava aver dimenticato quelle sensazioni. Nel momento in cui le rivisse capì che non le aveva mai scordate, che erano state nascoste dentro di lui da qualche parte che credeva dimenticata.
Era stato esaltante.
Era stata la prima esperienza positiva, su cui non avrebbe avuto ripensamenti, da quando era tornato a casa. E doveva ringraziare Mikey che lo aveva convinto, doveva ringraziare i suoi amici e compagni di band che non avevano aspettato altro che lui per tornare a sentirsi completi.
Completo.
Sì, era questa la sensazione predominante tra tutte quelle che gli stavano sconquassando il petto. Percepiva di trovarsi nel posto giusto, di star facendo la cosa giusta.
Ma lo sguardo furente di Frank, che si era ritrovato addosso più volte, non era stato piacevole, avrebbe voluto cheil periodo in cui lo avrebbe odiato passasse in fretta e basta, che arrivasse presto la parte in cui se ne sarebbe fatto una ragione e avrebbe ricominciato almeno a dirgli ciao, che sarebbe riuscito quantomeno a sopportare la sua presenza senza avere una crisi di nervi.
Certo, sarebbe stato bello se non avesse dovuto affrontare anche quelle occhiatacce, se non si fosse sentito costretto a maledirsi anche per il fatto di respirare, quando quel respiro portava Frank ad accorgersi di lui e guardandolo rafforzava il suo odio, ma purtroppo non poteva essere altrimenti e, mentre Frank avrebbe messo le giuste distanze, quelle che avrebbero fatto in modo di tenerli lontani, Gerard avrebbe dovuto sopportare. E lo avrebbe fatto solo per amore.
Perché le persone che amava, Gerard le amava sul serio.
 
 
 
-Gee, allora vieni?-  gli si rivolse Ray, interrogativo.
Gerard lo guardò stralunato, era stanco e provato dalle troppe emozioni che aveva vissuto in una manciata d’ore.
- Cosa?- chiese chiarimenti.
- Domani sera.- cominciò Bob, aiutando Ray nelle spiegazioni.
- Abbiamo scovato un locale, il mese scorso, dove si mangia, si beve e ti danno la possibilità di giocare a qualunque gioco da tavolo tu voglia!- riassunse Ray tutto sorridente.
- Quindi volevamo fare una partita di quelle serie a Dungeons &Dragons!- Mikey non stava più nella pelle dalla felicità.
- E, dato che tu sei quello più esperto tra noi, pensavamo di nominarti Master della partita,che ne pensi?- Bob arrivò al punto e Gerard sorrise.
Amava quel gioco ed aveva voglia di uscire e svagarsi, tra l’altro non gli sarebbe dispiaciuto ricoprire quel ruolo di comando.
Stava quasi per rispondere, quando udì la risata di Frank proprio lì accanto, erano tutti fuori a fumare una sigaretta insieme e poi ognuno sarebbe tornato a casa propria.
Gerard si voltò istintivamente a guardarlo, con un sorrisino stupido ed immotivato che gli tirava le labbra al suono di quella risata.
- Frank, cosa ridi?- lo prese in giro Mikey andando a scompigliargli i capelli.
- È che avete avuto una così bella idea!- quasi urlò in preda ad un’altra risata che sembrava un tantino forzata.
- Cosa?- chiese Bob corrugando le sopracciglia.
- Ma certo che Gerard ha voglia di fare il master, lui ha un futuro assicurato come manipolatore di vite altrui. Non potevate scegliere di meglio!- spiegò sarcastico e col chiaro intento di ferire Gerard.
Gerard che, secondo il suo punto di vista, aveva deciso per entrambi e aveva messo una pietra sopra alla loro storia, Gerard che gli aveva sconvolto i piani. Gerard che lo aveva manipolato.
Sentì qualcosa spaccarsi al centro del petto.
Percepì di nuovo la sensazione di mal di vivere che aveva provato non appena era arrivato quel pomeriggio, sentì quasi salirgli le lacrime agli occhi, ma non avrebbe pianto, non avrebbe lasciato trapelare dai suoi gesti tutto ciò che lo stava schiacciando senza rimedio.
Bob e Ray si guardarono vicendevolmente, poi passarono ad interrogare Mikey silenziosamente. Gerard restò a testa bassa.
Sospirò e portò i suoi occhi a scontrarsi con quelli di Frank.
- Dobbiamo parlare.- gli intimò Gerard.
- Non dobbiamo dirci un cazzo, invece.-
- Io… ho bisogno di…- stava per dire ma Frank lo interruppe.
- Non parlare di bisogni, stronzo. Non ne hai solo tu di bisogni, non pensare sempre e soltanto ai tuoi.- sputò, riferendosi alla sua necessità di stare con lui, alla voglia che aveva di rivederlo e di riprendere tutto da dove avevano lasciato. Forse addirittura ricominciando daccapo.
Era una situazione così difficile...
Gli altri si allontanarono, avviandosi verso le proprie auto o, forse, semplicemente concedendo loro la privacy di cui si erano accorti che avevano bisogno.
- Frank, non sto dicendo che—lo interruppe di nuovo.
- Non dire niente, non voglio ascoltarti, faresti meglio a fingere che non esisto, cazzo.- imprecò e si agitò muovendosi da una parte all’altra senza senso.
- Scusa, hai ragione, ci sto provando.- acconsentì per terminare quella conversazione.
Aveva avuto una pessima idea ad iniziarla.
- Sai cosa Gerard?- gli chiese rabbiosamente facendoglisi vicino.
Gerard. Non Gee. Gerard. Ecco l’unica cosa che gli rimbombava in eco nella testa.
- L’ho capito qual è il tuo intento, sai? Vuoi mettermi in condizione di lasciare la band, non è così?- gli domandò senza che fosse realmente una domanda. Perlopiù era una sua estrema convinzione, qualcosa su cui aveva anche dovuto averci riflettuto abbastanza.
- Beh, toglitelo dalla testa. Non mi farò portare via tutto da te. Io me lo sono guadagnato, il mio fottuto posto nei My Chem,  è tutto quel che ho e tu non mi negherai anche questo. Ficcatelo bene in testa!- gridò infine ed espresse quei suoi pensieri nella maniera più rabbiosa che Gerard gli avesse mai visto usare.
Era furioso e lui avrebbe tanto voluto scomparire.



Poi non aggiunse altro e gli voltò le spalle, andandosene.
E Gerard non avrebbe saputo come spiegargli che non aveva mai pensato lontanamente una cosa del genere. Che solo il pensiero di non poterlo più rivedere lo faceva uscire fuori di testa…
Avrebbe voluto tanto scomparire, anche se Frank non era più di fronte a lui ad insultarlo e ad esprimergli tutto il suo odio.
Come poteva spiegargli che era tutto il contrario di ciò che pensava? Che la band era l’unico appiglio che poteva tenerli ancora uniti, in qualche modo, che poteva farlo sentire ancora suo, anche se solo come il suo chitarrista.

Continuò a desiderare di poter scomparire.

Come un fantasma nella neve.
  
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